.|. Doppio Sogno .|.

 

Capitolo 3

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Orlando era scappato via da quel locale, era fuggito dagli occhi disperati di Beau e dalle sue parole, dai suoi ricordi e dall’ennesima visione che lo aveva lasciato ancora più spaventato e confuso.

Aveva vagato sotto la pioggia per quella che gli era sembrata un’eternità, percorrendo le vie battute dalla pioggia, evitando i locali, le ombre, sussultando alle note di quelle canzoni che volevano entrargli nell’anima. Aveva cercato, implorato, di capire, di comprendere. Tutto quello che aveva ottenuto era stato di vedere il mondo svaporare attorno a lui mentre quei due uomini così simili a lui ed a Viggo, ma allo stesso tempo così diversi, vivevano un frammento delle loro vite.

Aveva visto l’altro se stesso cadere, seppellito dalle macerie, aveva visto la disperazione di Robert, la sua paura, un dolore che sembrava non conoscere fine. Lo aveva visto trasgredire agli ordini e tornare a cercarlo, aveva provato il sollievo di Beau stretto tra le braccia del suo amico, dell’uomo di cui era innamorato da sempre. E poi quel bacio, per un interminabile momento aveva veramente sentito la pressione di quelle labbra sulle proprie e il profumo della pioggia e dell’uomo che non era più un soldato confederato, ma Viggo…erano le labbra di Viggo che sentiva sulle proprie, sua la stretta attorno alle spalle, sue le mani che lo accarezzavano…e non erano più nella New Orleans del secolo scorso, ma in Nuova Zelanda, alla premiere e lui stava baciando Viggo... e non era una visione, ma i suoi ricordi.

Orlando si guardò in giro disorientato. La pioggia cadeva ora leggera e l’asfalto lucido rifletteva la luce dei lampioni e quella pallidissima della luna.

Dall’altro lato della strada, poteva vedere la facciata scrostata del suo piccolo albergo. Là dove era cominciata ogni cosa, dove Robert era stato curato, lo stesso che i soldati avevano abbandonato dopo che era stato dato l’ordine di ritirarsi.

Sembrava costretto a tornare là, ogni volta, ancora ed ancora, fino a che tutto non fosse stato chiaro nella sua mente.

Orlando sospirò appena ed attraversò la strada. Di nuovo, sentiva il suo corpo muoversi indipendentemente dalla propria volontà, guidato appena da una mano di cui lui, ancora, non riusciva a capire le intenzioni.

Ma quella notte era troppo stanco per opporsi. Si avvicinò ai gradini che portavano al vecchio porticato di legno e sussultò appena, quando si rese conto di non essere solo. C’era qualcuno seduto sul primo gradino. Qualcuno, che si stringeva nella giacca bagnata e sembrava perso nei suoi sogni…

 

Viggo non sapeva perché, ancora una volta, avesse sentito il bisogno di tornare lì, davanti a quella casa provata dai troppi anni di incuria…sapeva solo che si era risvegliato col sapore delle labbra di Orlando sulle proprie e una voce che nella testa gli gridava di andare, di correre, il prima possibile, di arrivare in tempo…

E lui l’aveva assecondata, aveva attraversato l’intera città solo per ritrovarsi di nuovo lì, ancora davanti a quell’albergo che ormai conosceva in ogni suo più piccolo particolare.

E una volta che vi era arrivato aveva sentito la necessità di aspettare.

Non sapeva chi o cosa, ma sapeva che qualcosa doveva succedere, che finalmente, quello era il posto giusto al momento giusto.

Si sedette sui gradini, incurante della pioggerellina che appesantiva i suoi abiti, incurante del freddo e di ogni cosa…ed aspettò, aspettò per un tempo che gli sembrò infinito, fino a quando qualcosa, un rumore o una semplice sensazione gli fece alzare di scatto la testa.

Qualcuno veniva verso di lui, anche lui zuppo da capo a piedi, anche lui solo ed all’apparenza smarrito quanto lui stesso lo era.

Per un attimo temette di essere sprofondato, senza rendersene, conto in un altro dei suoi sogni e di essere Robert davanti al suo Beau. Ma intorno a lui poteva ancora vedere la luce elettrica dei lampioni e sentire il rumore di macchine in lontananza. E l’uomo davanti a lui indossava abiti moderni.

Viggo scattò letteralmente i piedi e fece un passo verso l’altro che si era fermato a pochi metri da lui. Sentiva il cuore battergli all’impazzata nel petto.

Non era possibile…non poteva essere vero. La sua mente razionale rifuggiva l’idea ma il suo cuore sapeva invece di non ingannarsi.

Orlando... l’uomo che lo guardava ammutolito era Orlando. 

-Sei qui…?- Viggo sapeva che era una cosa stupida da dire. Stupidamente ovvia, così lontana da tutto quello che provava ed aveva provato in quei mesi. Ma non riusciva  a dire altro, niente. Nella sua testa c’era il vuoto totale, tutto sembrava scontato, sbagliato ed inutile o, peggio, stupido.

Non gli restava che rimanersene in silenzio a guardare Orlando di fronte a lui.

E forse quella era l’unica cosa veramente importante.

Era lì.

Orlando era lì davanti a lui, erano entrambi lì, lontani mille miglia dalle loro vite, dai loro impegni, da tutto ciò che avrebbe dovuto essere importante per loro.

Erano lì.

Dopo essere scappati da tutto, dopo essersi lasciati dietro ogni cosa, ogni paura, ogni eco, solo per ritrovarsi alla fine della loro corsa, di nuovo insieme, di nuovo uno di fronte all’altro.

-Sei qui - ripeté ancora una volta e non era più una domanda, era un’affermazione, una certezza. Era un singhiozzo di speranza.

 

Orlando sentì il suo corpo tremare.

Viggo era proprio davanti a lui. Era fuggito il più lontano possibile da tutto quello che potesse in qualche modo ricordarglielo, solo per tornare proprio di fronte a lui.

Vero, reale, vivo. Non un’immagine, non un sogno, non una visione, ma Viggo, il suo Viggo.

Gli sarebbe bastato un braccio per poterlo toccare…Viggo.

-Co…come ..sei…p..perché…- Orlando arrossì. Niente, non gli riusciva di dire niente. Come quel giorno a Wellington, come ogni volta che doveva esprimergli i suoi sentimenti.

Eppure il suo cuore sembrava sul punto di scoppiare.  “Viggo…Viggo…lo sai quanto mi sei mancato? Lo senti? Lo sai quanto male sto senza di te? Ho paura, Viggo, non so cosa fare…Viggo…”

-Avevo bisogno di una pausa.- gli rispose l’Americano. La sua voce. La solita dolcissima voce. Pacata e sicura, come lui.

“Come ho fatto a resistere tutto questo tempo senza sentirla??”

Viggo aveva udito le parole uscire dalla propria bocca, quasi da sole, pronunciate con calma e tranquillità anche se dentro sentiva il cuore in fiamme.

Il suo meraviglioso Orlando era lì, a New Orleans, era scappato dalla sua vita solo per rifugiarsi in uno dei luoghi che lui gli aveva insegnato ad amare. 

Viggo guardò il giovane ritto in piedi di fronte a lui, guardò il modo in cui tormentava il bordo del maglione, le guance arrossate e le mani che sembravano incapaci di star ferme. Lasciò che il suo sguardo accarezzasse il suo viso, quel viso che da mesi non aveva più potuto guardare, i riccioli scompigliati e la pelle morbida e gli occhi velati dalle lunghe ciglia scure, quegli occhi che il ragazzo teneva ancora abbassati, come se temesse il momento in cui i loro sguardi si sarebbero incrociati.

Poteva leggere mille e mille cose su quel viso, vedeva paura e confusione, imbarazzo ma anche qualcosa che assomigliava alla gioia.

Quello era il volto  del ragazzo  che aveva imparato ad amare anni prima,  che tormentava i suoi ricordi, che aveva stretto a sè, che aveva abbracciato e sentito tremare sotto la carezza delle sue mani…

Una fitta di desiderio attraversò all’improvviso il corpo dell’uomo.

Orlando…chissà se si rendeva conto di quanto lo avesse desiderato... la sua bocca, le sue braccia e i suoi baci… Orlando e il modo in cui rideva, parlava, scherzava… Il modo in cui inclinava la testa, con cui si mordicchiava le dita.. Orlando…

-Sono felice che tu sia qui!- sbottò, all’improvviso, arrendendosi all’esigenza di dire qualcosa, qualsiasi cosa che lo distraesse per un solo secondo dall’idea di lui e Orlando insieme abbracciati, ancora una volta.

-A... anche io- rispose il ragazzo, tenendo ancora lo sguardo fisso a terra, e l’Americano riuscì chiaramente udire la tensione nella sua voce – cosa ci fai qui?-

– Inseguivo uno dei miei sogni…- rispose l’uomo, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse vero quello che aveva appena detto. “Inseguivo un sogno, anche se non lo sapevo. Inseguivo te,  e ti ho trovato…”

- Quale?- Orlando non poté fare a meno di chiederlo, ma Viggo questa volta non rispose e l’Inglese sentì che non poteva sopportare ancora quel silenzio.

-Volevo chiamarti…- disse -ma … sai, ho avuto tante cose da fare… e, lo so, non è una buona scusa, è solo che, davvero…i film e…poi…- era imbarazzato, si comportava come se fossero solo conoscenti, con degli obblighi, inutili, pesanti e non come persone che si erano stimate, che si erano volute bene, che si erano perse.

-Orlando, sta zitto!- e lui improvvisamente come aveva cominciato smise di parlare.

-Non dire nulla- riprese l’altro – Non serve…siamo qui, tutti e due …non c’è altro da dire.- Viggo non voleva sentire parole vuote, parole che avrebbero creato delle barriere, dei muri invalicabili.

-Allora parla tu- rispose Orlando –Parlami…ti prego, parlami…ne ho bisogno…- sussurrò.

E Viggo sorrise.

Aveva paura, una paura terribile, paura di quello che avrebbe visto una volta che i loro occhi si fossero finalmente incontrati, paura delle parole, dei gesti, di ogni cosa, ma sorrise lo stesso.

Lentamente si avvicinò di un passo, ed ancora di uno ed un altro ancora fino a che non furono a pochi centimetri l’uno dall’altro.

Solo allora allungò una mano, voleva, doveva toccarlo.

Sfiorare quella pelle morbidissima e sentirla tremare sotto il suo tocco come era successo tanti mesi prima. Accarezzare il suo viso e stringere quel corpo che riusciva ad apparire fragile e forte allo stesso tempo, e sentirlo, mentre si abbandonava totalmente contro il suo. Dissipare ogni ombra, ogni dubbio, tutti i timori che si agitavano in lui dalla premiere di Wellington.

Le sue dita si appoggiarono sotto al mento di Orlando e lo costrinsero ad alzare la testa.

Erano lì, uno ad un soffio dall’altro, i loro respiri che baciavano le labbra, mentre tutto il mondo sembrava fermo intorno a loro.

E finalmente Orlando alzò lo sguardo e incrociò quello dell’uomo di fronte a lui.

Viggo senti qualcosa di caldo e potente premergli sul cuore, facendogli quasi male e allo stesso tempo sconquassandolo di gioia.

Perché quello che leggeva in quello sguardo non poteva essere frainteso. Era amore. Un amore pari al suo, disperato quanto il suo, ed altrettanto forte.

Per un attimo si ritrovò senza parole, lui il Poeta, quello che credeva di aver sempre la cosa giusta da dire, di saper sempre cosa fare… ma non c’era niente dentro di lui se non l’assoluta consapevolezza di ciò che stava provando.

Vide gli occhi di Orlando spalancarsi nel momento in cui incontrarono i suoi ed un sorriso incredulo increspargli le labbra.

Orlando sentì le gambe farsi improvvisamente deboli.

Era Viggo, davanti a lui, e se lo guardava poteva leggergli dentro e vedere un desiderio uguale al suo, forse la stessa paura ma, anche la stessa gioia, quella stupida improbabile gioia dovuta semplicemente all’essere di nuovo uno davanti all’altro.

La gioia di potersi di nuovo guardare.

Possibile che bastasse così poco? Scappare per mesi,  per anni, dai propri desideri, negare ogni cosa anche a se stessi e poi guardarsi solamente.

Un solo sguardo e tutto veniva cancellato.

Tutti i timori  e le indecisioni, la sofferenza…non c’era più niente, solo quegli occhi azzurri maledettamente belli, pieni di promesse e passione.

-Mi sei mancato così tanto…- si lasciò sfuggire e per un attimo ebbe paura di essere andato troppo oltre, ma vide il sorriso allargarsi sulle labbra di Viggo e lo vide sospirare come chi si libera di un peso enorme e non poté più resistere.

Sorrise e buttò le braccia al collo dell’uomo, aggrappandosi alle sue spalle, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo e cominciando a  baciare ogni angolo di pelle nuda a sua disposizione.

Sentì Viggo irrigidirsi un solo secondo sotto quell’assalto improvviso, ma poi le braccia dell’uomo si serrarono attorno al suo corpo fino quasi a soffocarlo.

-Sei qui… sei qui... - continuava a ripetere Orlando, tra un bacio e l’altro senza diminuire l’intensità del suo abbraccio “Sei qui…” non riusciva a pensare ad altro se non a Viggo che lo stringeva. Viggo che aveva perduto e ritrovato tra i sogni e la realtà. Viggo, il suo Viggo che ora lo stringeva a sé come se non volesse mai più lasciarlo andare. Viggo che faceva risalire le mani sopra i suoi abiti bagnati, incurante della pioggia, dell’ora, di dove si trovassero, incurante di qualsiasi cosa che non fossero loro due.

Viggo sentiva i deboli sospiri del ragazzo contro la sua pelle -Sei qui…- continuava a ripetere… e lui si chiedeva dove altro mai avrebbe potuto o dovuto essere se non lì, tra le braccia del suo amore, dell’unica persona in grado di fare battere il suo cuore come non faceva da anni.

Sentiva le labbra di Orlando frasi strada prepotentemente tra i lembi aperti della camicia, scoprendo la gola e parte del torace, baciando, succhiando, mordendo quasi, come se avesse deciso di ricuperare in quei pochi attimi tutti i mesi in cui erano stati lontani.

Sentì le mani scendere sotto la giacca, fino alla cintura e tirare fuori dai pantaloni la camicia per insinuarsi poi sotto la stoffa zuppa, accarezzandogli la schiena con dolcezza da prima, ma poi con maggior vigore, fino a quando le dita del ragazzo non gli si conficcarono nelle spalle attirandolo con violenza, costringendo i loro corpi ancora più vicini, mentre si muoveva contro di lui quasi freneticamente.

E Viggo perse anche quel poco autocontrollo che gli rimaneva.

Affondò una delle mani tra i capelli bagnati del ragazzo tirandolo indietro, costringendolo a interrompere il suo assalto. Per qualche secondo i loro sguardi rimasero incatenati l’uno all’altro e Viggo si chiese come avesse fatto a rinunciare a tutto quello, a resistere così a lungo lontano da lui.

Orlando lo guardava, ansimando leggermente, le labbra dischiuse e una luce di puro desiderio negli occhi.

-Baciami- gli sussurrò e vide il ragazzo sospirare e chiudere gli occhi al suono della sua voce. E allora lo tirò a se e lo baciò.

Lo baciò come non ricordava di aver baciato nessuno, con tutto l’ardore che aveva dovuto soffocare, come a volerlo divorare, lo baciò come se quello dovesse essere il suo ultimo bacio, come se la sua stessa vita dipendesse da quello.

Orlando gemette contro le sue labbra, abbandonandosi a quell’impeto. Si lasciò spingere all’indietro senza pensare a dove stesse andando, senza pensare a nulla che non fosse la bocca di Viggo che si saziava della sua, ed alle mani dell’uomo che lo stringevano fin quasi a fargli male.

Mentre arretrava incespicò, ma Viggo prontamente lo sorresse, stringendolo ancora più saldamente, senza mai separare le loro labbra e finalmente Orlando senti il muro freddo di pioggia contro le sue spalle. Lasciò che l’uomo ve lo spingesse contro, imprigionandolo nel suo abbraccio e gemette ancora, senza riuscire più a trattenersi mentre Viggo cominciava spingere il bacino contro il suo con forza, ma ad una lentezza quasi esasperante costringendolo a rallentare i suoi movimenti ed imponendogli il suo ritmo.

Orlando rovesciò la testa all’indietro, sentiva la carezza della pioggia sul volto, tra i capelli, le mani di Viggo che lo inchiodavano contro la parete, il bacino che premeva contro il suo, levandogli il respiro e ogni volontà…abbandonarsi a lui, lasciarsi trasportare dai suoi baci, dalla sua forza…era più di quanto avrebbe mai potuto sognare. Era…era Viggo… 

Improvvisamente una voce si fece strada nella sua testa: “Il dolore ti ucciderà!”.

Orlando spalancò gli occhi e per un secondo il viso di Beau, il suo stesso viso lo guardò facendosi strada attraverso i suoi ricordi… Beau in lacrime, Beau che non sapeva nascondere la sua disperazione, ”Il dolore…” …Beau annientato, sconfitto dal suo stesso amore… “Ti ucciderà…ti ucciderà…il dolore…”.

Orlando serrò gli occhi, non voleva vedere, non voleva più vedere…non ora, ora che aveva ritrovato Viggo, ora che non c’era più nulla per cui soffrire.

Chiuse gli occhi, ma la voce dell’altro continuava a inseguirlo, rimbombava nella sua testa, insieme alle sue lacrime ed a tutta la sua pena.

-No…- cominciò  balbettare, senza neppure rendersene conto –no…no…-

In un primo momento Viggo non si rese conto di quello che stava succedendo, poi sentì il corpo del ragazzo irrigidirsi, mentre le mani che fino a poco prima erano strette sul suo corpo ricadevano lungo i fianchi, inermi, senza forze. Gli ci volle qualche secondo per riaversi dalla sorpresa.

-O.. Orlando…- non riusciva a comprendere. Un attimo prima erano insieme e tutto sembrava essere finalmente perfetto e ora…- Orlando che succede?-

-Io…io non voglio…- Viggo era sbalordito. Guardava il  giovane ancora tra le sue braccia, gli occhi stretti ed un’espressione sul volto che sembrava terrorizzata.

-Prima volevi…- fu un basso mormorio, come chi non comprende, non realizza cosa stia accadendo.

-No…io non voglio…non…-

Ora anche Viggo era spaventato, spaventato dal modo in cui Orlando si ostinava a non riaprire gli occhi, da come scuoteva la testa per sottolineare il suo no, dall’espressione terrorizzata che gli tirava i lineamenti del volto.

Stese una mano e gli sfiorò con una dolce carezza una guancia, cercò di addolcire la sua voce il più possibile.

-Piccolo, cosa succed…- ma l’altro gli puntò le braccia sul petto spingendolo indietro.

-Ho detto NO!!- gridò, spalancando gli occhi. –NO!! Hai capito?? No…- fu quell’ultimo no a colpire Viggo. Il tono con cui era stato pronunciato, basso, disperato. L’uomo barcollò leggermente e fissò lo sguardo sconvolto del ragazzo e vi vide paura e frustrazione ed ancora dolore.

-Non voglio costringerti a fare nulla- tentò di rassicuralo, ma Orlando alzò una mano per zittirlo.

-Lo so- gli disse –Lo so. Tu, tu sei…mi dispiace Viggo, non posso, non posso…io ho paura-

-Di cosa?- Ma Orlando non gli rispose. Scosse ancora una volta la testa e Viggo vide le lacrime sfuggire dai suoi occhi…-ho paura. Non posso, non posso…perdonami.-

Orlando continuava a sentire la voce di Beau nelle orecchie, continuava a vedere il suo dolore così come lo vedeva negli occhi di Viggo.

“ti ucciderà…non lasciarlo…” gli sussurrava ora quella voce del passato, ma lui non era più in grado di ascoltarla.

Non poteva chiedergli davvero di affrontare tutto quello, non era abbastanza forte… “Non lasciarlo andare…non…”

-Non ce la faccio!!- gridò ancora e gli si spezzò il cuore quando vide l’effetto delle sue parole sul viso di Viggo. Era ancora davanti a lui, in piedi sotto la pioggia che ora sembrava scrosciare con ancora maggiore violenza. Era lì, ad un passo, eppure non gli era ma parso così distante. La pioggia era solo una cortina tra di loro ma la vera barriera erano le sue parole, erano quelle che stavano scavando un abisso e che avevano spezzato il cuore di Viggo. Ora sapeva che non avrebbe mai più potuto averlo, che non avrebbe avuto il coraggio di affrontare tutte le sue paure.

Era finita.

Era questo quello che le sue visioni avevano voluto fargli capire? Per questo erano andate da lui? Solo per insegnargli quanto poco valesse tutto il suo amore?

Bene, ora lo aveva capito, ma nessuno poteva davvero chiedergli di rimanere lì a guardare tutto il male che aveva fatto all’unico uomo che avesse mai amato. Voleva solo fuggire, fuggire ancora, lontano da tutto quel dolore. Lontano da quella pena infinita, lontano da quello sguardo, da quegli occhi che continuavano a guardarlo con amore, con tenerezza infinita nonostante il male che gli aveva fatto.

Guardò Viggo ancora una volta, lo guardò a lungo, poi un singhiozzo sfuggì dalle sue labbra.

-Perdonami.- sussurrò e prima che l’altro potesse fare un solo movimento scappò dentro l’albergo.

 

 

Spalancò la porta della sua camera e si precipitò dentro.

“Viggo…Viggo…Perdonami, ho paura, di tutto…di tutto quello che non conosco…ho paura, solo paura…”

Si lasciò scivolare contro il muro rannicchiandosi in un angolo. La sua mente era piena del ricordo delle mani di Viggo, della sua bocca, della sua forza, di quel calore che lo aveva invaso nel momento stesso in cui si erano baciati.

Non lo avrebbe mai più sentito, mai più toccato…Aveva rovinato tutto. Per sempre.

I suoi singhiozzi riempirono la stanza e per un attimo non fu in grado di vedere nè sentire nulla se non il sapore delle sue stesse lacrime.

Poi, poco a poco, una sensazione si fece strada nel suo cuore. Una sensazione che conosceva molto bene…

Alzò la testa che teneva poggiata alle ginocchia e si guardò intorno.

Era ancora lì, nella sua stanza, ma sapeva che presto non sarebbe più stato così.

Riconosceva la sensazione che provava ogni volta in cui il suo mondo piano piano svaporava per lasciare il posto ad una delle sue visioni..

Poteva vedere la stanza che cambiava sotto gli occhi, poteva sentire il suo corpo e la sua mente che si arrendevano ed una rabbia che non ricordava di aver mai provato si impadronì di lui.

-NO!!!- gridò, con tutto il fiato che aveva, scattando in piedi, i pugni serrati, le lacrime che ancora scendevano lungo le guance –Adesso basta…hai capito?? BASTA!!-

Non sapeva contro chi stesse gridando, ma era certo che ci fosse qualcuno lì con lui, qualcuno che ora poteva sentire chiaramente, ne avvertiva la presenza come mai era riuscito a fare prima.

Lo sentiva e sentiva il suo dolore e..e la sua pietà. Lo avvolgeva completamente con tutta la sua dolcezza tentando di consolarlo, di stringerlo in quello che avrebbe forse potuto essere un abbraccio.

Ma lui non voleva ascoltare, non più.

-Non voglio sapere più niente!- gridò combattendo contro quella maledetta arrendevolezza che ogni secondo di più si faceva più forte, conquistandolo poco a poco –Non voglio vedere…non ti basta quello che mi hai fatto??-

Ma si rese conto che nessuno gli avrebbe risposto. E l’altro, chiunque fosse, non se ne sarebbe andato.

Sentì gli occhi farsi pesanti, mentre, senza neppure accorgersene, si sedeva a terra –Non voglio…ti prego…ti prego…- non voleva affrontare sentimenti che non erano in grado di controllare.

Provò ancora una volta a reagire, a rimanere cosciente. Intorno a lui vide la luce abbagliante del mattino invadere la stanza e la figura di un uomo seduto affianco ad un letto.

-Viggo…- Ed i suoi occhi si chiusero del tutto.

 

Robert sonnecchiava su una poltrona accanto al suo letto. La testa inclinata ed appoggiata allo schienale, un vago sorriso sulle labbra. L’uniforme lacera e sgualcita leggermente aperta sul petto. Beau poteva vedere le sue mani scorticate, segnate dalle ferite. Ricordava la gentilezza di quelle mani ancora imbrattate di sangue, quando l’avevano carezzato, quando lo avevano sollevato e stretto al petto... l’infinita tenerezza con cui lo aveva trasportato in braccio, incurante dei pericoli, come se non sentisse la fatica, la cura con cui l’aveva deposto in quel letto, la sollecitudine con cui l’aveva medicato, il sorriso e le carezze con le quali si era assopito.

Era già un po’ che Beau si era svegliato ma era rimasto a guardarlo, gustando il sottile piacere di vegliare il sonno della persona amata.  Il suo cuore era colmo di felicità, anche se respirare gli era faticoso, anche se aveva il corpo coperto di lividi e l’ultima volta che aveva provato ad alzare la testa era stato colto dal capogiro... ma non era importante. Se quello era il prezzo da pagare per aver sentito le labbra di Robert sulle sue, per avere scorto i suoi occhi colmi d’amore ed  essere stato tra le sue braccia, allora chiunque fosse, aveva ottenuto un prezzo veramente irrisorio.

Beau avrebbe dato la sua vita per il tempo che aveva passato tra le braccia di Robert.

Un sorriso gli aleggiò sulle labbra... in effetti c’era andato vicino.

La pendola batté la mezza e Robert si mosse un poco. Un ciuffo dei suoi capelli biondi gli cadde sulla fronte. Beau non si mosse, conscio del fatto che se avesse fatto il più piccolo rumore l’avrebbe svegliato e sapeva bene che Robert aveva bisogno di riposare. I cerchi viola intorno ai suoi occhi non avevano bisogno di parole. Sapeva che da quando aveva ripreso servizio non si era risparmiato e certo la notizia della sua morte non l’aveva aiutato.

Soffocò una risata ma furono sufficienti quei rumori attutiti per far aprire gli occhi all’uomo. Il suo primo sguardo fu per Beau ed i suoi occhi si illuminarono vedendolo sveglio. Si alzò e gli passò la mano sulla fronte.

- Come ti senti?- un piccolo sorriso era sulle sue labbra.

- Come se fossi stato picchiato ben bene- non poteva fare a meno di scherzare.

- Sarebbe stata una punizione adeguata, incosciente- Robert gli versò un bicchiere d’acqua e glielo accostò alle labbra, sostenendolo con la sua spalla. Quando ebbe finito di bere, l’uomo si allontanò e si diresse verso la finestra fingendo di guardare fuori.

Il silenzio era imbarazzante ed ogni secondo era sempre peggiore del precedente. Robert non sapeva che fare, per la prima volta in vita sua si sentiva impotente, temeva di aver travisato, temeva che Beau non ricordasse nulla...

- Robert. – la voce di Beau rimbombò in quel silenzio pesante.

- Dimmi- si girò verso di lui.

- Vieni qui – il giovane si spostò leggermente per fargli un po’ di spazio.- siediti accanto a me-

Chiuse per un attimo gli occhi e sospirò.

Beau stava per dirgli che si era sbagliato.

Si sedette sulla sponda del letto badando bene a non toccarlo. Trasalì quando Beau prese la sua mano e se la portò alle labbra, guardandolo fisso negli occhi mentre le sue labbra sfioravano le  sue nocche. Il viso del ragazzo era serio, e Robert non poteva equivocare su quel gesto d’affetto.

- Beau... – la sua voce tremava- io non so da che parte iniziare. Per la prima volta non so cosa dire...- lo smarrimento era nei suoi occhi, nelle sue parole.

- Vuoi dirmi che rimpiangi di avermi baciato ? – le lacrime si raccolsero sul ciglio degli occhi del ragazzo.

- No! – Robert quasi urlò..- No- ripeté più tranquillo.- Ma non so cosa fare, non so cosa pensare, non so cosa sia giusto.

Beau gli prese anche l’altra mano, la unì a quella che aveva tenuto tra le sue e gliele mostrò. Le nocche erano scorticate, le unghie spezzate, lividi e tagli erano un po’ dappertutto- loro non hanno pensato quando mi hanno cercato, quando non hanno sentito il dolore per aiutarmi...- gli posò le mani sul cuore – lui non ha pensato quando ha rischiato tutto per cercarmi, per trovarmi – gli sfiorò le labbra – loro non hanno pensato quando  mi hanno baciato.- Non c’era dubbi in quegli occhi, non c’erano paure, solo amore e gioia.

- Beau.. io, io..- non aveva parole.

- Robert io ti amo. Lo so da anni, da sempre. Ricordi? “Amor c’ha nulla amato amor perdona”. Quelle fanciulline che corteggiavo, con le quali danzavo, cui portavo i cestini, erano solo un gioco di società. Non mi sono mai scoperto con nessuna, non ho mai mostrato una preferenza più marcata perché..., perché semplicemente non c’era. Erano le tue labbra che volevo baciare, erano le tue braccia che volevo mi stringessero, era la tua voce che volevo sentire sussurrare parole d’amore... Solo che credevo fosse impossibile. Tu sembravi sempre così sereno, così certo dei tuoi sentimenti, e mi vedevi sempre come il tuo bambino, forse un po’ cresciuto. Ma io non sono il tuo bambino, non lo sono più da tanto tempo, Robert, e ti amo e ti voglio...- si interruppe e si portò una mano alla bocca.

Robert deglutì e la sua voce era solo un sussurro - Tu... tu vuoi un...uomo?- Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi e quindi non vide che l’orlo degli occhi di Beau si era nuovamente riempito di lacrime.

La voce di Beau era molto più forte, più decisa: - No, non voglio un uomo- Robert lo guardò confuso. – Voglio te. Te e nessun altro. Voglio essere tuo. Voglio appartenerti. Voglio che il mio corpo sia tuo come lo sono il mio cuore e la mia anima. Voglio il tuo cuore, voglio il tuo amore. Voglio che tu sia mio nello stesso modo in cui io sono già tuo.-

L’uomo non resistette più ed abbracciò il suo ragazzo, stringendolo forte.

-Anche io Beau,  anche io ti amo- la sua voce tremava - anche se ho dovuto rischiare di perderti per capirlo... Non sono poi così straordinario come credi...- si interruppe perché Beau gli aveva intrecciato le dita tra i capelli ed aveva sollevato il viso verso il suo.

-Robert- sussurrò sulle labbra dell’altro –Puoi fare una cosa per me?-

Robert trattenne a stento un sospiro. Beau era così vicino, così maledettamente vicino che la sua mente sembrava incapace di pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse il profumo della sua pelle e  la pressione del suo corpo contro il proprio. Si sforzò di mantenere un minimo di controllo e di mantenere la voce ferma mentre gli rispondeva.

-Tutto quello che vuoi…-

-Tutto?- chiese Beau, facendosi ancora più vicino e incatenando gli occhi ai suoi con un’espressione maliziosa che Robert non aveva mai visto prima.

-T..tutto…- e la sua voce era appena poco più di un sussurro.

-Allora smettila di parlare e baciami.- Robert fece appena a tempo a sgranare gli occhi prima che il ragazzo incollasse le labbra alle sue.

Gemette leggermente quando lo sentì premere il corpo contro il suo. Poteva sentire i muscoli di Beau tendersi nel tentativo di avvicinarsi ancora ed ancora, come se non riuscisse ad averne abbastanza. Sentiva il corpo seminudo del ragazzo sfregare contro il proprio separati solo dal lenzuolo di lino…

Robert interruppe il bacio solo quando l’esigenza di respirare si fece insostenibile.

Ansimava leggermente quando spinse Beau tra i cuscini e lasciò che il suo sguardo si posasse finalmente su di lui.

Gli sembrava di vederlo per la prima volta. Là, steso in quel letto, i riccioli sparsi sul cuscino, gli occhi pieni di un desiderio caldo e languido che da solo era in grado di farlo tremare.

Guardò il petto del giovane che si alzava ed abbassava, e la pelle inumidita da un velo di sudore…Robert era certo di non aver mai visto niente di più sensuale in tutta la sua vita, niente di anche solo paragonabile al suo splendido ragazzo.

Mentre lo guardava vide le ciglia di Beau velargli lo sguardo, mentre lui, improvvisamente, abbassava gli occhi e smetteva di guardarlo.

-Che succede?- chiese conscio del fatto che non avrebbe resistito al dolore di sapere che Beau aveva cambiato idea.

L’altro indugiò appena qualche secondo, come per cercare le parole adatte o piuttosto il coraggio necessario per dirle. Poi tutto ad un tratto parlò, in fretta, come se altrimenti avesse avuto paura di non farcela.

-Tu cosa provi per me?- chiese tenendo testardamente lo sguardo abbassato. Roberto provò a sollevargli il mento, ma lui si divincolò  -Cosa provi per me?- Chiese ancora, caparbiamente.

Robert non riusciva a capire cosa stesse succedendo, ma sapeva che Beau aveva bisogno di una risposta e lui era pronto  a ripetergli all’infinito quello che provava.

-Io ti amo…-ma vide il ragazzo scuotere con violenza la testa mentre stringeva le labbra fino a  farle diventare bianche.

-Beau, cosa succede?…Ti amo, te l’ho detto.  Io …credevo lo avessi capito, perché non mi credi?-

Robert vide il giovane arrossire violentemente, mentre abbassava la testa ancora di più e tutta la sua sicurezza sembrava ad un tratto svanita nel nulla e Beau non era più il giovane sensuale di poco prima, ma di nuovo il suo piccolo dolcissimo ragazzo.

-Io…ecco…non so…-

Robert poteva sentirlo tremare sotto di lui, ma voleva capire, comprendere cosa stesse provando. Perché, ora,  sembrava così interdetto, così spaventato, insicuro...? Gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a  guardarlo.

Per un secondo rimasero uno con gli occhi in quelli dell’altro, poi Beau sbottò:

-Lo so che mi ami- ed arrossì ancora  -Io credo di averlo sempre saputo…-

-Ma allora cosa…- Ora Robert era davvero confuso, ma il giovane non gli diede il tempo di finire la frase

-So che mi ami…ma non so se… se mi vuoi…-

Robert lo fissò ancora negli occhi…sentiva la pelle delle sue guance bruciare tra le sue mani. Una nuova sicurezza si fece strada in lui, gli prese una mano, ne baciò prima delicatamente il palmo, e poi il polso, tenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi. E sempre guardandolo fisso, strinse quelle dita sottili tra le sue e le guidò sul suo collo e poi sul petto e poi ancora più giù.

Vide Beau sgranare gli occhi quando venne a contatto con la sua eccitazione. Lo vide sorridere come un bambino mentre cominciava ad accarezzarlo.

-Ti basta?- gli sussurrò.

Un sorriso tirò le labbra di Beau, un sorriso tentatore che gli incendiò il sangue, mentre il suo respiro si faceva affannoso e sentiva il suo corpo reagire a quelle tenere carezze.

- Beau - e fu come una preghiera, una supplica, mentre il suo corpo prendeva a tremare ed il cuore gli martellava forte in petto. – Beau, aspetta.- Vide lo sguardo interrogativo del suo amore e sorrise.

- Voglio essere io...-

Scostò le lenzuola che ricoprivano Beau e si adagiò su di lui, prendendogli il viso tra le mani. Percorse ognuno di quei tratti con le labbra, sfiorando le sopracciglia, il mento, le labbra, la mascella e poi scendendo lungo il collo. La sua lingua lasciava una scia umida ed ardente su quella pelle salata che lui percorreva come se volesse tracciarne i confini. Le sue mani sfiorarono leggere i muscoli del petto, carezzandone leggere i capezzoli, tracciando il sentiero che venne percorso poi dalle sue labbra. Quando avvertì l’areola di un capezzolo sotto le sue labbra scoprì leggermente i denti e ne mordicchiò leggermente la sommità, mentre Beau inarcava la schiena e si lasciava sfuggire un gemito più intenso degli altri. Quel gemito, unito al suo nome mormorato insieme ad un desiderio che non aveva mai provato prima, lo spinsero sul ciglio di un burrone.

Sentiva le mani di Beau tra i capelli, mentre gli percorrevano la nuca e stringevano la sua testa contro il proprio petto, come se quei baci non fossero sufficienti, come se volesse di più. I loro respiri erano affrettati e precipitosi, mentre la bocca di Robert indugiava a tormentare un capezzolo e le sue dita torturavano dolcemente l’altro. Il sudore imperlava la fronte di Beau incapace ormai anche solo di articolare una frase.

La bocca e le mani dell’uomo lo stavano facendo impazzire.

Le labbra di Robert leccavano, succhiavano, mordevano la sua pelle, spostando il limite del suo desiderio sempre un poco più in là. E ogni volta Beau pensava che l’istante successivo non avrebbe retto più e ogni volta l’istante successivo raggiungeva invece un nuovo picco di piacere.

Sussultò quando le dita arrivarono al bordo dei calzoni che ancora indossava. Robert rialzò la testa e Beau dovette scendere per un istante dalle vette che aveva raggiunto. Negli occhi dell’uomo vedeva una muta richiesta e Beau sorrise, aggiungendo le sue mani a quelle dell’altro, aiutandolo a slacciargli i calzoni e a farli scivolare giù.

Robert approfittò di quegli istanti per liberarsi della propria uniforme, gettandola in un angolo insieme agli ultimi indumenti di Beau. Poi, tremando per l’eccitazione e per il controllo a cui stava sottoponendo il proprio corpo si stese accanto a Beau e riprese a percorrere quel corpo che tanto amava con le mani e la bocca. Vide i muscoli del giovane cominciare a tremare mentre si tendevano per avvicinarsi a lui, vide il sudore ricoprire quel corpo meraviglioso mentre Beau con gli occhi chiusi si contorceva contro di lui e mormorava frasi sconnesse in cui il suo nome era sempre presente.

Continuò il suo cammino, tracciando nuovi sentieri su quella pelle ambrata e tenera. Circondò l’ombelico con la lingua, percorrendone il contorno con la punta e Beau inarcò la schiena, sussurrando il suo nome.

Poi scese più giù e non poté più trattenersi. Percorse l’eccitazione del ragazzo con la lingua, baciando la pelle morbida, lasciando una scia sempre più ardente, carezzando il sentiero che la lingua aveva inumidito e poi, giunto alla sommità, vi richiuse sopra la bocca.

Afferrò le mani di Beau tra le sue e lasciò che la sua bocca lo portasse al piacere più intenso, appiattendo la lingua per carezzarlo meglio, per regalargli tutte le sfumature di quel piacere che sentiva crescere nel corpo sotto il suo. Il corpo di Beau tremava e dalla sua bocca continuava ad uscire solo il suo nome, ripetuto senza fine come una preghiera, come un’implorazione, mentre il calore di quella bocca continuava a scendere e salire e Beau conosceva una dietro l’altra tutte le sfumature del piacere, un piacere che non avrebbe mai neanche immaginato, un piacere che solo l’uomo che amava da sempre avrebbe potuto insegnargli, finché fu troppo ed urlò nome di Robert mentre il piacere squassava il suo corpo.

Beau impiegò diversi minuti a riprendere il contatto con la realtà e quando riaprì gli occhi vide il volto di Robert vicinissimo al suo. Era stravolto dal desiderio, ma le sue mani continuavano ad accarezzare il suo viso con una tenerezza infinita, con una dolcezza che non credeva possibile trovare in un essere umano che avesse il fuoco di quel desiderio negli occhi. Eppure Robert sorrideva e continuava percorrere i tratti del suo viso con la mano, liberandogli la fronte sudata dai capelli, baciandogli le labbra, come se non ne avesse mai abbastanza ed allora anche Beau sorrise e sfiorò il volto dell’altro con il proprio, passando il pollice  su quelle labbra morbide e sensuali.

- Prendimi- gli disse ma Robert scosse la testa. – No, non adesso- Ed il ragazzo lo vide stringere i denti. – Avremo tempo per quello…-

Beau comprese che Robert si stava controllando ferocemente per timore di aggiungere dolore a dolore e ferite a ferite e se possibile lo amò ancora di più…

Deglutì, poi curvò le labbra nel suo sorriso più sensuale.

-Allora lascia che io dia a te quello che tu hai regalato a me-

-Non devi…- ma ancora una volta la bocca del ragazzo fu sopra quella di Robert costringendolo al silenzio.

Lo baciò con tutta la passione di cui era capace e poi si staccò appena per sussurrargli sulle labbra

-lo so che non devo…ma è l’unica cosa che voglio…-

Robert chiuse gli occhi quando sentì le labbra di Beau scendere sul suo collo per poi continuare seguendo la linea della spalla.

-Io ti amo Robert…- lo sentì dire mentre posava un bacio sul suo petto.

-Ti ho sempre amato…- e con le mani gli accarezzò il ventre teso

-…e sarò tuo per sempre…- e l’altro sentì la testa del ragazzo scendere ancora ed ancora e il suo respiro sfiorare la sua pelle ormai bollente.

Beau rimase fermo per qualche secondo, le labbra incredibilmente vicine alla sua eccitazione, ad un soffio da lui. Robert gemette ed aprì gli occhi per incontrare lo sguardo dell’altro.

Beau lo guardava fisso, gli occhi stravolti da qualcosa che andava ben oltre il semplice desiderio.

Era amore e passione e possesso.

Era tutto quello che lui stesso sentiva di provare.

-Sarò tuo per sempre, Robert- ripeté ancora -…e per sempre tu sarai mio.-e chiuse la bocca su di lui…

 

 

Viggo aprì gli occhi e rimase a fissare il soffitto affrescato sopra il suo letto.

Ce l’avevano fatta, almeno loro avevano abbattuto tutte le barriere e colmato ogni distanza fino a  ritrovarsi. 

Senza volerlo si ritrovò a sorridere, sorrise a quelle due ombre del passato che avevano sconfitto le loro indecisioni, i loro dubbi, sorrise a loro che avevano trovato il coraggio di amarsi, nonostante tutto.

Stava ancora sorridendo quando, improvvisamente, una smorfia di dolore gli increspò le labbra. Gli occhi gli si riempirono di lacrime che non riuscì a ricacciare indietro.

Rimase fermo, ancora sdraiato tra le lenzuola ormai sfatte, lasciando che le lacrime gli rigassero le guance, mentre ripensava ad Orlando, a quanto erano stati vicini, anche se solo per pochi minuti e all’angoscia che aveva  visto dipinta sul suo volto nel momento in cui lo aveva respinto.

Sentì una lacerante fitta di dolore, e poi un’altra ed un’altra ancora, ma non fece nulla per provare a fermarle.

Invece si abbandonò ai ricordi. Lasciò che la sua mente indugiasse su ogni momento, su ogni sguardo, su ogni parola che lui ed Orlando si erano scambiati quella notte. Rivisse ogni cosa e lasciò che il dolore dei ricordi si insinuasse dentro di lui, penetrasse a fondo, annientando ogni difesa.

Quello era tutto ciò che lui e Orlando avrebbero condiviso. Non ci sarebbero stati altri baci, altri incontri, niente, solo tutta la solitudine di chi ha perso la sua unica occasione di amare ed essere amato.

Le lacrime correvano sul suo volto senza che lui facesse nulla per fermarle, solcando le sue guance, scivolando lungo la mascella, inumidendo il cuscino, le lenzuola. Eppure non recavano alcun sollievo, non riuscivano a lenire la sua pena, abbattevano le sue difese una dietro l’altra ed il suo dolore sembrava crescere ad ogni istante.

I ricordi erano tanti, troppi ed affollavano la sua mente ferendo la sua anima come non aveva mai creduto fosse possibile.

La prima volta che aveva visto Orlando, il sorriso che aveva incontrato quando si era girato mentre qualcuno li presentava e la stanchezza era svanita scacciata dalla luce di quegli occhi. La prima volta che Orlando aveva rilasciato un’intervista parlando di lui come di un esempio, di un modello. La gioia che aveva sentito dentro di sè.

L’orgoglio di essere riuscito a comunicargli un pò del suo modo di vivere, della sua filosofia. Le loro discussioni, i suoi soliloqui mentre Orlando era seduto e lo ascoltava senza smettere di fissarlo, come se non volesse perdere neanche una parola, un’espressione del suo volto, un’inflessione della sua voce.

I quadri che aveva dipinto e le foto che aveva scattato mentre quel ragazzo era accanto a lui, in silenzio. Come avrebbe fatto a guardarli, quei suoi lavori che gli erano cari proprio perchè ricchi di una poesia, di un sentimento prima assenti?

Tutto era svanito, perso nel passato. Tutto era stato cancellato e non sarebbe mai più tornato.

Eppure i ricordi recenti continuavano a mischiarsi a quelli che aveva racchiuso nel suo cuore in tutti quegli anni. Mille versioni di quel sorriso che non era mai lo stesso, mille smorfie di quelle labbra che aveva baciato e che l’avevano così crudelmente rifiutato dopo avergli fatto intravedere la felicità.

Non lo odiava, non avrebbe mai potuto farlo. Lo amava e sapeva che avrebbe continuato a farlo. Ma non si faceva illusioni. Non avrebbe mai potuto dimenticare Orlando. Non avrebbe mai potuto cancellare Orli dal suo cuore.

Avrebbe dovuto imparare a vivere con quella ferita che non si sarebbe mai rimarginata. Ogni volta che qualcuno avrebbe nominato il surf, o lo snowboard o uno di quegli sport assurdi avrebbe rivisto il giovane inglese lanciarsi in una delle sue folli avventure. Ogni volta che qualcuno avesse nominato Tolkien o la trilogia lui avrebbe ricordato Legolas e chi l’aveva interpretato.

Quanto dolore doveva ancora provare? Le lacrime sarebbero finite quel giorno, ma il dolore quello non si sarebbe esaurito e Viggo sapeva che avrebbe continuato a sentirlo.

Aveva avuto il suo istante di felicità e lo avrebbe pagato per tutto il resto della sua vita.

Lasciò che le lacrime continuassero a scorrere, scavando nella sua memoria e rammentando ognuno di quegli istanti che aveva custodito nel suo cuore. Le loro prime premiere, il primo articolo su Legolas, la folle gioia di quel ragazzo quando l’avevano scelto per un altro film. L’irruenza con cui si era precipitato nel suo camerino per dargli la notizia.

Mesi e mesi vissuti accanto sfilarono nella sua memoria, mescolandosi ai ricordi di quella sera, alla dolcezza delle labbra di Orlando, alle carezze delle sue mani, al calore del suo corpo, al profumo della sua pelle, al terrore nei suoi occhi, alla violenza con cui l’aveva rifiutato.

Non respinse nulla, lasciò che la sua mente ed il suo cuore annegassero in quelle sensazioni, i quei ricordi, nelle lacrime e nella disperazione.

E quando finalmente non ci fu più nulla da ricordare né lacrime da piangere, si alzò stancamente dal letto.

Qualcosa si era spento, nei suoi occhi.

Prese il telefono dal comodino e compose il numero della reception.

Aspettò i pochi secondi necessari, poi ordinò al portiere di fargli preparare il conto per l’indomani mattina e di prenotargli un posto sul primo aereo per New York.

Non c’era più nulla da fare, doveva solo raccogliere i pezzi della sua vita ed incollarli nel miglior modo possibile per tentare di nascondere le fratture.

Aveva una vita da vivere, anche se non sapeva come.