.|. Doppio Sogno .|.

Disclaimer: Questo è un racconto Slash, che tratta quindi di amore tra due uomini e che potrebbe contenere (anzi SICURAMENTE conterrà) scene NC17. Chiunque non approvi questo genere di l’argomento o ritenga di poterne essere offeso, è gentilmente pregato di non leggere. Come sempre…Nessuno dei due attori mi appartiene o appartiene ad Ewyn,  e nessuna delle due sa o  insinua nulla sulle loro preferenze sessuali.

Tutto in questa Fic è frutto della mente malata mia e di Ewyn.

Dedico questa fic ad Ewyn..che mi ha davvero contagiata con il suo entusiasmo e con la sua incredibile capacità di lavorare in coppia…Grazie di aver voluto condividere con me questa avventura…

Una dedica tutta particolare anche a Raffie e a Ginny…tesore, siete davvero i miei due angeli….

 

Capitolo 1

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Dopo quell’immensa palude e le raffinerie e le ciminiere, infine, apparve ai suoi occhi lo skyline della città. Là dove il fiume disegnava uno dei suoi gomiti si stagliano alti i grattacieli. I ponti sopraelevati permettevano un’ottima visione ed Orlando poteva ammirare la metropoli distesa intorno al fiume che solo in quell’ansa svettava verso il cielo.   

Guardando fuori dal finestrino si chiese per l’ennesima volta perché fosse venuto proprio a New Orleans. Cosa mai lo avesse attirato fino a questa città così lontana da casa sua e da tutto quello che conosceva, questa città che non c’entrava niente con lui, di cui aveva visto solo qualche fotografia scattata da un amico…

Scosse la testa... stava nuovamente mentendo a sè stesso... sapeva bene che il problema era tutto lì…non conosceva New Orleans, non c’era mai stato, ma Viggo si… Viggo l’aveva visitata anni prima e da quella prima volta ci tornava spesso, rapito, ammaliato dalle sue strade, dalla gente così diversa da quella che potevi incontrare a New York o nel resto del mondo.

Era stato Viggo a mostrargli le foto che aveva scattato in tutti i suoi viaggi, era stato Viggo a farlo sognare descrivendogli il quartiere francese e l’aria intrisa di spezie e di magnolia. Lui era stato ad ascoltarlo totalmente conquistato dalle immagini che la voce del suo collega  ed amico aveva evocato per lui, storie che parlavano di donne bellissime e misteriose, di streghe e di magia, di uomini che potevano rapirti il cuore con un solo sguardo, della musica che ti entrava nel cuore e sembrava non volerne mai più uscire facendoti suo con tutta la sua malinconia e la sua bellezza, musica che sembrava inseguirti ovunque tu andassi, insinuandosi sotto le porte, salendo su per le grondaie e lasciandosi trasportare dal vento fino a che non eri costretto ad arrenderti alla sua malia, piegandoti alla sua forza…

Viggo parlava, parlava e lui rimaneva quieto davanti a lui, mentre i suoi occhi vedevano le strade, le sue orecchie ascoltavano i rumori ed intorno a lui aleggiava un’aria densa e colma di mille profumi.

Viggo parlava e il suo cuore si riempiva di una strana malinconia e allo stesso tempo di una gioia feroce e bellissima che lo scuoteva fino nel più profondo.

 

E quando, il giorno prima, aveva buttato qualche vestito in un borsone ed era scappato all’aeroporto, non si era stupito più di tanto nell’ascoltare la sua voce che chiedeva un biglietto per New Orleans…In realtà non riusciva ad immaginare nessun altro posto in cui nascondersi, una città che non aveva mai visto, ma che il suo cuore riconosceva senza motivo come un nido sicuro, come il porto a cui tornare...

E lui aveva tanto bisogno di ritrovarsi in un luogo sicuro. Un luogo in cui potersi nascondere da tutta la sua vita. Dai film, dagli amici, dai fotografi, dagli ammiratori e da Lui…soprattutto da Lui.

Aveva bisogno di staccare, da tutto e da tutti. Aveva provato a soffocare tutte le sue paure e la sua immensa confusione nel lavoro, ma non ci era riuscito.

Si era sfinito tra set e ciack, colleghi e feste, copioni da imparare a memoria e scene da girare e migliaia di foto da scattare. L’unico risultato che era riuscito ad ottenere era quello di essersi svegliato una mattina senza avere più la forza di stare in piedi.

Aveva guardato l’ennesima rivista in cui era apparso con quel sorriso tirato sulle labbra e gli occhi spenti che faticava a riconoscere come i propri e aveva deciso di andarsene. Di lasciarsi tutto alle spalle…le sue paure prima di ogni altra cosa. Quei timori che ormai non gli davano alcuna tregua…quei sentimenti che non aveva il coraggio di accettare, ma sulla cui esistenza non aveva ormai alcun dubbio.

Solo che non sempre scappare è così facile.

Dopotutto come si può anche solo pensare di fuggire da se stessi?

Perché poteva negarlo con tutti gli altri, ma ormai dentro di sè sapeva bene che era troppo tardi, che era stato troppo tardi da sempre, da subito. Da quando i suoi occhi avevano incrociato quello sguardo chiaro, Viggo era diventato una parte del suo stesso essere.

Gli era entrato dentro e non c’era più modo di separarlo da se stesso.

E per quanto lui scappasse e corresse e smaniasse non poteva rinunciarci, nè dimenticarlo, come non è possibile dimenticare se stessi.

E questa consapevolezza lo terrorizzava.

Aveva tentato di mettere quanto più tempo e spazio possibile tra loro, ma non era servito a nulla.

Eppure ci aveva  provato…Dio solo sapeva se lo aveva fatto.

Ma aveva imparato che la fatica può annientarti, che gli amici e le donne possono, anche se solo per poco, colmare un po’ della tua solitudine e che migliaia di ammiratori e legioni di ragazzine urlanti sotto la tua finestra possono lusingare il tuo amor proprio e darti l’illusione di essere al di sopra di tutto e tutti, ma aveva scoperto che nessuna di queste cose aveva il potere di cancellare, anche per un solo istante, il ricordo delle labbra di Viggo premute contro le sue.

Il pensiero di quel bacio fu come un pugno nello stomaco e lui sorrise amaramente. Quanto tempo era passato? Mesi. Eppure quel bacio rubato continuava  farlo tremare, a occupare ogni suo pensiero.

Da quando si svegliava fino al tramonto non c’era attimo in cui la sua mente non tornasse a quell’istante, alle premiere e a quello che era successo tra lui e Viggo.

Ma questo forse avrebbe imparato a sopportarlo, forse sarebbe riuscito ad indurire il suo cuore e sarebbe riuscito ad andare avanti ma l’altra cosa, quella no... Le labbra di Viggo sulle sue non era il suo solo problema…C’era qualcos’altro, qualcosa che fino ad ora non aveva avuto il coraggio di confessare a nessuno, ma che prima o poi sarebbe venuto fuori…

Da settimane aveva imparato ad temere la notte quanto il giorno, perché se di giorno doveva continuamente fare i conti col suo cuore, la notte  si trovava ad affrontare spettri altrettanto resistenti

I ricordi e qualcosa di ancora più forte continuavano ad ossessionarlo, gli occhi, lo sguardo, il respiro stesso dell’americano popolavano i sui sogni.

Nel breve spazio tra il sonno e la veglia gli sembrava quasi di poterne udire la risata, di avvertirne il profumo e il tocco della sua mano sul viso era qualcosa di reale,  di vivo…

E negli ultimi giorni le cose erano peggiorate a tal punto  che aveva creduto di impazzire. Si svegliava la mattina dopo essersi rigirato nel letto tutta la notte inseguendo fantasmi che col volto suo e di Viggo rappresentavano per lui, e lui solo, una storia che non era certo di voler conoscere. Ogni notte un pezzo in più, un’espressione, un suono diverso, fino a che i suoi sogni erano divenuti quasi più reali della sua vera vita.

 

E così era scappato, prima che si cominciasse a dire che il famoso Orlando Bloom aveva ceduto allo stress ancora più velocemente di tanti altri colleghi prima di lui ed era definitivamente impazzito.

Non sapeva bene cosa avesse detto alla sua manager al telefono la notte prima, ma doveva averla spaventata a sufficienza visto che non aveva fatto la benché minima obbiezione alla richiesta di cancellare tutti i suoi impegni per un’intera settimana…

Una settimana di lavoro cancellata in un attimo…la sola idea gli sembrava anche ora quasi impensabile…eppure lo aveva fatto…lo aveva fatto per andare a seppellirsi in una città che sembrava chiamarlo da lontano e in cui ora, per la prima volta dopo anni, poteva stare finalmente solo…

Tutto quello che voleva era trovare una risposta, chiarire finalmente tutta la confusione e la paura che sembravano non volerlo più abbandonare.

E per farlo non aveva trovato di meglio che rifugiarsi nella città dei sogni di Viggo.

Viggo…ancora, sempre presente nei suoi pensieri…

 

Quando quella mattina era sbarcato a New Orleans, nel sole di una bellissima giornata invernale, per un attimo aveva riso imbarazzato di tutte le sue paure.

Era giovane, ricco e famoso. Poteva soddisfare ogni suo desiderio,  eppure era scappato come un coniglio impaurito per qualche sogno un po’ più vivido del normale.

Per un attimo aveva addirittura pensato di fare dietro front e salire sul primo aereo per la Spagna, dove una troupe intera era ferma ad aspettare che lui si comportasse da adulto e tornasse al lavoro per cui era già stato pagato profumatamente.

Ma l’idea di potersi riposare come non faceva ormai da troppo tempo lo spinse ad incamminarsi per le vie della città…non sapeva cosa stesse cercando…ma forse era ora di trovarlo.

Ne ebbe la certezza quando si trovò di fronte ad un vecchio albergo.

Lasciò che il suo sguardo scorresse sulla facciata che avrebbero avuto bisogno di una rinfrescata, sulle merlature in legno del tetto e sugli ampi balconi che si affacciavano sulla via…

Aveva già visto quella costruzione…e non in fotografia…l’aveva vista in uno dei suoi sogni…

Era una bella costruzione, una vecchia, cadente, bellissima casa signorile, forse un po’ trascurata, ma per questo ancora più affascinante, che era in qualche modo sfuggita alla devastazione del tempo…

Un tempo giovani dame fasciate in vaporosi abiti di seta avevano aspettato sporgendosi dai balconi che i loro cavalieri le andassero a corteggiare …Una delle tante case che erano scampate alla guerra di secessione e alle sue devastazioni subendo infinite trasformazioni.

E così laddove la ricca aristocrazia aveva danzato, i profughi erano calati in tempo di guerra, con le loro armi, i loro feriti, con tutto il dolore di un esercito costretto a subire i cannoneggiamenti di una flotta nemica e che non poteva trovare scampo in una città fatalmente destinata all’occupazione, già praticamente in mano agli avversari…

Orlando si riscosse stupefatto…non sapeva cosa gli avesse suggerito quei pensieri.

Sapeva solo che un attimo prima si stava deliziando con l’idea di ricevimenti alla  “Via col Vento” e subito dopo si era sentito proiettato in un altro mondo.

Le cose intorno a lui avevano perso di consistenza, i colori erano scomparsi mentre gli sembrava di udire in lontananza il rombo dei cannoni e il lamento dei soldati sdraiati su letti improvvisati, mentre medici ormai stremati per il troppo lavoro si trascinavano da un ferito all’altro tentando di fare l’impossibile.

Ma a lui tutti quei rumori arrivavano attutiti…lui se ne stava in piedi nel bel mezzo di una stanza mentre l’uomo, sul letto davanti a lui, giaceva inerme, il viso sfiancato dalla febbre.

Lui lo guardava e sentiva il cuore che sembrava in procinto di spaccarsi al solo pensiero di non poter mai più vedere quello sguardo limpido  posarsi su di lui.

Continuava a guardare l’uomo steso davanti a lui, l’uomo che aveva il volto di Viggo, mentre pregava con tutto sè stesso di scorgere un movimento, di poter vedere quelle palpebre stanche sollevarsi e lo sguardo blu dell’altro incrociare il suo…lo guardava e intanto stringeva in mano una pistola…

Poi all’improvviso come era arrivata quella strana visione se ne andò…

Mentre tutto intorno a lui il mondo riprendeva le sue fattezze normali, mentre i colori e io suoni ritornavano a popolare la via, Orlando si guardò la mano… dove, ovviamente non c’era nulla.

Eppure fino a pochi secondi prima avrebbe giurato di aver sentito il peso dell’arma nella sua mano, e lui la stava stringendo, pronto ad usarla, mentre una strana rabbia feroce si impossessava di lui confondendosi con quel dolore che sembrava volesse devastarlo.

Il ragazzo guardò ancora una volta l’albergo di fronte a lui…non sapeva perché era lì, quale strana forza ve lo avesse trascinato…tutto quello che sapeva era che forse era venuto il momento di smetterla di scappare ed affrontare i suoi demoni, reali o fittizi che fossero.

Sospirò profondamente  e poi salì le scale dell’albergo deciso a pernottare lì.

 

Quella notte una musica malinconica entrava dalla finestra semi aperta e lo cullava dolcemente. Orlando si strinse tra le lenzuola pensando che  New Orleans era proprio come Viggo gliela aveva racconta…non c’era altro posto in cui sarebbe potuto andare e sotto il le stelle di quella strana città anche i suoi incubi facevano meno paura.

Da quando era arrivato aveva sentito che qualcosa era cambiato…non sapeva cosa, ancora non era riuscito a capirlo, ma sapeva che non era arrivato fino a lì per caso...

Qualcosa lo aveva chiamato e lo aveva guidato lì, dove i suoi sogni, il suo amore e tutte le sue paure sembravano prendersi per mano e diventare parte di una medesima cosa.

E quella cosa l’aveva spinto fino a quel piccolo albergo, fino quella stanza dove ora stentava a prendere sonno nonostante la stanchezza.

Avrebbe solo voluto che Viggo fosse lì con lui, avrebbe voluto stringersi al suo petto e parlargli di quello che gli stava accadendo…degli uomini che popolavano i suoi sogni e il cui ricordo gli riempiva il cuore di tristezza.

Viggo…Viggo avrebbe capito…Viggo avrebbe saputo cosa fare, avrebbe saputo parlare con loro…con il ragazzo che impugnava la pistola e aveva il cuore squassato da una pena che non sembrava dover mai finire, con l’uomo disteso sul letto che aveva il suo volto e, Orlando ne era certo, anche gli stessi bellissimi occhi azzurri…

Si agitò ancora una volta nel letto…il sonno che si avvicinava… le ombre di quei fantasmi che tanto aveva  voluto evitare che si addensavano attorno a lui, mentre la stanza cambiava e la musica si affievoliva sostituita dall’immobile ticchettio di una pendola appesa alla parete…Orlando sentì il vecchio timore farsi strada ancora una volta…non voleva sentire tutto il dolore del giovane seduto ai piedi del letto…non voleva rivedere l’uomo che stava disteso di fronte a lui mentre la vita lo abbandonava…non voleva vedere Viggo che moriva mentre lui non sapeva che fare…Viggo…Viggo…

E da qualche parte nella sua testa la voce di Viggo gli rispose, l’eco di un lontano ricordo, la Nuova Zelanda, prima che tutto diventasse così difficile, prima di quei sogni, prima di quel bacio che era stato anche l’ultimo…Viggo che rideva, una bella risata allegra…lo stava prendendo in giro perché Peter gli aveva appena fatto una bella lavata di capo per aver dimenticato di fare qualcosa…

-Elfboy…possibile che ti sia impossibile imparare ad ascoltare?- gli aveva detto, passandogli una mano tra i capelli mentre lui arrossiva come un ragazzino…

Ascoltare…ascoltare…Viggo lo avrebbe fatto…ascoltare, non fuggire, ascoltare quello che quelle ombre erano venute a dirgli, aprire il cuore e capire…finalmente capire…

D’improvviso non c’era più paura in lui, quei fantasmi non volevano fargli del male... e doveva sapere.. la sua parte ancora vagamente cosciente si arrese...

Una vecchia stanza d’ospedale, un letto di ferro, un tavolino, alcune bacinelle con dell’acqua e dei piccoli asciugamani alcuni ordinatamente impilati, altri messi da parte. Se stesso, più giovane, che detergeva la fronte di quell’uomo, quello che era Viggo e che adesso giaceva ferito in quel letto.

La luce del pomeriggio filtrava dalla finestra  fino a sfiorare quei corpi, quegli oggetti... Orlando si agitò nel sonno ed i pensieri di quel ragazzo furono i suoi....

 

Era lì, finalmente. Un sospiro sollevò il suo petto, mentre la sua mano correva a tergere il sudore che imperlava la fronte rovente di Robert. La febbre era alta, ma era normale in caso di ferite, doveva solo tenerla bassa e fare in modo che non si debilitasse. Cambiò nuovamente il piccolo asciugamano che utilizzava per bagnare la pelle e mantenerla fresca... Si asciugò il sudore della propria fronte con il dorso della mano.  Spiò ancora il volto arrossato dalla febbre cercando un segno, uno qualsiasi... ed il cielo esaudì le sue preghiere perchè vide le palpebre tremare. Preparò uno dei suoi sorrisi... non voleva che Robert lo vedesse preoccupato e si riavviò incosciamente i capelli.

- Beau ! Ma che diavolo...- l’uomo quasi si rialzò di scatto quando lo riconobbe...

Il ragazzo gli poggiò una mano sul petto – Non fare movimenti bruschi!..- Sorrise- credevi che ti avrei lasciato ferito e solo?- Gli prese una mano.- Sono corso non appena abbiamo saputo che eri ferito.

- Sean Beauregard Lussac tu sei pazzo! E la tua famiglia lo è ancora di più...- la voce dell’uomo era un mormorio, si rendeva conto di non avere abbastanza forze.- New Orleans è praticamente in mano ai Nordisti...-

Un sopracciglio si inarcò sul viso di Beau:- dillo a me che ci son dovuto arrivare...- sorrise con una malizia che era tutta sua...

L’uomo impallidì ed il respiro gli si fermò un istante pensando a tutti i rischi che quel giovane incosciente doveva aver affrontato.

- Non  pensarci... ho fatto l’unica cosa ragionevole...  sarei morto d’angoscia e di paura senza avere tue notizie..., senza sapere come stavi – gli sfiorò i capelli, scostando una ciocca che gli era ricaduta sulla fronte ed arrestando le gocce di sudore che avevano nuovamente imperlato la sua fronte.

Ancora una volta quel mascalzone aveva indovinato i suoi pensieri...

- Come fai? Come fai sempre a sapere cosa sto pensando?- la sua voce era sempre più debole, mentre combatteva per rimanere cosciente. Era un vecchio scherzo, il loro... e così sapeva già la risposta che sarebbe arrivata.

- Lo saprai quando non ti servirà più...- continuò a sorridere anche se gli occhi di Robert si erano richiusi.

I giorni seguenti furono pesantissimi... la febbre si alzava e Beau dovette tenerla a bada con continue spugnature. Robert non lo riconosceva quando apriva gli occhi anche se continuava a mormorare il suo nome in frasi sempre più smozzicate. Il ragazzo tremava guardando quegli occhi azzurrissimi che la febbre rendeva innaturalmente brillanti e quegli zigomi scavati. Cercava di mantenerlo in forze con del brodo leggero ma si rendeva conto che la febbere stava divorando quel corpo muscoloso e tonico...

I medici dell’ospedale continuavano a scuotere la testa e mormorare strane frasi e somministrare strani intrugli...Una notte, in cui la febbre si era alzata ancora di più, Beau, rientrando nella camera di Robert dopo essere andato a prendere il solito carico d’acqua, ne trovò due ai piedi del letto che si apprestavano a salassarlo. Non disse nulla ma nella camera risuonò il rumore di due pistole che venivano armate. I due uomini alzarono il viso e si ritrovarono a fissare la canna della pistola impugnata dal ragazzo.

- Alzatevi- la sua voce era fredda come il ghiaccio.

-Giovanotto, non fate sciocchezze..- il più anziano dei due sorrise con sufficienza ed allungò una mano come  per scostare l’arma- sappiamo che siete preoccupato per il vostro amico.. ma sappiamo quello che facciamo-

Beau non si mosse di un centimetro: -Alzatevi ed andatevene. –la sua voce non ammetteva repliche- Avete ucciso mia madre con i vostri salassi. Non vi permetterò di uccidere lui.- Non c’era nessuna indecisione nella sua voce ed i suoi occhi erano di pietra- Indicò la porta con un cenno della testa- Andatevene. Ora-

Uno dei due alzò le spalle, mentre l’altro, più giovane, uscendo gli ghignò sul viso: -vedremo cosa direte quando domattina dovrete seppellirlo..-

Beau resistette fino a che la porta non si richiuse, poi le pistole gli scivolarono di mano e si inginocchiò sul letto di Robert.

Gli prese una mano tra le sue. Un gemito disperato gli uscì dalle labbra, mentre le lacrime rigavano le sue guance:

- Robert, Robert... non ce la faccio più. Robert, ti prego, so che mi senti, tu devi reagire. Ti prego, Robert. Tu sei sempre stato accanto a me. Mi hai protetto, mi hai insegnato tutto quello che so. Mi hai raccontato le favole, mi hai insegnato a nuotare, a cavalcare..a...a corteggiare le ragazze... –un sorriso gli si dipinse sulle labbra mentre tirava col naso e si passava la mano sugli occhi per asciugarsi le lacrime- Non puoi andartene così. Non puoi lasciarmi in questo modo. Quando da piccolo dicevo le preghiere delle sera ho sempre immaginato che la Vergine Maria fosse la mia mamma perchè lei non c’era più, ma non ero triste perchè sapevo che ci saresti stato tu... Robert.... amico mio. Robert, tu devi vivere, devi farlo perché io, da solo, non posso stare... So che sono stato sempre una palla al piede, so che forse la tua vita sarebbe stata migliore senza di me..ma non è colpa mia se la situazione è questa... Robert, io non posso immaginare di non vedere più i tuoi occhi, il tuo sorriso... di non sentire le tue punzecchiature... amico mio...- Si lasciò cadere accanto al corpo dell’uomo, circondandolo con le sue braccia. Un singhiozzo più forte gli squassò le spalle e le lacrime corsero più veloci per un tempo che sembrò lunghissimo poi, poco a poco, il respiro si fece più tranquillo e Beau,  spossato, si addormentò stringendosi a Robert.

 

La luce dell’alba sfiorò le palpebre del giovane che si riscosse e, rendendosi conto di essersi addormentato, si alzò di scatto.

Il gelo invase il suo cuore, si era addormentato accanto a Robert e... non aveva mai visto il viso dell’uomo così rilassato, così sereno... deglutì mentre la consapevolezza che doveva essere morto si fece strada in lui. Era morto…così, mentre lui dormiva al suo fianco…era morto e lui non era stato abbastanza forte da rimanergli accanto...Qualcosa che era più che semplice dolore gli attraversò il cuore…qualcosa che lo schiacciò, che gli impedì  di respirare. Robert era morto ed era come se il mondo intero si fosse spento davanti a i suoi occhi…

Fu allora che lo vide: un lieve alzarsi del suo petto, un tenue respiro..il respiro di chi vive…

Beau stese la mano e toccò il viso dell’uomo… non bruciava, la sua pelle non era arrossata dalla febbre...

Incredulo accostò le labbra per dargli un bacio sulla fronte e si rese conto che la febbre era passata...

L’urlo che lanciò avrebbe resuscitato i morti e svegliò anche l’uomo che aprì le palpebre....

-Beau...- un mormorio sommesso

 

Le immagini sfumarono veloci dalla mente di Orlando... un istante era lì, teneva la mano di Robert tra le sue e l’istante dopo era seduto sul suo letto che fissava la luce del sole entrare dalla finestra.