.|. Addio e' per Sempre .|.

9. E' per Sempre

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12 Agosto

 

I funerali del re di Gondor furono celebrati due giorni dopo.

Tutta la città di Minas Tirith era presente, e tutta la città taceva, timorosa di disturbare anche con un solo singhiozzo il silenzio irreale che avvolgeva quel triste evento inaspettato.

Molte persone erano giunte da altre città del regno di Gondor, altre ancora da terre limitrofe e terre lontane. Vi erano gli Uomini dell’Ithilien, la gente di Rohan, i Mezzuomini della Contea, tutti tranne la razza degli Elfi, ormai troppo lontani per piangere la sorte dei Mortali.

Avanzammo insieme, a testa china, lunga fila di gente grigia che si avviava in silenzio, serbando i propri pensieri nel cuore, verso la Casa dei Re.

Quel momento era infine giunto, mio padre se ne era andato, ed io, Eldarion, a soli dieci anni, sarei diventato presto il nuovo re di Gondor.

Ma in quell’istante nessuno di questi pensieri mi attraversò la mente; forse non mi capacitavo ancora di ciò che stesse realmente accadendo, forse credevo soltanto di partecipare ad uno degli ennesimi rituali che si svolgevano nella città, forse, dinanzi ai miei occhi, in quella culla dorata vi era un semplice sconosciuto, mentre mio padre… mio padre ancora mi attendeva nella sua stanza, ci guardava dalla finestra e aspettava soltanto la fine del rito per stringermi tra le sue braccia.

Accanto a me camminava Legolas, l’unico elfo in mezzo a quella processione di Uomini; mi teneva per mano, e anch’egli se ne stava in silenzio a guardare forse dinanzi a sé o forse altrove.

Nessuno se ne era accorto, ma dal giorno della morte di mio padre, un velo opaco era calato sui suoi occhi profondi… parevano essere divenuti grigi, simili alle giornate di pioggia, occhi d’autunno, ma senza colore, senza speranza.

Molto tempo più tardi una guardia mi narrò che nell’istante in cui avevano trovato il re giacere sul suo letto, avevano visto l’elfo disteso accanto a lui, gli occhi spalancati, le labbra che si muovevano da sole in una incessante preghiera, le dita intrecciate a quelle di mio padre, ed era stato difficile e straziante separarlo da lui, perché Legolas non se ne voleva staccare.

 

Raggiungemmo la Casa dei Re, una grande arcata di marmo grigio si apriva sulle prime imponenti tombe, le quali, a loro volta, aprivano un varco sulle grandi case in cui ora vivevano i miei padri, coloro che mi avevano preceduto.

D’un tratto la lunga fila di persone si arrestò e i miei occhi poterono vedere un grande sarcofago rettangolare sopra il quale vi era scolpita la sagoma di mio padre, perfetta, regale, bellissima.

Aveva sempre sognato di lasciare così la Terra di Mezzo, nella quiete e nello splendore, nel posto che fin dall’inizio dei giorni gli era stato assegnato, stringendo fra le mani l’elsa della spada che fin da sempre gli era appartenuta.

D’un tratto sentii il rumore del sarcofago aprirsi, vidi il cielo farsi cupo e triste, fissai ancora una volta il volto di marmo della statua, e fu allora che mi destai di colpo, fu allora che compresi.

Fu doloroso. Tremendamente doloroso.

Strinsi forte la mano di Legolas… stava tremando, le sue dita erano fredde e senz’anima.

Tutto mi tornò alla mente, in un solo istante… il patto che mio padre aveva sancito con i Valar, i suoi inganni, le sue paure, il suo addio, la sua fuga…

E provai rabbia.

“No!” gridai.

Mi staccai bruscamente dall’elfo e corsi verso la tomba.

“Vigliacco! Sei soltanto un vigliacco!” urlai a gran voce.

Tutti si voltarono a guardarmi ammutoliti, tutti tranne Legolas. Egli non fece nulla per fermarmi, mi lasciò fare, mi lasciò libero di sfogarmi e di gridare tutto il dolore che avevo dentro.

Feci ciò che lui non riuscì a fare.

“Tu non hai avuto il coraggio di vivere!” gridai, singhiozzando “Padre! Io non ti perdonerò mai per questo!”

Mi voltai, mi feci largo a spintoni tra le persone dietro di me, e corsi via, scomparendo oltre la folla.

 

 

Sei anni dopo…

 

 

Trascorsero sei lunghi anni da quel giorno.

Dopo poco tempo io fui proclamato re, ma per un certo periodo, non avendo ancora l’età giusta per governare, furono i Consiglieri a prendere il mio posto.

Erano stati ogni giorno a fianco di mio padre, così cercarono, per quanto possibile, di seguire quella che era stata la sua linea di governo, ma soprattutto cercarono di riportare un barlume di serenità nel Regno di Gondor e unione fra la gente.

 

Il giorno del mio sedicesimo compleanno salii per la prima volta al trono. La corona che fu un tempo di mio padre fu posata sulla mia testa, e nelle mie mani fu consegnata la sua spada, Anduril… a me, fu così affidato il compito di portare ancora avanti la stirpe che egli aveva deciso di non far morire.

Non provai paura. Questo compito non m’intimoriva. Avevo solo sedici anni, ma ero cresciuto in fretta ed avevo atteso quel momento di giorno in giorno.

I sentimenti dell’uomo adulto li conoscevo già da diversi anni, avevo versato lacrime che un bambino non dovrebbe versare, ero cresciuto in solitudine e tra i ricordi, ma tutto questo mi aveva infine fatto trovare il mio scopo… esattamente ciò in cui mio padre aveva fallito: stare accanto alla mia gente e non abbandonare coloro che amavo.

Non ero ancora riuscito a perdonarlo…

 

Una volta terminato il rito di incoronazione, e una volta istituito ufficialmente re, lasciai i festeggiamenti il prima possibile e mi diressi verso le stanze che un tempo erano state di mio padre.

Prima di entrare, mi fermai per un istante nel lungo corridoio e guardai fuori da una piccola finestra.
Intravidi il mio nascondiglio segreto, ormai coperto di rovi, quasi non si distingueva più dagli altri cespugli che lo circondavano… abbassai la testa e mi dissi che non era importante.

Distolsi con freddezza lo sguardo da quel punto ed entrai nella stanza.

Lanciai una rapida occhiata al suo interno… il letto era intatto, la colazione abbandonata in un angolo, la finestra, come sempre, spalancata.

Sospirai, e mi diressi verso il grande balcone… anche quella notte non doveva essersi mosso di lì.

Scorsi una ciocca dei suoi capelli biondi e mi avvicinai a lui lentamente.

Si trovava in un angolo, inginocchiato dinanzi al davanzale, le mani congiunte e lo sguardo imperturbabile, rivolto verso il cielo.

“Legolas…” mormorai raggiungendolo.

Non si voltò, non mi udì.

Vidi le sue labbra chiare continuare a muoversi in deboli sussurri, stava ancora pregando… era da sei anni che lo faceva.

Cosa potesse trattenerlo in vita non riuscivo a capirlo. Dormiva pochissimo, mangiava a malapena… forse era la speranza a mandarlo avanti, o forse la disperazione.

“Legolas…” ripetei, poggiandogli una mano sulla spalla.

Si voltò appena, ma sembrò quasi non riconoscermi. Riprese a pregare.

“Non hai toccato cibo nemmeno stamattina…”
Non rispose.

“Legolas…”

“Non ne ho bisogno…”

Scossi la testa e strinsi il pugno sulla sua spalla. A volte mi sembrava di odiarlo. Non riuscivo a vederlo in quel modo, non volevo che anche lui gettasse via inutilmente la sua vita di giorno in giorno.

Si stava comportando esattamente come mio padre, nei suoi gesti mi pareva di rivedere lui, e provavo lo stesso, frustrante senso d’impotenza.

“Tu devi mangiare! Avanti alzati!” dissi, afferrandolo per un braccio.

Alzò debolmente la testa e mi guardò con i suoi occhi spenti che vivevano di una cosa sola: la speranza di vederlo ritornare.

“Lasciami in pace, Eldarion…” mormorò, allontanando la mia mano dalla sua spalla.

Mi avviai verso l’interno della stanza, ma una volta giunto all’entrata del balcone, ritornai sui miei passi e corsi nuovamente indietro.

Lo voltai con forza verso di me, facendogli sbattere la schiena contro il davanzale.

“Sono sei anni che fai questo, Legolas! Pregare!” sibilai con disprezzo “Credi forse che ti ascoltino? Lo credi davvero?”

“Lasciami in pace…” sussurrò.

“Illuso!” gridai, sbattendolo ancora una volta contro la pietra.

Un gemito di dolore uscì dalle sue labbra, ma io ero troppo disperato per lasciarlo andare.

“Loro non ti ascolteranno mai! Noi non esistiamo per loro, non gl’importa nulla delle nostre vite! Lo capisci questo? Non hanno ascoltato mio padre, non hanno ascoltato me e non ascolteranno certo te!”

Scosse la testa, appoggiandola sul davanzale.

“Lui… non tornerà, Legolas… non…” sentii un nodo stringermi la gola “Non… abbiamo più speranza…”

Rialzò il viso e mi guardò fisso negli occhi, che nel frattempo si erano riempiti di lacrime.

“Ti… prego, Eldarion…” balbettò “Solo questo… solo questo mi resta da quando lui se n’è andato… non privarmene… te ne prego…”

Lo trattenni ancora per i lembi della tunica, ma non riuscii a rispondere nulla. Aveva ragione. In fondo lui era rimasto nelle Terre degli Uomini per mio padre e con la sua morte aveva perso tutto, non potevo privarlo anche della speranza, non spettava a me giudicare la sua vita.

Lo lasciai andare ed egli si rimise lentamente in ginocchio davanti al davanzale.

Vidi i suoi occhi spalancarsi nuovamente contro il cielo e le sue labbra muoversi in una nuova preghiera. O forse era la stessa, la stessa che pronunciava da anni.

Forse era tutto ciò che gli era rimasto.

E a me invece? A me, cosa era rimasto?

Mi morsi le labbra e cercai di svuotare la mia mente di ogni triste pensiero, avevo un Regno da governare e presto sarebbero iniziati tutti gli impegni di quella mattina.

Mi allontanai da lui, ma prima di lasciare quelle stanza, mi voltai a guardarlo.

“La colazione è accanto al letto…” sospirai “Ti prego, mangia qualcosa… non fare come lui… non… farmi credere che mi stai lasciando anche tu…”

A quelle parole, Legolas si voltò verso di me, ed accennò un sorriso.

“Ho promesso di proteggerti, Eldarion!”

Per un istante sembrò essere tornato quello di sempre, dopo poco però sul suo volto ricomparve ancora quella maschera trasfigurata di tristezza, di chi sembra essere già lontano.

“Stanotte, per la sesta volta il cielo piangerà le sue lacrime…”

Abbassai la testa e me ne andai rapidamente. Non badai alle sue parole, il dolore pareva aver corroso la sua mente a tal punto, che alle volte ciò che diceva era solo frutto di strane fantasie.

Il giorno volse così al termine e finalmente mi coricai senza pensare a nulla, ma in quella notte accadde qualcosa di nuovo.

 

Legolas si alzò lentamente dalla sua posizione, barcollò un poco, ma i suoi occhi rimasero sempre fissi sul cielo puntellato di stelle.

Il sesto anniversario…” pensò, trattenendo il respiro.

In quelle sere, l’oscurità pareva essere meno profonda del solito… tutto riluceva di una bellezza dorata, l’atmosfera era paradossalmente incantevole, non poteva che suggerire felicità, ma l’elfo viveva inevitabilmente tutto questo nella malinconia e nel ricordo.

Si voltò e intravide l’interno della stanza che un tempo era stata di Aragorn… le tende vi svolazzavano dentro, sembravano quasi invitarlo ad entrare.

Abbassò gli occhi… quella magia non riusciva più a coinvolgerlo. Ormai dopo sei anni era divenuto impenetrabile… il suo corpo, la sua mente e la sua anima vivevano in una sorta d’intorpidimento senza memoria.

“Credi forse che ti ascoltino?”

Rialzò il volto, le ultime parole di Eldarion gli echeggiavano violente alla mente.

“Illuso! Illuso! Illuso!”

Si portò le mani alle orecchie, la voce del giovane sembrava non dargli tregua, e ciò che faceva ancor più male era la consapevolezza che la sua speranza diveniva giorno dopo giorno sempre più fragile.

“E se tu avessi ragione…?” mormorò, guardando la sterminata notte dinanzi ai suoi occhi “Forse dovrei dimenticare… ma ad un elfo questa parola è sconosciuta quasi quanto…” s’interruppe “la morte.”

Sentì un gelo improvviso coglierlo nel ricordare quel sentimento d’impotenza che aveva provato nell’ultimo istante della vita del suo compagno… quella percezione del dolore così aliena per la sua razza, così innaturale che faceva tanto male…

“Sarei dovuto restarti accanto, Eldarion…” sospirò “Ma come faccio?” si prese la testa fra le mani “Ogni giorno che passa il tuo volto è sempre più simile a quello di tuo padre…” chiuse gli occhi per impedire alle lacrime di rigare ancora il suo volto “Oh Aragorn, dove sei?”

Sentì un soffio di vento scompigliargli i capelli, si richiuse la tunica sul petto ed entrò nella stanza.

Chiuse le finestre e lanciò un’occhiata al vassoio proprio accanto al suo letto. Sorrise dolcemente.

“Eldarion…” mormorò, ma alla vista di quel cibo, il suo stomaco si chiuse in una morsa di dolore.

Si sentiva debole, stanco e fragile come non lo era mai stato prima, il suo corpo, data la sua natura elfica, possedeva mille risorse, ma non sarebbero certo durate in eterno se continuava a vivere così.

“La verità è che non m’importa!” disse, alzando le spalle “Se ho deciso di restare ancora in questo regno è per poter sentire ciò che è rimasto del tuo profumo, per poter stringere tra le dita le tue lenzuola e immaginarti accanto, per sognare che qualcosa ancora ci unisce… ci unisce… ci… unisce…” mormorò, chiudendo lentamente gli occhi. Il sonno stava prendendo il sopravvento su di lui.

“Si, ci unisce…” si udì sussurrare nell’aria.

Legolas si ridestò all’istante e si guardò intorno convinto di aver udito una voce. Ma non scorse nulla di diverso dal solito… l’oscurità avvolgeva tutto, interrotta a tratti dai raggi di luce che penetravano nella stanza.

“Ombre…” disse l’elfo, senza smettere di osservare.

Ma oltre a queste, non riuscì a vedere nient’altro.

Eppure quelle ombre, nella loro inconsistenza parevano essere tangibili… parevano essere vive.

Legolas si rilassò per nulla disturbato da quelle presenze e richiuse gli occhi addormentandosi nuovamente.

Fuori dalla finestra, intanto, infuriava una pioggia di stelle, bagnando di una luce nuova, quasi irreale, il Regno di Gondor.

Eldarion, nella stanza accanto, osservava incantato lo spettacolo di quella notte… mai era stato così bello prima d’ora… una gioia a lungo attesa s’insinuò nel suo cuore.

D’un tratto vide una stella staccarsi dal cielo e lasciare la sua scia proprio in direzione del terrazzo di suo padre, l’illuminò a giorno, finché non scomparve.

D’improvviso le sue palpebre si fecero pesanti, e quello stesso sonno innaturale che aveva colto Legolas, colse anche lui.

Crollò a terra addormentato.

 

Il sibilo del vento echeggiò nella stanza dell’elfo.

Era un insolito richiamo, sinistro ed affascinante al tempo stesso.

Legolas aggrottò leggermente la fronte nel sonno, ma non riuscì a destarsi immediatamente, nonostante avesse percepito qualcosa.

D’improvviso, le imposte della finestra si spalancarono con un sordo rumore di legno spezzato.

L’elfo tirò su di sé le lenzuola come se avvertisse distintamente il vento sulla sua pelle. Tese i muscoli delle braccia come per difendersi dal freddo della notte, poi, quando l’aria raggiunse il suo volto, lentamente si destò.

Si sentì fin da subito intorpidito, piccoli brividi gli attraversavano il corpo, ma al tempo stesso provava una strana sensazione di leggerezza, incredibile leggerezza.

I suoi occhi, ancora offuscati, riuscivano a distinguere soltanto ombre… ombre bianche, grigie, scure, e argentee.

Sentì ancora una volta una folata di vento sul suo volto, e fu allora che si accorse della finestra che era spalancata.

Guardò intensamente in quella direzione e poté scorgere  un’oscurità profonda, soffusa, piena di mistero, completamente diversa da quella delle altre notti.

“Le stelle… dove sono finite…?” mormorò, portandosi una mano alla fronte per poter osservare meglio.

In quell’istante, le imposte sbatterono con violenza e si richiusero dinanzi ai suoi occhi.

Legolas sobbalzò spaventato, andando a sbattere contro la testiera del letto.

“Cosa… cosa sta succedendo?” esclamò nel buio.

D’un tratto iniziò a vedere sempre meno, le cose attorno a lui si fecero ancor più sfumate, fino a scomparire lentamente, strisciando come ombre senza consistenza sul pavimento nudo.

Cercò di muoversi, cercò di allontanarsi, tentò di afferrare qualche oggetto, ma questi gli scivolavano via, trapassandogli le mani.

La stanza del Re stava scomparendo dinanzi ai suoi occhi…

Sentì il suo cuore battere con forza, il respiro farsi affannoso, mozzato dalla paura, dall’impossibilità di svegliarsi da quel sogno, ma al tempo stesso, nel vedere tutte quelle cose danzare nell’aria attorno, fu colto da uno strano senso di eccitazione, come un bambino che guarda qualcosa d’incredibile e affascinante.

Presto alla paura si sostituirono la curiosità e la meraviglia e anche una strana sensazione di serenità.

D’improvviso il vento riprese a sibilare fuori dalla finestra, ed ogni movimento cessò, sprofondando nel silenzio.

Legolas si guardò nuovamente intorno, e scoprì che la stanza era completamente vuota.

I suoi occhi riuscivano ad intravedere soltanto ombre appiccicate alle pareti, ma d’un tratto, proprio sul grande muro dinanzi a sé apparve qualcosa.

L’elfo fissò quel punto indistinto nell’oscurità e notò che istante dopo istante si faceva sempre più nitido… colorato… rosso… tangibile…

“Ma cosa…?”

Improvvisamente, al posto della parete comparve un enorme tendaggio rosso scuro, un sipario infinito di cui non si riusciva più a distinguere né l’inizio, né la fine.

“Il tuo posto non è più qui…”

“Chi ha parlato?” gridò Legolas, spalancando i grandi occhi chiari.

Vide la tenda ondeggiare un poco, finché non si aprì proprio al centro un piccolo spiraglio.

Una debole luce giallastra  iniziò a filtrare attraverso la stoffa, illuminando un poco la stanza.

Ma era una luce particolare, una luce che non riusciva a far distinguere le cose intorno, sembrava piuttosto un’indicazione, una sorta di sentiero invitante.

“Che… sta succedendo…?” balbettò l’elfo, sentendosi improvvisamente invadere da uno strano calore.

Più la luce diveniva splendente, più quel calore aumentava, e il suo corpo reagiva di conseguenza.

Si passò una mano sul petto e lo scoprì leggermente sudato.

Ma non era la paura a provocargli quelle reazioni.

“Il tuo posto non è più qui…” ripeté la voce, facendosi ancora più vicina.

In quell’istante le tende svolazzarono in aria, spalancandosi completamente, e la luce giallastra si sprigionò in tutto il suo splendore, divenendo dorata e rossa come il colore di una fiamma.

Legolas dovette chiudere gli occhi per non esserne accecato. E quando li riaprì al posto del sipario vide una grande porta d’oro che si apriva nell’oscurità.

Senza una ragione, sentì una lacrima scorrere via su una guancia… percepì il suo calore e se lo ricordò a lungo… era così tanto tempo che non piangeva… erano sei lunghi anni che non si liberava in un pianto.

“È un sogno…” mormorò “Questa è l’anticamera di un sogno…”

Comprese perché il cielo si era fatto scuro e buio quella notte… tutte le stelle erano scivolate via da esso per riunirsi insieme e creare quell’atrio di luce.

Così Legolas, come attratto da una forza superiore, si alzò lentamente dal letto e si avviò, con solo una vestaglia bianca addosso, verso quella luce.

Provò la netta sensazione che se avesse varcato quella porta non sarebbe potuto più tornare indietro… qualcuno, venuto da un altro mondo, aveva deciso di portarlo via da lì.

I suoi occhi ripresero a vedere nitidamente, chiari, come non lo erano mai stati. Sembrava che finalmente stessero per abbandonare quel buio profondo che li aveva bendati… erano tornati ad essere come un tempo… virginali ed incontaminati.

Raggiunse la luce, allungò una mano e la vide trapassare oltre… sorrise dolcemente… era così piacevole quel contatto.

Si voltò per un istante verso la stanza… la vide vuota, spoglia, triste, così simile al suo cuore negli ultimi anni. Ormai nulla lo tratteneva più là dentro.

Quel luogo aveva avuto un senso e una vita soltanto finché c’era stato Aragorn al suo fianco… ogni cosa era finita con la sua morte.

Ora forse qualcuno aveva ascoltato le sue preghiere e i Valar avevano mandato un messaggero per portarlo via da quei luoghi, luoghi divenuti soffocanti per una creatura immortale.

Legolas sarebbe andato, qualunque fosse stata la sua meta, seppure non la conoscesse… ormai non possedeva più volontà propria, né desideri.

Quando il suo volto venne a contatto con quel chiarore, parve rigenerarsi, ed egli sorrise come non faceva da tanto tempo.

Proseguì, si sentì spingere in quella direzione e non fece resistenze. Sapeva bene cosa stesse accadendo… altro non era… che la fine di tutto.

Ne fu felice.

Finalmente trapassò l’intensa barriera di luce, e si ritrovò in un’altra specie di stanza, di cui però, non si percepiva né la consistenza, né i confini delle pareti.

Si guardò intorno incantato… uno spettacolo ancor più bello del primo gli catturò lo sguardo.

Sembrava che mille candele fossero state accese intorno a lui… eppure quel chiarore viveva di luce propria… quelle fiamme non si sarebbero spente neppure con un soffio.

Tutto divenne caldo, soffuso, sereno.

Legolas si strinse nelle braccia come a godere di quella sensazione di protezione che lo avvolgeva… non si sentì più solo.

Avrebbe voluto gridare, piangere, esprimere tutta la gioia che improvvisamente aveva iniziato a vibrare nel suo corpo, ma ogni intenzione gli morì sulle labbra, perché d’un tratto, a poco distanza da lui, intravide qualcosa…

In fondo alla stanza vi era un angolo rosso in cui erano posizionati dei grandi cuscini, in mezzo ai quali appariva una sagoma scura… la sagoma di un uomo.

Era disteso su di un fianco, completamente nudo, Legolas poté intravedere la linea della sua schiena e le sue ampie spalle che spuntavano tra i cuscini color porpora… d’un tratto l’uomo alzò una mano ed invitò l’elfo ad avvicinarsi.

Legolas non esitò un istante, si mosse in quella direzione, ansioso di vedere, ansioso di scoprire, ma poco prima di fermarsi dietro di lui, fu assalito da un sottile timore e da un pensiero… si voltò di scatto, e le sue paure trovarono la conferma…  alle sue spalle non vi era più nulla.

Il terreno era scomparso, come se fosse stato divorato dai suoi passi; non vi era nessuna porta, e nessun sipario, nessuna luce… soltanto buio.

Si voltò nuovamente verso la sagoma, l’unica cosa che poteva vedere, l’unica cosa che trasudava luce… cercò di gridare, di chiedere aiuto, ma in quel momento i suoi occhi non videro più una semplice figura, bensì una persona in carne ed ossa… un volto che conosceva fin troppo bene… ed un sorriso.

“Aragorn…” esclamò con un filo di voce.

Crollò in ginocchio dinanzi a lui, rimasero a fissarsi in silenzio per un lungo istante… l’uomo non smetteva di sorridergli.

“Legolas…” disse l’altro d’un tratto “è bello rivederti…” alzò una mano e gli sfiorò le labbra con le dita “È passato… così tanto tempo…”

Sebbene fosse una sorta di spirito, la sua voce tradiva una forte emozione.

L’elfo chiuse gli occhi e si gustò il contatto con quelle dita, respirò il profumo della pelle del compagno, un profumo che non aveva mai dimenticato, un profumo che in quel luogo sovrannaturale pareva ancora più intenso.

“I Valar hanno ascoltato le mie preghiere…” mormorò commosso e sollevato.

“Sì, è così…” gli fece eco il compagno “Io ti ho visto… su quel balcone, ogni giorno e ogni notte a pregare…”

Legolas sorrise, ma d’un tratto aggrottò la fronte confuso.

“I… i Valar mi hanno condotto qui da te…” s’interruppe, abbassando gli occhi “Sono morto, Aragorn?”

A quelle parole, il volto dell’uomo s’illuminò di un radioso sorriso.

“No, Legolas… sono io ad essere ritornato in vita!”

L’elfo scosse la testa, sconvolto, mormorò qualcosa, incredulo, e dopo pochi attimi, gli occhi gli si riempirono di lacrime.

Non capiva cosa stesse accadendo, non aveva mai sentito parlare di una particolare grazia dei Potenti, né di un Mortale che poteva ritornare in vita, ma non gl’importò… si gettò tra le braccia del compagno e lo strinse con forza. Non abbracciò un’ombra, e lo sentì, in tutta la sua consistenza umana.

“Questo è un sogno! Questo è un sogno!” gemette, singhiozzando “Tu eri morto! Tu hai raggiunto le Aule di Mandos!”

Aragorn allontanò un poco Legolas da sé e gli prese il volto fra le mani, appoggiando la fronte contro la sua.

“Io non ho mai raggiunto le Aule di Mandos… o almeno, non ancora, non… definitivamente…”

L’elfo rimase a fissarlo immobile.

“In questi lunghi anni ho vagato per terre oscure ed ignote, ero un’ombra tra i boschi, mi confondevo con il buio della notte e con la luce del mattino. Ho perso le mie sembianze umane e mortali, e il mondo che conoscevo non esisteva più, se non dentro di me…” sospirò “Ho scontato la pena che i Valar riservano a coloro che li sfidano anticipando i tempi, decidendo delle sorti della propria vita e della propria morte… Avrei vagato in eterno in un mondo sospeso, senza raggiungere alcuna meta, se non fosse stato per le tue preghiere Legolas, per i tuoi desideri, per la tua tenacia…” sorrise dolcemente “Grazie a te… ho potuto vedere ancora…”

“Vedere cosa…?” mormorò l’elfo, senza smettere di fissarlo.

“Il mondo che avevo perduto.”

Legolas si avvicinò ancor di più a lui…

“Posso… abbracciarti, Aragorn…?”

L’uomo poggiò una mano sulla spalla del compagno e lo portò assieme a lui a distendersi su di un fianco.

Si guardarono a lungo, in silenzio, come se si dovessero conoscere per la prima volta.

Legolas poté sentire il suo cuore battere ancora, con forza, come un tempo.

Nulla in quegli istanti possedeva più l’aspro sapore della morte.

“Dove siamo?” chiese, iniziando a carezzare quelle ciocche scure che amava tanto.

“In un luogo di attesa.” rispose l’uomo.

“Attesa di cosa?”

“Di una scelta!”

Legolas si sollevò a sedere e iniziò a guardarsi intorno.

“Non c’è nulla qui… che posto è questo?”

“È un luogo deciso dai Valar per farci incontrare un’ultima volta… io con le spoglie Mortali che conosci bene, e tu… come creatura di luce del nostro mondo…”

“Un’ultima volta?” esclamò l’elfo, sgranando gli occhi “Che cosa significa, Aragorn? Io non voglio! Non voglio perderti di nuovo!”

Ma l’uomo non gli dette il tempo di proseguire, soffocandogli ogni parola con un tenero bacio.

Legolas si sentì vincere da quelle labbra, e seppure l’ansia di una risposta era molto forte, non poté far altro che lasciarsi andare sotto quel calore, come mille e mille volte era accaduto nelle stanze del palazzo, nella camera del re.

“Co..cosa significa tutto questo…? Estel io non voglio… io non capisco…”

“Significa che possiamo amarci ancora… un’ultima volta… nel modo che noi conosciamo…”

“Aragorn non…”

“Sssht… non fare domande adesso…”

Quindi lo distese fra i cuscini ed iniziò a sfiorare ogni parte del suo corpo con le labbra.

Legolas chiuse gli occhi, completamente vittima di quel calore che aveva agognato per così tanti anni; e in quel luogo era ancora più intenso, commovente, distruttivo.

Presto Aragorn lo liberò della vestaglia bianca, e si ritrovarono finalmente nudi, l’uno contro l’altro.

“Melin le… melin le…” sussurrò l’elfo, senza mai smettere di guardare il compagno negli occhi “Melin le…” quasi una richiesta “Melin le…” un’invocazione “Melin le…” una preghiera di non lasciarlo più.

L’uomo gli sfiorò ancora le labbra con le sue, poi con uno scatto invertì le posizioni e Legolas si ritrovò a cavalcioni su di lui.

Iniziarono a carezzarsi con intensità, voluttuosi, in mezzo alla luce lenta e sinuosa delle candele, e al rosso fiammeggiante dei cuscini… si toccarono, si sfiorarono, con movimenti esasperanti, spingendo il reciproco desiderio al massimo, caldi e carnali come due creature vive e pronte ad unirsi per sempre.

E ad ogni lingua del fuoco che li circondava, Aragorn assaporava una nuova parte del corpo del compagno… ora il collo… ora lasciava tracce umide sul petto… ora segnava le spalle con piccoli morsi… seguendo il ritmo e il movimento della fiamma che continuava a bruciare senza estinguersi mai.

Senza smettere di guardarsi e con le palpebre appesantite dal desiderio, iniziarono a muoversi l’uno contro l’altro, Legolas si sollevò un poco, Aragorn gli afferrò i fianchi con le mani… non appena l’elfo sentì il vigore dell’uomo cercare l’accesso al suo corpo si tese e si strinse a lui, sperando che tutta quella magia non terminasse.

Forse… se si fossero uniti, avrebbe trovato il modo di non lasciarlo più andare.

Io non voglio che sia l’ultima volta!” pensò Legolas, nell’istante in cui sentì il compagno spingersi in lui.

Gemettero all’unisono, fendendo l’aria con i loro sospiri, la luce rossa delle candele vibrò più volte, alcuni cuscini caddero ai lati, lasciando più spazio ai due amanti.

I movimenti accelerarono con rapidità, entrambi erano avidi di possedere qualcosa dell’altro… di fondere le rispettive anime, di non perdersi mai più.

Quando il piacere si fece più vicino, si strinsero l’un l’altro, in un abbraccio soffocante e disperato, ignari di ciò che li avrebbe attesi nell’istante dopo l’amore… ma non ci pensarono… Legolas lasciò che il compagno si spingesse più a fondo, Aragorn aprì le gambe per poterlo sentire completamente… l’esplosione era vicina… l’estasi era vicina… qualcosa di sconosciuto era vicino.

Afferrò la testa dell’elfo, passò le dita tra i suoi capelli, si spinse ancora, Legolas gli circondò il collo con un braccio, appoggiando la fronte alla sua… sentì il corpo dell’uomo tremare, lo sentì bruciare dentro di sé… chiuse gli occhi e si lasciò invadere dalla calda essenza dell’altro.

“Ti amo, Legolas!” ansimò Aragorn, e la sua voce risuonò tutt’attorno come un grido.

Rimase dentro di lui, fino a donargli l’ultima goccia della sua vita.

Poi crollò all’indietro, portando il compagno con sé.

“Aragorn…” sussurrò dopo poco l’elfo, appoggiandosi contro il suo petto per poter sentire ancora il suo respiro “Chi… chi sei tu ora?”

L’uomo sospirò.

“Sono uno degli Spiriti senza Dimora, uno di quelli che ha lasciato la sua terra prima del tempo e la sua vita senza ragione, così i Valar non mi hanno riconosciuto come Spirito Mortale e mi hanno tenuto lontano dal loro mondo e da quello che una volta era stato il mio…”

“Perché allora ci troviamo qui insieme?” chiese Legolas “Perché sei potuto tornare da me?”

L’uomo scosse la testa e sorrise.

“Non sono io ad essere tornato da te, ma sei stato tu a chiamarmi… ogni notte, mentre i miei occhi perdevano la mia luce, io sentivo la tua voce, la tua invocazione tenace… i Potenti mi hanno reso cieco per non poter più guardare indietro, ma il mio cuore si è mantenuto vivo grazie a te…” sospirò, stringendo con forza il compagno “Le tue preghiere hanno impedito che quel patto folle di morte si compisse del tutto…”

“Ma tu… tu non puoi, non devi restare sospeso fra questi due mondi, tu…”

“Infatti…” l’interruppe l’uomo “È giunto il momento di scegliere… le luci delle fiamme stanno svanendo, non abbiamo più tempo…”

“Cosa devi scegliere, Aragorn?” disse Legolas, tirandosi su a sedere.

Non voleva, non voleva perderlo di nuovo.

“Devo… devo scegliere se raggiungere stanotte le Aule di Mandos o…”

“Cosa, Aragorn? Ti prego dimmelo!” continuò l’elfo, guardando con ansia crescente le candele che si stavano lentamente spegnendo.

“O intraprendere un sentiero sconosciuto, vagando ancora per molto tempo, alla fine del quale esiste un mondo in cui le nostre due razze potranno vivere unite…” scostò il compagno da sé “Ma io non posso, io non posso chiederti…”

“Di venire con te?” sorrise l’elfo, prendendogli una mano “Perché no, Aragorn?”

“Legolas… questo significherebbe…”

“Morire?” sorrise ancora “Oh no, Estel… io la morte l’ho conosciuta nell’istante in cui ti ho perso… io non voglio perderti di nuovo…” l’avvicinò a sé “La scelta che ti hanno concesso i Valar è una scelta di vita, questo addio non coinciderà con la fine, ma con l’inizio di tutte le cose, con l’eternità…” sorrise “Addio è per sempre, Aragorn… è questo, ciò che hanno voluto dirti i Potenti! Io ignoro quale arcano motivo li abbia spinti a concederci questa grazia, ma sarà la prima volta che due membri delle nostre razze non saranno separati nell’istante della morte… noi saluteremo la nostra terra, io lascerò la mia immortalità che apparteneva a questo mondo, e ne guadagneremo un’altra… insieme…” fece una breve pausa “Addio è per sempre, si… non ti suonano dolcissime ora queste parole? Parole che prima c’incutevano terrore… Non avere paura… la fine è l’inizio di tutte le cose!”

Nell’istante in cui Legolas pronunciò quella frase, alle loro spalle la luce delle candele si spense, ma il buio non durò a lungo… entrambi intravidero un piccolo puntino dorato nell’ombra, che mano a mano s’ingrandiva sempre di più.

Si alzarono in piedi, tenendosi per mano, Aragorn si strinse ancor di più a Legolas, come se l’elfo fosse l’unico appiglio a cui si potesse attaccare in quegli istanti di timore e confusione.

Lo sentì sereno, lo sentì convinto, comprese che forse egli aveva capito le intenzioni dei Potenti.

“Che cos’è…?” mormorò Aragorn d’un tratto.

Legolas sorrise.

“Guarda bene, Estel…”

“Sai che non posso… io sono…”

Ma le parole gli morirono in gola, quando vide comparire oltre quel sentiero di luce un’immagine familiare, che non aveva mai dimenticato.

“Minas Tirith…” balbettò, con una forte emozione nella voce “Riesco a vedere Minas Tirith con i miei occhi…”

Legolas gli strinse forte la mano nella sua e s’incamminò verso quella strada.

“Aspetta!” disse l’uomo, fermando il compagno “Noi… non possiamo più tornare indietro… io non…”

“Vuoi abbandonare di nuovo la tua gente?” soggiunse l’elfo, guardandolo profondamente negli occhi “Troppo in fretta te ne sei andato, re di Gondor… troppo in fretta hai rischiato di dimenticare. Sei fuggito senza guardarti indietro, ed ora che i tuoi occhi sono tornati ad essere nuovamente limpidi, guarda il tuo mondo e serba il suo ricordo nella tua memoria!”

Legolas in quell’istante non parlò come una semplice creatura immortale… la sua voce aveva assunto un tono diverso, cristallino, come se fosse stato il tramite delle parole di qualcun altro.

Aragorn riconobbe quella voce. La stessa che gli aveva risposto quando aveva sancito quel patto di morte, la stessa che gli aveva parlato nella notte in cui aveva lasciato le sue spoglie Mortali. Ma ora risuonava diversa e dolcissima, calda e protettiva ed usciva dalle labbra della persona che amava.

Sentì le lacrime salirgli agli occhi, ma queste non bastarono per offuscargli la vista della sua città.

 

Non avrebbe mai raggiunto le Aule di Mandos, ma avrebbe vagato alla ricerca di un mondo in cui, un giorno, lui e Legolas si sarebbero uniti… per sempre.

“C’è un’ultima cosa che devi fare prima che tu abbandoni per sempre queste terre, Aragorn…” disse l’elfo d’un tratto.

L’uomo si voltò a guardare in silenzio il compagno, in attesa di una risposta.

Legolas sorrise e avvicinò le labbra al suo orecchio.

“Va a salutare tuo figlio!”