.|.  Anmírë Anna - Il Dono più Prezioso .|.

Capitolo 4

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Era l’alba del nono giorno, ormai. Al trillo dolce di rari uccelli mattutini, il sole ancora nascosto tese le braccia sopra l’orizzonte, avvolgendolo col suo pallido tepore.

Legolas aveva sempre pensato che quegli attimi di falsa luce che vi sono appena prima dell’alba fossero belli oltre ogni dire. Quando il blu della notte ancora resiste, indugiando in stralci di fumo, contro un cielo che si accende come una candida fiamma. Quando il mondo stesso trattiene il fiato, e non si può essere assolutamente sicuri che a quel bagliore ammaliante seguirà lo splendore glauco del giorno, o che il sonno del cielo non sia divenuto eterno. Quando tutte le promesse del futuro si concentrano in un unico respiro, e non vi è suono al mondo se non quello del nostro stesso cuore che batte.

Legolas amava quei momenti, eppure quel giorno li temeva. Sperava che il sole non salisse ad illuminare la Terra di Mezzo, perché sentiva che avrebbe portato con sé qualcosa di oscuro e terribile. In silenzio, chino verso l’orizzonte, il Principe di Bosco Atro contemplava con apprensione la nascita giorno. Vide la luce fendere l’aria come lame bianche e ridisegnare il mondo dalle ombre; vide i colori farsi vividi e brillanti; vide la radura in cui sostava prendere vita con i suoi silenzi, la sua erba imperlata di rugiada, le rovine che luccicavano, umide, sotto un intrico d’edera.

Eppure una gigantesca cortina oscura permase a Est; le sagome minacciose e frastagliate delle montagne si ergevano, orlate di rosso, contro il cielo tenebroso, illuminato dai lampi, guizzi fosforescenti su una coltre scura come acque ignote. Una tempesta si agitava sui picchi più ameni, e distanti lamenti si ergevano, come mormorii di voci ultraterrene, ululati angosciosi che salivano dalle voragini tenebrose aldilà delle montagne.

Involontariamente, Legolas ebbe un tremito. “Dobbiamo andarcene da qui. Non possiamo indugiare: un’ombra e una minaccia si fanno strada nella mia mente…” Disse. Appena dietro di lui, seduto con la schiena contro una delle colonne, c’era Boromir, inconsciamente seduto come Aragorn la sera prima, quasi come in un’immagine riflessa.

L’Uomo si tese avanti, strappando un fiore candido come neve che ondeggiava ai suoi piedi, e iniziò a rigirarlo tra le dita.

“Ancora scuse, Legolas?” disse, vagamente sorpreso e divertito. Le sue parole si condensarono in una voluta azzurrina, prima di scomparire. Legolas tese l’orecchio ancora per un momento, poi scosse la testa. I lunghi capelli gli ondeggiarono sulle spalle.

Qualcosa si avvicina. Lo sento. Dobbiamo andarcene da qui, e riunirci al più presto con i nostri Compagni.” L’unica reazione che ottennero le sue parole fu un’alzata di spalle. Poi, “Perché non glielo dici?” chiese l’Uomo, che ancora si rigirava il fiorellino tra le dita. “È suo diritto saperlo.”

“Come posso dirglielo? Ti ho spiegato che non posso e non voglio farlo. Pensavo avessi compreso.” Legolas corrugò le sopracciglia, incrociando le braccia davanti al petto. “È per dirmi questo che mi hai trascinato qui?” Boromir scrollò le spalle.

“Si e no.”

“Sii più chiaro.”

‘Si’, perché sono convinto che tu debba confessare ad Aragorn cosa provi, per lui e per Elendur; e soprattutto quale sia il vero significato del dono di Re Thranduil--”

“Non ho intenzione di dirgli nulla. Così sarà più semplice, almeno per lui.”

“—perché come l’ho capito io lo capirà anche lui, un giorno.” Lanciò un’occhiata a Legolas, spazientito dall’essere stato interrotto, ma l’Elfo non si scompose. “Ad essere onesti, mi stupisco che non l’abbia già fatto - non ci vuole certo un genio.” Scrollò le spalle. “E ‘no’, perché voglio rinnovare la mia offerta di aiuto.”

Legolas sospirò. “Per tre giorni e tre notti hai continuato ad assillarmi con le tue offerte.”

“E per altrettanto tu le hai ascoltate, rifiutandole.” Ribatté Boromir, e gli sorrise come se volesse provocarlo. Legolas inclinò la testa da un lato, come soppesando le parole dell’altro. Infine sospirò.

“Non ti capisco. Perché ti accanisci tanto contro la mia scelta di tenere segreti i miei sentimenti?” esitò un attimo, ancora imbarazzato dal pensiero che Boromir fosse riuscito a leggere nel suo cuore come in libro aperto, e a vedere il suo amore per Aragorn. Scosse di nuovo la testa, sottraendosi al ricordo di come, quella mattina di tre giorni prima, era stato costretto, dalle acute elucubrazioni del Gondoriano, a rivelargli la verità su se stesso, Elendur e il patto che li legava. Alzò gli occhi sull’altro, e le sue labbra sussultarono visibilmente. “È la cosa migliore per tutti. Se Aragorn pensa che non lo amo, se crede che il patto mi leghi a lui solo come un servo al suo padrone, allora sarà libero di stare con Arwen, e anche la gente di Gondor non avrà nulla da ridire, se non…” si passo la lingua sulle labbra improvvisamente aride, e sentì il sapore della rugiada. “…biasimare la mia razza per… aver donato un loro simile come fosse… come se fossi un mero oggetto.”

“Ma non vedi?!” Boromir scattò in piedi, scagliando a terra lo stelo che ancora stringeva. Goccioline di linfa color latte correvano giù per le sue dita, fino ai palmi. I suoi occhi erano fiammeggianti, il tono accorato. Non fingeva affatto: la sua delusione cocente era reale quanto il sole che scolpiva il suo volto dalle ombre. “Tu lo ami, eppure gli lasci credere che non ti importi nulla di lui! Lo proteggi dai tuoi stessi sentimenti, anche facendoti del male! Questo non può essere giusto, non può!”

“Taci! Non parlare di ciò che non capisci!” Urlò allora l’Elfo. “Quello che provo non ha importanza agli occhi di ciò che il destino ha in serbo per lui! Sarà Re, e sarà felice, e se il mio ruolo sarà quello di una pedina, allora va bene!” Boromir venne verso di lui, le mani strette dolorosamente a pugno.

“Dovresti essere più egoista, Legolas. Questa non è una favola, un bel libro dove il Principino che si è sacrificato vede accordarsi ciò che più bramava in un finale strappalacrime! Questa è la realtà, e tu stai sacrificando la tua felicità per cosa?! Per una dama Elfica che nemmeno conosci, ed un Uomo morto, che disprezzavi perché voleva usarti?! Perché ti fai questo? Io non capisco.” Scosse la testa, come per chiarirsi le idee.

“Io voglio solo che Aragorn sia felice.”

“E pensi che lo farà felice vedere che ti sacrifichi per lui?” Lentamente, Legolas spostò gli occhi dalla figura di Boromir alle acque cangianti del fiume.

“Quale altra scelta ho? Dirgli la verità? Lui non mi ama come io amo lui. Dovrei forse legarlo a me approfittando di ciò che dice il Patto di Elendur, allora? E poi? Il popolo di Gondor non accetterebbe mai che il suo Re prenda un altro uomo, anzi, un Elfo maschio, come suo consorte.”

“Ma io posso aiutarti! I contratti di matrimonio, come quello stipulato tra Elendur e tuo padre, non sono rari tra la mia gente! Sono anzi tenuti in grande considerazione, e rispettati! E se pure qualcuno vorrà obiettare perché siete entrambi uomini, vedendo che vi appoggio essi non oseranno fare nulla per separarvi! Mai!” Legolas fissava ancora Boromir, percepiva le emozioni contrastanti che salivano dentro di lui, senza riuscire però a decifrarle. Sentiva l’eco distorta di un’altra voce sotto quella del Gondoriano, che immaginò appartenere all’Anello; e sotto ad essa il fievole tremolio che è proprio di un segreto inespresso.

“Non posso accettare, Boromir. Mi dispiace. Non al prezzo che mi chiedi.”

“Il prezzo! Che prezzo?! Voglio solo aiutare la mia gente!” il volto orgoglioso di Boromir era segnato da linee di preoccupazione, le labbra erano premute in una linea esangue. La delusione nella sua voce era stata sormontata dalla collera. Era angustiato, furioso, e vedeva nell’Elfo l’unica sua via di salvezza.

“Non verrò con te a Gondor.”

“Possibile che tu non capisca?! Se tu verrai, anche Aragorn verrà!” gridò “E con lui Frodo e--”

“E l’Anello. No, Boromir. Non verrò.”

“Devi! Vieni con me! Ora! E lascia che la Compagnia ed il suo prezioso carico ci seguano! Non vedi? La gente di Gondor non ti accetterà mai, senza il mio aiuto, e se il suo popolo non lo appoggerà, Aragorn si troverà costretto a rifiutare il dono di tuo padre! Scoppierà un’altra guerra, e tutti ne soffriranno!” le sue grida si spensero in un silenzio tremolante fatto di acqua gorgogliante e fronde stormenti.

Quando Legolas finalmente parlò la sua voce era stanca, ma gli occhi brillavano di quella luce imperitura e bellissima che è propria degli Elfi. La fuggevole luce delle prima stelle, cristallizzata e sublimata da secoli di malinconica brama; una fiamma ardente che trascende il tempo. Boromir ne fu toccato, ammaliato, e si risvegliò dalla sua ira.

“No, non accadrà. So come fare. Tutto si sistemerà. Aragorn avrà Arwen, e il suo trono.” Disse Legolas. Boromir sussultò, e prima di rendersene conto aveva sussurrato: “E tu? Che ne sarà di te?” Ma Legolas, invece che rispondere, sorrise; un sorriso disarmante che spezzava il cuore. Boromir crollò nuovamente a sedere sulla colonna schiantata, passandosi una mano nervosamente tra i capelli.

“Non ti capisco. Allontanarsi dalla persona amata è un dolore tremendo… come puoi infliggerti una tale ferita volutamente?” Legolas esitò un attimo, poi andò a inginocchiarsi accanto all’Uomo, che ora sedeva curvo come sotto un peso incalcolabile.

“Tu… anche tu hai una ferita simile nel cuore, vero?” per un lungo momento, lo sguardo di Boromir si perse nell’erba ai suoi piedi, come se gli steli danzanti stessero mormorandogli una storia, e pareva avesse dimenticato la presenza di Legolas. Quando infine si rivolse a lui, fu solo per fargli un piccolo cenno. Irradiava sofferenza, e quando Legolas gli poggiò una mano gentile sulla spalla, l’Elfo dovette lottare contro le visioni che fluivano in lui da quel corpo curvo.

Bianca città dai muri di pietra. Sussurri di vesti di seta, figure danzanti. Scintillii di perle e nastri, stralci di musica dolce all’ombra di statue svettanti. Camini vuoti, scale di pietra e balaustre di marmo, gradini consumati da piedi di bimbo. Sprazzi di pioggia primaverile sull’erba tiepida di sole. Odore di vento, di mare, di terra, di vita mortale. Pelle chiara, occhi di fiamma. Profumo di erba, di muschio, di miele, l’odore dell’amore. Risate sonore e carezze rubate, gocce di sudore. Spuma di mare che lambisce la spiaggia, il respiro intonato col canto del vento. Mani audaci, labbra inebrianti, e miele e vino, il richiamo del desiderio. Una goccia che cade sulla superficie tranquilla delle acque più azzurre. Il sole, la luna, riflessi d’argento nel buio. Un nome sussurrato alla pallida luce bianca.

“Boromir…”

E poi di nuovo, “Boromir, Boromir…” risuonò nelle orecchie dell’Elfo, ma pronunciato da una voce diversa, più bassa, più oscura, più fredda: quel sibilo, così odiato, amato e temuto.

L’Anello.

Legolas si scostò da lui, come se il contatto l’avesse scottato, come se la sofferenza dell’animo mortale di Boromir si fosse trasmessa alla sua carne immortale. I suoi occhi erano grandi e scuri, incredibilmente scuri, sulle guance suffuse appena di colore. Il respiro era ansante; la bocca aperta e tremante. Boromir non lo vide, gli occhi ancora fissi sull’erba oscillante ai suoi piedi. Quando parlò, il suo respiro si fece nuvole di fumo davanti alle labbra.

“Accadde quando ero ancora adolescente, in una notte di pallida primavera, tiepida, suffusa di quella luce notturna che tale non è. C’era un ricevimento, una festa in ricordo di un antica alleanza tra la mia gente e quella di Rohan. Lui era giunto lì per ordine dei suoi parenti; come ambasciatore, forse, o come messaggero. Non lo sapevo, e non mi importava. Era un guerriero, che si muoveva tra le sete e i broccati con la grazia inquietante e sensuale di un felino predatore… quei suoi ricci biondi, lo sguardo orgoglioso, il sorriso ironico… tutto di lui mi incantò. Non saprei come altro descriverlo, se non che fu amore a prima vista. Lo feci mio, o lui lo fece, poco importa. Diventammo amanti, e per anni noi…” sospirò, torcendosi le mani con tanta forza che le nocche divennero livide. “Potrai non crederlo, ma molti, no, forse tutti i nobili, i ricchi, i politicanti della mia bella città, prendono, una volta nella vita, un’amante del loro sesso, e non si curano di tenerlo segreto, perché non lo considerano scandaloso, né improprio. Succede, e basta. Persino mio padre, in gioventù, si era legato ad un giovane cavaliere di un regno vicino.” Si girò a guardare Legolas, e sorrise della sua espressione stupita. “Ricordo ancora… vi sono file e file di immense librerie, nella casa dove sono cresciuto. E io passavo ore rannicchiato all’ombra di quei mobile immensi. Mi bastava allungare la mano e scegliere, tra quegli scaffali ricolmi, un libro, uno qualunque… e sempre mi ritrovavo a leggere poemi, sonetti, canti d’amore che scrittori leggendari hanno dedicato al loro amante, il loro fanciullo adorato… devo ammettere che quelli su di te erano di gran lunga i miei preferiti, anche se le miniature che li accompagnavano non ti rendono affatto giustizia, Principe.” Sogghignò appena, nel vedere Legolas impallidire.

Cosa…?

“Non crederai che Elendur non abbia lasciato nulla sul tuo conto, negli archivi reali? Certo, il contratto di matrimonio che ti lega a lui non è menzionato da nessuna parte, ma le poesie sulla tua bellezza, ritrovate per caso o per fortuna dopo la sua scomparsa, sono letteralmente affascinanti.”

“Ma… ma io…”

Esile più di un salice, più limpido dell’acqua, più brillante di un lume! O giunco chinato su un lago, o dolce figlio dei Boschi, Legolas! Legolas! Tu sei estate e primavera, e poi nuovamente estate! Tu delle fronde le risa, e brezza sulle cascate! (questo è un mio libero adattamento della canzone dedicata a Baccadoro nel libro… sorry, ma le poesie proprio non le so scrivere… X_X Nd Nemesi) recitò Boromir, ma dopo, improvvisamente, il suo sorriso si spense, come la fiamma di una candela colta nel vento impetuoso.

“Elendur decantava l’amore… l’amore che il solo vederti aveva acceso in lui… l’amore tra due maschi. E mio padre lo detestava per questo, lo riteneva un folle! Un visionario! ‘Come può esistere sentimento tra due uomini?’ diceva. Oh, si, accettava la passione tra due uomini, la capiva, la cercava persino… ma non l’amore. Il sentimento, in faccende come quelle, era pura eresia per lui! Ed è per questo… per questa sua ottusa cecità che ho dovuto lasciare andare la persona che amavo! Solo per soddisfare mio padre, gli ho mentito, gli ho detto che non lo amavo, ricacciandolo a Rohan con l’ordine di non farsi mai più vedere!”

“Boromir…”

“E lo sai cosa fece?” continuò l’altro, urlando. “Se ne andò, si. Ma dicendo che lui mi amava, e che era stato un pazzo a credere che lo ricambiassi! Disse che l’avevo usato! Disse che avrebbe dovuto odiarmi, ma lui mi amava, mi amava ancora, e non mi avrebbe mai dimenticato!”

“Boromir…” ripeté Legolas, più forte, ma la reazione dell’altro lo sconcertò. Con una forza insospettabile Boromir lo prese per le spalle, gettandolo indietro e a terra, coprendolo col suo corpo massiccio. I loro volti erano allineati e vicinissimi, e quando Boromir scoprì i denti in un ghigno spezzato, i suoi occhi rifulsero di una luce febbrile.

“Ma se tu… se tu verrai con me… e poi Aragorn… allora vedranno! Tutti loro vedranno! Elendur è tornato dalla morte, pur di averti! E tu vai incontro alle torture di Mordor pur di non lasciare il suo fianco… capiranno… tutti capiranno quanto sia grande il vostro amore, e vedranno che anche io… anche io!!!!” rise, ma il suono della sua risata sembrava misto a rotti singhiozzi. “Ci sarà la pace, ci sarà giustizia, ed io lo riavrò finalmente al mio fianco.”

Qualcosa in lui cambiò mentre la luce tremolava nei suoi occhi, e d’improvviso fu come se la notte calasse, scura e opprimente, attorno a loro.

I pensieri dell’Uomo emanavano da lui come l’acqua che infrange la diga, e correndo spazza via ciò che trova sul suo cammino, distruggendolo. Il loro impatto sulla mente dell’Elfo era devastante, e Legolas si ritrovò, per un attimo, senza fiato. Si sentiva consumato da una fiamma maligna, come se un potere oscuro scivolasse dentro di lui e riempisse la sua anima. C’era tanto dolore, dentro quell’Uomo. Tanto desiderio, tanta tristezza, tanta passione, che era quasi commovente, eppure spaventoso. Sentiva che qualcun altro -una figura nascosta, un occhio ardente e senza palpebra che scintillava nell’ombra, un sibilo maligno che sorgeva dall’abisso- stava usando quei sentimenti prepotenti e bellissimi per tessere una tela intorno a Boromir, e con essa avvinghiarlo e controllarlo.

Era ignobile.

E Legolas, che aveva avuto un vago sentore di quanto stava accadendo al Gondoriano, aveva cercato di aiutarlo, cedendo alla sua insistenza quando voleva incontrarlo, da solo, nella solitudine della notte. Parlandogli col cuore in mano, come mai aveva fatto prima. Dandogli fiducia, coraggio, quanto più poteva. Ma a nulla erano valsi i suoi sforzi: se c’era qualcuno che poteva salvare Boromir, quello era Boromir stesso.

“Lasciami. Non voglio farti del male.” Sibilò l’Elfo, tendendosi come la corda del suo arco sotto quel corpo massiccio e mortale che lo sovrastava. Strinse gli occhi, e sotto le labbra appena schiuse si intravide il guizzo candido dei denti serrati stretti. La sua figura agile e tornita era scossa da un’ondata di emozioni, sue e di Boromir. E momenti come quello possono essere pericolosi per un Elfo, poiché essi percepiscono le emozioni fisicamente, come un fuoco, come una marea, come gelo e arsura, e possono esserne sopraffatti, fino a caderne vittima, ad annegarvi come nel più spaventoso dei gorghi.

 “Lasciami,” ripeté. “Non voglio farti del male, Boromir! Siamo compagni in questo viaggio, non nemici!” Boromir stirò le labbra in un sorriso.

“Si, noi siamo amici. Per questo tu mi aiuterai. Per questo tu verrai con me. Non vedi? È l’unico modo… salveremo Gondor… la Terra di Mezzo… tu avrai Aragorn, ed io il mio amore… saranno nostri… e nostro sarà il potere! Verrà un’era di pace, un’era illuminata, e tu sarai al centro di tutto, il mio strumento per controllare Aragorn, il potere; tu brillerai al fianco del Re, sarai la gemma, l’ornamento che nessuno potrà fare a meno di invidiarci, e tutti ti ameranno, disperandosi! (Non ho resistito… Nd Nemesi)”

“Lasciami!” Legolas si dibatté nella stretta, usando le gambe per darsi una spinta, scuotendo la testa da parte a parte. “Non senti quello che stai dicendo?! È l’anello a parlare, non tu! Riprenditi!” Legolas ansimava, come fosse esausto. Si sentiva sonnolente, afflitto e dolorante. Le emozioni che emanavano, come un incantesimo, da Boromir, si riversavano in lui con dolorosa intensità, soggiogandolo. Desiderava dormire, e al tempo stesso anelava correre tra gli alberi rigogliosi che un tempo erano stati l’orgoglio della sua terra natia. Voleva abbandonarsi alle acque scure che lo lambivano, tremando al loro tocco maligno e gelido, ed al tempo stesso sentiva il calore di mille fuochi cingergli le membra.

Quando le sue braccia –tese e premute contro il petto di Boromir, per spingerlo via- cedettero, e scivolarono senza forza al suolo, Legolas sussurrò un nome, che persino l’altro non udì, tanto lievemente l’aveva sussurrato.

“Aragorn…”

 

    -TBC