.|. Elen nìn, Estel nìn .|.

Capitolo Otto

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- Penso spesso a lei…magari mentre tento di riposare. Se ho anche solo un attimo la mente libera il suo ricordo s’insinua nella mia testa. Penso a cosa sta facendo, a cosa pensa, mi distrugge immaginare che sta in pena per me.

- Cosa ti manca di più di lei?

Aragorn aggrottò le sopracciglia osservando il viso del compagno ancora leggermente arrossato per le emozioni vissute:

- Oh, il sorriso, la voce cristallina, gli occhi che brillano di curiosità…le sue mani che s’intrecciavano nei miei capelli quando dormiva costringendomi a non muovermi, a non lasciarla. Non voleva che la lasciassi…e invece l’ho fatto

La voce dell’Elfo si era fatta monotona, il viso si era rabbuiato e la linea delle labbra indurita a causa del rimpianto. Aragorn lo fissò e calibrò bene le parole da dire:

- Io…non so cosa provi. Manca anche a me la piccola Elen…io non ho nessuno che dipenda da me cui rimanere attaccato, non so cosa dirti se non che ti starò vicino, finché non torneremo a casa.

Legolas gli sorrise con gratitudine e si spostò più vicino al Ramingo, fino a sfiorargli la spalla nuda con la propria ed ad appoggiarsi allo stesso muro contro cui stava la schiena di Aragorn. Un freddo muro, resto di antiche fondamenta di una casa forse, o di un pozzo, che stava i margini del bosco che stavano attraversando. Il clima non era dei migliori, entrambi percepivano la presenza di forze estranee non troppo lontane e ormai in sostanza sconfitte. Insieme aveva affrontato tutto, la battaglia parallela a quella del piccolo Frodo, le loro battaglie interne. Erano stati in bilico molto spesso, le loro vite e la loro sicurezza, eppure si erano concessi qualche momento anche quella volta, sulla strada che li avrebbe condotti a casa, poche ore nel mezzo della notte buia, tutte per loro, per il loro affetto, come facevano da mesi. Sfruttavano ogni occasione per reprimere i cattivi pensieri e scongiurare il dolore:

- Sai, forse non dovresti angustiarti tanto…intendo dire…

- Non dire nulla Estel, non dire quello che stai pensando

- Come mai?

L’Uomo scostò la schiena dalle rocce per osservare il volto dell’Elfo. Era chinato, il mento che quasi sfiorava il petto diafano e lo sguardo concentrato sul filo dei pantaloni che continuava a maneggiare svogliatamente:

- Perché potrebbe essere di cattivo auspicio dire qualcosa sui nostri destini. Io tento di non pensare mai al futuro per tutto il tempo in cui in una condizione così precaria

- Molto saggio…anche se ormai i pericoli sono ridotti al minimo.

Si riappoggiò rilassandosi e chiuse un attimo gli occhi. Le immagini della notte appena trascorsa, le sensazioni, il calore, gli tornarono alla mente e un sorriso soddisfatto gli distese il bel viso abbronzato.

Voleva commentare quei recenti ricordi ma, quando riaprì gli occhi vide che Legolas si era alzato:
- Cosa stai facendo?

- Credevo dormissi…

- Ti volevi defilare?- Scosse la testa e batté il terreno che gli stava di fianco, con l’erba ancora abbassata sul punto dove fino a qualche secondo prima stava seduto Legolas – Sei troppo nervoso, ti preoccupi troppo

Legolas tornò a sedersi:

- Penso molto Estel

- Avevi detto di non pensare, poco fa…

- Non ho altro da fare ora però

Aragorn scosse la testa sorridendo e stringendo un po’ gli occhi. Poi con voce basa e calda disse:

- Rilassati…ti aiuto io se vuoi

Si spostò dietro all’Elfo, si sedette a gambe incrociate e prese a massaggiargli la schiena:

- Oh oh…

 

 

 Dagli Appunti di Elen:

Dobbiamo andarcene. O meglio: io devo tornare a Gran Burrone con chi mi ci aveva accompagnata la prima volta. Assicurano che è un luogo più sicuro di Bosco Atro, ma che ci tornerò presto, a casa mia. Guardo la mia camera con tristezza, cercando di imprimermi in testa ogni particolare, ogni oggetto che me lo ricorda, che mi ricorda Legolas. Mi manca immensamente e mi chiedo se ha pensato a me qualche volta, ma soprattutto mi chiedo se sta bene. C’è Estel a fargli compagnia ed ad aiutarlo, lo so bene ma…mi manca immensamente, non smetto mai di ripetermelo, come non smetto mai di dirmi che Estel potrebbe allontanarlo da me in un attimo, con un solo gesto.Non devo perderlo, non voglio, non posso. 

Mi sto attaccando morbosamente a tutto ciò che gli appartiene e mi porterò con me alcune sue piccole cose, per sentirmelo sempre vicino e intanto penso a quando tornerà, al momento del mio piccolo riscatto.

 

 

Legolas inspirò profondamente sentendo le mani di Estel sulla sua pelle. Erano calde, le dita forti massaggiavano i suoi muscoli muovendosi con sicurezza. Si abbandonò completamente a quei tocchi e lasciò che la pelle divenisse sensibilissima, in modo da assaporare ogni istante con lui, che gli sfiorava le clavicole, descriveva piccoli cerchi sulla pelle candida del collo, per poi scendere giù fino alle scapole, sfiorando le spalle. Ad un tratto però l’Uomo smise, interrupe quel rituale, si accostò alla schiena di Legolas e avvicinò le labbra al suo orecchio; Legolas sentiva il suo respiro vicinissimo e le labbra che si appoggiavano piano sulla sua pelle, leggere:

- Così non mi fai rilassare Estel…mi stai dando il tormento

La sua voce si ruppe in una leggera risata quando Aragorn gli posò le mani sulla vita, provocandogli un brivido che lo percorse tutto:

- La cosa mi diverte…

 

 

 

Il drappello degli Elfi aveva lasciato Bosco Atro da più di tre ore. Non erano in molti, solo cinque arcieri e lei, Elen, che stava su un cavallo tenuto alla mano da uno degli Elfi più giovani. Stavano attraversando un bosco fittissimo e lei doveva abbassare la testa spessissimo per evitare i rami nodosi degli alberi che erano cresciuti impervi, in quella zona. Percepiva la tensione negli altri e nell’animale che cavalcava. C’èra qualcosa che non andava evidentemente in quel luogo:

- Non abbiamo sbagliato forse strada?

Domandò all’arciere che le camminava a fianco quando lo vide portare una mano alla faretra per estrarne una freccia pronta per essere incoccata:

- No, no di certo. E’ solo che questi non sono luoghi sicuri di questi tempi…dobbiamo stare all’erta

In quell’istante qualcosa si mosse nel buio.

 

 Legolas si spostò, impedendo il contatto con le labbra del Ramingo, in uno scatto involontario cui dettero entrambi poco spessore:

- Sei perfido…

L’Elfo, dopo un secondo d’indecisione in cui aveva osservato il bosco scuro davanti a se, si volse in modo da trovarsi a faccia a faccia con Aragorn e lo baciò, di nuovo tranquillo:

- Mai quanto te

 

 

 

- Cosa è stato?

Tutti si bloccarono. Di nuovo quel rumore indistinto. Alcuni degli arcieri si prepararono a tendere gli archi, altri misero mano ai pugnali e alle daghe. Qualcosa correva intorno a loro, facendo scricchiolare rumorosamente le foglie. Elen, sul suo cavallo, aveva sgranato gli occhi:

- Scendi

Gli intimò lentamente l’Elfo che l’aveva guidata e che poi gli si stagliò davanti per proteggerla:

- Chi sono?

Non servì risposta perché in quel momento più di una ventina di orchetti spuntarono da dietro i tronchi, gobbi sotto le pesanti armature rugginose. Elen tremò e la sua mente corse a chiedere aiuto ad un pensiero, ormai presa dal terrore: “Legolas!”

Le frecce degli arcieri fischiavano fendendo l’aria e si conficcavano veloci e mortali nelle aperture delle corazze, dietro agli scudi spessi.Erano troppo vicini per usare gli archi. Sembrava facile tenergli testa, anche se erano duri a morire non davano particolari difficoltà nei combattimenti a corpo a corpo. Forse fu per quello che abbassarono un poco la guardia, lasciando scoperta la fanciulla, vicina al cavallo, impaurita a tremante. “ Un bersaglio semplice, sono un bersaglio…” Pensava guardandosi attorno e deglutendo, gli occhi che correvano sulle figure in battaglia, fin quando non si sentì una mano calda e ruvida sulla pelle del collo e non fu schiantata a terra. Voleva urlare ma non ce la faceva e nessuno sembrò accorgersi di lei, che sgranava gli occhi azzurri in cerca di qualcosa, qualcuno in grado di salvarla da quella situazione impensabile. Tutto era scorso tranquillo fino a quel momento, eppure era riuscito a mutare in un batter di ciglio, a causa di chi sa quale decisione di qualcosa di superiore. O forse era solo sfortuna, chi poteva saperlo. Fatto sta, che mentre queste domande affollavano la mente annebbiata di Elen, qualcuno riuscì a colpire l’orchetto che le stava sopra, senza impedirgli però di affondarle il pugnale sotto le costole.

Due grida lancinanti si levarono nel bosco: quello della creatura morta, rauco e animalesco, e quello dell’Elfa, acuto e disperato.

 

 Legolas sgranò gli occhi e si drizzò in ginocchio con uno scatto fulmineo, la muscolatura di nuovo tesa completamente:
- Cosa c’è?

Domandò Aragorn spaventandosi:
- Non lo so…ho avvertito qualcosa. Era molto lontano

Parlava con un filo di voce scrutando l’orizzonte, inclinando la testa per ascoltare. Nulla però raggiunse le sue orecchie. La calma era tornata, almeno così sembrava:

- Smettila Legolas! Non puoi-

- Non sono io che mi preoccupo Estel. E’ successo qualcosa da qualche parte

- E’ molto vaga come cosa, non credi?

Gli cinse la vita con le braccia e se lo tirò a sedere tra le proprie gambe incrociate:
- Non sono mai stato tradito dai miei sensi Estel, mai una volta. E’ successo qualcosa

Ma Aragorn non lo ascoltava. Aveva iniziato a percorrergli il profilo della mascella con l’indice e sembrava molto concentrato:
- Pensi sia accaduto qualcosa a Frodo o agli altri?

Gli si dipinse sul bel viso un’espressione di vaghezza, un “non so” silenzioso:

- Rassegnati e tranquillizzati: fino all’alba non possiamo spostarci, ci siamo allontanati molto e saremmo troppo sospetti.

- Hai ragione

La poca convinzione nella voce di Legolas fece intenerire l’Uomo che, sospirando iniziò a muovere le mani sugli addominali dell’Elfo, che gli dava ancora la schiena, dandogli la possibilità di appoggiarsi al suo petto:

- Non tormentarti…fallo almeno per me

 

Furono belle parole capaci di tranquillizzare Legolas in quella prima nottata di libertà dai suoi doveri ma…non servirono a molto due giorni dopo, una volta raggiunto Gran Burrone.

Già da lontano, quando le sagome degli Elfi erano poco visibili anche a lui, Legolas percepiva qualcosa che gli assillava la mente, che gli faceva tremare di nervosismo le mani affondate nella criniera del cavallo:
- Tutto bene?

Chiese Aragorn cercando di incrociare i suoi occhi, dopo averlo raggiunto in capo alla comitiva. Non ottenne risposta, perché l’Elfo era intento a percepire i primi segni, le prime voci di Gran Burrone, la testa leggermente inclinata e gli occhi stretti e concentrati. Rimase così qualche secondo finché…il cavallo nitrì e lo sguardo di Legolas si fece torvo:
- Cosa c’è?

Domandò Aragorn timoroso alla vista degli occhi dell’amico, che piano piano si allargarono riempiendosi di spavento e facendogli sembrare il volto ancora più pallido:

- Avevo ragione Estel – Disse con un filo di voce cercando di deglutire. Alzò il capo guardando l’uomo dritto in faccia, che cercava di capire: - Elen…le è accaduto qualcosa

E con una straordinaria velocità intimò qualcosa al suo destriero che scattò veloce verso gli alberi che segnavano il confine di Rivendel.

 

 

Quando Legolas saltò giù da cavallo gli altri stavano ancora a metà della distanza che lui aveva percorso in pochissimo tempo, e ci avrebbero messo quasi il doppio a raggiungerlo, rallentati dagli hobbit e da Gimli, cavalieri inesperti. Ad attenderlo trovò Arwen, radiosa come sempre ma con negli occhi un velo d’esitazione. Aveva scelto lei di informare Legolas dell’accaduto, anche dopo ciò che aveva visto prima della partenza. Tutto era più importante del suo astio, ormai domato, in quel momento. Era saggia ma doveva agire con cautela:

- Legolas!

L’Elfo le andò in contro ma, al contrario di quanto avrebbe fatto di solito, non l’abbracciò, né le sorrise. Si limitò a chiedergli dov’era suo padre. Tutto il coraggio di Arwen, tutti i discorsi preparati ore prima svanirono davanti all’amico.Avrebbe voluto potersi godere il suo ritorno, potergli parlare con calma e invece non poteva. La notizia che doveva dargli era dura, soprattutto da riferire ad una delle persone più coinvolte:

- Emh, Legolas…vedi, mentre eri via è successo un---

- Dov’è Elrond, Arwen?

Questa volta la frase suonò più come una minaccia. Negli occhi di Legolas aveva un’espressione indecifrabile anche per lei che, combattuta, non poté far altro che indicare un arco al piano superiore del palazzo, sospeso tra enormi rami e mormorare solo:
- E’ la su, con Elen. Ma…Fermati! ASPETTA!

Doveva fermarlo ma lo lasciò andare, semplicemente. Lo guardò correre su per le scale, coi capelli scompigliati dal vento e dalla cavalcata. Arwen aveva fallito. Aveva promesso a suo padre di portargli Legolas prima che vedesse Elen, in modo da prepararlo ed invece…i piani erano saltati.

Legolas corse più veloce che poteva passando di fianco a Elfi dall’aria sorpresa e cercando con bramosia la stanza indicatagli. La porta era chiusa ma, senza pensarci sopra, abbassò la mano sulla maniglia e la spinse con forza; la porta si spalancò andando a sbattere contro la parete con un tonfo. La testa di Elrond scattò verso la figura che aveva provocato quel baccano e l’espressione del suo viso mutò più volte. Dalla rabbia alla sorpresa per tornare ancora una volta a quell’aria molto scocciata con cui l’aveva accolto:

- Cosa ci fai qui? Avevo detto a Arwen di…

- Arwen non c’entra

Esclamò Legolas senza abbassare gli occhi ma continuando ad osservare il sovrano con impudenza, mentre armeggiava con fiaschette e bende davanti ad una gran letto a baldacchino:

- In ogni caso ti sembra questo il modo di entrare in una camera di una persona che sta male?

Il tono di Elrond era duro e severo:
- Cosa le è successo?

Il cuore di Legolas batteva forte. Sentiva la presenza di Elen debolissima nella stanza:

- Non ora, esci adesso

- Sono il suo tutore, lo devo sapere

Le parole scaturivano dalla sua bocca lente e scandite. Non doveva e non poteva urlare, trovandosi in ogni caso davanti ad un personaggio importante come Sire Elrond:

- Non - ora- Legolas. Non costringermi a cacciarti fuori con la forza

Ma non si muoveva, cercava solo di scorgere la sua Elen tra le lenzuola, oltre il sovrano che si stagliava tra loro due:

- Forza…

Legolas si sentì stringere un gomito e tentò di opporre resistenza al sovrano che lo guidava verso il corridoio, irritato, fino a quando non vide Elen nel letto. Fu un attimo, prima che la porta di legno chiaro gli si chiudesse davanti al viso, ma era riuscito a vederla, a vedere il profilo del volto innaturalmente pallido.

Cosa poteva fare lui ora? La tentazione di sfondare quella porta era fortissima, tanto quanto la cosa che gli bruciava in petto. Voleva rivederla, riabbracciarla, capire cosa, come, quando era successo tutto quello. Voleva sapere cosa gli diceva la sua mente confusa. Voleva piangere? Voleva urlare? Voleva sapere? Forse voleva solo piangere nell’attesa di vedere quella maledetta porta che si apriva ma che non lo faceva. L’unica cosa che sembrava spalancarsi era una voragine all’interno della sua testa:

- Legolas?

Una timida voce lo raggiunse dalle spalle.La mano che gli si era appoggiata amichevolmente sulla spalla apparteneva ad Aragorn, che lo aveva raggiunto e che lo osservava da chi sa quanto con occhi preoccupati:

- Legolas vieni di sotto…non ha senso restare qui

La spalla dell’Elfo fece uno scatto in avanti, liberandosi della presa, gli occhi che saettavano su qualunque cosa meno che sul volto di Aragorn:

- Non sono in vena di parlare

Disse con voce ferma, nel tentativo di non tradire il suo vero stato d’animo:

- Staremo zitti allora…vieni

Aragorn afferrò Legolas per un polso e lo strattonò spingendolo delicatamente per le scale, verso i giardini. “Perché lottare ancora?”pensò l’Elfo osservando il compagno che camminava risoluto verso il prato dietro il palazzo, vuoto e silenzioso. Mentre scendevano, infatti, Aragorn si accorse che l’amico aveva smesso si trattenersi, di puntare i piedi a terra e aveva iniziato a farsi trascinare. Si girò a guardarlo e lo vide che guardava a terra, il labbro inferiore che tremava leggermente, il respiro affannoso e la mano libera stretta in un pugno serrato:

- Legolas…?

Il respiro si fece anche sonoro, piccoli fischi accompagnavano il suo petto che si muoveva velocemente. Non l’aveva mai visto così, sentiva il suo dolore come se fosse stato palpabile e la cosa gli faceva male. Gli strinse di più il polso e lo tirò più vicino:

- Legolas, ti prego guardami

Ma non lo faceva, continuava a respirare forte, a cercare con gli occhi qualcosa che non c’era, sull’erba sotto di loro. Aveva concesso il permesso al suo cuore di abbandonarlo e di disperarsi e, dentro, lo stava facendo:

- Legolas

Nella voce dell’uomo c’era tanta preoccupazione quanta ce n’era nei suoi occhi e nel tocco che sfiorò la guancia dell’Elfo. La mano si mosse fino a sotto il mento, facendo in modo di sollevare il viso pallido di Legolas, illuminato da uno sguardo perso, umido di lacrime, colmo di stanchezza che spaventò quasi l’uomo. Quegli stessi occhi si offuscarono mentre parlava:

- Estel…dimmi qualcosa…non ce la faccio più altrimenti

Aragorn lo sorresse, gli cinse la vita con un braccio e lo aiutò a sedersi a terra:

- Io non…so cosa dirti. Ho sentito la storia da Arwen e…

“ Sono rimasto sconvolto” pensò. Ma non poteva certo dirlo. Non era il caso. Cos’era il caso di dire allora? Aragorn non capiva se a spaventarlo di più fosse la sorte di Elen o la situazione del compagno:
- Cosa ti ha detto Arwen?

-Oh Legolas, non penso che sia…

Fu fulminato da uno sguardo truce che non ammetteva repliche. Raccontò quindi in breve la storia, continuando ad osservare Legolas concentrato sulle sue parole, le sopracciglia scure e perfette aggrottate, la fronte attraversata da una ruga sottile:

- E come sta?

Lo sguardo di uno implorava la verità, quello dell’altro che gli fosse evitato il dolore di quella risposta:

- L’hanno…pugnalata, la ferita è piuttosto profonda ma Elrond ce la sta mettendo tutta…io non so molto di più

Le mani di Legolas si spostarono sul suo viso, andarono a stropicciare gli occhi azzurri, e Aragorn vide la sua schiena iniziare a sobbalzare leggermente. Gli si avvicinò e lo strinse forte tra le braccia, chiedendosi se

gli stava facendo male e tentando di non versare quelle lacrime che tentavano in tutti i modi di uscire:
- Sssh…non preoccuparti, Erlond ha curato ferite ben più gravi, Elen ce la farà

Imbarazzato da quel gesto di completo abbandono Aragorn carezzava la testa di Legolas, tentando di calmare i suoi singhiozzi:

- E se invece non ce la facesse?

La voce sembrava lontana, la trasposizione dei pensieri che affollavano la sua mente:

- Se non ce la facesse io…sarei colpevole

Aragorn spalancò gli occhi, mise le mani sulle spalle di Legolas e se lo allontanò dal petto:
- Non devi nemmeno pensare una cosa simile! Come ti vieni in mente?

- Io non ero con lei…non voleva che partissi…ero con te quella notte…

- Questo non c’entra, la cosa è successa e basta, nessuno a colpa tra noi! L’ultima cosa che devi fare è addossarti la responsabilità di tutto questo? Mi senti Legolas?

Forse lo sentiva, forse no, fatto sta che rimaneva lì, seduto sull’erba a non far nulla, con le mani di Estel sulle sue spalle che lo scrollavano e la sua voce che raggiungeva flebile le orecchie.

- “Non è colpa tua”… facile a dirsi quando non è una parte di te a stare distesa in un letto ferita da un’immonda creatura mentre tu te ne stavi lontano…

Le parole che uscivano…ma non sembravano adatte a lui. Non aveva mai detto nulla del genere, almeno non con quel tono aspro, al suo migliore amico:

- Lo so, non capisco la tua situazione, ma so che ti stai facendo del male a parlare così

Il tono di Aragorn era il più dolce possibile:

- Ti fai solo del male e non sei d’aiuto alla piccola Elen

- Non le sono stato d’aiuto prima, forse non potrò esserlo nemmeno ora

- Sei troppo severo con te stesso

La dolcezza cominciava a svanire davanti a tanta testardaggine. Aragorn tolse le mani dalle spalle di Legolas, gli afferrò nuovamente il polso destro e lo fece alzare:

- Guardami in faccia quando ti parlo e per un momento ascoltami. L’hai protetta per anni e lo farai ancora. Ricorda che hai combattuto anche per lei! Se non fossi partito forse la guerra sarebbe andata diversamente e a quest’ora non ci sarebbe questo posto, non ci sarebbe lei…non ci saremmo noi

Aveva tenuto il tono alto fino alla fine, fino a quel “noi”, che sembrava distante più che in ogni altra situazione. Aragorn sentiva un vuoto dentro di se crescere, un presentimento che si mischiava al dolore dell’accaduto. Vedersi Legolas davanti in quelle condizioni poi non lo aiutava di certo. Stava per piangere, lo sentiva, come l’Elfo invece aveva smesso di fare. Il suo bel viso bianco aveva assunto un’aria severa, dura ed impassibile e i suoi occhi fissavano quelli di Aragorn con…biasimo? Disprezzo?

- Non guardarmi così, ti prego…

L’Uomo in un gesto spontaneo di riparazione che però non funzionò. Non appena Estel lo abbracciò Legolas s’irrigidì, puntò le mani al petto dell’amico e si spinse indietro:

- Potresti anche aver ragione ma non ora. Lasciami stare per favore

- Legolas ma…?

- Vattene, lasciami solo.