.|.  Anmírë Anna - Il Dono più Prezioso .|.

I personaggi potrebbero sembrare un po’ OOC, ma bisogna tenere conto che Aragorn è ancora frastornato dalla storia del patto, ed al tempo stesso è innamoratissimo di Legolas e super-geloso! =) Mentre il nostro Elfo è pronto a tutto pur di farsi accettare da Ara… anche a mostrargli il suo lato più dolce e remissivo!
 

Capitolo 3

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* * * * *

Quando, dopo un po’, Frodo smise di tremare, Aragorn lo staccò gentilmente da sé, e fu sollevato di vedere il Portatore annuire determinato, come a dire che stava bene, e sorridere coraggiosamente. C’era una fiamma nei suoi grandi occhi liquidi, un guizzo che era insieme espressione di dolore e di forza.

Aragorn annuì anche lui, e alzando gli occhi constatò che il resto della Compagnia –Samvise in testa- si stava dirigendo precipitosamente verso di loro. Poi colse un riflesso dorato con la coda dell’occhio, e girandosi vide Legolas in piedi sotto i rami che oscillavano, che lo guardava.

L’Elfo stava immobile nel chiarore stentato dell’alba. Il viso e le mani erano diafani, quasi splendenti; i capelli alzati dal venti gli velavano il volto, ma i suoi occhi profondissimi si stagliavano tra le ombre grigie, come finestre azzurre verso mondi sconosciuti. Aveva la stessa malinconica espressione di quel giorno tra le nebbie di Lothlórien. Aragorn credette di vederlo abbassare lievemente le palpebre quando i loro sguardi si incrociarono, e sospirare qualcosa, ma non lo udì.

Il solo guardarlo accese nel Ramingo una strana, travolgente eccitazione, che era piacevole, ma anche una tristezza che non riusciva a scrollarsi di dosso. Sensualità e malinconia duellavano dentro di lui come il mare in tempesta. Nutriva già da tempo vaghi sogni di una vita insieme, in pace, ed essi stavano prendendo possesso di lui in quel momento, soggiogandolo, come il più dolce dei veleni.

Stava cedendo quando, con una subitaneità che lo spiazzò, l’incanto fu spezzato. Con un gesto stranamente deciso Boromir si fece avanti dalle ombre e posò una mano sulla spalla dell’Elfo, facendolo voltare. In un improvviso raggio di pallido sole invernale, sopra le foglie cadute, il Principe Elfico di Mirkwood ed il Sovrintendente di Gondor si guardarono in silenzio.

Aragorn non avrebbe saputo dire quanto durò quello scambio, né quanto esso lo turbò. Provava una sensazione indescrivibile, come se qualcosa gli ribollisse nel cuore, e fiamme liquide gli scorressero nelle vene; una sensazione che si intensificò quando Boromir accostò il volto a quello di Legolas, e sussurrando contro la sua guancia disse:

“Avremo bisogno di acqua fresca per la colazione. L’attingeremo io e Legolas. Insieme.” Nel pronunciare le ultime parole il suo tono roco si era mutato nello stesso bisbiglio arrogante che aveva usato con Aragorn durante il consiglio di Elrond, e per un attimo aveva guardato il Ramingo con la stessa aria di cupo trionfo di quell’ormai lontano giorno.

“Il fiume è vicino,” Fu la risposta tesa di Aragorn. “E la spiaggia tranquilla. Puoi andare da solo”. Il suo sguardo dardeggiò verso quella mano posata in modo così bizzarramente intimo sulla spalla di Legolas, e l’odiò. Eppure dentro di sé già pregustava il momento in cui l’Elfo l’avrebbe scrollata via.

Ma quel momento non venne mai.

Al contrario, Aragorn vide Legolas annuire quietamente, con gli occhi ancora fissi in quelli di Boromir:

“Potrà volerci del tempo,” disse l’Elfo. “Iniziate pure a mangiare senza di noi.”

Aragorn li osservò in silenzio scivolare via lungo il sentiero che costeggiava la spiaggia, fianco a fianco, finché non scomparirono nel fitto bosco. Quando, subito dopo svanì anche il fruscio dei loro passi, la sensazione ispirata da quella loro confidenza cominciò ad assumere una chiarezza inquietante per il Ramingo: era geloso.

Aragorn sentì Frodo irrigidirsi quando strinse i pugni e li batté con violenza su un tronco; poi venne il sangue; il tocco gentile che costringevano le sue mani ad aprirsi, quello ruvido del panno che le ripuliva; e poi una voce che mormorava: “Andrà tutto bene. Non preoccuparti. Fidati di lui. Fidati dei vostri sentimenti.”

Stupito, Aragorn si voltò a guardare quel sorriso comprensivo, domandandosi quanto il Portatore sapesse effettivamente di ciò che provava per Legolas, e quanto invece indovinasse.

Poi Frodo indietreggiò, mormorando ancora una volta la parola ‘fidati’, e si appoggiò a Sam, che si era appena inginocchiato dietro di lui offrendo conforto.

Esalando rumorosamente, Aragorn tentò di fare proprio quello che gli era stato suggerito.

Fidarsi.

Fidarsi non di Legolas.

Fidarsi di Boromir.

 

* * * * *

 

Legolas e Boromir impiegarono quasi un’ora per ritornare dal fiume. Un’ora di troppo, per quanto ne pensava Aragorn.

Il Ramingo ed il resto della Compagnia si erano seduti a cerchio intorno ad un fuocherello di erbacce, sgranocchiando qualche biscotto di lembas. La foresta respirava attorno a loro, e il chiacchierio degli Hobbit si alzava sommessamente nell’aria, come un lieto tintinnio. Per qualche istante, sembrò che tutto fosse tornato come era una volta, e che Gandalf si fosse soltanto inoltrato nella foresta per fumare in pace un po’ d’erba pipa.

Aragorn chiuse gli occhi, e per un attimo sentì che quando Legolas sarebbe tornato gli avrebbe rivolto un sorriso, e lo avrebbe rimproverato amichevolmente per la sua abitudine di autocommiserarsi, di credersi responsabile per ciò che Isildur –e non lui- aveva fatto, e per il suo amore cieco per il popolo elfico, come soleva fare da sempre.

Quando li riaprì, Legolas era al limitare degli alberi, evanescente nella luce. I suoi occhi erano impenetrabili. I suoi passi assolutamente non umani. In mano portava una fiaschetta di acqua ghiacciata, che ancora gocciolava, picchiettando, sull’erba.

Giunse lentamente presso i suoi Compagni, poi si soffermò come se stesse riflettendo su una scelta difficile. Boromir scivolò silenzioso alle spalle dell’Elfo, lo sguardo intento su di lui, ed andò a sedersi accanto a Gimli, la bocca curvata in un sorriso misterioso.

Sospirando, Legolas si sedette ai piedi di Aragorn, così vicino che il suo fianco sfiorava le gambe dell’Uomo, con la schiena eretta, la testa piegata così che i capelli oscuravano le sue fattezze, le mani posate in grembo, di nuovo il bel balocco che Elendur aveva preteso e che non di cui non aveva potuto godere.

Il mormorio dei loro Compagni retrocesse come un’onda, finché solo lo stormire delle foglie sopravviveva nella foresta immota.

Aragorn fissò l’Elfo per un momento, accettando distrattamente, solo remotamente conscio degli sguardi posati su di loro, l’acqua che lui gli porse. Poi, mentre il Ramingo beveva, Legolas gli appoggiò la testa dolcemente sul ginocchio, giocando oziosamente con i lacci dei logori stivali dell’Uomo.

Stranamente, sebbene Aragorn bevve avidamente, l’arsura che sentiva in gola non svanì.

 

* * * * *

         -Discesa dell’Anduin –Giorno 8

La giornata era trascorsa con una lentezza ottenebrante, ma finalmente la tenue luminescenza della sera si sostituì all’umida luce diurna. Il cielo era del colore della nebbia, opaco e vago, e nubi candide attraversavano il cielo col loro incedere lento e solenne, quando la Compagnia sbarcò nuovamente sulla riva occidentale dell’Anduin per passare la notte. I nove Compagni si affrettarono a cercare un posto ove stabilire il campo mentre c’era ancora luce, ma era buio fatto quando finalmente si sederono in circolo in una radura tra gli alberi.

La luna era sorta sopra di loro in tutta la sua incantata gloria; una leggera nebbiolina sembrava avvolgere tutto in un velo trasparente. Tra i rami, verso est, si intravedevano i bagliori riflessi dall’acqua del fiume, e le lucciole danzavano sopra quelle stesse acque come per catturarne i riflessi. Non si poteva concepire uno spettacolo più bello e malinconico.

Aragorn fu strappato alla sua contemplazione dalla sensazione di Legolas vicino a lui. Come era ormai sua abitudine, l’Elfo venne a inginocchiarsi ai suoi piedi e, insinuandosi tra le sue gambe, la schiena contro il tronco ove Aragorn sedeva, Legolas gli poggiò braccia e testa sul ginocchio.

Istintivamente, Aragorn evitò gli occhi di Legolas, pur sapendo di non poter continuare a farlo ancora a lungo.

Da giorni quegli occhi erano rimasti fissi su di lui, risvegliando sensazioni fortissime e contrastanti nel suo animo. Da una parte, quello sguardo carico, significativo, posato su di lui, lo infondeva di piacere, un intimo senso di orgoglio e di calore. Ma dall’altro… come poteva Legolas accettare così di buon grado quella situazione? E come poteva pretendere da Aragorn altrettanta calma?

E c’era sempre una luce in quegli occhi, come un vago senso di aspettativa. Una muta richiesta che faceva confondere il Ramingo, lo faceva indugiare nelle sue movenze pure mentre le compiva.

Legolas voleva una risposta. E assieme con essa, voleva che Aragorn suggellasse il loro legame di fronte ai Valar.

//Una risposta? E quale altra risposta posso dargli, se non ‘si’? Non c’è mai stata altra possibilità che accettare,// pensò Aragorn. //Eppure… è giusto così? È davvero giusto così?//

Il Ramingo era frastornato dal senso di colpa.

Non che il suo amore per l’Elfo fosse scemato una volta appreso del patto; anzi, la passione di Aragorn per lui era grande più di prima.

Ma Legolas era sua amico! Come poteva accettare di trattarlo come un oggetto? L’Elfo meritava più di questo, un legame costrittivo che lo avrebbe tenuto lontano da un amore tutto suo e dalle Terre Imperiture che tanto doveva bramare!

//A Legolas non importa, e io lo voglio… lo voglio così tanto… Ma non è ingiusto che io veda avverarsi tutti i miei sogni più segreti, mentre lui dovrà sacrificarsi per mero dovere?//

Il freddo della sera si fece improvvisamente oppressivo, l’aria immobile. Il fumo della sua pipa si sollevava davanti agli occhi di Aragorn come un velo ondeggiante e denso, che distorceva il mondo davanti ai suoi occhi. La sensazione del corpo di Legolas premuto contro il suo -le dita che giravano danzando sulla sua gamba, le labbra e i capelli che sfioravano appena la sua mano, il calore che emanava- era tremenda e bellissima insieme. L’Elfo gli faceva sapere, senza parlare, che gli sarebbe stato ancora più vicino, se solo Aragorn l’avesse chiesto.

 

In quel momento Merry, che stava sbocconcellando una mela arrostita al fuoco del loro bivacco, iniziò a parlare di genealogie Hobbit e della Contea. Il suo viso, alla luce del fuoco, era giovane e allegro più che mai; ed ascoltandolo, persino Frodo sembrò riacquistare quella squisita affabilità che il suo compito di portatore aveva adombrato. Presto, anche Samvise e Pippino erano stati coinvolti nell’animata discussione, e più di una volta sia Gimli che Boromir scoppiarono in risate fragorose.

Alla fine del contorto racconto di una marachella fatta a discapito di un certo fattore Maggot da un giovanissimo Frodo, Legolas fu pregato di cantare per loro qualche antica storia Elfica. L’Elfo accettò con piacere, come aveva già fatto quando avevano raggiunto le acque del Nimrodel, e presto la sua voce risuonò chiara e cristallina, librandosi tra le ombre grigie della foresta come un falco dalle ali d’argento.

Notando gli sguardi rapiti che i suoi Compagni lanciavano all’Elfo premuto contro di lui, Aragorn sussultò. La loro adorazione per Legolas -il guerriero, l’amico, la creatura dal fascino misterioso e accattivante che li allietava col suo canto- era evidente nei loro occhi, come mai prima d’allora. Eppure essa era eclissata dal sollievo. Gli Hobbit -e Gimli, persino!- erano allietati dalla vicinanza che c’era tra lui e l’Elfo; ne sembravano grandemente confortati, ed Aragorn si ritrovò ancora più confuso.

Mentre contemplava affascinato la mani di Legolas che si muovevano come per meglio illustrare la storia del suo canto, Aragorn fece l’errore di alzare lo sguardo verso Boromir. Cupo e silenzioso, il Sovrintendente di Gondor lo stava studiando con uno sguardo impossibile da decifrare. Uno sguardo freddo, calcolatore, ed al tempo stesso impregnato di qualcosa di profondo e tristissimo, come desiderio, prepotente e inappagato, per qualcosa di irraggiungibile.

 Aragorn strinse i pugni. Aveva imparato ad odiare quello sguardo. E in quell’attimo la gelosia fece nascere in lui un impulso che il suo essere razionale repelleva: cacciare via Boromir, mandarlo lontano da sé, lontano dalla Compagnia e soprattutto lontano dal suo Elfo. Quante volte, dopo quella prima volta tre giorni addietro, Boromir aveva accampato scuse per appartarsi, da solo e lontani da occhi indiscreti, con Legolas? Quante volte, durante la notte, era venuto a chiamare l’Elfo persino mentre questi giaceva al fianco di Aragorn, e lo aveva condotto lontano tra gli alberi?

Nonostante loro credessero il contrario, Aragorn era sempre sveglio in quelle occasioni, e sempre doveva soffocare l’impulso di fermarli, o seguirli. Oh, certo non è facile ingannare un Elfo, ma Aragorn possiede risorse che altri Uomini non hanno, e l’amore, o la gelosia, acuiscono tali abilità.

In realtà Aragorn ignorava cosa facessero o deve andassero Legolas e Boromir. Ma a volte immaginare le cose è tremendo quasi quanto vederle, e le possibilità più assurde si erano affacciate alla mente del Ramingo, torturandolo.

Forse che Boromir stava ricattando Legolas per quella storia del dono? L’Elfo l’aveva detto, che gli abitanti di Gondor non avrebbero mai accettato la situazione che era stata loro imposta dal Patto di Elendur. Poteva essere che Boromir stesse concedendogli appoggio, pretendendo da lui un prezzo innominabile?

O forse si trattava dell’Anello? Magari, Boromir stava tentando di amicarsi Legolas, per poi colpirlo alle spalle!

Oppure, poteva essere tutta una vendetta verso di lui? Un piano meschino per sottrarre all’erede di Gondor, Re che Boromir non avrebbe mai accettato, ciò che più amava?

Oppure –e questa era la possibilità che più lo straziava- i due erano innamorati.

Erano innamorati, e si ritrovavano nel silenzio sensuale della foresta per scambiarsi carezze e sussurri che davanti ad Aragorn non erano più permessi, perché il Ramingo, oramai, non era altro che un ostacolo alla loro felicità…

 

Scuotendo la testa, Aragorn si alzò dal tronco per dirigersi verso Gimli. Ora sapeva cosa fare. Doveva solo trovare il coraggio di farlo.

Stanotte, si disse. Stanotte.

Senza rendersene conto passò una mano tenera, possessiva, tra i capelli di Legolas, quando questi si mosse per fargli spazio. Legolas chiuse gli occhi a quel contatto, ed una volta in piedi si premette contro il Ramingo, facendo scivolare le braccia attorno alla sua vita e nascondendo il volto contro il suo collo.

Dopo una lunga opera di persuasione, Aragorn convinse i compagni ad affidare e lui il primo turno di guardia. Legolas accettò solo a patto che di poterlo seguire: a questo non obbiettò nessuno. Allora Sam e Merry lottarono per il secondo turno di guardia, che infine fu affidato a Gimli. Boromir chiese ed ottenne l’ultimo.

Voltate le spalle alla Compagnia, Aragorn prese Legolas per mano e lo condusse via, ignorando come poteva i gesti incitanti di Frodo, e i sorrisi ambigui degli altri tre Hobbit.

Una volta raggiunto il piccolo spiazzo riarso, incastonato tra due alte colonne, rovine di un’era passata, dove avrebbero montato la guardia, Aragorn fu piacevolmente sorpreso da Legolas, che gli si sedette in grembo, carezzandolo con le braccia.

“Legolas?”

“Sssh. La notte è tranquilla. Il vento narra storie antiche a chi le sa ascoltare, e gli alberi si cullano al suono della sua voce. Non vi è pericolo qui, non per noi. Rilassati, Aragorn. Voglio che tu dimentichi tutto, stanotte. Tutte le preoccupazioni, il dolore, la paura. Non pensare a nulla.” Poi, chinandosi verso di lui come per baciarlo, l’Elfo cominciò a mormorare dolcemente nel suo orecchio una nenia ormai dimenticata.

Seduto al chiaro di luna con Legolas tra le braccia, Aragorn provò un senso di pace a lui sconosciuto sin dai tempi della sua infanzia. Una sensazione dolce, quasi sensuale, che si insinuava dentro di lui, avvolgendolo. Ma tanta dolcezza servì solo ad alimentare la sua decisione. Doveva sapere cosa stava accadendo tra Boromir e Legolas. Doveva. Per il suo amore, prima che per se stesso.

E quella notte avrebbe finalmente saputo.

Le tre ore stabilite per la loro veglia passarono così, veloci e dolcissime, e staccarsi da Legolas per ricondurlo al campo fu stranamente duro per Aragorn. Eppure, nemmeno qui Legolas lo lasciò. Depose un bacio sulla sua guancia, e poi, sdraiatosi accanto al Ramingo sotto la coperta, lo attirò a se, sorridendo. Aragorn si lasciò andare, lasciando capire a Legolas col linguaggio del suo corpo che, stavolta, non si sarebbe ribellato. Al contrario, sorprese l’Elfo cingendolo a sua volta, con foga appena trattenuta, e nascondendo il volto tra i suoi capelli, respirandone il profumo come per imprimerselo per sempre nella memoria: per quel che ne sapeva, poteva essere l’ultima volta che poteva farlo.

Passarono le ore, la luna descrisse un arco nel cielo, e il turno di guardia di Gimli venne e passò. Infine, nella falsa luce che precede l’alba, anche l’ultimo turno di guardia, quello di Boromir, iniziò.

Ma il Sovrintendente di Gondor, invece che dirigersi alle rovine intessute d’edera, si chinò verso Legolas, e gli fece cenno di seguirlo. Dopo un momento di esitazione Legolas annuì, e, una volta certo che Aragorn stesse dormendo, l’Elfo scivolò via dal suo abbraccio. Posato un ultimo, lieve bacio sulla fronte del Ramingo, Legolas si incamminò tra le fronde gocciolanti di rugiada assieme a Boromir, girandosi indietro a guardare la sagoma scura del suo amato più e più volte.

Fu nel momento stesso in cui l’Elfo e la sua guida sparirono alla vista che gli occhi di Aragorn si spalancarono, ardenti, nell’oscurità.

 

       -TBC