.|.  Anmírë Anna - Il Dono più Prezioso .|.

Note: In teoria gli Elfi non dormono… o comunque non lo fanno con gli occhi chiusi. In questo capitolo Legolas dorme con gli occhi chiusi. Fidatevi: non è un errore…

Note 2: …Uhm… che dire in mia discolpa? Questo capitolo è molto… uhm… particolare. Prima è cupo, poi diventa *hot* (Non c’è nessun dettaglio ‘proibito’, non preoccupatevi! Però alcune scene con Ara e Lego mi sono venute abbastanza coinvolgenti!), poi degenera in una scena comica, poi è romantico, poi di nuovo triste…! Che confusione, mamma mia!

 

Capitolo 9

~

* * * * *

 

Era stato un giorno speciale, per la Terra di Mezzo.

Un giorno luminoso segnato dalla gloriosa vittoria degli Elfi e degli Uomini al Fosso di Helm, ma non per questo la notte aveva risparmiato nel suo viaggio quel luogo martoriato. Al contrario, essa era strisciata giù dalle montagne come una maestosa Regina dal manto tenebroso, portando con sé come vassalli un gelo senza pari ed un tremore senza nome.

Persino le stelle si celavano alla vista in quella strana notte maledetta, occhieggiando smorte dietro un grigio sudario di nebbia. Aldilà dei colli, il vento gemeva e piangeva come un bimbo abbandonato.

Sembrava che tutta la tristezza del Mondo si fosse riunita in quel cielo, ed aleggiasse come uno spirito inquieto nelle ombre - come Lúthien che andava in cerca del suo amato Beren, evanescente, con le piccole mani candide che balenavano nel buio, la dolce voce sussurrante che chiamava senza posa quel nome tanto amato, i lunghi capelli neri fluttuanti come stralci scuri di fumo evanescente.

O forse, era solo Aragorn a sentirsi così affranto, quella notte.

Seduto al davanzale nella camera che gli era stata riservata nella Fortezza, il futuro Re degli Uomini ripensava agli eventi di quel giorno così splendido, e si tormentava.

Le sue mani portavano ancora su di sé i segni della battaglia - e sangue, e terra, e pioggia, e lacrime. Guardò quei segni per un lungo momento, poi nascose il viso imperlato di sudore tra i palmi gelidi. Dalla sua bocca uscì un sospiro.

Avevano guadagnato tanto quel giorno, ma le perdite erano state tremende. Decine di Uomini, centinaia di Elfi, amici, compagni, caduti sotto i colpi di un destino crudele. Volti sconosciuti, volti apprezzati, volti amati, lo tormentavano nel buio dietro le sue palpebre abbassate. Occhi che lo avevano fissato con ammirazione e fiducia dagli spalti prima della battaglia, e aveva poi visto aperti sotto la pioggia battente, privati della loro luce, quando essa era terminata. Labbra che si erano riempite della preghiera del suo nome, e che poi aveva visto traboccare di liquido scuro e denso. Mani che avevano stretto le sue, e che poi aveva visto affiorare dal fango come colombe annegate. Gente che aveva toccato, incoraggiato, aiutato, e che era ora poco più che una manciata di cenere che viaggiava al vento.

Li aveva persi, sebbene non fossero mai stati veramente suoi.

Il suo popolo, la sua razza, i suoi amici.

Aveva stretto un elfo morente al petto - un Elfo che lo aveva portato in braccio quando Aragorn era stato solo un bambino, un Elfo che credeva che il futuro fosse solo un’eterna successione di luce ed ombra che sarebbe andata avanti per sempre, fino alla fine del tempo, una fine che lui avrebbe visto, coi suoi propri occhi, e di fronte alla quale avrebbe riso.

Nemmeno ciò che è immortale vive per sempre.

Come aveva perso Haldir, un giorno Aragorn avrebbe perso la sua stessa vita.

Come aveva perso Haldir, un giorno Aragorn avrebbe potuto perdere Legolas.

Il Ramingo tremò convulsamente, come un uomo in preda alla febbre, e singhiozzò, sebbene i suoi occhi rimasero asciutti.

Come aveva visto Haldir morire nella realtà, così vedeva morire Legolas ogni qualvolta chiudeva gli occhi.

E lui ancora non sa quanto lo amo…

Il suo sguardo vagò attraverso la stanza fino al letto.

Sopra le logore lenzuola di lino che la luna infiammava di bianco, Legolas dormiva con una mano sotto la guancia.

La linea dolce della schiena e del fianco, orlata d’argento, affiorava traslucida dalle ombre della notte, più sinuosa e sensuale di quanto possa aspirare di essere una qualsiasi forma umana. I suoi capelli sbocciavano tra i cuscini in una rosa luccicante. Aveva gli occhi chiusi, le lunghe ciglia abbassate sulle guance, il mento piegato e la linea perfetta del collo esposta ai baci della luna. Dalle labbra schiuse usciva un respiro tenue come quello di un bimbo.

La profonda serenità e l’incantata gloria di quel volto, quell’improvvisa illusione di fragilità che tanto attira gli esseri umani e sveglia in loro i più nobili istinti, vinse qualsiasi reticenza Aragorn potesse avere.

Come preda di un magnetismo, il Ramingo sentì il suo corpo muoversi, alzarsi, girarsi e scivolare verso Legolas; sentii le sue dite alzarsi come per volontà propria, tracciare il contorno dolcemente illuminato di una guancia, perfetta e liscia come nemmeno i frutti più dolci possono essere, e scivolare fino alle labbra seriche.

Aragorn tremò ancora, in un misto di adorazione e paura.

Come spiegare la sensazione che sgorgò in lui come uno zampillo di luce dorata? Era amore, quella passione che va oltre la mera bellezza fisica, e che non muore quando i sensi decadono; quell’ardore che ha in sé tutto ciò che è nobile, e tutto ciò che è puro, e tutto ciò che desiderio ardente. L’amore come l’aveva conosciuto Beren, e Lúthien, e Nimrodel, e i Valar stessi.

Fuso ad esso, c’era quel terrore agghiacciante della perdita che solo un animo innamorato conosce.

Infine, come una bolla d’aria rimasta impigliata in una corrente tortuosa, in lui s’agitava un barlume del più fine orgoglio - orgoglio che una simile creatura fosse sua, che gli appartenesse, che volesse stargli vicino, tanto vicino da voler condividere gioie e dolori, perdite e passioni, vicino come nessun’altro mai.

Per un attimo, Aragorn ripensò a com’era strano che un Elfo non si svegliasse alla presenza di qualcuno che si avvicina loro – nemmeno Elladan ed Elrohir avevano mai ammesso Aragorn così vicino durante il loro sonno. Ed il pensiero di avere una tale intimità con Legolas da poterlo toccare nel suo momento di maggiore debolezza, fece sbocciare una strana gratitudine dentro di lui.

Pianse, forse: non ne era sicuro. Gli occhi gli bruciavano e la sua vista si velò, ma non c’era sale sulle sue labbra.

Valar! pensò, questo è amore! Questo è desiderio! Qualsiasi passione abbia conosciuto prima, era solo una pallida ombra di ciò che sento per lui.

Con le dita sfiorava ancora la pelle dell’Elfo, quando si chinò a sussurrarne il suo nome contro il velluto del suo viso.

Con le labbra e la lingua, mappò un orecchio dalla punta sinuosa. Con la mano risalì il corpo slanciato, facendo scivolare il palmo sulla curva meravigliosamente morbida del fianco. Su, su, passando per la vita, sentendo i muscoli piatti del ventre sotto la stoffa, la piccola insenatura dell’ombelico, la minuscola duna di un capezzolo. Su, fino a sfiorargli il collo morbido con la punta delle dita, fino a cingere una spalla ingannevolmente morbida.

Lo strinse a sé, scendendo a porre omaggio al suo petto palpitante con la bocca, sentendo il battito lento del suo cuore sotto le labbra. Con l’altra mano trovò e sfiorò le dita dell’Elfo, che subito si chiusero intorno alle sue.

Un battere di ciglia. Un lieve sospiro beato.

“Aragorn…?”

“Shh…” lo interruppe. Posò un bacio sulle dita che Legolas aveva alzato verso il suo volto.

“Aragorn.” La sua voce era preoccupata ora. Poteva vedere le spalle curve del Ramingo tremolare nella luce incerta della luna. “Cosa c’è? Che succede?” Si alzò a sedere sui talloni, e prese il viso di Aragorn dolcemente tra le mani.

“Nulla, solo… stringimi, Legolas. Stringimi forte.”

Legolas lo strinse a sé; gli guidò il viso contro il suo petto e piegò la testa su di lui, così che i suoi capelli ricaddero attorno a loro come un velo che li proteggeva dal resto del mondo. Aragorn si aggrappò a lui, come se la sua vita dipendesse da quello, e premette la fronte contro la carne fresca del suo collo. La pelle dell’elfo esalava un profumo dolce di erba, di sole, di acqua di fonte. Aragorn inalò a fondo, quasi volesse marchiarsi a fuoco nella mente quel profumo distintivo e inebriante che tanto lo aveva conturbato -e rincuorato- nelle notti della loro amicizia passate fianco a fianco a guardare le stelle.

“Cosa c’è che non va? Dimmelo, Estel.”

“Ho paura,” disse semplicemente il Ramingo. Ma ciò che provava non era affatto semplice.

Ho paura di perderti.

“Tutti hanno paura di qualcosa,” gli alitò dolcemente nell’orecchio Legolas, affondandogli le dita nei capelli. Aragorn emise un suono a metà tra una risata ed un singhiozzo.

“Ah, tu non ne hai. Non tu.”

Legolas esitò un attimo, poi le sue lunghe dita affusolate tracciarono delicatamente la ferita che Aragorn aveva subito durante l’attacco dei Mannari, quando era stato dato per morto. Quando parlò, la sua voce tremò, ed Aragorn credette di sentire lo stesso tremito nel suo tocco.

“Ne ho avuta, invece. E molta.” Sospirò. “Sei un Uomo fortunato, Aragorn.”

Il Ramingo scosse la testa.

“Non è stata fortuna, la mia.”

“Forza, allora.” Aragorn si passò la lingua sulle labbra. Un tremito gli scese lungo la schiena.

“Si,” ammise. “Forza. La tua forza.” Alzò la testa, continuando a stringersi a lui, e lo guardò in viso. “In quei momenti, il mio solo pensiero eri tu. La morte mi tentava con i suoi baci tenebrosi, mi prometteva un oblio che è la fine di tutti i dolori e le fatiche, eppure la mia mente la ignorava per riempirsi di immagini di te. La tua voce ha scacciato le sue false promesse dalle mie orecchie. La memoria delle tue mani mi ha strappato al suo abbraccio gelido. E’ per te, che sono tornato.” Legolas lo guardò, ammutolito. I suoi occhi erano grandi e lucidi, le labbra schiuse in un espressione di stupore mista a qualcosa che sembrava piacere. Aragorn gli scostò una ciocca dei capelli dal viso e la spinse dietro l’orecchio, fermandosi a carezzargli la linea del mento.

“Il mio Re…” fece Legolas in un sussurro, toccandogli le labbra in punta di dita. In un momento di stordita gioia, gli posò un bacio sulla guancia. Aragorn girò la testa, e catturò quelle labbra di miele con le sue, mugolando, un gemito quasi di dolore.

Il corpo di Legolas si schiacciò contro il suo, le sue labbra si aprirono sotto la pressione della lingua di Aragorn, la accolsero, mentre le dita si chiudevano intorno alla sua nuca, tra i capelli, e lo attiravano più vicino, ancora più vicino.

Ci sono momenti nella vita di tutti in cui le linee tra sensuale e spirituale svaniscono, e durante i quali i sentimenti si fanno come fiamme d’indicibile intensità. E quel bacio che così tanto destò il corpo di Aragorn, rovente e dolce, gli toccò prima di tutto l’anima, e poi il cuore.

Con un ruggito Aragorn strinse Legolas a sé, bevendo avidamente dalla sua bocca come da una coppa, ed il calore subito esplose in lui, un dolore, un bisogno senza tempo, che accese un fuoco nei suoi lombi, un’eccitazione come mai l’aveva provata prima, e che forse non era affatto dolore.

Il sangue gli ribolliva nelle vene, le tempie gli pulsavano, il cuore pompava impazzito. Eppure allo stesso tempo Aragorn sentì la tenebra nel suo cuore rischiararsi, il suo animo farsi di nuovo integro, la sua mente febbricitante riacquistare lucidità; e una nuova determinazione, un nuovo coraggio, si accesero in lui come una fiamma candida.

Quando le loro labbra infine si divisero, fu con riluttanza, come i rami intrecciati di un albero che cerchino di dividersi, e non possono. Si guardarono negli occhi, sentendo ognuno il respiro dell’altro aleggiargli sulle labbra, e i loro cuori battere in unisono. Non dissero nulla, ma dopo un istante lungo come il Tempo, Aragorn sfiorò il volto dell’elfo con lentezza adorante. Gli occhi di Legolas si illuminarono, incorniciando un bellissimo sorriso.

Aragorn accarezzò con lo sguardo quel il corpo perfetto; i muscoli agili sotto la pelle di seta; i lunghi capelli d’oro che ondeggiavano sulla mascella nobile; le mani affusolate dalle dita forti; i giochi di luce ed ombra sui piani e le curve della sua figura.

Improvvisamente Aragorn ripensò a quella sera, così lontana nella sua memoria, passata ad Edoras insieme sullo stesso giaciglio. Ripensò alle lunghe ciglia di Legolas abbassate sulle guance d’alabastro; ai suoi occhi liquidi di passione; alle labbra tumide chiuse attorno alle dita del Ramingo, mentre con la lingua gli lambiva la pelle. Ripensò a come la luce tremolante delle candele gli avesse tramutato i capelli in una cascata d’oro; a come la sua voce roca l’avesse carezzato, facendogli rizzare i capelli sulla nuca; a come, guardandolo, avesse sentito una strana melodia d’argento risuonargli nelle orecchie.

Pazzo! Pazzo! Pazzo! Perché l’aveva allontanato? Perché non gli aveva aperto le braccia, non l’aveva accolto, non l’aveva fatto stendere in quella luce abbacinante e non l’aveva preso?

La luce rosata di una falsa alba scivolò nella stanza, facendo danzare miriadi di particelle argentee. Una brezza odorosa salì dall’erba bagnata col primo calore, e si udì il cinguettio gaio degli uccelli.

Dolcemente, Aragorn fece scivolare le dita lungo il volto dell’Elfo, ma i suoi occhi si erano fatto scuri, colmi di desiderio. La sua voce era roca quando mormorò: “Sii mio, Legolas. Adesso. Qui. Ora.”

Legolas fremette, schiudendo le labbra, quasi che il turbamento sensuale di Aragorn avesse raggiunto e colmato il suo corpo come un’onda. Lo guardò attraverso le lunghe ciglia abbassate. Il suo petto palpitava tremante, ma la sua voce era ferma come la nota di un flauto quando sussurrò contro le labbra del Ramingo:

“Sei sicuro? Sicuro di voler tradire Arwen? Sai quello che fai?”

Aragorn nascose il viso contro il suo collo, affondandolo tra i capelli profumati. Con una risata arrochita dal desiderio gli strinse la mano nella sua, che tremava. Sentì la morbida carne del suo collo ardere contro la guancia. Il suo respiro si fece accelerato.

“Questo non è tradimento,” mormorò, fermandosi poi a lambirgli la pelle dolcemente con la lingua. E per lui, era vero.

Legolas tremò, convulsamente; inghiottì un respiro come un Uomo che, perso nei flutti oscuri, irrompe infine in superficie.

Dolore e piacere si fusero in lui nella più sgargiante delle alchimie. Le parole che Aragorn aveva mormorato nella foga della passione, parole veritiere, parole dell’anima, parole d’amore, l’Elfo le aveva capite nell’unico modo a lui possibile:

Questo non è tradimento, poiché io non ti amo.

Chiuse gli occhi contro un ondata di dolore, e schiuse le labbra di fronte alla promessa del piacere.

Legolas sapeva che Aragorn apparteneva ad Arwen, e già da tempo. Era giusto lasciargli tradire la sua adorata, il suo unico amore? E poi, il dolore di perderlo non sarebbe stato mille e mille volte più amaro se il suo corpo avesse conosciuto ciò che gli sarebbe stato negato poi per sempre? Valeva la pena dannarsi l’anima per un unica notte insieme? Unica, visto ciò che aveva in mente di fare una volta giunti a Gondor?

Oh, ma perché ingannarsi? I dubbi, i rimorsi… erano solo scuse. Fin dal primo momento in cui aveva saputo che Aragorn poteva essere suo, anche se solo una volta, la sua scelta era stata fatta e il suo destino deciso.

“Si,” mormorò. Aragorn si fece immobile come una statua. Le ombre rendevano impossibile indovinare l’espressione sul suo volto.  

“Si.” Il respiro di Legolas era caldo sulla sua guancia, le sue labbra gli bruciarono la pelle, il mento, la bocca. Lentamente l’Elfo si lasciò ricadere indietro sul letto, portandolo con sé.

“Si,” mormorò ancora, mentre Aragorn gli baciava la vena pulsante alla base del collo, gli apriva lentamente la lunga casacca d’argento. Il suo tocco era lento e adorante, come quello di un Uomo infine ammesso dinanzi alla reliquia sacra che ha inseguito tutta una vita.

“Si.” Aragorn gli prese il labbro tra i denti, mordendolo come avrebbe morso un frutto maturo. Il suo sapore era dolce e senza fine, era vino e fiamma, una contraddizione inebriante. Il petto nudo si alzò dalle ombre e sfiorò il suo, mentre dita agili scioglievano le corde che tenevano insieme la sua veste logora. Il contatto di pelle nuda contro pelle nuda fu come quello di una fiamma su una miccia – li stordì, li lasciò senza fiato, premuti l’uno contro l’altro.

“Si.” Mani che scivolarono verso i fianchi, esitarono, si fermarono. Gli occhi di Legolas, grandi, immensi, scuri come la notte più scura, come le acque più profonde. Al mondo non c’era altro che il suo viso ed il suo profumo, stralci di luce tra la nebbia ondeggiante.

“Hai mai…? Con un…?”

“No.”

“Neanch’io.”

“Aragorn, io…” ti amo.

Gli circondò le spalle con le braccia, lo attirò a sé, lasciando che i suoi baci dicessero ciò che con le parole gli era proibito dire.

Ti amo. Ti amo. Ti amo.

Gettò indietro la testa, sentendo le dita del Ramingo tracciare le linea dei pantaloni.

“Aragorn…”

 

Le porte sbatté, la luce fiera di decine di torce inondò la stanza, e Gimli entrò rumorosamente nella piccola alcova sognante, come un tuono che squarcia il tenue cielo estivo.

“Aragorn! Legolas! Gandalf mi ha mandato a – per la barba di Thorin!”

Gimli perse cent’anni di vita, tanto fu lo shock di trovare i suoi compagni distesi seminudi su un letto, stretti come se non ci fosse un domani.

Fosse stato in suo potere, lo sguardo dardeggiante di Aragorn gli avrebbe fatto perdere anche la testa.

“Che c’è?” sbraitò il Ramingo a denti stretti, coprendo Legolas possessivamente col suo corpo. Tra i capelli che le velavano allo sguardo, le guance dell’Elfo sembravano chiazzate di rosso. Il suo petto si alzava e abbassava freneticamente. Sentiva il calore di Aragorn contro la gamba.

Le sue guance si fecero definitivamente del colore delle rose.

Gimli arrischiò un sorrisetto, poi gli occhi fiammeggianti di Aragorn gli fecero capire che un commento sbagliato avrebbe decretato la sua fine. Il Nano ebbe la presenza di spirito di mascherare il suo stupore divertito con un colpo di tosse. Girò le spalle ai compagni, dondolandosi sui talloni, e con un manrovescio chiuse la porta.

“Ahem! Come stavo dicendo, Gandalf mi ha mandato ad avvertirvi che è tutto pronto per la partenza, e che stiamo aspettando solo voi, per metterci in marcia. Specialmente tu, Aragorn – Gandalf vorrebbe consultarti sulla strada da seguire.” Aragorn sospirò, affondando la fronte nell’incavo morbido del collo di Legolas.

“La marcia verso Gondor…” borbottò mugolando. I suoi compagni attendevano l’alba per partire, e lui se ne era dimenticato!

Senza pensiero, posò un bacio sulla spalla nuda dell’Elfo. “E non poteva aspettare, quel mago maledetto? Ah! Come se non sapesse cosa stava accadendo in questa stanza! Possano i Valar punir--”

“Aragorn!” lo ammonì l’Elfo. Si tirarono su a sedere, uno di fronte all’altro. “Non dire così.”

“E perché? Meriterebbe davvero che i Valar lo—“

“Aragorn.” La voce di Legolas era ferma, ma comunque carica di sentimento. Gli prese il mento delicatamente tra le dita, ed incrociò il suo sguardo . “Non pensare che a me non importi: neanche io volevo che finisse così, ma Gandalf non merita le tue parole sprezzanti, né la tua collera. Dobbiamo andare.” Aragorn sospirò.

“Lo so. Hai ragione. E lui ha ragione a riportarmi alla realtà. Ha ragione, perché questo non è né il tempo né il luogo di pensare solo a me stesso.” Non riusciva a staccarsi da Legolas. Parlando, lo strinse ancora e nascose il viso tra i suoi capelli. “E questo, che mi ha fatto parlare in quel modo. Il fatto che abbia ragione. Odio quando Gandalf ha ragione.”

“Gandalf ha sempre ragione,” lo canzonò Legolas, carezzandogli la nuca e le spalle nude. L’Uomo sospirò.

“Devo andare, eh?”

“Già.” Legolas annuì gravemente. Le sue labbra erano ancora atteggiate in un sorriso. Aragorn scrollò le spalle con un sospiro.

“Continuo a pensare che Gandalf sia un ficcanaso impert-“

“Aragorn!”

“Vado, vado!” Fece l’Uomo, saltando in piedi e riallacciandosi frettolosamente la veste. Seguendo l’istinto, si abbassò e baciò Legolas teneramente sulle labbra. “A dopo.”

Legolas sbatté le palpebre, ed annuì. Quando si riprese dalla sorpresa, Aragorn era già svanito oltre la porta. Con un sospiro, Legolas si cinse le ginocchia con le braccia e posò il mento sulle mani. Se si fosse guardato allo specchio, si sarebbe sorpreso di vedere che stava ancora sorridendo.

Gimli resistette ancora un secondo, dopodiché scoppiò in una risata fragorosa come uno scoppio di tuoni.

“In che posizione ti ho sorpreso, Mastro Elfo! Gli Hobbit darebbero qualsiasi cosa per sentire i dettagli, accuratamente esagerati, di ciò che ho visto - e non solo loro!! Uhm, una buona scorta di Erba Pipa per la Stagione fredda non me la toglie nessuno!”

“Gimli,” disse Legolas in tono lento e volutamente minaccioso, ma il Nano continuò a ridere.

“Oh, non pensavo sarebbe venuto il giorno in cui avrei visto il Prode Guerriero Elfico Orecchie-A-Punta sospirare ed arrossire come una Damigella Innamorata! Carino! Veramente carino! Una Principessina non sarebbe sembrata più adorabile! Chi l’avrebbe mai pensato? Oh, mia dolce Legolas, ti prego, lascia cadere il tuo fazzoletto così che il tuo devoto servo possa restituirtelo e sperare in un tuo sorriso!” Si piegò in due, dandosi poderose manate sulle cosce. Il riso prorompeva dalla sua bocca come un fiume in piena. Legolas lo guardò gelidamente, con un sopracciglio arcuato principescamente.

“Ti avverto…”

“Oh, aspetta che lo dica alla Dama Éowyn!”

“Non oseresti!” Sul viso di Legolas si allargò una chiazza di rosso furioso. Gimli smise di ridere abbastanza a lungo da pretendere di stare pensando. Si chiuse una mano attorno al mento ed alzò gli occhi al soffitto. Poi scosse la testa, e ricominciando a ridere disse:

“Oh si, invece! E farò attenzione a dilungarmi sui det-ta-gli!”

“Ah, si?” Alla cieca, Legolas afferrò un calice. Lo scagliò contro il Nano, che fece appena in tempo a schivarlo prima di vedersi correre incontro un vassoio, seguito da una bottiglia di vino, l’altro calice, e qualche cuscino.

Gimli optò per una dignitosa ritirata alla velocità del suono.

Éomer, che si trovava a passare di lì per caso, schivò per mera fortuna uno dei proiettili di Legolas, e si diede alla fuga assieme a Gimli.

Una volta al riparo dietro l’angolo del muro i due si sporsero a sbirciare aldilà, vedendo solo la porta della stanza di Aragorn e Legolas sbattere furiosamente, uscendo quasi dai cardini.

“Che è successo?” chiese Éomer, sbigottito e vagamente allarmato.

“Oh, nulla. E’ solo che ad un certo Elfo non piace essere sorpreso a letto,” replicò Gimli con noncuranza, raccogliendo piume d’oca dalla barba.

“…”

 

* * * * *

 

Aragorn sedeva in sella al suo cavallo, domandandosi vagamente cosa stesse trattenendo Legolas, e ritrovandosi a pensare con gelosia che potessero essere Éowyn, o Éomer, od un altro degli affascinanti cavalieri di Rohan la causa del suo ritardo. Poi Legolas apparve sulla porta, candido come un bianco vessillo, ed un nodo si sciolse in acqua dentro il petto del Ramingo.

“Finalmente…” Esalò un sospiro sollevato, lasciò ricadere indietro la testa, con le spalle abbandonate senza forza. Gandalf si girò a guardarlo, e nei suoi occhi senza tempo guizzò una luce divertita.

“E’ preoccupazione per un Elfo, quella che sento nella tua voce?”

“No,” disse Aragorn nel suo tono di massima serietà mentre scuoteva la testa. “E’ solo pura, semplice, ed inalterata gelosia.” Affondò il viso nel palmo della mano. “Mi domando se sarà sempre così, tra di noi.”

Gandalf alzò le spalle.

“Legolas è molto bello, e la sua abilità di guerriero e guaritore è conosciuta in tutti i Regni,” disse in tono serio. “Effettivamente, se la figlia di Elrond è la Stella della Sera degli Elfi, allora Legolas è la Stella del Mattino della Terra di Mezzo. E’ probabile che molti tra Elfi e Uomini, siano essi maschi o femmine, resteranno conquistati dalla sua luce, e proveranno a vincere il suo favore, e a strappartelo. Comunque, una volta che sarete legati ufficialmente, la tua gelosia dovrebbe sparire – o almeno scemare un poco. Ricorda che agli Elfi non piace essere considerati proprietà di qualcuno: essi sono i figli della notte, col vento nei capelli, le stelle negli occhi, ed il mare nel cuore.” Stirò le labbra in un sorriso divertito. “Non essere troppo possessivo con lui – ho motivo di credere che rimpiangeresti molto se Legolas dovesse negarti l’accesso alle vostre stanze Reali e ti confinasse a passare le notti da solo su un giaciglio di paglia.”

Sotto il colonnato ombroso, lontano, aldilà della piazza, Legolas si attardava ancora con Gimli.Tendendosi in avanti a carezzare il collo irsuto di Brego, Aragorn lanciò un’occhiata obliqua al Mago, tentando di decifrare la sua espressione.

“Non sei sorpreso?” chiese Aragorn.

“Non si torna dalla morte ignari di una cosa come il legame tra i due Principi della Terra di Mezzo, Aragorn.” Le folte sopracciglia si incurvarono sopra gli occhi color del cielo. “Cosa ignoro è come mai Dama Galadriel ha deciso di far valere adesso un contratto tanto antico come il Patto di Elendur.”

Aragorn si rabbuiò, confuso.

“Parli di un unione ufficiale, di un legame pubblico, e di contratti. Cosa intendi esattamente?”

Il sorriso morì sulle labbra del Mago.

“Non lo sai? Hai ereditato pubblicamente i doveri del Patto, e non sai cosa sia?” Aragorn sembrò confuso.

“No.”

“Cosa sai esattamente del Patto?”

“Non molto.” Abbassò il mento in una posa pensosa. “L’ho sentito menzionare per la prima volta da Dama Galadriel, quando mi ha… convinto… ad accettare pubblicamente il mio ruolo di futuro Re.” Gandalf si incupì. “Poi Legolas mi ha… mi ha detto che si tratta di un documento sottoscritto da suo Padre, con cui consegnava ad Elendur il suo tesoro più prezioso. E che, non essendoci nomi su quel documento, ma solo la dicitura “Futuro Re di Gondor”, quel dono è passato di diritto a me. Mi ha detto che lui stesso passava di diritto a me.” Esitò. “Mi ha detto di appartenermi… è così?” Gandalf annuì gravemente.

“Si, lo è.” Aragorn chiuse gli occhi.

“Ha detto anche che io e lui dovremmo… che io… che dovrò… prenderlo.” Gandalf alzò un sopracciglio, quando Aragorn evitò il suo sguardo con una punta di impacciata riservatezza. Gandalf gli parlò allora con voce divertita e quasi condiscendente, e dentro di sé sorrideva.

“Mio caro ragazzo! Che bisogno c’è di vergognarsi? Non è forse quello che accade in tutte le coppie sposate?”

“Si! No! Voglio dire… Cosa?!

“Figlio di Arathorn!” esclamò il Mago. “Allora davvero non lo sai? Legolas ti ha rivelato i dettagli del Patto, ma non la sua natura più profonda?”

“E’ un Patto grazie alla quale la razza Elfica e la razza Umana saranno finalmente riunite. Questo mi ha detto Dama Galadriel.”

“Riunite! Davvero! Si, riunite, ma riunite dinanzi ai Valar! Aragorn, il Patto di Elendur è un contratto di matrimonio. Tu e Legolas siete promessi.”

Aragorn lo guardò incredulo, incapace di parlare.

“Ti burli di me…” mormorò infine. “No, non lo faresti. So che non lo faresti! Ma allora perché? Perché Legolas non me l’ha detto? Perché mi ha tenuto nascosto una simile cosa?” Gandalf fece un cenno con la testa verso il petto del Ramingo. Le dita di Aragorn corsero verso l’Evenstar e la catturarono in una morsa feroce.

Quello, è il perché.” Aragorn si fece pallido in volto. Per un lungo momento Re e Mago si fissarono negli occhi. Poi Aragorn mormorò:

“Legolas era promesso ad Elendur.”

“Si.”

“Si amavano? Si amavano molto?”

“Non lo so. Nessuno lo sa. So solo che la loro storia è molto simile a quella di Beren e Lúthien.”

Aragorn deglutì a vuoto.

“Racconta.”

“Lo vuoi davvero?”

Racconta.

Gandalf sospirò.

“Era il Tempo dell’Ultima Alleanza, quando accadde. Elfi e Uomini combattevano insieme ai confini di Mordor, la Terra dell’Ombra, ed ogni giorno decine erano quelli che cadevano, centinaia! La speranza svaniva dal cuore degli Uomini, il riso dai volti degli Elfi, e la tenebra era fitta sugli occhi di tutti.

“In questo clima di sconforto, Elendur figlio di Isildur era visto spesso aggirarsi tra i boschi nella notte. Da solo, in silenzio, il Principe degli Uomini vagava in cerca della sua ragione per combattere; di quel barlume di speranza che era scomparso dal suo cuore; di un ideale a cui innalzare tutte le sue fatiche ed i suoi sogni.

“Poi, una notte, mentre Elendur sostava ai piedi di una quercia antichissima a tentare le stelle indifferenti con le ballate più deliziose e struggenti che conosceva, e anelando a un miracolo, dalle nebbie uscì, cantando soavemente, una creatura di sogno.

“In punta di piedi egli avanzava, ed al suo passaggio gli alberi si inchinavano, le fronde zittivano il loro mormorio ed i fiori abbassavano il capo, spandendo attorno soavi profumi.

“Elendur pensò che il suo corpo fosse candido come le perle nel santuario dei suoi avi in Numenor, come i piccoli fiori che tempestavano i verdi declivi della sua terra, come la luce dell’alba quando danza sui picchi innevati, e l’amò.

“Pensò che i suoi capelli luccicassero come le stelle del cielo, come la luna in seno al mare, e desiderò toccarli.

“Pensò che la sua voce fosse acqua di fonte, e ne ebbe sete.

“Per lunghi istanti lo fissò in silenzio, finché la paura che egli scomparisse non lo sopraffece. Allora, “Aurêl, Aurêl!” lo chiamò, e fu estasiato di vedere quegli occhi di zaffiro fissarlo incuriositi, e poi venirgli incontro lentamente.

“Il mattino stesso Elendur era inginocchiato dinanzi a Thranduil, gemendo e pregandolo di concedergli la mano di suo figlio. Quella sera, Legolas figlio di Thranduil ed Elendur figlio di Isildur erano promessi l’uno all’altro, nel bene e nel male.”

 

Ci fu un attimo si silenzio. Sopra di loro, il cielo che andava sbiadendo sembrava la coda di un mostruoso pavone, da dove migliaia di pallidi occhi luminosi li fissavano freddi. I rumori della fortezza sorsero tutt’intorno a loro come un canto stonato, urli, risate, scrosci d’acqua, tintinnii d’armature, nitriti, zoccoli che scalpitano, mani che si urtano, cuori che battono – una cacofonia improvvisamente assordante. Aragorn sentì la bocca secca come se fosse piena di sabbia.

Con voce gracchiante sussurrò: “Devono essersi amati molto.” E,

“Nessuno lo sa,” ripeté Gandalf. Aragorn chiuse per un attimo gli occhi, e quando li riaprì essi erano del colore del mare in burrasca.

“Ma di una cosa amico mio, di sicuro ne sei a conoscenza. Quindi ti prego, dimmi: sono io realmente Elendur redivivo? Sono io l’amore che Legolas ha conosciuto tremila anni fa ed a cui si è legato? Sono io colui che il mio amore ama?”

Gandalf rispose con voce ferma ed un lieve cenno del capo:

“Tu non sei Elendur.” Ma il suo viso era grave, ed i suoi occhi si strinsero, come se sapesse di più e non potesse dirlo. “Tu sei Aragorn, e questo deve bastarti.”

Aragorn sospirò.

“Io non sono Elendur.”

“Tu sei il futuro Re. Tu sei colui che ama Legolas sopra ogni cosa. Non dimenticarlo.”

“Eppure io…” iniziò a dire Aragorn, ma non andò oltre. Il suo sguardo si era spostato dal viso grave di Gandalf al colonnato dove Legolas sostava, mani nelle mani, con Éowyn.

I due stavano uno di fronte all’altra, come immagini riflesse, i lunghi capelli alzati dal vento, le teste inclinate e le labbra vicine, troppo vicine, schiuse intorno a parole che non riusciva ad udire.

 Aragorn fu irrimediabilmente colpito dalle movenze tristi del corpo di lei, dalla curva abbassata delle sue labbra supplicanti, dal tremore impercettibile delle sue dita candide - e per un attimo non credette ai suoi occhi.

Vide la Bianca Dama di Rohan portarsi le mani al collo, la vide slacciarsi la collana a forma di fiore delle Memoria, la vide posare con mano ferma quel gioiello nella mano di Legolas, che tremò, e vide le loro dita, le loro bianche e sottili dita di alabastro, intrecciarsi insieme sopra la gemma.

Vide Legolas che provava a restituirle il gioiello, e vide Éowyn scuotere la testa fieramente alzata.

Vide Éowyn posare una mano sul cuore dell’Elfo, e vide Legolas prenderle la mano per baciarla, prima il dorso e poi il palmo, inginocchiandosi dinanzi alla Dama, e vide lei chinarsi a toccargli il capo, con le dita, e poi con la bocca.

Arwen! pensò. Sono come me ed Arwen, come me ed Arwen!

E pure mentre quella nozione lo colmava di incredulità, vide Legolas cercare il suo sguardo, e si scosse.

Se sono come me e lei, allora non si amano. Se sono come me e lei, allora il cuore di Legolas appartiene all’amore della sua infanzia. Se sono come me e lei, è Elendur che devo superare agli occhi di Legolas, non la Dama Éowyn.

L’Elfo venne verso di lui con la collana nel palmo. La guardò a lungo in silenzio, infine se l’allacciò attorno al collo. Aragorn lo guardò scivolare in groppa al suo cavallo come su una brezza, senza peso, irreale, visibile agli occhi mortali solo per volontà degli Dei. Sorrise stancamente nel vedere Gimli arrampicarsi a fatica dietro quella figura che era il centro di tutti i suoi pensieri. Voleva sfiorare la linea serica di quella labbra, affondare il volto nella luce profumata che erano i suoi capelli. Sentì il cuore mancare un battito.

“Vuole che torni,” mormorò infine Legolas, risvegliando Aragorn dalla sua dolorosa contemplazione. “Vuole che io sopravviva alla guerra, a tutti i costi, e che… torni, fosse anche solo per restituirle il gioiello. L’ho nominata Amica degli Elfi, e lei mi ha benedetto alla maniera dei Rohirrim.”

Evitando il suo sguardo Legolas prese le redini e fece girare il cavallo. Poi si fermò ad aspettarlo. I suoi occhi lo cercarono da sopra la spalla.

“Vieni?”

Il Ramingo fece affiancare Brego al cavallo di Legolas, e chinandosi verso l’Elfo gli disse in un sussurro contro la guancia:

“Quanto è accaduto questa mattina… Legolas… verrà il momento in cui potremo parlarne. In cui potrò spiegarti, se solo tu vorrai ascoltare.” Alle orecchie di Legolas, sembrò il suo modo di scusarsi per un atto di follia compiuta senza pensiero, ed annuì mestamente.

Poi però l’Elfo fu preso alla sprovvista dagli occhi di Aragorn scuri di sentimento. Fu preso alla sprovvista dalle sue dita che gli affondavano tra i capelli, dietro la nuca, e premevano. Fu preso alla sprovvista dalla bocca del Ramingo che improvvisamente copriva la sua.

Ignaro di tutto, ignaro di tutti, incurante degli sguardi stupiti, cieco e sordo a ciò che non fosse Legolas, Aragorn lo baciò, a lungo e con passione, come fosse un uomo sperduto nel deserto e la bocca di Legolas una coppa di dolce acqua fresca.

Il mondo vorticò dinanzi a lui quando lasciò andare le labbra dell’Elfo per promettergli,

“A Minas Tirith ne riparleremo.”

Affondò i talloni nei fianchi del cavallo, e partì verso l’orizzonte. Nessuno lo notò, ma non c’era nessuna gemma sul suo petto.

Legolas chiuse gli occhi, e con voce tremante mormorò al vento:

“A Minas Tirith, il mio destino si compirà, e tu avrai Arwen.” Quindi, con una carezza sul fianco del suo cavallo, si incamminò dietro il Ramingo. Attorno al suo collo, la gemma della Memoria di Éowyn scintillò fioca.

Presto, lo sapeva, il suo piano si sarebbe compiuto. Non c’era più modo di tornare indietro! Impossibile! I segni erano tutti lì, evidenti per occhi che sapessero vederli: la debolezza delle sue membra; l’ombra che si allargava nella sua mente; il silenzio che stordiva le sue orecchie; la lucentezza dei suoi occhi che si smorzava, come una candela al vento, mentre la qualità madreperlacea della sua pelle si opacizzava in un pallore mortale.

Si, si, presto Aragorn sarebbe stato libero! Libero dal Patto di Elendur, libero di avere colei che amava!

Legolas sapeva, aveva intuito da tempo, che c’era un modo, un unico modo, per rendere nullo il Patto eppure far si che Aragorn salisse al trono. Ed una volta che avesse portato a termine il suo disegno nessuno, nemmeno Thranduil in persona, avrebbe potuto obbiettare alle nozze di Aragorn ed Arwen. Come avrebbero potuto? Sarebbe stata solo una disgrazia! Aragorn non avrebbe rifiutato il dono degli Elfi, l’avrebbe solo perso! Aragorn non avrebbe avuto colpa, perché Aragorn non avrebbe saputo nulla!

Legolas sospirò.

Sto svanendo a poco a poco, come ogni Elfo che ama e non è corrisposto. E’ il mio destino. E’ la mia scelta. Nel momento in cui metteremo piede a Minas Tirith, io morirò, e il mio cuore addolorato dormirà per sempre.

 

Immobile in piedi in cima alla scalinata, Éowyn li guardò scomparire nella luce rosata dell’alba, il suo fratello ed il suo amato, e,

“A Minas Tirith,” sussurrò, “A Minas Tirith ci rivedremo. Non ti lascerò compiere il tuo piano, Legolas. Mai.”

Voltandosi, scomparve dentro la Fortezza, inghiottita dalle sue ombre come una luce in un pozzo di tenebra.

 

            -TBC