.|. Doppio Sogno .|.

 

Capitolo 4

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Viggo buttò il borsone sul sedile posteriore del taxi e si affrettò ad accomodarvisi a sua volta.

Chiuse la portiera senza un solo attimo di esitazione. Per la prima volta nella sua vita era felice di lasciare New Orleans.

Vi si era rifugiato nel tentativo di placare i mille dubbi che lo tormentavano ed ora che aveva avuto la risposta che tanto aveva atteso, non gli rimaneva che tornare alla sua vita, andare avanti e cercare di dimenticare. Non sarebbe più tornato.

Scacciò ancora una volta il ricordo di Orlando, che, con prepotenza, si riaffacciava nella sua mente; non voleva ripensare a lui. Non voleva e non doveva, perché sapeva bene che la sua decisione di lasciarsi alle spalle tutta quella storia, era una sottile lastra di ghiaccio e sarebbe stato fin troppo semplice cedere alla tentazione di correre da lui ancora una volta.

Appoggiò la testa al finestrino umido per la rugiada del mattino e sperò di essere presto in aeroporto.

Era facile allontanarsi da New Orleans, da Orlando; sospirò leggermente: non avrebbe potuto allontanare tanto facilmente i sogni, i ricordi ed i rimpianti.

Chiuse gli occhi e per un attimo pensò che forse sarebbe riuscito a dormire un  po’, sentiva uno strano torpore avvolgere i suoi pensieri e le sue palpebre faticavano a restare aperte. Pensò fosse la logica conclusione della notte insonne appena trascorsa. Presto si rese conto che non era sonno quello che si stava impadronendo di lui.

Spalancò gli occhi mentre il conducente si girava verso di lui chiedendo dove dovesse portarlo. Vide la sua bocca muoversi, ma le parole gli arrivavano attutite come se provenissero da lontano.

Per qualche secondo rimase a fissarlo imbambolato, perso nella strana luce che aleggiava ora attorno all’uomo di fronte a lui.

Si rese conto che stava ancora parlando mentre iniziava a guardarlo preoccupato. Vide le sue labbra muoversi, ma già sembrava accadere tutto in un altro mondo, terribilmente distante da lui.

Gli arrivò solo la parola “ospedale” e capì che l’altro credeva stesse avendo un malore.

Si sforzò di mantenere ancora un minimo contatto con la realtà.

-Sto b.. bene…- balbettò, sapendo già che l’altro non gli avrebbe creduto. Dopotutto non importava.

-Dev…devo andare…un albergo, dall’altra parte della città…- la sua mente aveva voluto dire “aeroporto” ma le sue labbra pronunciavano altre parole e si rendeva conto che l’uomo di fronte non poteva capire. Con un ultimo sforzo di volontà tirò fuori dalla tasca un foglietto su cui scarabocchiò qualcosa e lo tese con mano tremante all’uomo insieme ad una forte mancia.

Sperava fosse sufficiente a far smettere le domande.

L’uomo lo guardò dubbioso, mentre lui si stendeva sul sedile, la fronte imperlata di sudore, ma poi prese i soldi e scrollando le spalle si rimise al volante accendendo l’auto.

Lui fece appena tempo ad accorgersi che si stavano muovendo prima di venir definitivamente risucchiato da un altro dei suoi sogni.

 

 

Beau si fermò ad aspettare che Robert pagasse la vettura a nolo: erano finiti i tempi in cui dovevano lesinare il centesimo, adesso potevano permettersi qualche piccola comodità. Il ragazzo sorrise, in quei nove anni avevano risparmiato su tutto ma non sul denaro necessario per le loro piccole fughe e dalla fine della guerra non sapeva come Robert avesse fatto, ma era sempre riuscito a trovare il denaro per pagare quella camera in quel piccolo alberghetto. Il palazzo requisito in cui sia lui che Robert erano stati portati dopo essere stati feriti, lo stesso in cui si era donato per la prima volta al suo amore, era stato trasformato in un albergo e Robert l’aveva sempre condotto là.

Il viso del ragazzo si imporporò leggermente al pensiero di come avesse cercato di convincere Robert ad utilizzare quel denaro in un altro modo ma Robert era stato irremovibile. Rammentava ancora le parole con cui aveva concluso la loro discussione. “Beau, io voglio per noi un luogo tutto nostro, dove possiamo amarci, baciarci, ridere, abbracciarci, essere noi stessi senza timore di essere scoperti, senza l’assillo del tempo. Vorrei poterti far vivere così ogni istante della nostra vita, ma non è in mio potere farlo e quindi debbo accontentarmi di questi giorni che riusciamo a rubare, ma non vi rinuncerò per nulla al mondo, dovessero costarmi Beau-Rivière”. L’aveva abbracciato e Beau aveva compreso quanto fossero vere le sue parole e quanto fossero importanti anche per lui quelle mattine in cui si svegliava tra le braccia di Robert e sentiva il respiro tranquillo del suo compagno oppure scorgeva quegli occhi che sorridevano aspettando solo il suo risveglio.

Fuggivano sempre troppo in fretta le ore, ma Beau sapeva che altre sarebbero arrivate.

Erano trascorsi veloci quegli anni. Erano stati anni difficili, duri, ma erano stati anche ricchi d’amore e di felicità. Leander era stata bruciata e suo padre e sua sorella Carolene si erano rifugiati a Beau-Rivière, la tenuta di Robert. Lui e Robert avevano lavorato duramente per far rivivere le due piantagioni, quando era finita la guerra ed erano riusciti a tornare a casa. La fronte di Robert era spesso rannuvolata in quei primi anni e Beau non si era mai risparmiato nello sforzo di alleviare almeno in parte la sua fatica, ed ogni notte l’aveva stretto tra le braccia, cercando di restituirgli tutta la serenità e l’amore che riceveva da lui.

Sorrise ripensando alla prima volta che Robert l’aveva trovato nel suo letto e di come avesse cercato di impedirgli di correre i rischi necessari per raggiungere la sua camera. Una notte aveva lasciato addirittura chiusa la porta-finestra dello spogliatoio, quella da cui Beau sgattaiolava nella sua stanza, ma il giovane, cocciuto, era rimasto tutta la notte sotto la pioggia. Si era ammalato, ovviamente, e Robert non aveva protestato più e la finestra era sempre rimasta aperta... Certo, alzarsi tutte le mattine prima dell’alba per tornare nella propria camera era stato duro, all’inizio, ma adesso Beau non ci faceva più caso e gli sembrava persino normale.

Il giovane sospirò. Le cose stavano cambiando, ormai erano quasi in grado di ricostruire Leander e lui sarebbe dovuto tornare ad abitarvi... tutto sarebbe diventato più difficile, più pesante… ma lui non voleva ancora pensarci. Era troppo presto, avevano ancora tempo, tanto tempo da vivere assieme.

Robert gli si avvicinò, gli cinse la vita con un braccio e ricambiò il sorriso che Beau gli rivolse.

Salirono insieme quei pochi gradini, l’uomo sapeva che il terzo avrebbe scricchiolato sotto il loro peso, così come sapeva che Beau adorava quel leggero rumore che veniva prodotto solo quando vi salivano entrambi. Una volta, forse il secondo od il terzo anno erano saliti e scesi una decina di volte perché Beau voleva essere sicuro che facessero rumore solo e soltanto quando vi salivano insieme.

Sorrise, ma era un sorriso amaro il suo. Chinò il capo e Beau se ne accorse.

- Perché sei triste?- Quel ragazzo gli leggeva dentro l’anima. Avvertiva i suoi cambiamenti d’umore. – É da troppo tempo che mi chiedi di avere fiducia, sono troppe settimane che non vuoi spiegarmi perché la tua fronte si aggrotta ed i tuoi occhi sono tristi. Perché, all’improvviso, non mi permetti più di aiutarti?- La sua voce era colma di dolore e Robert comprese di non avere più tempo a disposizione. Prese una delle mani di Beau e la strinse forte:

- Prometto che stasera ti dirò tutto. Puoi aspettare fino ad allora?

Un sorriso fu la sua risposta.

 

Aveva rimandato finché aveva potuto. Avevano cenato, preso il loro mint-julep, conversato delle mille sciocchezze che si dicevano in quelle occasioni e delle cose importanti che riservavano per loro, ma ora Robert sapeva di avere consumato ogni singolo istante.

Vide Beau alzarsi dalla sua sedia ed attizzare il fuoco nel camino mentre lui si alzava e si sedeva nella poltrona di fronte, togliendosi le calze e gli stivali. Con un nodo in gola vide Beau avvicinarglisi, togliersi la giacca e la camicia, sedersi sulle sue ginocchia e circondargli il collo con un braccio, accoccolandosi contro di lui.

Era il loro rito, lo facevano sempre, dalla prima volta che erano tornati in quella camera e Beau gli aveva spiegato che il mondo era meraviglioso quando stava tra le sue braccia.

Due lacrime corsero sul viso di Robert e caddero sui riccioli del ragazzo che rialzò la testa e spalancò gli occhi. Il viso dell’uomo era percorso da lacrime incontrollabili. Beau si spaventò, l’unica volta che aveva visto Robert in lacrime era stato quando l’aveva creduto morto.

Non poté dire una parola perché le braccia di Robert l’avevano stretto a sé ed il ragazzo comprese che l’uomo voleva averlo vicino ed aveva bisogno ancora di qualche istante. Quando il suo respiro si fu calmato rialzò la testa e col suo sorriso più dolce gli chiese:

- Perché?-

- Perché devo lasciarti.-

Il ragazzo scoppiò in un’allegra risata... - Robert, mi hai spaventato.. Tutte queste storie per un viaggio. Quando tornerai? E perché non posso venire con te?- Aggrottò leggermente la fronte quando vide che l’uomo restava serio.

Robert deglutì nervosamente ed allontanò lo sguardo dal suo.

- Non intendevo dire che devo partire. Volevo dire che devo smettere di… – si interruppe, cercando le parole, ma non c’erano, non ne esistevano, così gettò fuori tutto quello che aveva dentro. D’un fiato, come se fosse veleno e forse lo era - Devo smettere di amarti. Dobbiamo smettere di vederci così- e indicò la stanza. – Dobbiamo tornare ad essere amici e nient’altro, come prima, come prima...- la sua voce morì in un soffio.

Beau lo fissava incredulo, non capiva, sentiva il suono delle parole ma non ne comprendeva il significato.

- Cosa stai dicendo Robert? Perché? Non mi ami più? Non …– si interruppe- Non mi vuoi più?- la sua voce tremava, mentre spalancava gli occhi e lo guardava terrorizzato.

Robert si passò una mano tra i capelli. – Sapevo di non essere in grado di affrontare questa situazione. Beau ascoltami. Avevo pensato di fingere di non amarti più, ma so di non essere in grado di farlo. Io ti amo, ti amerò sempre, finché avrò un’anima immortale. - Vide quel viso distendersi, riprendere colore, ma sapeva che stava solo prolungando l’agonia. Doveva lasciarlo, se l’amava quanto affermava non c’era altra soluzione. Gli prese il viso tra le mani, come amava fare e lo fissò negli occhi.

- Beau, amore mio, ascoltami. Non possiamo continuare così. Non puoi venire a dividere il mio letto tutte le notti per poi fuggire prima dell’alba. Non possiamo nasconderci a New Orleans per sfuggire alla condanna degli altri. Non possiamo più vivere quest’amore. Devo lasciarti andare. Non posso tenerti legato a me. Tu devi vivere la tua vita, devi avere dei figli. Hai degli obblighi verso tuo padre, la tua famiglia…- alzò una mano e la spostò sulla bocca del ragazzo.- Ascoltami prima di parlare. Hai degli obblighi. Io non posso offrirti un futuro. Già si comincia a mormorare su di noi. I nostri viaggi in città non sono passati inosservati come abbiamo voluto credere. I nostri amici si cominciano a chiedere perché tu non corteggi una delle nostre giovani, affascinanti vicine, adesso che il peggio sembra essere passato. E le voci fanno in fretta a circolare. Tu credi davvero che Elia od uno dei nostri ex-schiavi non sappiano che siamo amanti? Niente e nessuno sfugge ai loro occhi. Tu credi che non abbiano capito che dormiamo insieme tutte le notti, che facciamo l’amore? Possiamo esserci nascosti a tuo padre, alle tue sorelle, ai nostri amici, ma non a loro e basterebbe una voce, una sola... – continuava a fissarlo in quegli occhi scuri in cui aveva letto amore e dolcezza e passione ed in cui vedeva crescere solo insofferenza ed incredulità e voglia di reagire. – Beau, il Sud sta rinascendo e tu hai delle immense possibilità. Puoi ricostruire Leander, sei giovane, hai tutte le carte in regola per essere uno degli uomini del futuro, ma uno scandalo... stroncherebbe tutto. Ed io non voglio cancellare queste possibilità.-

Beau lo interruppe immediatamente.

- Tu credi che la politica e la ricchezza siano più importanti di te?- la sua voce era colma di sdegno- Robert mi deludi!- aveva quasi sputato le parole in faccia all’uomo. Poi il tono si era fatto più carezzevole.- Robert, io ti amo e tu sei il mio primo pensiero. Che importa a me del Sud e del potere se perdo te? “Se anche avessi tutte le ricchezze della terra ma perdessi la tua anima?”- citava a memoria, rasentando la blasfemia.- Tu sei la mia anima, Robert, tu e niente altro.-

Si era alzato e camminava a grandi passi. – Tu mi offendi, Robert, se pensi che io...- si mise una mano sulla bocca. Come poteva il suo amore pensare che una sola di quelle cose avesse importanza per lui?

Lo sguardo di Robert era sconsolato, impotente. Sapeva di avere ragione, sapeva anche di addolorare la persona che amava di più al mondo. Avrebbe preferito qualsiasi altra cosa, ma non c’erano soluzioni, non c’erano mai state....

- Beau, tu non pensi alle tue sorelle? Ai loro figli? Dipendono da te, adesso, da Leander e se tu non avrai eredi perderai la piantagione e che ne sarà di loro? Che ne sarà di tuo nipote Louis? Devi avere dei figli, Beau ed io...- allargò le braccia- E poi Beau, io non voglio ancora legarti a me. Ho quasi vent’anni più di te e mi accorgo che comincio a dover pagare il conto. Mi sento stanco Beau, e vivere è ogni giorno più difficile, non voglio che tu trascorra nella tristezza questi anni per poi rimanere solo quando me ne sarò andato...- la sua voce terminò in un soffio.

- Robert, quello che dici non ha senso. Mi stai solo torturando. – Dio, di quanto dolore era colma quella voce? L’uomo trasaliva ad ogni parola, ad ogni inflessione di tono.- Mi dici che ho degli obblighi familiari. Che debbo rifarmi una vita. Robert, tu sei la mia vita, la mia famiglia. Non posso fare quello che mi chiedi!. Non posso.- Un singhiozzo interruppe quell’accorata protesta.

L’uomo sospirò, cercò un altro modo.

- Beau, vieni a sederti sulle mie ginocchia e ragiona con me. Vuoi? Per amor mio?-

- Se tu me lo chiedi…– Robert deglutì sentendo quanto fosse carico d’amore quel tu -io faccio qualsiasi cosa. – Beau si sedette nuovamente in grembo a lui e lo fissò.

- Allora, amore mio, ascoltami. Abbiamo avuto il nostro amore, ma dobbiamo lasciarci. Se, per un istante, permetti alla tua mente di pensare, sai che ho ragione. Non c’è futuro per noi, non in questa vita, non in questo mondo… non come è adesso. -

Le lacrime cominciarono a scorrere sul viso di Beau. Robert si sentì spezzare il cuore ma sapeva di avere ragione e chinò il capo, stringendo a sé il suo ragazzo. Lo tenne stretto per interminabili minuti, mentre Beau piangeva tra le sue braccia e si stringeva a lui. Le lacrime non scorrevano più sul volto di Robert, il tempo delle lacrime era finito. Doveva essere forte, per sé stesso e per quel ragazzo, per il suo futuro. Aveva cresciuto un uomo meraviglioso, doveva esserne fiero ed aveva ottenuto l’amore più dolce, più tenero e più forte che un uomo avesse mai potuto desiderare, ma adesso doveva lasciarlo andare.

Beau rialzò il capo e lo guardò:

- Domani torneremo ad essere amici, se questo è quello che vuoi. Ma stanotte... stanotte mi amerai ancora?- I suoi occhi lo supplicavano di cambiare idea, di amarlo per sempre, lo chiamavano come le sirene avevano chiamato Ulisse e Robert fu quasi sul punto di cedere.

- Io ti amerò sempre, Beau, sempre. Ci sarò sempre, per te. Io tornerò sempre da te… – Lo strinse forte e baciò quelle labbra come se fosse la prima volta, con la stessa intensità, con la stessa disperazione, la stessa incredulità. Beau ricambiò il suo bacio con eguale passione e le sue mani strinsero forte i muscoli delle sue spalle. I loro corpi si stringevano uno all’altro mentre le loro bocche si incollavano una sull’altra, come a volersi fondere insieme. Robert aveva rovesciato Beau sul suo braccio e l’aveva intrappolato tra le sue mani ed il suo torace ma il ragazzo non si divincolava, anzi stringeva la sua nuca ancora di più, inarcando il corpo, premendo il petto contro il suo.

Sobbalzarono quando la porta si spalancò con un rumore fortissimo e si alzarono in piedi mentre i cardini cedevano e il vano della porta inquadrava un Victor ubriaco e minaccioso.

Aveva cominciato a piovere, perché sentirono il rumore di un tuono brontolare in lontananza e subito dopo un fulmine illuminò la stanza.

- Bastardo. Togli le mani da mio figlio.- era ubriaco, come al solito. Le sue parole non erano neanche minacciose. Robert si chiese come un uomo simile avesse potuto mettere al mondo un ragazzo speciale come il suo Beau. Fece un passo avanti come a proteggerlo, ma il ragazzo gli mise una mano sulla spalla.

- É mio padre. Stanne fuori.- la sua voce era ferma mentre si avvicinava a Victor e Robert, guardandolo in viso, scorse una luce che non vi aveva mai visto ed ancora una volta fu orgoglioso di lui.

- Moderate il linguaggio, padre. State offendendo chi ho di più caro al mondo.- la sua voce era glaciale.

- Sporco moccioso viziato.. non usare quel tono con me..- alzò una mano per schiaffeggiarlo ma Beau gli bloccò il braccio a mezz’aria.

- Vi ho chiesto di moderare il linguaggio. Ora vi chiedo di andarvene e di tornare quando non sarete ubriaco.- la voce di Beau era fredda, dura e tagliente come una lama d’acciaio.

Una strana luce brillò negli occhi dell’uomo, mentre liberava il braccio. La sua mano corse alla cintura ed impugnò una delle pistole che portava sempre cariche. Robert impallidì nel vedere la smorfia che alterò i suoi lineamenti.

- Altrimenti cosa farai, piccolo pervertito? Corri dal tuo Meraviglioso Amico a farti sbattere? Tu non sei mio figlio! Non puoi esserlo visto che sei il suo... giocattolo!- indicò Robert con la canna della pistola- Se fossi stato mio figlio mi avresti dato dei nipoti, avresti assolto ai tuoi doveri, come ho fatto io- una nota di stupido orgoglio risuonò nella sua voce- Saresti stato un uomo, non ... non la sua …puttana!- Il disgusto era evidente nelle sue parole.

Il viso di Beau era pallido e tirato mentre suo padre lo aggrediva, sputandogli quegli epiteti sul viso.

- Tu non sei mio figlio. Tu sei un bastardo!-

Gli occhi di Beau lampeggiarono e, senza pensare alle conseguenze, aggredì l’uomo.

- Voi sareste l’uomo, padre? Voi, che avete quasi mandato in rovina una delle piantagioni più floride della regione? Voi, che mi avete messo al mondo per poi dimenticarmi? Non ho avuto un gesto da voi, né d’affetto né d’odio. Nulla! Per voi non esistevo, voi passavate da una sgualdrina all’altra, da una bottiglia all’altra e questo fa di voi un uomo? La piantagione è andata avanti prima grazie al nostro intendente e poi grazie a Robert, mentre voi trangugiavate alcool e andavate a puttane! Robert si è preso cura di me, ed ha fatto ciò che dovevate fare voi.-

 - Scoparti?- era impossibile descrivere il sarcasmo, l’odio e la malevolenza nel tono di voce di quell’uomo.

Beau non comprese più nulla, lasciò che l’ira si impadronisse di lui e sputò in faccia a Victor.

Per un istante sembrò che il tempo si fosse fermato. Il primo a reagire fu Robert che, in un istante, intuì le intenzioni dell’uomo. Si gettò su Beau, allontanandolo da suo padre, rovesciandolo a terra e coprendolo col suo corpo. Beau visse quegli istante al rallentatore. Sentì che Robert lo gettava a terra e vide gli occhi di suo padre illuminarsi mentre si rendeva conto di avere davanti la schiena di Robert. Beau comprese che voleva far fuoco e cercò di allontanare da sè il suo amante, ma Robert lo stringeva troppo forte.

L’esplosione del colpo fu assordante e Beau la ricordò per sempre.

Vide il fumo alzarsi dalla canna, il ghigno che tirò per un istante le labbra di suo padre, sentì le sue mani coprirsi di un liquido umido e viscido e sentì le braccia di Robert scivolare dalle sue spalle.

Si divincolò da sotto il corpo di Robert e cercò di alzarsi in fretta, ma le mani di Robert lo trattennero.

- Robert, lasciami…lasciami, sei ferito.- gridava, con tutto il fiato che aveva in gola, cercando di rialzarsi, di tamponare il sangue che usciva dalla ferita. - Devo andare a chiamare un medico…devo andare…devo…-

La voce dell’uomo era solo un soffio.

- No. Non arriverebbe in tempo. Prometti.-

Beau si sedette sul pavimento e lo prese tra le braccia, sostenendolo, facendogli poggiare la testa sul suo petto.

- Cosa Robert? Cosa vuoi che ti prometta?-

- Prometti che sarai felice. Prometti che mi dimenticherai.-

Beau scosse la testa. – Non puoi chiedermi questo…-

- Prometti che sarai felice, ti prego- la voce dell’uomo sfumò in un sospiro.

Beau cominciò a piangere. – Prometto, prometto, amore. Amore mio.-

Un sorriso illuminò il volto dell’uomo. – É la prima volta che mi chiami così.. mi hai sempre chiamato Robert-la voce si spense.

- Perché Robert significa Amore, per me…-

- É bello sentirtelo dire...- sorrise ancora, mentre le sue dita sfiorarono debolmente quelle guance così giovani, così morbide...

Beau non resistette più e baciò quelle labbra pallide, sentendo nella sua bocca il sapore del sangue.

-Io ti amerò per sempre, per sempre, per sempre, per sempre- sussurrò al suo orecchio stringendolo ancora più forte, continuando a baciarlo finché non sentì il suo corpo diventare pesante nelle sue braccia e comprese che Robert se n’era andato.

 

Lo adagiò nuovamente a terra, con dolcezza, per rialzarsi. Poi si chinò e lo prese tra le braccia, scostando con una mano suo padre che era rimasto fermo ed immobile.

Lo depose sul letto e gli chiuse gli occhi, poi baciò un’ultima volta le sue labbra.

I suoi occhi erano di pietra quando si girò verso Victor e l’uomo fece un passo indietro, spaventato. Beau non lo degnò di uno sguardo, uscì e scese le scale.

Victor rimase in quella stanza per un tempo che gli sembrò infinito, mentre quell’uomo che era stato suo figlio prendeva accordi col gestore dell’albergo. Lo vide uscire per rientrare all’alba, zuppo di pioggia e con uno sguardo che incuteva timore.

- Beau..-

Lo scintillio di quegli occhi lo fece zittire.

- Non osate chiamarmi in quel modo. Beau è morto. Voi l’avete ucciso, uccidendo l’unica persona che mi abbia mai amato, l’unica che io abbia mai amato. Da questo momento Voi non esistete più. Per amore delle mie sorelle e per non far nascere uno scandalo che infangherebbe il loro ed il suo nome io non vi faccio gettare in galera. Voi potrete continuare a vivere sotto il mio tetto finché non farò ricostruire Leander, poi andrete ad abitare là. Non voglio più udire il suono della vostra voce, né vedere la vostra persona…-

 

 

 

 

-Noooo!!!!- Orlando urlò, con tutto il fiato che aveva in gola, risvegliandosi all’improvviso, il sudore che colava lungo il suo corpo, i lineamenti sconvolti da una paura quasi folle che dominava la sua mente ed i suoi pensieri. –No… ti prego..no..no..ti prego, ti prego..n..non lasciarmi…non lasciarmi…-

Si rizzò a sedere sul letto, preda di un vero e proprio terrore. Avvolse le braccia intorno al proprio corpo, piegandosi in avanti, mentre cominciava a respirare profondamente, dondolandosi avanti e indietro, sforzandosi di cancellare quelle immagini dalla sua mente e ripetendo ancora ed ancora quella flebile supplica, il corpo scosso da violenti singhiozzi, le lenzuola attorcigliate attorno alle gambe.

Si portò le mani al volto, i palmi premute sugli occhi.- Non lasciarmi…ti prego, ti prego, ti prego, non lasciarmi… io non posso farcela. non ce la faccio senza di te…io non…- e non sapeva più se piangeva per sé stesso o per Beau..e non sapeva più se ci fosse una vera differenza tra le due cose. Stava supplicando Viggo o Robert? Ed aveva importanza?

-Cosa ho fatto…cosa ho fatto?- la sua voce null’altro che un flebile lamento.

Nella sua testa le immagini della morte di Robert continuavano a sfilare una dietro l’altra. Rivide Beau a terra, le mani sporche di sangue, mentre stringeva al petto il volto dell’uomo ormai morente e ripeteva “per sempre, per sempre, per sempre” come una litania, come una preghiera, come una sfida al mondo intero.

Orlando sentiva le lacrime scorrergli lungo le guance, ma non provava neppure a fermarle, quasi non se ne rendesse conto; non erano più importanti. Niente era più importante, ora.

Avevano provato ad avvertirlo, avevano vissuto nei suoi pensieri e nei suoi sogni, avevano sussurrato, gridato, avevano implorato affinché lui comprendesse cosa sarebbe accaduto se avesse finito col rinunciare all’amore, ma era stato troppo cieco. Era stato troppo stupido per capire e ora, ora era tardi…

Orlando strinse le ginocchia al petto, circondandole con le braccia, serrando gli occhi e sperando di mettere a tacere tutto il suo dolore.

Aveva sbagliato tutto, tutto, ogni cosa. La sua maledetta paura gli aveva impedito di vedere, di capire…

Beau ed i suoi occhi, quel ragazzo zuppo di pioggia e lacrime che diceva, parlando di sé stesso “Beau è morto!”, Beau che gli appariva davanti tra l’oscurità e il fumo di quel locale notturno solo per avvertirlo, per supplicarlo di comprendere: “Il dolore ti ucciderà… ti ucciderà…ti ucciderà”.

Ma lui non era stato capace di far nulla, solo di scappare, ancora, di nuovo, davanti a quello che non capiva, davanti a ciò che sembrava troppo difficile da vivere.

Se solo avesse avuto un po’ più di coraggio.

Avrebbe potuto avere ogni cosa: il rispetto, la fiducia, la stima ma soprattutto l’amore dell’uomo migliore del mondo, dell’uomo che da solo popolava ogni suo sogno.

Lucenti come lame affilate mille ricordi della sera prima si riversarono nei suoi pensieri. Le mani di Viggo sul suo viso, il sapore delle sue labbra sulle proprie, la sensazione incredibile dei loro corpi  premuti uno contro l’altro, il brivido di gioia e di passione che aveva provato stretto nel suo abbraccio ed i suoi occhi, quegli occhi bellissimi che lo guardavano ricolmi di desiderio e amore e …e dolore.

Il dolore nello sguardo di Viggo quando lui lo aveva spinto lontano, quando, come un bambino spaventato, aveva gridato contro di lui, contro il loro amore, prima di scappare via.

Un’altra immagine si sostituì a tutte le altre, cancellandole, annientandole come ombre di poco conto…e non c’erano più né Beau, né Robert nei suoi occhi, non c’erano visioni, né sogni, c’era solo Viggo.

Viggo sotto la pioggia che cadeva a dirotto, le braccia abbandonate lungo il corpo, gli occhi pieni di rassegnazione e dolore, un dolore troppo forte per essere raccontato, per essere, anche solo pianto. Viggo, senza forze né voglia di lottare. Viggo che rimaneva fermo mentre lui scappava via come un ragazzino spaventato. Viggo sotto la pioggia, da solo, dopo che lui lo aveva respinto, dopo che lui gli aveva spezzato il cuore. Viggo con gli abiti incollati addosso, con i capelli resi scuri dalla pioggia. Viggo a cui aveva spezzato il cuore ma che non aveva avuto neanche una parola di rimprovero, che era stato sempre e solo tenero e dolce ed innamorato.

“Viggo…Amore…Cosa ti ho fatto?”

E a questo pensiero improvvisamente Orlando sentì qualcosa di nuovo nascere in lui, qualcosa che prendeva il posto della confusione e della paura, qualcosa che non era dolore, qualcosa di forte e disperato, un moto di ribellione che lo scosse fin nel profondo.

In un attimo scalciò le lenzuola e si tirò in piedi.

Lo aveva respinto, brutalmente, senza una spiegazione. Lo aveva ferito ed era rimasto fermo a  guardare il dolore che si impossessava di lui, e non aveva mosso un solo muscolo per impedirlo. Non aveva avuto pietà.

Viggo, il suo Viggo; l’uomo che da solo riempiva ogni suo sogno, l’uomo che l’aveva sempre protetto, difeso ed amato, a discapito di ogni cosa, anche di sé stesso.

-Aspettami…- pensò, mentre raccoglieva da terra i vestiti che si era strappato di dosso la notte precedente e li infilava in fretta e furia.

-Aspettami…- mentre spalancava la porta della sua camera e si buttava a precipizio giù per la vecchia scala di legno –Aspettami…- mentre si slanciava fuori, sotto un sole pallido e dolce.

Una volta sotto il portico si fermò; le mani strette alla vecchia ringhiera di bronzo, gli occhi fissi su quell’alta figura immobile ai piedi dei gradini consunti, con il viso appena rialzato verso di lui.

Aveva gli occhi cerchiati di scuro, i capelli in disordine e l’aria terribilmente stanca;l’aspetto di chi ha passato una notte intera a guardare in faccia i suoi incubi peggiori, come aveva fatto lui stesso…

 

Viggo sentì un tuffo al cuore quando vide Orlando precipitarsi fuori ed immobilizzarsi sul portico, gli occhi fissi nei suoi, aggrappato alla ringhiera come se avesse avuto paura di non farcela a rimanere in piedi da solo.

Per un attimo, si disse che probabilmente doveva essere sconvolto dal vederselo davanti ancora una volta; solo la sera prima gli aveva gridato di andarsene, di uscire dalla sua vita e ora se lo ritrovava lì, ad un passo dal suo hotel.

Di scatto fece un passo indietro, non voleva credesse lo stesse perseguitando, non sapeva neanche lui perché fosse lì, cosa ce lo avesse spinto, sapeva solo che doveva tornarci, ancora una volta, anche se ora, dopo quello che aveva visto, dopo la morte di Robert, anche quel posto gli sembrava intriso di una malinconia quasi lacerante.

Adesso sapeva perché quell’albergo era stato un faro, in tutti quegli anni. Capiva perché gli era stato impedito di prendere quell’aereo. Bisognava bere l’amaro calice fino in fondo.

Si riscosse dai suoi pensieri e vide Orlando ancora fermo là, gli occhi sempre puntati su di lui, immobile e non poté fare a meno di notare gli abiti stropicciati ed i capelli ancora arruffati. Aveva gli occhi rossi, come se avesse appena smesso di piangere e Viggo sentì un’ennesime fitta dolorosa attraversargli il cuore all’idea di essere lui la causa di quella sofferenza.

Non poteva tornare indietro, non poteva cancellare la confusione e la paura che aveva scatenato nel suo giovane amore, ma di una cosa era certo: non si sarebbe permesso di farlo soffrire ancora. Aveva sempre pensato di poter proteggere Orlando dal mondo che gli si affollava intorno, ma ora scopriva che, forse, l’unica cosa da cui doveva realmente proteggerlo, era sé stesso.

E se questo era quello che doveva fare, allora avrebbe cominciato subito.

 

Fece un altro passo indietro e si chinò a raccogliere il borsone abbandonato ai suoi piedi, ma una voce lo fermò.

-Aspetta!-

Alzò lo sguardo, giusto in tempo per vedere il ragazzo scendere di corsa i gradini del portico e corrergli incontro.

Gli si fermò davanti e Viggo, vide una luce nuova nei suoi occhi, una luce che non sapeva decifrare, bellissima, fatta di decisione e paura e forza e qualcos’altro a cui ancora non riusciva a dare un nome.

-Perdonami. Per ieri, per le mie parole, per quello che ho fatto.- l’uomo si stupì del modo in cui ora Orlando lo fissava apertamente negli occhi. Vedeva il suo labbro tremare leggermente, per la paura e la tensione e le mani, irrequiete, si stringevano una all’altra, ma nonostante questo il suo sguardo era fermo e sicuro, come di chi ha appena preso una decisione.

Viggo provò una pena infinita a quell’idea. Perché ora era lui a sapere che non c’era alcun futuro per loro.

Lo aveva capito nel momento in cui aveva visto Beau distrutto dal dolore, sul corpo esanime del suo amante.

Si sforzò di sorridere al giovane uomo di fronte a lui, ma non ci riuscì.

-Non importa Orlando, non…-e la sua voce suonava stanca, mentre tentava di sorridere e scuoteva leggermente la testa.

-Sta zitto- lo interruppe il più giovane –Sta zitto, ti prego, o io..non riuscirò a dire…io…- le parole gli si spezzarono in gola e Viggo provò l’irresistibile desiderio di prenderlo ancora una volta tra le braccia e di stringerlo, stringerlo sempre più forte, e soffocare così tutti i brutti ricordi per ricominciare da zero e dirgli quanto fosse fiero di lui, del coraggio che stava dimostrando, della sua forza. Ma non poteva: ormai lo sapeva bene…

Stava per aprire la bocca e parlare, quando con un gesto secco Orlando gli impose di tacere. Si fermò stupito e lo vide prendere un profondo respiro prima di puntare nuovamente gli occhi nei suoi.

-Io ti amo- disse e la sua voce tremava un po’, in un modo che riempì Viggo di una tenerezza disarmante– e so che tu ami me, e ieri avevo paura. Avevo paura perché credevo di non essere abbastanza forte per …questo; e invece lo sono e ..e ti chiedo perdono e…ti prego, vieni da me…- curvò le labbra in un sorriso che era tutto suo.

Viggo sentì una stretta al cuore e si chiese perché dovesse fare così male, perché dovesse essere così difficile. Guardava il suo amore in piedi, di fronte a lui. Lo guardò rimanere fermo con una preghiera negli occhi, una preghiera che lui non poteva e non doveva più esaudire.

Sentì il suo corpo muoversi verso di lui, non riuscì ad impedirselo, non poteva amarlo, forse, ma non poteva neppure lasciarlo da solo in quel momento.

Stese una mano e gli sfiorò la guancia, resistendo alla tentazione di stringerlo forte a sé, limitandosi a passargli un dito sulla pelle accaldata dalla tensione, chiedendosi come avrebbe fatto a non toccarlo mai più, a non vederlo mai più se non sulle copertine di qualche giornale.

-Orlando, - si sforzò di dire, mentre si costringeva a ritirare la mano – Orlando ascoltami. Noi non possiamo.  È sbagliato- e le sue stesse parole gli sembrarono vuote e vigliacche, ma non c’era altra soluzione, lo sapeva bene, non c’era mai stata.

-Ieri non dicevi così- mormorò Orlando, sulla difensiva. –Ieri era giusto…ieri…- respirò profondamente - lo so che sono stato stupido e ti ho respinto ma avevo paura e ora non ne ho più e se tu volessi darmi una seconda possibilità…una sola…non ti deluderò ancora…- le parole ora uscivano sicure anche se un po’ a tratti, e non aveva più paura, se non quella di perderlo, di perdere Viggo.

Viggo si avvicinò ancora di un passo e premette la mano sulle labbra del più giovane impedendogli di parlare.

-Credi davvero sia per questo? Credi davvero che io voglia solo vendicarmi per essere stato respinto ieri notte?-

Orlando fece segno di no con la testa. Non lo pensava, non sarebbe mai stato capace di pensare una cosa del genere di Viggo, ma la verità era che non riusciva a capire, e non sapeva neppure spiegare quello che provava.

Era tutto così maledettamente difficile.

L’unica cosa che sapeva era che non poteva finire così, non era disposto ad accettare di perdere tutto per un errore,non senza lottare. Ed era pronto a combattere, contro tutto e tutti.

-Tu li hai visti, Vig? Li hai visti anche tu, vero? – E non ebbe bisogno di aspettare una risposta. Gli era bastato vedere il modo in cui Viggo aveva spalancato gli occhi per sapere che non si era sbagliato.

Aspettò un cenno affermativo. Aveva bisogno di vederglielo fare, di vederlo ammettere anche con sé stesso che erano finiti insieme in quella storia, e che quelli non erano semplici sogni.

-Lui è morto…- sussurrò ed il semplice pensiero lo fece quasi piangere – Ed io non voglio gettare la mia possibilità di essere felice per paura. È quello che cercavano di dirci, che non bisogna sprecare il proprio tempo,che …-

-O forse volevano avvertirci- Viggo lo interruppe e la voce dell’uomo lo fece quasi boccheggiare per la sorpresa.

-Ma...  cosa?- Non capiva, non capiva a cosa l’altro si riferisse.

-Orlando- Viggo lo fermò nuovamente –Tu sei giovane, troppo giovane ed io non ti darò l’illusione di poter vivere insieme per sempre per poi lasciarti solo troppo presto come è successo a Beau. Io non ti condannerò a  morire di infelicità, solo perché sono destinato ad andarmene prima di te-

-Non è questo che cercavano di dire…ti sbagli- Lui ne era sicuro, come faceva Viggo a non capirlo?

-Come puoi esserne certo?- gli chiese l’uomo prendendolo alla sprovvista, avanzando verso di lui e afferrandolo per le spalle.

-Io…lo so..ho capito…- balbettò Orlando.

-Ne sei sicuro?-lo incalzò l’altro –anche ieri pensavi di aver capito, ieri quando mi hai cacciato perché pensavi di aver compreso, di aver imparato dai loro avvertimenti…-

-Ora è diverso, Vig…è diverso- ma l’altro scosse la testa.

-Non lo è. Tu lo credi, e oggi vuoi che lo sia, ma non c’è nulla di diverso…-

-Si che c’è!! Io non te lo so spiegare, ma lo so, ORA lo so e tu devi ascoltarmi!-

-Maledizione Orlando!- sibilò Viggo, scuotendolo gli occhi ora pieni di qualcosa che poteva essere rabbia mista ad una nuova paura. –Ma non hai visto? Non hai visto cosa è successo a loro?-

-Si sono amati- sussurrò il ragazzo –si sono amati tantissimo e sono stati felici, per anni. Felici lo capisci?? Felici di una felicità che da soli non avrebbero mai conosciuto-

-Fino a che Robert non lo ha lasciato. Solo e disperato!- gridò l’uomo, lasciandogli le braccia che stava ormai stringendo fino a fargli male e facendo un passo indietro.

-Non lo ha lasciato! Lo hanno ucciso!- e la voce di Orlando adesso era forte e decisa...non gli avrebbe permesso di distruggere ogni cosa, non così.

Aveva combattuto le sue paure e se fosse stato necessario ora avrebbe sconfitto anche quelle di Viggo.

-Sarebbe successo comunque…era troppo vecchio…era…- stava cercando di spiegargli qualcosa, ma lui era stanco di ascoltare.

-Smettila! – gridò. Gridò davvero, infischiandosene di tutto e tutti –Tu non vuoi capire. Ora sei tu che hai paura, troppa paura per provare a vivere.-

-Orl…- provò a interromperlo ancora una volta Viggo, ma questa volta il ragazzo non sembrava intenzionato ad ascoltarlo.

-NO!- il tono di voce altissimo, gli occhi colmi di lacrime e di rabbia e di frustrazione – Si amavano, lo capisci?? Si amavano e  sono stati felici finché sono rimasti insieme e lui…lui è morto dentro quando il loro amore è finito e…e io non voglio che succeda anche a me…-

Ed improvvisa come era arrivata la rabbia sembrò fluire via dal corpo di Orlando lasciandolo senza forze, senza difese.

Guardò ancora una volta l’uomo di fronte a lui, talmente vicino da poterlo quasi toccare e rispondendo ad un impulso profondo fece un passo verso di lui e poi ancora uno.

-Non lasciare che succeda anche a me!- pregò, ed una lacrima finalmente scivolò da uno dei suoi occhi, mentre alzava le mani e le posava sulle braccia di Viggo.

E in un attimo il mondo intero tremò attorno  a lui.

Sentì l’ormai familiare sensazione e vide la realtà che si faceva ombra attorno a  loro. Alzò gli occhi per incrociare quelli dell’altro mentre un sospiro sfuggiva dalle labbra dell’uomo e comprese che questa volta avrebbero viaggiato insieme.

Strinse le braccia attorno al collo di Viggo e si accorse che lui stava facendo la stessa cosa, aggrappandosi al suo corpo come se fosse un’ancora di salvezza, come fosse l’unica certezza della sua vita.

Si costrinse a fissare gli occhi in quelli del suo amore, unica parvenza di realtà che rimaneva, mentre le ombre del passato li avvolgevano e rimasero, così, a guardarsi, fino a che tutto non diventò buio.

 

 

 

Novant’anni, non gli sembrava vero.

Eppure tutti quei visi intorno a lui erano per lì per testimoniarlo. Non si sentiva quegli anni. Il tempo era passato in fretta anche se aveva avvertito il trascorrere di ogni singolo istante. Li guardò uno ad uno: la a sua dolce Roxanne, e Bernard e Theodore. I suoi nipoti, li sentiva veramente tali nonostante il loro padre non fosse veramente suo figlio... ma aveva voluto bene a quel ragazzo, a quel giovane uomo dal cui capezzale tutta la sua ricchezza ed il suo potere non erano riusciti ad allontanare l’ombra della morte. Louis era stato migliore di qualsiasi figlio lui avrebbe mai potuto desiderare, era stato un uomo buono, un uomo coraggioso, pieno d’onore.

Sospirò.

Quanti altri mancavano: Carolene, Emilie, Susanne. Sorrise tristemente. Quanto si era adirata Susanne perché lui aveva scelto Louis come erede e non uno dei suoi rampolli... Ma la sua era stata la scelta migliore, quella giusta per la sua famiglia. Louis gli aveva dato quei tre ragazzi. Ragazzi... ironizzò tra sé. Eccoli lì con le loro famiglie e quei bambini che erano un po’ intimoriti dall’ora e dal nonno...

Tutti, c’erano proprio tutti. Ignorò il suo cuore che sussurrava disperato un nome. Non voleva ascoltarlo. L’avrebbe fatto dopo.Quando sarebbe rimasto solo avrebbe avuto tempo per i ricordi ed i rimpianti. Dopo, quando fosse stato lontano dagli occhi di chi non poteva sapere né capire. Era incredibile come il dolore fosse sempre lì. Sempre in agguato. Non era scemato, sentiva ancora il sapore del sangue, lo aveva sentito ogni giorno, ogni minuto da allora. Indurì la mascella. E sentì una fresca carezza sulla guancia. 

- Nonno… hai fatto una faccia strana. – quel piccolo lo guardava con così tanta fiducia, con un candore disarmante. E lui si era rammollito, né Louis, né nessuno dei suoi nipoti avrebbero avuto il coraggio di rivolgergli simili osservazioni, ma neanche carezze così dolci, questo doveva riconoscerlo.

- Sean, non disturbare il nonno- Roxanne era intervenuta.

- No. Non mi disturba- se lo prese sulle gambe ed appoggiò la guancia a quella morbida del piccolo, sorridendo- Che faccia ho fatto?

- Avevi la faccia cattiva. Però i tuoi occhi erano tristi.-

Inarcò un sopracciglio e lo guardò fingendo un’aria burbera:

- Abbiamo uno studioso di anime in famiglia...- tossicchiò ma quello scricciolo scoppiò in un’allegra risata.

Roxanne guardò stupita suo nonno. Stava sorridendo. E non accadeva spesso. Era sempre stato gentile con lei ed affettuoso. Un poco severo, forse, ma sia lei sia i suoi fratelli si erano sentiti amati, così come il loro padre, prima, e la loro madre, poi. Ma il sorriso non era usuale su quelle labbra. Il nonno aveva sempre trovato del tempo per loro, aveva insegnato ad ognuno di loro a cavalcare, a tirare di scherma, a  nuotare, e mille altre cose, anche a lei che era una donna. Aveva voluto loro bene, ma lei ed i suoi fratelli avevano imparato ad allontanarsi quando il suo sguardo si perdeva nel nulla e la sua mascella si induriva mentre un’ombra calava sul suo viso. Era sempre stato così, e ricordava che anche i suoi genitori, una volta, erano usciti fuori dalla stanza, spingendola avanti. Non succedeva nulla, ma il nonno diventava così triste, in quei momenti, così solitario... Eppure non aveva mai visto lacrime sul suo viso. Neanche quando il suo babbo era morto. Aveva sentito la servitù mormorare che non aveva pianto una lacrima e che il suo volto era di pietra.

Roxanne aveva origliato una conversazione tra la mamma e nonna Carolene una volta... e la nonna diceva che Beau era diventato un altro da quando era morto qualcuno, ma si erano interrotte quando l’avevano scorta e lei non aveva capito chi fosse quella persona. Aveva sempre pensato che forse il nonno aveva perso qualcuno che amava molto, forse per questo non si era mai sposato, per questo a volte, anche in mezzo a tutta quella numerosa famiglia, sembrava così solo... Ricordava i suoi dubbi di bambina, era strano che le venissero in mente quella sera. Forse era la luce di quelle candele...che bizzarra idea aveva avuto il nonno a chiedere di tirarle fuori per la sua festa.

- Nonno. Posso chiederti una cosa?- Beau pensò che quello scricciolo fosse davvero divertente..

- Dipende. – inarcò un sopracciglio- “Chiedere è lecito. Rispondere è cortesia.”, prova a fare la tua domanda.

- Chi è quel signore sul camino?-

Beau alzò gli occhi ed incontrò quello sguardo che anche dipinto sembrava sorridergli. Il pittore non era riuscito a cogliere tutta la vitalità, l’energia ed il fascino del suo Robert, ma lui aveva dovuto accontentarsi di quel dipinto eseguito quando Robert era giovane e lui era ancora un bambino. Di quello e del dagherrotipo che aveva nel suo studio. Mentre guardava quegli occhi azzurri immaginò di raccontare del suo amore per Robert, degli anni in cui si erano amati, gli anni in cui lui era stato felice perché, nonostante la stanchezza, la paura, alla fine della giornata sapeva che l’avrebbe abbracciato, baciato, che sarebbe stato tra le sue braccia. Gli anni in cui aveva veramente vissuto.

Interruppe il flusso dei ricordi. Non poteva permetterseli, non adesso.

- Nonno – il ragazzino reclamava una risposta- hai fatto di nuovo la faccia strana...

-Non badarci- gli scompigliò i capelli, come Robert aveva fatto con lui tante volte... una fitta gli attraversò il cuore- quello, piccolo è Robert de Trèlaze. É stato il padrone di Beau-Rivière prima di me.

- E perché non è qui?-

- É morto. Tanto, tanto tempo fa- Ancora quella fitta familiare, quella stretta al cuore...Dio il dolore non sarebbe mai finito? Ringraziò con un breve cenno del capo Roxanne che era intervenuta distraendo Sean. Aveva bisogno di tempo per riprendersi, ma non tutti avevano la sensibilità di quella donna.

-Sapete, è strano…- Margareth era intervenuta. La moglie di Theodore non sapeva mai quando parlava a sproposito- É da quando ho conosciuto Theo che sento parlare della vostra amicizia... ma nessuno in questa famiglia porta il suo nome né quello di vostro padre- Se quella donna avesse avuto un minimo di sensibilità il gelo che era calato sulla stanza le avrebbe fatto capire che quello non era l’argomento adatto ad una serata di festa.

Un tempo avrebbe fatto in modo di metterla a tacere fin dalla prima sillaba, ma, improvvisamente, si sentiva troppo stanco.

Si lasciò sprofondare nella sua poltrona ed appoggiò i piedi sul piccolo sgabello. Alzò lo sguardo. In quel modo poteva vedere bene il dipinto sopra il camino.

-Non ho mai creduto in queste sciocchezze- Tagliò corto, scambiando intanto uno sguardo d’intesa con Roxanne.

Gli altri ripresero a parlare, mentre sua nipote distraeva l’attenzione. Lei era l’unica ad aver capito, in tutti quegli anni, che tutti e tre portavano un po’ del nome di Robert. Non avrebbe potuto dare il suo nome ad uno di loro. L’avrebbe preferito a tutti gli altri e non sarebbe stato giusto.

Nè tanto meno desiderava che uno dei suoi ragazzi portasse il nome che era stato di suo padre, Victor.

Non l’aveva più rivisto. Neanche quando era morto. Non aveva potuto. In tutti quegli anni non aveva mai potuto dimenticare lo scintillio di quegli occhi, la volontà di uccidere che vi aveva letto. E neanche quando era morto era riuscito a perdonarlo. Con gli anni aveva  capito che Victor aveva odiato Robert, perché era migliore di lui, perché Robert aveva l’ammirazione e la stima e l’affetto di tutti. Ma Victor non aveva visto il conto pagato da Robert. Si era fermato ai risultati senza riflettere sull’impegno, sui sacrifici che l’altro aveva dovuto fare.

Sentì un macigno crescergli nel petto. Conosceva bene quella sensazione, aveva dovuto affrontarla così tante volte da averne perso il conto. Avrebbe voluto poter piangere, ma le lacrime erano finite quella terribile notte e con loro era morta anche una parte di lui, la parte che Robert aveva amato, la sua giovinezza, i suoi sogni

Oh certo, per gli altri la sua vita era stata splendida, aveva avuto ricchezza e potere, ed una grande e prospera famiglia, ma niente aveva mai più colmato quel vuoto infinito che gli si era aperto nel cuore. Quel baratro in cui per tante notti aveva temuto di essere risucchiato.

Aveva lottato e vissuto. Aveva mantenuto le sue promesse, aveva lavorato per la sua famiglia, per renderla forte ed unita. Aveva trasformato in realtà i sogni di Robert, e si era sforzato di rimanere fedele a quello che il suo unico amore gli aveva insegnato.

C’era riuscito, lo capiva guardandosi intorno, lasciando scivolare lo sguardo sui visi sereni di tutte le persone attorno a lui. Aveva compiuto il suo dovere ed ora l’unica cosa che veramente desiderava era potersi riposare. Chiudere gli occhi ed indugiare sui ricordi, su quei ricordi che ultimamente si erano fatti ancora più vividi, ancora più reali. Ogni cosa attorno a lui sapeva di Robert. Nell’azzurro del cielo vedeva gli occhi di Robert, nel biondo del grano l’oro dei suoi capelli, le ciliegie gli rammentavano le sue labbra. Ricordava la tenerezza dei suoi occhi, la passione delle sue labbra, la dolcezza delle sue mani. E i ricordi in quegli ultimi giorni sembravano fare meno male…Non lo trafiggevano più come lame arroventate, ma lo accarezzavano dolcemente, placando la sua anima irrequieta.

Qualcosa stava cambiando, e lui non sapeva ancora cosa o come, ma sapeva che non aveva paura.

Era pronto.

Alzò lo sguardo nuovamente verso il dipinto e si stupì.

Che strana luce, gli occhi di Robert sembravano quasi più vividi, ed anche le labbra erano più vermiglie, come quando Robert lo baciava...Ma che candele avevano acceso, in sala? Il ciuffo di Robert era proprio il suo, sempre sulla fronte... Non aveva mai notato quell’alone intorno al quadro... chi aveva acceso altre candele? E perché gli sembrava che strane ombre si agitassero intorno alla cornice...?

Chiuse gli occhi e quando lì riaprì si guardò intorno, ma nessuno sembrava notare né il quadro né la  strana e bellissima luce che ora inondava la stanza.

Si lasciò andare appoggiandosi allo schienale imbottito della poltrona sospirando. Era come se il peso di tutti quegli anni se ne stesse andando, scacciato da qualche misteriosa magia.

Sentiva il vento soffiare attorno alla casa mentre gli portava il profumo di quella terra che lui e Robert avevano tanto amato.

“Ti amerò per sempre…” sentì una voce sussurrare al suo orecchio.

-Robert?- era così dolce pronunciare il suo nome.

“Ti amerò per sempre” ripeté la voce “…Finché avrò un’anima immortale…” ed allora Beau sorrise mentre una lacrima, una sola gli rigava una guancia. Ne sentì il sapore in bocca e si stupì di quanto potesse essere dolce.

-Ti ho aspettato così tanto- sospirò. E fu come se gli anni fossero svaniti.

“Ora sono qui piccolo, per sempre…”

Sentì due braccia forti cingerlo e si rilassò completamente in quella stretta che ricordava così bene. Chiuse gli occhi mentre un sorriso luminoso gli spuntava sulle labbra…

 

-Mamma, mamma. Il nonno si è addormentato. I regali li apre dopo?-

 

 

 

Il ritorno questa volta fu brusco.

Un attimo Beau stava morendo davanti ai loro occhi e quello dopo loro due erano uno nelle braccia dell’altro addossati alla ringhiera del porticato, le lacrime di uno che si mischiavano a quelle dell’altro.

Fu Viggo il primo a riprendersi. Afferrò il viso di Orlando tra le mani costringendolo a guardarlo, mentre lo accarezzava e gli sussurrava dolcemente all’orecchio di calmarsi, che sarebbe andato tutto bene.

Ma Orlando non riusciva a smettere di sentire il dolore dell’altro uomo. Gli aveva attraversato il corpo e ora si dibatteva dentro di lui come una cosa viva, come se non dovesse avere mai fine. Aveva sentito la sua tristezza, tutta la sua immensa solitudine.

-Hai visto?- disse puntando gli occhi in quelli di Viggo – Hai capito ora? Vuoi davvero che sia questa  la mia vita?-

Viggo rimase fermo per qualche secondo, la mente persa in quello che aveva appena veduto, per poi tornare a guardare il giovane pieno di dolore davanti a lui…e finalmente scosse la testa.

Orlando sorrise, sorrise tra le lacrime e lo abbracciò stingendosi a lui, convulsamente, come se avesse avuto paura di vederlo scomparire davanti ai suoi occhi, simile ad una di quelle visioni che li avevano portati fin a lì.

Viggo poteva sentirlo ridere e piangere contemporaneamente e si accorse che stava facendo la stessa cosa.

Rideva, abbracciandolo, mentre le lacrime gli rigavano le guance, rideva e qualcosa nell’aria rideva con loro.

Sentiva un alito di gioia avvilupparli, spingerli ancora di più uno nelle braccia dell’altro.

Dopo qualche momento sentì Orlando allontanare il viso dalla sua spalla e tirare indietro la testa per guardarlo negli occhi.

-Andiamo dentro- sussurrò e Viggo capì con non c’era altro da dire. Che non c’era bisogno di parlare ancora ed ancora. Sapevano bene cosa provavano l’uno per l’altro. Lo avevano sempre saputo.

Fece segno di sì con la testa e baciò teneramente la bocca del ragazzo. Lo baciò come se avesse avuto paura di romperlo, come se fosse qualcosa di molto fragile e prezioso.

Ma Orlando affondò le mani nei suoi capelli e lo tirò verso di sé, rispondendo a quel casto bacio con passione e frenesia come se avesse voluto divorarlo, lasciandolo solo quando l’esigenza di respirare si fece troppo forte,  rimanendo però con lo sguardo incatenato a quello dell’uomo.

-Io non svanirò, Viggo.- mormorò – Io non sono un sogno, sono vero…e sono qui, solo per te.-

Viggo sorrise ancora ed intrecciò le dita con quelle del ragazzo lasciandosi condurre all’interno e poi su per i vecchi gradini di legno.

A metà scala Orlando si fermò per abbracciarlo ancora una volta e mentre, abbracciati, riprendevano a salire sentirono il gradino che avevano appena calpestato scricchiolare sotto i loro piedi.

A quel sottile rumore mille immagini attraversarono le loro menti. Beau e Robert che salivano e scendevano quella stessa scala insieme solo per far scricchiolare quel gradino sotto il loro peso, Beau che rideva tra le lenzuola mentre Robert gli raccontava qualcosa, Robert che guardava rapito il ragazzo addormentato al suo fianco, Beau che indossava gli abiti di Robert ridendo perché gli erano troppo larghi. Robert e Beau che si scambiavano un piccolo, tenero bacio prima di tornare a controllare i libri contabili. Beau e Robert che facevano l’amore, che si abbracciavano e  baciavano… E, come un’eco lontana, per un  istante videro un altro cielo, un mare azzurrissimo, templi coloratissimi sullo sfondo e loro che si baciavano mentre le onde si infrangevano ai loro piedi.

Viggo sospirò come se fosse stato colpito da una raffica di vento e poi si voltò a guardare Orlando e quello che vide lo ammutolì di meraviglia. Perché sul suo volto era spuntato un sorriso radioso, il più bel sorriso che lui avesse mai visto, un sorriso il cui ricordo sarebbe bastato ad illuminare una vita intera

-Direi che è ora di andare- gli disse baciandogli gentilmente il palmo della mano e l’altro sorrise lasciandosi guidare al piano superiore.

 

Viggo lo spinse all’interno della sua stanza e nel momento stesso in cui vi misero piede anche gli ultimi dubbi svanirono, non c’era più spazio per la paura, il timore. Solo lui, Orlando e la certezza del loro amore e dei loro sentimenti. Quella era la cosa giusta, quello era ciò per cui avevano lottato, quello di cui entrambi non avrebbero mai più potuto fare a meno.

Con un colpo secco chiuse la porta dietro di sé, senza mai allontanare lo sguardo dal viso di Orlando, senza smettere di scrutare i suoi occhi, di passare le mani tra i suoi riccioli, di baciarlo ancora ed ancora per il puro piacere di sentirlo sospirare al contatto delle sue labbra, di vedergli socchiudere gli occhi ed abbandonarsi languidamente ad ogni sua carezza. Come aveva potuto resistere così a lungo lontano da lui? Come aveva potuto pensare, anche se solo per poco, di poter, realmente, vivere senza il suo giovane amore?

Più lo guardava, più sentiva il desiderio crescere dentro di sé, un desiderio che per troppo tempo aveva soffocato e combattuto e che ora si prendeva la sua rivincita esplodendo in lui con una intensità ancora maggiore.

Vedeva bene che per Orlando era la stessa cosa. Lo vedeva da come faticava a tenere gli occhi aperti, da come piccoli, inconsapevoli gemiti sfuggivano dalle sue labbra ogni volta in cui lo toccava, da come continuava spingere il bacino contro il suo mentre lo baciava come se non avesse più intenzione di fermarsi. Le mani dell’uomo percorrevano liberamente quel corpo che si stringeva a lui senza pudore, senza alcuna inibizione, sfiorando i muscoli delle spalle, scendendo lungo le braccia, carezzandone i glutei , risalendo lungo le costole, sfiorando i muscoli del petto, infilandosi tra i capelli.

Per un attimo barcollarono al centro della stanza, poi Viggo spinse Orlando contro il muro più vicino. Aveva bisogno di stringerlo ancora di più contro di sé, di sentire ogni singolo frammento del suo corpo contro il proprio.

Rimasero a baciarsi a lungo, le loro lingue giocarono l’una con l’altra lentamente, esasperando ancora il loro desiderio. Il corpo di Orlando addossato alla parete e stretto a quello di Viggo che lo incalzava fino a quando l’uomo si rese conto che non sarebbe riuscito ad attendere oltre.

Con un unico movimento fece leva contro il muro e costrinse Orlando a voltarsi.

Lo spinse con il volto contro il muro ed affondò il viso tra i suoi capelli, mordicchiandogli la nuca mentre con le mani gli accarezzava il petto e gli addominali.

Ascoltò il respiro del ragazzo farsi sempre più affannoso e guardò il modo in cui inarcava la schiena sotto le sue carezze, spingendo indietro il bacino in un invito quasi irresistibile.

Lo guardò ipnotizzato abbandonare la testa in avanti, lasciando indifesi il collo e le spalle e il modo in cui i muscoli della sua schiena si tendevano mentre faceva forza sulle braccia, puntate contro il muro nel tentativo di sorreggersi. Sarebbe rimasto a guardarlo per ore, godendo di ogni movimento, di ogni sospiro, di ogni tremito, di ogni espressione, se la voce di Orlando non lo avesse riportato alla realtà.

-Viggo..fallo! Ti prego, fallo…, fallo ora! Non posso più aspettare n…non voglio aspettare.- La sua voce tremava, rotta da un’emozione sconosciuta.

 Viggo si impose di resistere. Di resistere all’urgenza di fare ciò che Orlando stesso chiedeva, di esaudire le sue preghiere spingendosi dentro di lui e facendolo finalmente suo.

Per un attimo nascose il viso nell’incavo del collo del più giovane inspirandone il profumo ed assaporando il sapore leggermente salato della pelle sudata.

-Vig, ti prego…ti - si interruppe all’improvviso, con un gemito, quando le labbra dell’altro cominciarono a baciarlo.

Le mani di Viggo corsero sul petto di Orlando, slacciando frenetiche i bottoni della camicia. Gliela fece scivolare sulle spalle, scoprendo quella pelle ambrata, tesa sui muscoli tremanti per l’eccitazione.  E dopo le mani, la sua bocca corse ad assaggiare, a leccare impaziente quell’ampia distesa che gli si offriva senza remore, senza timore.

Gli baciò il collo e le spalle e la schiena. Sentì le mani tremare mentre gli sbottonava i pantaloni e lo aiutava a sfilarli, subito prima di inginocchiarsi dietro a lui.

Con le mani afferrò saldamente le natiche del ragazzo, impedendogli di muoversi e di voltarsi verso di lui, costringendolo ancora contro il muro.

Fece scivolare le labbra sulla sua pelle, baciando, leccando, assaggiando e sfiorando, sentendo le vertebre una per una. Lentamente, fino a quando con un gesto improvviso affondò la lingua dentro di lui.

Orlando si sentiva quasi perso sotto quell’assalto sensuale e dolcissimo allo stesso tempo.. Sentiva le labbra di Viggo su di lui mentre lo esploravano decise a gustare ogni parte del suo corpo.  

Lo circondava lentamente con la lingua, stuzzicando la sua entrata, affondando lievemente in lui per poi ritrarsi, ancora e ancora, fino a che i suoi muscoli non iniziarono a cedere.

Brividi di piacere correvano lungo la sua schiena, annientandolo, facendogli perdere il senso della realtà, fino a quando, all’improvviso, sentì il muscolo caldo dell’altro affondare in lui.

Si inarcò, sbalordito, eccitato, in balia di un piacere nuovo, che non aveva mai conosciuto prima.

Viggo continuava ad entrare ed uscire da lui, lentamente ma con decisione, ed ad ogni spinta lui poteva sentire il viso dell’uomo che sfiorava la sua pelle accaldata, strappandogli gemiti sempre più forti. Il suo respiro era una carezza sulla pelle, che si avvicinava e si allontanava.

Non avrebbe mai immaginato che si potesse provare qualcosa del genere, qualcosa di così intenso e intimo, qualcosa di così forte da non riuscire ad averne abbastanza.

Voleva di più, doveva avere di più, ancora ed ancora, fino a spegnere quel fuoco che ormai lo divorava da mesi. Spegnerlo o ardere completamente.

Sentì Viggo lasciar scivolare una mano sul suo ventre fino ad afferrare la sua eccitazione e non riuscì a trattenere un gemito strozzato.

L’americano sorrise udendolo e strinse il pugno su di lui.

Sentì i dolci lamenti di Orlando, mentre il ragazzo crollava, con la testa ormai appoggiata al muro.

Poteva vedere i muscoli delle sue braccia tremare per lo sforzo di sorreggerlo ancora, sentire la pelle bollente sotto il suo tocco ricoperta di mille gocce di sudore ed il respiro uscire affannato dalle sue labbra insieme a suppliche appena mormorate, in un sussurro continuo…Sapeva che non avrebbe retto a  lungo e sorrise ancora.

Non voleva dargli tregua, voleva sentirlo venire nella sua stretta, voleva averlo completamente abbandonato al piacere, e poi averlo ancora ed ancora in modo ancora più completo. Voleva recuperare in quella notte tutto il tempo che avevano perso, tutte le ore che avevano sprecato, imprigionati in una paura senza senso.

Cominciò a muovere con forza la mano lungo il sesso del suo amante, provando piacere al solo suono di quei gemiti incontrollati e rischiando di perdersi lui stesso quando sentì il giovane spingersi nella sua mano fino a venire gridando il suo nome.

Per qualche secondo rimasero fermi, ansimando l’uno contro l’altro, poi Viggo si alzò serrando Orlando tra le braccia, facendogli appoggiare la schiena contro il suo petto e rovesciandogli la testa sulla sua spalla.

Guardò il viso sconvolto dal piacere, i capelli sparsi sulla fronte, gli occhi chiusi e pensò che non aveva mai visto niente di più bello al mondo.

Si sforzò di ignorare il bisogno non ancora soddisfatto, ma spalancò gli occhi quando sentì la mano di Orlando farsi strada tra i loro corpi cercando il suo sesso.

-Amore, c’è tempo..- gli sussurrò all’orecchio.

Ma Orlando scosse la testa con violenza  e si girò a guardarlo, il volto arrossato dal piacere appena ricevuto, gli occhi ancora pieni di desiderio. Gli puntò le mani sul petto e, passo dopo passo, lo spinse verso il letto sfatto, costringendolo a  sdraiarsi e stendendosi poi su di lui.

Non gli diede neppure il tempo di parlare che già le sue mani armeggiavano con i bottoni della sua camicia . Cominciò a spogliarlo con movimenti febbrili, baciando ogni parte del corpo che mano a mano scopriva. Fu la volta di Viggo di gemere e abbandonarsi al piacere. Sentiva Orlando affannarsi nel tentativo di liberarlo dai pantaloni ed alzò leggermente il bacino per aiutarlo. I suoi jeans erano appena finiti a terra quando sentì la lingua del ragazzo percorrere la sua eccitazione. Viggo spalancò gli occhi, e si trovò a fissare lo sguardo di Orlando saldo, ancora una volta, nel suo, mentre continuava a leccarlo.

Per un attimo temette che non sarebbe riuscito a  resistere, che sarebbe venuto in quel modo, guardandolo mentre gli dava piacere…ma non voleva che accadesse, non ancora.

Con un gesto quasi brusco afferrò il ragazzo per i capelli costringendolo a smettere, ma nei suoi occhi non vide delusione né stupore, solo un sensuale invito a  cui non era certo di poter dire di no.

-Fa l’amore con me, Viggo.-

Lui inspirò profondamente cercando ancora di mantenere il controllo. Guardò il più giovane ed un lampo di tenerezza attraversò il suo volto ormai stravolto dalla passione.

-Lo hai mai fatto?- chiese chinandosi per baciare ancora una volta le labbra dischiuse.

Orlando scosse la testa, gli occhi incapaci di lasciare i suoi.

Viggo poteva leggervi dentro. C’era paura, paura mista a desiderio ed un’urgenza difficile da controllare.

-Tu sì?- gli chiese il ragazzo e lui annuì.

-Allora guidami tu…come hai sempre fatto- mormorò il più giovane baciandogli le dita, una ad una. L’uomo si dovette controllare per non cedere subito a quell’invito.

-Devi avere pazienza…- provò a dire ma Orlando lo interruppe subito, la voce roca di desiderio represso.

-Basta pazienza! Ne ho avuta abbastanza…non voglio aspettare ancora, Vig…-

-Ti farò male- cercò di spiegare ma le parole che udì lo lasciarono senza fiato

-E allora fammene! Fammi male e poi cura ogni ferita. Fammi male e poi scopami fino a farmi dimenticare chi sono…-

Viggo guardò Orlando distendersi di fronte a lui, invitandolo con lo sguardo a fare quello che gli aveva chiesto, scostando le braccia dal corpo, sorridendogli, distendendosi sul letto, sensuale e innocente allo stesso tempo.

Allungò la mano, ancora incredulo, ma quando la posò sulla bocca del giovane e lo vide iniziare a succhiare le sue dita, ogni singolo dubbio lasciò la sua mente. 

Orlando aveva ragione: non c’era più nulla da aspettare, niente da chiedere.

C’erano solo loro due e quell’urgenza  di amarsi che non poteva più essere rimandata.

Lasciò che la sua mano scivolasse sul petto di Orlando, sul suo ventre, che si muovesse su di lui fino a sentire l’eccitazione che di nuovo si impadroniva prepotentemente di quel corpo e poi scese lentamente tra i suoi glutei.

Lo stuzzicò a lungo, con delicatezza, deciso a prepararlo a quello che sarebbe successo. Continuò a giocare con lui fino a quando non sentì un lamento impaziente uscirgli dalle labbra.

Allora spinse un dito dentro di lui.

Lo vide inarcarsi, mentre con le mani si aggrappava al cuscino sopra la sua testa.

Vide una smorfia di dolore contrargli i lineamenti e si fermò spaventato all’idea di fargli male.

Ma Orlando aprì gli occhi fissandoli nei suoi.

-Và avanti- gli disse e provò a sorridergli. Allora Viggo gli posò un bacio sulle labbra e  ricominciò  a muovere il dito in lui, lentamente, facendo attenzione, spiando ogni sua reazione.

Aspettò di sentirlo rilassarsi prima di piegare leggermente le dita e allora lo vide spalancarte gli occhi, mentre il primo, vero, gemito di piacere sfuggiva dalle sue labbra.

Lo guardava e sembrava stupito, rapito da quelle nuove intense sensazioni..

Da prima lui si sforzò di continuare con movimenti lenti, misurati, ma quando l’altro incominciò a gemere più forte aumentò la velocità.

Vedeva il petto del ragazzo alzarsi e abbassarsi, affannosamente, mentre le sue labbra continuavano a sussurrare il suo nome. Infilò un altro dito e poi ancora un altro, sentendo i muscoli di Orlando tendersi sotto di lui.

Poi lentamente lo sentì rilassarsi, mentre una supplica usciva dalle sue labbra…

-Vig…ti prego…ti prego…-e capì che non poteva più aspettare.

Viggo Si sdraiò tra le sue gambe, rimase a guardarlo ancora un momento e lo baciò, con tenerezza e trasporto prima di spingersi dentro di lui.

Orlando gemette più forte e questa ancora il suo era un lamento di dolore, ma gli allacciò ugualmente le gambe dietro la schiena. Lui si immobilizzò, ma l’altro lo guardò fisso mentre una lacrima gli rigava la guancia.

-Non smettere…non fermarti ora…per favore…non fermarti- e allora lui si spinse più a fondo e soffocò i lamenti del suo amante in un bacio.

Continuò a muoversi con lentezza, stando attento a non ferirlo più del necessario, fino a che non sentì le unghie del ragazzo rigargli la schiena e la sua voce che gli chiedeva di più, ancora di più.

E mentre cominciava ad aumentare il ritmo delle spinte gli parve di udire altri gemiti che si univano ai loro. Dolci lamenti colmi di una gioia disperata, carezze lievi come i sogni che si succedevano sui loro corpi, mani che come aliti di vento li accarezzavano e sfioravano.

Sentiva deboli voci sussurrare grate al suo orecchio, mentre una passione dolcissima si impossessava di lui, una passione fresca come il suo giovane amore e antica come il tempo stesso.

Si spinse ancora ed ancora dentro il corpo di Orlando, le orecchie piene dei suoi sospiri di piacere, i muscoli tesi, la pelle percorsa da brividi continui e quando sentì che non sarebbe riuscito a resistere oltre strinse il sesso dell’altro nella mano, muovendola veloce, tanto quanto erano veloci le spinte con cui lo faceva suo.

Quasi non riusciva a distinguere più la voce di Orlando dalla sua, sentiva i loro nomi evocati all’unisono, mischiati ai gemiti sempre più rochi, sempre più spezzati. E quando sentì Orlando gridare il suo nome ancora una volta, tra le lacrime, e venire nella sua mano si lasciò andare anche lui al piacere prima di crollare esausto tra le sue braccia e nascondere il viso tra i suoi capelli.

Orlando lo strinse più forte che poté, nonostante la stanchezza che si impadroniva di lui.

Sentì Viggo tirare il lenzuolo su di loro e sorridendo si accoccolò tra le braccia dell’uomo, mentre scivolavano insieme nel sonno.

 

 

 

Orlando si svegliò, ma rimase per qualche secondo con gli occhi chiusi, assaporando ogni sfumatura di quelle meravigliose sensazioni che sentiva crescere dentro di sè.

Avvertiva il corpo caldo di Viggo contro il proprio, il battito lieve del suo cuore contro il suo orecchio, le sue braccia che lo stringevano, una delle sue mani che riposava tra i suoi capelli mentre l'altra esercitava, anche nell’abbandono del sonno, una leggera pressione sulla sua schiena.

Non riuscì a trattenere un sospiro di totale soddisfazione ed aprì gli occhi, stando attento a muoversi il meno possibile per non svegliare l'uomo.

La luce della luna inondava la stanza, screziando d'argento le sottili tende di lino bianco, accendendo di mille riflessi lattescenti la tappezzeria e le suppellettili, mentre le ombre si allungavano negli angoli ed  intorno ai mobili, e sulle pareti danzavano i riflessi delle luci in strada.

Orlando sorrise, stringendosi ancora di più a Viggo. Sorrise ancora di più, ripensando a come avessero trascorso l'intera giornata a letto, parlando e ridendo, raccontandosi i mille dubbie e le paure, abbracciandosi e baciandosi e facendo ancora l'amore. Aveva pianto, raccontando tutti i suoi timori e le sue angosce ma era stato un pianto dolcissimo perchè mentre piangeva, Viggo lo stringeva a sè e gli asciugava con le dita e con le labbra ogni singola lacrima.

Solo quando la luna era sorta in cielo erano finalmente crollati addormentati, sempre stretti uno all'altro come spaventati all'idea di doversi separare anche se per poco.

Orlando sorrise, poteva sembrare assurdo, ma per lui era proprio così. Non voleva lasciare Viggo, razionalmente sapeva bene che non sarebbe cambiato nulla, ma semplicemente non era pronto a lasciarlo, neanche per pochi istanti. Aveva un bisogno quasi fisico di sentirsi stretto a lui, di avvertire il calore del suo corpo contro il proprio e di poter nascondere il viso contro il suo petto.

Senza rendersene conto serrò ancora di più le braccia attorno al torace dell'uomo aumentando la sua stretta.

-Hai sempre un sonno così agitato?- sentì la voce divertita di Viggo chiedergli -Oppure ne hai già abbastanza di me e stai cercando di soffocarmi?-

-Vig...scusami- fece lui, affrettandosi ad allentare il suo abbraccio ed arrossendo -Io...e...ecco...- non riusciva a spiegare i suoi sentimenti ed abbassò lo sguardo, pensando che di certo non sarebbero state le sue brillanti doti oratorie ad assicurargli l'amore dell’uomo.

Ma Viggo non sembrava turbato dai suoi patetici balbettii, piuttosto intenerito. Gli scompigliò i capelli e rise debolmente, poi gli sollevò il viso con le dita e gli diede un tenero bacio a fior di labbra.

-Ti ho svegliato...- Orlando, cercò di darsi un minimo di contegno mentre le sue dita sfioravano le spalle e le braccia di Viggo.

-In effetti…ti agiti parecchio...- scherzò l'uomo. 

-Non è colpa mia se mi tieni così tanto stretto- ribatté Orlando fingendosi offeso.

-Preferiresti che ti lasciassi andare?- si informò educatamente Viggo, alzando un sopracciglio ma non gli diede il tempo di rispondere, perchè gli chiuse prima la bocca con un bacio. Era stato un bacio tenero all’inizio, dolce, ma quando Orlando avvertì il respiro di Viggo sulle sue labbra non potè fare a meno di ricambiare con un altro e poi un altro ancora, finchè la tenerezza lasciò il posto alla passione e le loro bocche si incollarono una sull’altra mentre i loro respiri si confondevano e le loro lingue giocavano e si sfioravano passando da una bocca all’altra.

-Non ci sperare- gli disse l’uomo quando dovettero separarsi per respirare -Non ho nessuna intenzione di lasciarti andare. Né ora né mai...-

Orlando sorrise, poi lo baciò ancora, mentre l'uomo gli carezzava la schiena strappandogli un lieve gemito di piacere.

-Sei davvero incontentabile- lo canzonò ancora Viggo, ma lui lasciò scivolare una mano sotto le lenzuola accarezzandogli sensualmente il ventre e sorrise quando lo sentì inarcarsi al suo tocco.

-Potrei dire la stessa cosa di te- e le loro risate riempirono la stanza.

-Vig?- chiese infine il ragazzo, quando si furono ricomposti un po’.

-Dimmi, - gli occhi dell’uomo erano caldi e teneri e per un attimo Orlando si perse in quei laghi splendenti. Poi sorrise ed inclinò leggermente la testa.

-Credi che, che ..insomma.. "Loro"... li vedremo ancora?-

Viggo si mise a sedere, badando a tenere stretto a sè Orlando.

-Non lo so, comincio a chiedermi se ci siano mai veramente stati, se…-

Uno scoppio di risate lo interruppe. D'improvviso c'era una gran confusione in strada. Sembrava che sotto le loro finestre si stesse scatenando una folla intera. Sentirono risate e grida gioiose  e musica che arrivava fino a loro.

-Ma che cosa…?- chiese Orlando, schizzando in piedi ed avvolgendosi approssimativamente il lenzuolo attorno alla vita.

-Orlando!!.- sbottò Viggo, che si era ritrovato all’improvviso completamente scoperto -riporta qui quel lenzuolo- gli intimò alzandosi. Ma il più giovane era già con il viso premuto contro il vetro della finestra. Si girò leggermente lanciando una lunga occhiata all'uomo completamente nudo e sorrise maliziosamente.

-Non sei affatto male appena sveglio…-gli disse e sorrise ancora, quando, nonostante il buio, gli parve di vederlo arrossire. Le sue guance comunque si imporporarono quando il suo corpo reagì alla vista di quell’alta, asciutta figura illuminata dai raggi della luna. Viggo borbottò qualcosa di incomprensibile e si avvicinò ancora a lui, passandogli una mano nei capelli, prima di avvolgersi a sua volta nel lenzuolo con cui l’altro si era coperto.

-Hai finito di spiare i nostri vicini?- gli chiese.

-Cosa stanno facendo?- chiese invece Orlando incuriosito, guardando in strada dove un centinaio di persone in costume festeggiavano alzando i bicchieri e ballando incuranti dell’ora.

-Mi sembra chiaro, - gli rispose Viggo tirandolo a sé e cingendolo con un braccio –è una festa-

-Ma non è Carnevale- protestò Orlando e Viggo si mise a ridere piano.

-Orlando,- lo canzonò –Questa è New Orleans. Qui non c’è bisogno di una ricorrenza per scendere in piazza e divertirsi-

-Mi piace quest…- ma le parole dl più giovane si interruppero all’improvviso e l’uomo lo sentì irrigidirsi bruscamente nel suo abbraccio.

-Che succede?- gli chiese quando lo vide attaccare il viso al vetro scrutando la strada lievemente illuminata.

Orlando non rispose, ma puntò il dito contro la finestra indicando qualcosa, in strada.

Viggo seguì il suo sguardo ma da prima non vide nulla, solo giochi di deboli luci e di ombre nella  notte. Poi qualcosa attirò la sua attenzione, tra gli alberi al di là della strada. All’inizio erano solo vaghi contorni sotto un albero, poi, poco a poco, i contorni si definirono, mentre il vento faceva ondeggiare le chiome degli alberi e Viggo scorse finalmente due persone che stavano leggermente discoste dalle altre. Non riusciva a vederle bene, ma quando cercò di aguzzare la vista li vide fare un passo in avanti e la luce della luna li illuminò in pieno.

Erano due uomini. Due uomini in maschera, come tutti gli altri, ma lui sentì un tuffo al cuore.

Il più alto aveva lunghi capelli chiari ed indossava l’uniforme grigia da confederato, mentre l’altro, molto più giovane, portava i riccioli castani sciolti sulle spalle ed era abbigliato come un perfetto gentiluomo di fine Ottocento.

Per qualche secondo sembrarono guardarsi, Viggo ed Orlando stretti nel loro abbraccio, gli altri due poco distanti l’uno dall’altro, con le mani che si sfioravano, fermi sotto la finestra, gli occhi fissi su di loro.

Poi Orlando sorrise, e senza mai staccarsi da Viggo alzò la mano destra e ne premette il palmo contro il vetro. In quel momento, come se avesse aspettato quel gesto, il giovane là sotto sorrise, il sorriso luminoso di un bambino, e a sua volta alzò la mano in segno di saluto.

L’uomo al suo fianco gli prese l’altra mano, e la portò alle labbra, baciandone le nocche, gli occhi fissi in quelli di Viggo.

E Viggo sorrise a sua volta, salutando con un breve cenno del capo e stringendo Orlando ancora più vicino a sé.

In quel momento la folla esplose in un concerto di grida e brindisi interrompendo quella danza di sguardi, e le due figure là sotto, fecero un passo indietro, tornando a confondersi con le la notte, si voltarono e  sempre tenendosi per mano si allontanarono.

-Ora è davvero finita, vero?- chiese Orlando, dopo qualche secondo.

Viggo scosse la testa, prese la sua mano, baciandone le nocche e sorrise.

-No, non è finita- disse –E’ appena cominciata!-

 

FINE

  

 

Ringraziamenti

 

Ewyn

 

Per loro no ma per noi questa è la fine, la fine della ff, almeno. Siamo arrivati in fondo e adesso dovete sorbirvi i nostri ringraziamenti. Spero che vi sia piaciuta. Se vi ha appassionato anche solo un decimo di quanto ha appassionato me... allora è stato un grande successo.

Già perchè scrivere questa ff è stata una tra le esperienze più divertenti, più folli e più coinvolgenti della mia vita. Grazie a DS ho potuto conoscere meglio Lilith che mi ha ascoltato pazientemente alle ore più assurde delle notte e del giorno (e non sto scherzando), che ha sempre risposto ai miei folli sms e che ha scritto la maggior parte di queste pagine. Quindi il mio primo ringraziamento va alla mia twin che, quando una perfetta sconosciuta le ha proposto di scrivere una ff a 4 mani, non si è tirata indietro ma ha accettato con entusiasmo e si è lanciata nel delirio. L’idea era sua ma ha accettato le mie folli proposte. GRAZIE LIL!!! Scrivere con te è stato semplicemente magnifico, sempre in sintonia, sempre perfettamente d’accordo, senza paura, senza timore di correggere, senza dover pensare se qualcosa l’avevo scritto io o tu. É soprattutto merito tuo se mi son divertita così tanto.

 

 

Lilith

E ora a me...devo essere sincera io con i ringraziamenti non sono affatto brava, semplicemente perché...perché vorrei ringraziare tutte voi, una ad una per almeno un milione di cose.

Quindi prima di tutto ringrazio Ewyn...perché ha un entusiasmo contagioso, perché lavorare insieme a lei è una delle cose più divertenti, facili ed immediate che mi sia mai capitato e perché i miei turni di notte sono diventati molto più sopportabili da quando la conosco e so che a ogni pausa sentirò la sua voce.

Un grazie come sempre a Raffie e Ginny...la mia inesauribile fonte di ispirazione...e solo se avete passato almeno una serata con loro in un pub fumoso a mangiare crepes alla nutella sapete di cosa parlo.

 

 

E ora i ringraziamenti comulativi....

 

a LoLL che ha betizzato quest’ultimo capitolo e parte del terzo, nonostante i mille impegni ha sempre trovato tempo per noi.

Grazie a tutti gli altri che in un modo o nell’altro ci hanno dato il loro aiuto e quindi grazie a Raffie, a Ginny, a Taurie ed ancora a LoLL.

Grazie poi a tutte quelle che ci hanno incoraggiato... anche se, per la maggior parte di voi, “Incoraggiamento” significa “Minaccia di Morte  tra Atroci Tormenti”

Grazie a tutta la ML per il solo fatto di esistere ed a Leia per essersi offerta di aiutarci con la “Copertina” della fic.

Noi abbiamo finito ora tocca voi dirci cosa ne pensate.

 

Lilith&EwynCorporation