.|. Il Dono più Prezioso .|.

Nota 1: Scusatemi… questo capitolo è un po’ lento… >_< Ci sono tante descrizioni e poca azione…

Nota 2: C’è una scena in questi capitolo, ispirata da “Le Due Torri”… diciamo pure riciclata. =) È la stessa scena che anche Vala Enedhil aveva usato nella sua bellissima “Heleg Urui”…(cosa? Non l’avete letta? E che aspettate?! MARSH!!!)

Capitolo 2

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* * * * *

         -Discesa dell’Anduin – Giorno 1

 

“Non c’è più abbastanza luce per continuare! Fermiamoci!” Ordinò Aragorn.

Obbedienti, le due barche dietro di lui voltarono, e lentamente puntarono verso la riva occidentale.

L’acqua del torrente spumeggiava e gorgogliava intorno a loro; alberi lontani si ergevano giganteschi dalla nebbia che li aveva seguiti fin dal Bosco d’Oro. L’oscurità violetta della sera permeava l’umida gola che stavano attraversando, e già le prime stelle baluginavano fredde nel cielo alto, altissimo, sopra di loro.

Vogarono fino alla bassa spiaggia bianca, silenziosi come spiriti, e lentamente issarono le barche a riva, gli occhi fissi nella notte. I ciottoli candidi scricchiolarono e rotolarono sotto il loro peso, e un vento umido li accolse quando penetrarono tra i primi alberi della foresta, facendo gemere le fronde. Nell’aria pesava un senso di apprensione; e prima e non ultima ragione del suo esistere, era la tensione nata tra Aragorn e Legolas, che impediva ai due di parlarsi liberamente.

Una volta o due gli Hobbit avevano tentato di coinvolgerli nelle loro dispute durante il viaggio sul fiume, ma a niente erano valsi i loro sforzi, e la Compagnia camminava ora piegata sotto il peso di una strana inquietudine.

 

Una volta al riparo tra le fronde ombrose, Aragorn lanciò un’occhiata a Frodo, che camminava assonnato, allacciato a Sam per la vita; poi a Boromir e Merry e Pipino, intenti in una discussione sussurrata. Quindi su Gimli, che borbottava a denti stretti di tenebre e cattivi auspici.

Infine, deglutendo, il Ramingo alzò lo sguardo verso Legolas.

L’Elfo lo stava guardando.

Cosa, in quello sguardo, lo fece indietreggiare di un passo proprio mentre si stava avvicinando, col rumore del suo sangue che correva tumultuoso nelle orecchie? Non ne era sicuro.

Prima di scoprire la verità sul quel patto crudele e bellissimo che li legava, Legolas, incrociando i suoi occhi, aveva sempre distolto lo sguardo con noncuranza, o diretto i suoi passi verso il Ramingo perché bisognoso del suo consiglio.

Ma ora l’Elfo si limitò a fissarlo, con una luce strana negli occhi, che, nel buio, Aragorn non seppe –o non volle- interpretare.

Fu il Ramingo a distogliere lo sguardo per primo. E quando, riluttante, si diresse verso Boromir per aiutarlo a montare il campo, lo sguardo di Legolas lo seguì.

 

* * * * *

 

Acceso un fuoco modesto e sistemati mantelli e coperte attorno ad esso, i membri della Compagnia si sedettero di fronte alle fiamme guizzanti, rosicchiando soprappensiero dei biscotti di lembas. Il chiacchierio che accompagnava solitamente quelle occasioni era scomparso, diluito in un silenzio opprimente. Vuoi per la mancanza di Gandalf, vuoi per la tensione quasi palpabile che si avvertiva tra Aragorn e Legolas, un tempo inseparabili e affiatati come nessun’altro, la serata trascorse silenziosa e triste.

Gli occhi di Legolas rimasero, per tutto il tempo, fissi su Aragorn.

 

* * * * *

            -Discesa dell’Anduin – Giorno 3

 

La notte era fredda e umida, e raffiche di vento freddo spazzavano la roccia, posta a picco sul modesto accampamento, da cui il Ramingo montava la guardia sui suoi compagni. Una fitta pioggerellina aveva reso l’aria pulita e fresca, e già la grigia luce dell’alba filtrava dal basso orizzonte Occidentale. La nebbia, onnipresente, si alzava dal sottobosco in lente, torturate volute, sfiorandogli la pelle col suo tocco umido.

Aragorn, turbato dalla faccenda del dono di Thranduil più di quanto volesse ammettere, si era messo di guardia subito dopo aver terminato la sua frugale e frettolosa cena, ed era rimasto immobile nella sua postazione fino all’alba, svegliando nessuno dei suoi compagni per farsi dare il cambio.

Era la terza notte consecutiva, che lo faceva.

Stavolta però, era sicuro che neanche Legolas aveva trovato riposo; più volte Aragorn aveva percepito la sua presenza, silenziosa e immobile, vicino a lui; più volte aveva sentito lo sguardo dell’Elfo scivolare lungo il suo corpo; l’aveva sentito come avrebbe sentito il tocco della sua mano, e quelle occasioni avevano contribuito a togliergli il sonno, riempiendolo ancora di più di nervosismo, e –perché negarlo?- eccitazione.

La situazione in cui erano stati catapultati lo turbava oltre ogni dire. Scosso dalla subitanea rivelazione di Galadriel non riusciva più nemmeno a fronteggiare colui che era stato il suo migliore amico per anni.

//Legolas…//

Aragorn non aveva mai provato un simile tormento psichico.

Si, certo, ciò che voleva di più al mondo gli apparteneva di diritto. Ma gli apparteneva come poteva appartenergli la sua spada, o il suo mantello. Legolas era suo perché gli era stato dato; senza che l’Elfo potesse scegliere; senza che l’Elfo lo desiderasse. Gli apparteneva, ma come un oggetto: senza provare nulla per Aragorn, nonostante l’amore che Aragorn provava, invece, per lui.

Semmai, la riluttanza, il dolore, la fiera opposizione che l’Elfo aveva mostrato nel momento in cui era stata rivelata loro la verità sul patto che li legava, mostravano che mai l’elfo l’avrebbe ricambiato, e che questa costrizione era causa, per lui, di grande turbamento.

Per questo, irrazionalmente, come un bambino, Aragorn aveva deciso di ignorare non solo quanto Galadriel gli aveva detto, ma Legolas stesso.

 

Aragorn sedeva ancora immobile sotto il cielo che andava impallidendo, fissando gli spruzzi di pallide stelle che ancora resistevano, qua e là, in pozze d’oscurità, e pensava: ‘Dovrà stare al mio fianco per sempre, dovrà seguirmi ovunque, rinunciando forse a se stesso, se non alla vita, e alla visone di Valinor. Resterà con me come sognavo e non osavo ammettere. Sarà mio, e vivrà con me ogni giorno della mia vita, ma non mi amerà mai. E io non posso sopportarlo.’

Quando il sole si levò completamente oltre le cime degli alberi, inondandole di una tenue luce dorata, Aragorn saltò la ripida discesa e atterrò dolcemente sul terriccio umido, deciso a svegliare i suoi compagni e continuare rapidamente il loro viaggio.

La sua scelta di non dormire, che in quel momento non gli pesava affatto, avrebbe avuto, la notte successiva, un ruolo decisivo per il suo futuro.

 

* * * * *

            -Discesa dell’Anduin – Giorno 4

 

La giornata era stata lunga ed estenuante; sebbene avessero deciso di lasciarsi trasportare dalla corrente, senza remare, al fine di prolungare finché potevano i giorni di tranquillità e luce, governare le navi richiedeva grandi energie ed attenzione. Per questo Aragorn, provato dalla tensione, dalla fatica, dal freddo e dalla mancanza di sonno, crollò addormentato poco dopo aver consumato un po’ di lembas alla luce di un fuocherello ancor più piccolo della notte precedente. La Compagnia decise all'unanimità di non disturbarlo, e quando un’altra, fresca pioggerella spirò dal fiume, chiazzando la spiaggia ghiaiosa, Sam si curò di coprire alla bene e meglio Aragorn col suo mantello, prima di raggiungere l’angolino appartato dove il resto della Compagnia si era ritirato per non disturbare il Ramingo.

Legolas rimase a guardarli, per un lungo momento, con quella strana immobilità propria degli Elfi, e che nulla ha di umano. Chi l’avesse visto in quel momento l’avrebbe scambiato per una di quelle statue, bianche e sinuose, con cui gli Uomini adornavano i loro palazzi nei tempi antichi. Poi si mosse verso il Ramingo, scivolando come un gatto nella notte.

Era giunto il momento, Legolas decise, che Aragorn capisse infine cosa significava, cosa comportava, possederlo. (non in quel senso, ragazze… ;> Nd Nemesi).

 

Giunto alla piccola nicchia verde ove Aragorn era disteso, Legolas rimase a guardarlo per un lungo momento.

Il fuoco si era quasi consumato, e mandava una luce debole e calda, che sembrava raccogliersi tutta negli occhi dell’Elfo.

Persino in quel momento, preso da un sentimento che era insieme nostalgico e dolceamaro, Legolas intuì che mai sarebbero esistite due creature più affini, eppure più diverse, di Aragorn ed Elendur.

Sembrava incredibile che qualcuno potesse vedere in Aragorn le fattezze del suo avo. Ed allo stesso tempo si era costretti ad ammettere che erano pressoché indistinguibili.

Guardandolo, Legolas rivide tutti i luoghi della loro amicizia, Bosco Atro, Granburrone, Lothlórien, e tutte le strade polverose della Terra di Mezzo che avevano percorso insieme. Vedeva grande sale bianche illuminate dalle torce, e sentiva il calore dei grandi fuochi scoppiettanti; ed allo stesso tempo vagava nelle piane nebbiose e umide che circondavano Brea, sentendo la pioggia che gli scivolava sulla pelle col suo tocco freddo e familiare.

Frammenti piccoli e preziosi, sensazioni elusive e semplici che l’attorniavano, e a cui era dolce indulgere.

Da sempre gli Elfi percepiscono le emozioni con molto più trasporto di qualsiasi altra creatura.

E fino ad allora, Legolas non aveva mai provato nulla che fosse forte quanto ciò che Aragorn risvegliava in lui.

Aveva amato altre volte, prima; tempi, luoghi e persone. Aveva amato tanto, e con trasporto. Ma tutto ciò che aveva provato era stata solo un’anticipazione di questo amore.

Amore ambito; amore sfuggito; amore predestinato e infine abbracciato.

Senza staccare gli occhi dal Ramingo, Legolas si disfò del mantello, e scivolando silenziosamente accanto a lui sotto la coperta, lo cinse tra le braccia. Con sua sorpresa, Aragorn non solo non si svegliò, ma si mosse verso di lui, forse in cerca di calore.

Legolas sorrise, seppure leggermente, e lo strinse a sé.

L’aveva osservato, in quei giorni, mentre si faceva distante e cupo, ignorando non solo il patto millenario che li legava, ma la loro amicizia, i loro sentimenti. E questa libertà, questa intimità –intimità che gli era stata negata sin dal giorno in cui avevano lasciato il Bosco d’Oro- lo confortava.

L’Elfo comprendeva bene che Aragorn fosse confuso, ma… il ribrezzo che il Ramingo provava ora nei suoi confronti era tale da non consentirgli nemmeno più di parlarsi? Di guardarsi negli occhi?

Se si sentiva così tradito, disgustato, dal sapere che Legolas gli apparteneva formalmente, per via un contratto, che avrebbe detto se avesse scoperto che Legolas gli apparteneva, e già da tempo, perché era innamorato di lui?

L’Elfo si sforzò di non pensarci.

Aragorn si scosse una volta come se sognasse, e pronunciò un nome. Legolas piegò la testa, le sopracciglia corrugate, quando si rese conto che quel nome era il suo. Senza pensare, allungò una mano e spostò una ciocca di capelli scuri dalla fronte dell’uomo, ora leggermente imperlata di sudore.

“Aragorn,” mormorò. “Quando ti deciderai ad accettare il dono di mio padre? I diritti e i doveri che esso comprende? Avermi non significa evitarmi… hai un dovere verso di me, come io lo ho verso di te. Non giudicarmi crudele perché voglio seguire il mio cuore, farti mio… Tu mi odierai, e io mi odierò assieme a te, perché se avrai me mai potrai avere Arwen… ma voglio che tu sia mio. Mio, come io sono tuo, anche se solo nel corpo. Soltanto il pensiero dell’umiliazione di vedermi rifiutato mi ha impedito, finora, di farmi avanti. Ma ora sono pronto, non ha più senso rimandare, fuggire…” I suoi occhi si fissarono sul movimento lento e regolare del petto di Aragorn, che si alzava ed abbassava con ogni respiro. Sopra di loro oscillavano le sagome imponenti delle querce, forme scure contro le stelle basse nel cielo. “Tu vivi nel mio cuore, e io morirò… morirò, lentamente, lontano dal tuo. È il mio destino. Come io amo te, tu ami lei, e mentre l’estasi dell’amore è la scintilla stessa della vita di un Elfo, il dolore del rifiuto… equivale alla morte.” Lentamente, come se fosse una forza esterna a decidere, e non lui, si chinò a baciargli la fronte, le palpebre chiuse, lo zigomo alto, ed infine, la bocca.

“Ti amerò, e tu mi odierai.”

 

* * * * *

 

Quella notte, per la prima volta da tanto, troppo, tempo, Aragorn sognò.

Sognò di giorni felici e luminosi, giorni in cui non esistevano guerre e tenebra. Sognò vaghe forme nebbiose, figure di fumo che ammiccavano seducenti da un foresta verde; sognò alberi carichi di frutta che ondeggiavano sopra ruscelli scintillanti; erba verde imperlata di rugiada che si dondolava al vento, ed un cielo azzurro come acqua di alta montagna.

Poi, nel sogno si fece strada una sensazione di calore piacevolissimo, un vago sentore di fiori, ed egli fece scivolare indietro le palpebre, cercando, nella notte, la luce che aveva permeato il suo sogno. Un attimo, e vide il volto di Legolas sopra il suo, le labbra umide e schiuse, gli occhi lampeggianti di desiderio.

“Questo è un sogno…” mormorò. Dove altro, se non in un sogno, avrebbe potuto Legolas desiderarlo? La visione sopra di lui sorrise.

“Allora è un bel sogno.” Aprì la bocca per mormorare qualcosa, ma Legolas si chinò a baciarlo ancora. Aragorn affondò le dita in quei capelli d’oro, sospirò nella bocca che copriva la sua. L’estasi tornò, come sempre quando si toccavano, e con essa il desiderio. Il calore lo attraversò come un onda di luce. Poi non vi fu altro che un profumo dolce e la melodia dei loro respiri.

“Dormi, ora. Dormi, amore.” Sussurrarono le labbra che baciavano le sue. Un caldo torpore gli rendeva le membra pesanti, come un incantesimo. Allora tirò indietro la testa e studiò Legolas attentamente. I suoi occhi erano soffusi di una luce morbida e seducente. La sua bellezza bruciava così forte che a stento riusciva a guardarlo. Aragorn sorrise, e a dispetto di se stesso chiuse gli occhi.

“Sto dormendo…”

 

 * * * *

            -Discesa dell’Anduin – Giorno 5

 

Quando, il giorno dopo, il freddo sole invernale si alzò, Aragorn si svegliò alla sensazione di un corpo caldo premuto contro il suo, di braccia strette fortemente attorno alla sua vita, di lunghi capelli che gli solleticavano la guancia. Aprì gli occhi, e rimase ammutolito nel vedere gli occhi di Legolas –nebbiosi e vacui, persi in quella landa dorata che è il sonno degli Elfi- di fronte ai suoi; così vicini che le loro ciglia si toccavano, che i loro respiri si incontravano e si mischiavano nello spazio minuto tra le loro bocche.

Trascorse un minuto, o forse un ora. La luce nascente investì il volto meravigliosamente cesellato dell’Elfo, una brezza odorosa spirò dal fiume, e un uccello ramingo si alzò da un ramo in un concitato frullare d’ali.

All’improvviso Aragorn ebbe la sensazione che qualcuno lo osservasse. Strinse i denti, furioso con se stesso per essere stato colto alla sprovvista, e lentamente spostò gli occhi dal volto di Legolas aldilà dell’alcova in cui riposavano.

Reclinato con la schiena contro un albero, c’era Boromir che lo fissava. Aveva gli occhi stretti nella luce del mattino, le labbra curvate leggermente in un sorriso indecifrabile, le braccia incrociate sul petto largo.

“Dormito bene?” chiese l’Uomo di Gondor. Si mosse, e venne verso il Ramingo. Aragorn si trattenne a stento dal ringhiargli addosso un’imprecazione.

Lui, forse.” Disse invece, rialzandosi con un movimento così rapido e sonoro che Legolas scattò a sedere con lui, le mani protese verso la schiena e i suoi pugnali, ricordando in ritardo di averli rimossi la notte precedente.

Boromir salutò l’Elfo a voce bassa, con un cenno del capo, mentre si appoggiava con la schiena ad un’altro albero, subito fuori l’alcova ove Legolas era seduto. Legolas lo ricambiò annuendo, e lentamente si guardò intorno.

Sentiva il vento stormire, e l’acqua del fiume sciabordare tranquilla. Le ombre oscillavano sul terreno erboso, ma la foresta era silenziosa, e non vi era alcuna minaccia nell’aria.

Poi l’Elfo fece scivolare gli occhi verso Aragorn, e lì si fermarono.

Il Ramingo soppresse a stento un brivido. “Perché eri disteso con me?” chiese.

“Sono scivolato al tuo fianco mentre dormivi.” Disse l’Elfo, semplicemente.

Cosa?

“Questa notte è stata fredda, e umida. Volevo riscaldare il mio padrone.”

“Io non-!” La reazione immediata di Aragorn fu di urlare. Poi si fermò, gli occhi stretti, le mani serrate a pugno, ed esalò un lungo respiro. “Non chiamarmi così.”

“Io ti appartengo.” Legolas scrollò le spalle. Un movimento elegante, noncurante, che fece ondeggiare i lunghi capelli intorno al suo viso. “Ti sono stato donato.”

Io non ho mai accettato!” ringhiò.

“Ah, ma nemmeno hai rifiutato, mio Sire.” Legolas lo stava fissando con occhi immensi che sembravano catturare tutta la luce. Aragorn sentì le sue unghie penetrare nel palmo e il sangue zampillarne, ma non il dolore.

//A che gioco stai giocando, Legolas?//

Scivolò indietro, lontano dall’Elfo. La foresta era ancora immersa nel sonno; solo lo sciabordio delle onde rompeva il silenzio. Poi Legolas si alzò, stirandosi; un movimento così lento e sensuale da farlo pensare ad un amante, ed Aragorn si ritrasse ancora.

“Avresti voluto che rifiutassi?” chiese il Ramingo. Legolas non rispose subito.

“No, certo. Ma non c’è scelta.” Disse infine. Scosse la testa come per ribattere che era un concetto inaccettabile. “Ma io ti turbo, e non lo vorrei. Perché non riesci ad accettare che le cose tra noi sono cambiate?”

“Cosa intendi? Noi siamo amici da sempre, cosa può essere cambiato?” L’Elfo piegò la testa da un lato. Dimenticato, Boromir si protese in avanti per ascoltare meglio, un lampo d’interesse negli occhi.

“Non lo vedi? Eppure è così semplice. Nulla è cambiato per noi, ma tutto è cambiato tra di noi. Non lo sai? Non sai che puoi, devi, chiedermi qualunque cosa, ora, e mio diritto e dovere sarà accontentarti?” Mormorò Legolas.

“Ma questo,” Aragorn scosse la testa. “Questo lo so. Anche prima, prima di… di quanto è accaduto a Lórien,” fece roteare le mani nell’aria, “Eri sempre disposto ad aiutarmi, e lo stesso valeva per me! Siamo amici! E a questo servono gli amici! Ad aiutarsi nel momento del bisogno.” Legolas sorrise, curvando le labbra in modo appena percettibile.

“Ah, ma ora tu hai il diritto di chiedermi qualsiasi cosa, Aragorn. Qualsiasi. Ed io il dovere di concedertelo, fosse anche me stesso. È scritto.” La testa di Aragorn roteava.

“Scritto? Legolas, non capisco, cosa--?” Legolas scoppiò in una risata cristallina, con le spalle che sussultavano e i capelli ondeggianti.

“Per cosa credi che Elendur volesse il Principe di Bosco Atro?”  chiese.

“Per amore. Sei stato tu a dirlo. Per amore. Per…” si fermò. Gli occhi non si mossero dalla figura di Legolas, ma si dilatarono. “Per fare l’amore.”

Si guardarono a lungo. Gli occhi dell’Elfo erano calmi come la superficie del mare, e la sua bocca dischiusa e lenta. Poi Legolas annuì. Aragorn tentò di dire qualcosa, nonostante l’arsura improvvisa nella sua gola.

“E noi… significa che anche noi un giorno potremmo finire a…”

Dovremo.” Lo corresse Legolas con voce roca. “È scritto.”

In alto, sopra di loro, un uccello lanciò il suo richiamo stridulo. Frodo, che si era agitato per gran parte della notte in preda ad incubi angosciosi, scattò a sedere, con un urlo che gli moriva sulle labbra. Si strinse su se stesso, piegando le braccia attorno alle gambe e nascondendo il viso tra le ginocchia. Le sue spalle sussultavano, e l’Hobbit s’accompagnava con un basso gemito mentre dondolava, avanti e indietro, ritmicamente.

Boromir, preoccupato, si mosse verso di lui, ma Aragorn, risvegliato dalla sua trance da un cenno di Legolas, lo precedette, e si chinò ad abbracciare il Portatore, confortandolo.

E pure in quel momento, stringendo Frodo a sé, Aragorn comprese con orrore cosa provava Legolas per quel patto, e quindi per lui.

Non era dolore, il suo. Né disperazione. Tanto meno rassegnazione.

Legolas non provava assolutamente nulla.

 

         -TBC

TAP-TAP-TAP-TAP-TAP-TAP-TAP-TAP ß rumore che fanno le scarpe dell’autrice mentre fugge. =)