.|. Il Dono più Prezioso .|.

Capitolo 1

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Tra tutti i reami Elfici, Lothlórien era veramente il più bello. La sua magia incantava lo spirito e confortava il cuore, colmando gli occhi di bellezza.

Nonostante ciò, nemmeno in questo beato Reame riesco a trovare pace. Pensò il Ramingo tristemente. Nemmeno qui riesco a strapparmi all’incantesimo che hai posato su di me. Mi domando se riuscirò mai a smettere di pensarti. Ma… se perdessi te, per cosa vivrei?

A piedi nudi sulla sabbia, Aragorn guardava, senza vedere, la piccola vasca naturale da cui era appena uscito. Goccioline d’acqua gli scendevano da i capelli sul volto, rigandogli le guance come lacrime. Gli scivolavano sinuosamente sulle spalle nude, sul petto, tracciando i contorni dei suoi muscoli abbronzati, andando a morire tra i lacci ancora aperti dei pantaloni.

Lo sai quello che mi fai? Il solo pensiero di te mi fa impazzire…la tua pelle diafana, gli occhi luminosi, le labbra che sembrano implorare i miei baci, la voce bassa e carica come se stessi per scoppiare a ridere… o per fare l’amore.

Era al riparo tra le fronde, e l’acqua in cui aveva fatto il bagno era naturalmente calda, ma si sentì rabbrividire. Che diavolo stava pensando? Un Elfo… non si possono avere pensieri lussuriosi per un Elfo. Gli Elfi erano creature pure come acqua, come neve, come stelle. Sagge e fulgide. Bellissime.

Intoccabili. 

E lui, in un luogo a loro sacro, osava pensare a possedere una di quelle creature?

La più bella tra di esse?!

Doveva essere impazzito.

Si chinò a raccogliere il resto dei suoi indumenti, ripiegati accuratamente su un masso piatto e largo, quando il suo sguardo cadde sul ciondolo che Arwen gli aveva donato. S’immobilizzò all’istante, col respiro che gli moriva in gola. La mano si mosse per conto suo. Si allungò e si chiuse attorno all’Evenstar con reverenza. Nella penombra gli parve che il ciondolo pulsasse di pallida luce. Lo portò agli occhi, e la sua stessa voce gli risuonò nella testa.

“Io sono mortale, tu di razza elfica…è stato un sogno Arwen, niente di più…questo… appartiene a te.”

“Era un regalo…tienilo.”

L’aveva lasciata andare.

E da allora, non l’aveva più nemmeno pensata.

Colei che tutti credevano essere l’amore della sua vita.

“Perdonami.” Disse piano, posando le labbra teneramente sulla gemma. Gli sembrava che essa gli stesse chiedendo di confidarsi, e le parole gli uscirono dalla bocca prima che se ne rendesse conto; “Non riesco a smettere di pensare a lui. Lui che è mio amico e confidente… io… lo voglio, ed il desiderio è così forte che ormai e parte di me, come lo è la mia anima. Desidero assaporare le sue labbra, il suo corpo… farlo mio è un sogno che mi brucia nel petto come un fuoco doloroso.” Sorrise amaramente, chiudendosi la collana attorno al collo. “Ma non potrà mai avverarsi. Io… sono solo un amico per lui.”

Con un sospiro, si avviò verso il luogo dove i suoi compagni l’attendevano, pronti a lasciare i magici boschi d’oro.

 

* * * * *

 

Il resto della Compagnia stava aspettando Aragorn sulla riva dell’Argentaroggia, ed al suo arrivo terminarono di caricare i loro bagagli sulle barche.

L’alba si era appena alzata, ed una nebbiolina grigia aleggiava sulle rive del fiume, come una coperta stesa su di un bimbo addormentato. Lambiva la loro pelle con dita gentili, come a pregarli di restare, non partire, non partire… E la mente dava vita a forme spettrali in quel mare grigio-azzurro, illusioni languide che sparivano in un istante, come sogni fugaci.

 

La giornata si annunciava fredda e umida; ed Aragorn avvertì quella strana ombrosità come un segno carico di sventura. Si aggirava inquietamente tra le candide imbarcazioni Elfiche, controllandole e ricontrollandole sebbene non ve ne fosse motivo. Era teso, attento, nervoso; e furioso per la sua incapacità di nasconderlo.

Eppure, quando Legolas gli si fece vicino, sentì il nodo che gli stringeva la gola dissiparsi, e per la prima volta poté respirare liberamente.

“Triste è il giorno che ci vede lasciare questa terra incantata,” disse l’Elfo con voce mormorante. “Ma non lasciare che lo sconforto faccia di te la sua preda, Aragorn. Sebbene i tempi i cui viviamo sono oscuri, c’è sempre una luce a guidarci. Abbiamo sempre qualcosa di bello a cui aggrapparci, a volte senza nemmeno saperlo. Abbi fede, amico mio.”

La luce, del colore dell’argento, riverberò su di lui dalle acque, conferendo al suo volto un candore ammaliante. Per un lungo momento, Aragorn non riuscì rispondere,e lo fissò ammutolito. I limpidi riflessi del sole davano nuove sfumature agli occhi dell’Elfo dinanzi a lui, e nuove profondità. Non c’erano ombre sul suo volto. Non c’era età nella sua espressione.

Aragorn avvertì un fremito lungo la schiena, quando Legolas sorrise; quel suo sorriso orgoglioso e pulito, un curvarsi appena accennato dell’angolo della bocca. Ogni volta che gli sorrideva in quel modo, Legolas lo rendeva suo schiavo per l’eternità.

Si, indubbiamente, se Aragorn stava continuando quel viaggio, era solo perché aveva qualcosa di bellissimo a cui aggrapparsi.

Senza nemmeno rendersene conto, gli si avvicinò. Poteva quasi sentire il calore del suo corpo, il profumo della sua pelle, il suo respiro caldo contro il volto. Alzò una mano a sfiorargli la guancia, ma la fermò ad un millimetro da quella pelle calda, morbida, che lui era sicuro sapesse di miele…

“Legolas…” mormorò.

“Si?” Era un fremito quello che aveva avvertito nella voce dell’Elfo? Possibile che Legolas fosse turbato dalla sua vicinanza, quanto Aragorn lo era da quella dell’Elfo? No… non era possibile. Eppure…

“Legolas, io… per te…”

 

Nella piana nebbiosa vi fu un lampo di luce. Un rumore, impercettibile, come una vibrazione nell’aria, e Galadriel apparve tra le ombre argentee. Aragorn chiuse gli occhi, scuotendo la testa con fare scoraggiato.

“No, nulla. Vieni… la Dama desidera parlarci.”

“Si… certo.”

 

* * * * *

 

La Dama aveva portato con sé doni per ogni membro della Compagnia.

Morbidi mantelli grigi, e spille finemente lavorate in forma di verdi foglie per chiuderli. Pugnali e foderi cesellati per due degli Hobbit, e corda Elfica per il terzo. La magica luce di Eärendil, la stella più amata dagli Elfi, per il Portatore. Un lungo arco, frecce ed una faretra con le insegne del pavone per il Principe di Bosco Atro. E per Gimli, un dono che lo commosse quasi fino alle lacrime – il Nano avevo pregato la Dama di concederli un capello della sua chioma dorata, per conservarlo come la più preziosa delle gemme. Ella gliene regalò tre.

Infine, quando la Dama si avvicinò ad Aragorn, il suo volto si fece grave, e la sua voce limpida gli diede i brividi.

“Cosa desidera da me Aragorn figlio di Arathorn, nell’ora della separazione?” Vi fu un lampo addolorato negli occhi dell’uomo, che cercarono istintivamente la figura slanciata e agile di Legolas.

“Vi è sì qualcosa che desidero con tutto me stesso. Ma non è cosa che tu possa concedermi, mia signora.” La dama inclinò leggermente la testa, e fece scivolare le palpebre fino a velare per metà i suoi occhi, stranamente luminosi. Le sue labbra si atteggiarono in un sorriso.

“Non sottovalutare mai, Aragorn, i poteri dei primogeniti.” Queste parole, mormorate lievemente contro il suo orecchio, gli fecero chiudere gli occhi. Poi la Dama si scostò da lui, e con voce chiara e limpida, che echeggiò per la radura come rombo di tuono, gridò: “Io ti chiedo ora, figlio di Arahton, vuoi tu accettare il tuo destino e reclamare per te il trono di Gondor?” Aragorn udì un ansito di sorpresa alle sue spalle, come un basso rumore strozzato. Quella voce… così familiare… così sbalordita… Aragorn voleva girarsi, ma gli occhi della Dama lo trattenevano, come fosse prigioniero.

“Io…”

“Lo vuoi?”

“…io non…”

“Lo vuoi?”

“…si.” Aragorn si stupì della sua stessa voce. Di nuovo qualcuno dietro di lui si mosse, traendo un mormorio a denti stretti.

“Prendi allora il nome a te predestinato, Elessar, gemma Elfico della casa di Elendil!” Galadriel indietreggiò ancora, come fluttuando sull’erba, e distese un braccio verso la riva ove la Compagnia stava in attesa. “E con esso, ricevi il prezioso dono che il Popolo degli Elfi ha per te conservato.”

“NO!” stavolta il grido accorato svegliò Aragorn dal suo torpore, ed egli si girò immediatamente verso di Legolas.

L’Elfo aveva gli occhi febbrilmente lucidi, determinati. Una determinazione la sua che si diffuse come una vampata sulle sue guance, sopra la pelle incredibilmente pallida. Le labbra, strette insieme, sembravano aver perso il loro colore naturale.

Galadriel mosse un passo verso di lui, e lo fissò con aria grave.

“Non puoi opporti, figlio di Thranduil, non è in tuo potere.”

“Allora mi appellerò a qualcuno più alto di me!”

“Sire Elrond? Tuo Padre? Sapete bene che essi sono entrambi d’accordo con me.” Galadriel lo fissò da sotto le ciglia abbassate. “Questo giorno è stato deciso nella nebbia dei tempi, quando l’Ombra si stendeva su queste Terre ed Uomini ed Elfi si ergevano uniti contro di essa. Thranduil ha vergato di suo pugno la pergamena in cui concedeva a colui che, nella linea di Isildur, avesse rivendicato il trono di Gondor, il più grande tesoro che possedeva. Non vi sono dubbi che Aragorn è colui che in quel documento è menzionato. Non ha forse dichiarato, dinanzi a tutti noi, di voler reclamare il trono per sé?”

“Un patto così antico… non potete perpetrarlo adesso! Cosa--?!”

“Vi sono ragioni importanti dietro questa mia scelta. E alcune di esse, il tuo cuore le conosce meglio di me.” Legolas strinse i pugni. Come osava…? Ciò che serbava lui nel cuore non era affar suo!

“Non avete alcun diritto di giocare così coi sentimenti delle persone! È crudele e ingiusto! Sapete che nulla verrà da questa decisione, se non che io--” Legolas trasse un respiro affannoso, e la sua voce ritrovò parte della sua calma. “Il popolo di Gondor non accetterebbe mai che un simile dono sia fatto al suo Re! Lo riterranno inadatto, se non offensivo! E nascerebbero dissidi tra i nostri popoli che ci indebolirebbero dinanzi al Nemico! E poi…” I suoi occhi incontrarono quelli di Aragorn per una frazione, e l’uomo si stupì nel vederli colmi di dolore e rassegnazione, misti ad un emozione a cui non sapeva dare un nome, ma che era sicuro di conoscere. Era come un barlume di speranza, un desiderio profondo e tristissimo che avrebbe tormentato l’Elfo fino alla fine del tempo. Aragorn sentì l’irrefrenabile impulso di allungare la mano e toccarlo, stringerlo, baciarlo sulle guance, il collo, i capelli, fino a ché il suo dolore non fosse svanito. “… e poi lui ama Arwen. Lei e nessun altro.”

I membri della Compagnia si scambiarono delle occhiate curiose; siccome la maggior parte della discussione tra i due Elfi era stata svolta nella loro lingua madre, non avevano capito quasi nulla, se non qualche nome familiare qua e là. Solo Frodo lasciò scivolare il suo sguardo da Legolas ad Aragorn -che ancora si fissavano, stranamente muti- con un lampo di comprensione.

Galadriel inclinò la testa, e come se fossero stati chiamati a gran voce, il Re degli Uomini e il Principe degli Elfi si girarono verso di lei.

“Conosci la tradizione, Principe. Le promesse sono sacre per il nostro Popolo. Intendi tu spezzare la promessa più alta che tuo padre abbia mai fatto, e disonorare il suo nome dinanzi ai Valar?” Un attimo. Poi Legolas scosse debolmente la testa, gli occhi bassi e le mani ancora strette a pugno. “Allora fatti avanti Principe di Bosco Atro, e consegna al Re di Gondor ciò che è suo di diritto.”

Legolas emise di nuovo un basso gemito, e mormorò qualcosa di inaudibile nella sua lingua madre, a cui la dama rispose semplicemente:

“Non esserne certo, Legolas Thranduilion. L’Amore ha molte più vie di quante tu possa immaginare.” Poi, con un cenno del capo, lo intimò di avvicinarsi.

Lentamente, Legolas andò incontro ad Aragorn e chinò il capo in segno di reverenza, la mano destra posata sul cuore. Istintivamente, Aragorn gli passò le dita teneramente tra i capelli.

Era un gesto con cui voleva confortarlo, ma che provocò a entrambi un lungo tremito lungo la spina dorsale; come se con quel tocco avesse accarezzato tutto il corpo dell’elfo, lentamente, assaporando la sensazione, fino a far drizzare loro i capelli.

Legolas si scostò sbalordito. Aveva gli occhi sgranati, e la bocca dischiusa per lo stupore.

Il cuore di Aragorn iniziò a battere all’impazzata. Ci fu un lungo momento di silenzio. L’aria odorava di fiori e legno profumato. Non c’erano rumori, se non la pulsazione del suo stesso sangue nelle orecchie. Poi,

“Aragorn…” mormorato a voce bassa. Poi ancora, “Aragorn”. La lingua di Legolas che si muoveva tracciando il labbro inferiore dell’Elfo con un guizzo. Aragorn ebbe un brivido.

“Legolas, io…” disse.

“Shh…” fece l’altro. “Non parlare. Lascia… lascia che sia io a farlo.” Aragorn annuì, e accolse con sollievo il momento in cui le fattezze di Legolas si rilassarono. “Non so bene da dove cominciare, Aragorn,” ammise. “E forse ti sarà altrettanto difficile comprendere. Sai chi era Elendur?”

“Il figlio maggiore di Isildur.” Rispose Aragorn. “E suo legittimo erede. Morì prima di poter reclamare il trono, nello stesso attacco in cui morì suo padre e in cui l’anello fu perduto.” Il suo sguardo si fece distante, come colui che ascolta una melodia lontana, e ne rimane rapito. “Elrond, Glorfindel, e tutti coloro che lo hanno conosciuto sostengono che io sono il suo ritratto vivente.” Finalmente Aragorn si girò a guardarlo, con una luce negli occhi, e Legolas lo ricambiò con eguale intensità. Uno sguardo orgoglioso, ardente, che gli infuse fiducia nella stessa misura in cui lo eccitò.

“C’è chi dice che Elendur… sono io,” continuò Aragorn. “C’è chi dice che il suo spirito è tornato dalla morte nel mio corpo, per compiere il suo destino.” Legolas annuì lentamente.

“Indubbiamente il vostro aspetto è lo stesso. E così il vostro animo indomito, il vostro valore. Io… non so se tu sei realmente Elendur redivivo, ma… a lui mio padre a promesso un grande dono… un dono che Elendur non ha mai potuto reclamare. E che oggi, io a te concedo.”

“Un dono…? Thranduil?” Legolas annuì. Un silenzio nervoso si stese su di loro come un manto.

“Durante l’Ultima Alleanza, Uomini e Elfi unirono le loro forze contro la tenebrosa minaccia di Sauron.” Continuò infine l’Elfo. “Nonostante questi legami di alleanza, Isildur prestava orecchio solo a Elrond, e disprezzava apertamente la famiglia reale di Boscoverde, e i loro consigli. Mio Padre non dimenticò mai questo affronto ma, preveggendo che la stirpe di Isildur avrebbe avuto un grande ruolo nella storia della Terra di Mezzo, non reagì, ed anzi attese con pazienza un occasione per legare il destino di quella stirpe a quella della sua… della mia.” Legolas esitò, il bel volto Elfico contratto. Aragorn, impacciato, lo strinse a sé, per la prima volta sentendo di poter -dover- infondere coraggio a quella creatura indomita che aveva sempre ammirato.

L’Elfo si dibatté nella stretta e cercò di indietreggiare, poi si arrese all’abbraccio e cinse Aragorn a sua volta tra le braccia.

“Cosa accadde poi?”

“L’Amore,” mormorò Legolas. “Ecco cosa accadde. L’unica cosa che nemmeno i più saggi posso prevedere, o comprendere.” Aragorn, perso nel segreto piacere che provava nello stringere l’Elfo a sé, si irrigidì. Non poteva rispondere. Era ammutolito, sorpreso dal tono triste e rassegnato con cui Legolas aveva pronunciato quelle parole. Più tardi l’avrebbe ricordato, e ne avrebbe tratto conclusioni sbagliate.

“Elendur,” Legolas si sciolse dall’abbraccio e continuò a voce bassa, “Elendur, accecato d’amore, pretese da mio Padre un dono che egli gli concesse con malcelato entusiasmo. In una pergamena vergata di suo pugno si legge che: ‘nel momento in cui l’erede legittimo di Isildur reclamerà pubblicamente il trono di Gondor, ad egli andrà in dono, come segno di alleanza e reciproco rispetto, il… più giovane principe di Boscoverde. Non vi sono nomi in quel documento, Aragorn. Solo titoli. Uno dei quali, da Elendur, passa ora a te. L’altro… l’altro… io…” Il cuore dell’Uomo mancò un battito. Non era possibile… il più giovane figlio di Thranduil non era altri che… che…

Legolas si inginocchiò dinanzi ad Aragorn, lo sguardo a terra, le mani chiuse attorno a quelle del Ramingo.

“Aragorn… figlio di Arathorn, ed erede di Isildur… tu che hai reclamato per te il trono di Gondor… io ti appartengo di diritto. Ora e per sempre, io sono tuo. Anima, mente, cuore e… corpo.”

Il silenzio si protese molto più a lungo questa volta. Poi, il chiacchiericcio concitato degli Hobbit. Boromir che faceva un passo avanti, l’erba che frusciava sotto i suoi piedi come una stonatura in una musica. La risatina chiara e cristallina di una delle Elfe che attendevano Galadriel. Il mormorio preoccupato di Gandalf, la risposa cristallina ma altrettanto inaudibile della Dama di Lórien. Infine, “Non può essere vero. Non puoi essere… mio,” disse Aragorn.

Le sue labbra si serrarono in una linea livida. Era una scherzo… doveva esserlo. Uno scherzo crudele e meschino. La cosa che desiderava di più al mondo non poteva essere sua di diritto.

Non poteva.

Spiazzato, arretrò in tutta fretta, come cercando di fuggire alla realtà posta davanti ai suoi occhi. Sentiva il cuore battere, e una deliziosa sensazione di vertigine lo fece vacillare.

Legolas, che lo stava guardando, di nuovo, con quel misto di speranza e dolore negli occhi, sembrò accasciarsi come sotto un enorme peso. La scintilla di speranza sparì dai suoi occhi, per lasciare posto al solo dolore.

Sapeva che Aragorn sarebbe stato disgustato, e si era creduto pronto alla sua reazione. Eppure, vederlo tremare, come in preda alla furia, e farsi pallido, mentre si divincolava rapidamente dalla sua stretta, lo colpì come un dardo al cuore.

Aragorn amava Arwen, dopotutto.

Arwen, non lui.

“Lo so Aragorn. Capisco cosa provi,” mentì. Perché in realtà non lo capiva affatto. Era arrabbiato? Disgustato? Amareggiato? Legolas scosse la testa e si alzò lentamente, sentendosi soffocare. “Purtroppo però è vero,” mormorò. “Io ti appartengo d’ora in poi, che noi lo vogliamo o no.” Che tu mi voglia o no, io sono tuo… e non solo a causa di questo patto.

“Che noi lo vogliamo o no?” Ripeté Aragorn. Già, in fondo… Legolas non lo voleva. Quella situazione, per lui, doveva essere terribile. Eppure io ti voglio… e voglio essere tuo… come posso fare perché anche tu mi ami?

In quel momento Galadriel si avvicinò loro, e posando una mano candida sulla spalla di ognuno, li costrinse a guardarla negli occhi.

“Legolas è legato a te, Aragorn. E tu a lui. Poiché egli ti appartiene è suo dovere seguirti, e obbedirti sempre. Tuo dovere sarà tenerlo vicino, ed egualmente rispettarlo. Allontanalo da te, ed avrai rotto un’alleanza vecchia di Millenni. Allontanalo da te, e l’equilibrio che vi è tra le nostre genti si spezzerà.”

Aragorn la guardò, i pensieri che turbinavano con le parole di lei.

Legolas… era suo. E lui poteva… doveva… accettarlo. Era suo diritto, e insieme suo imprescindibile dovere.

Quel corpo perfetto, quel volto orgoglioso, quell’animo coraggioso e indomabile… erano suoi.

Solo suoi.

Per sempre.

Quante volte l’aveva sognato… muoversi contro di lui, attorno di lui, dentro di lui… il corpo tremante, il viso contorto dall’estasi… col suo nome come una preghiera sulle labbra, mormorato, chiamato, e poi gridato, mentre diventavano una cosa sola… e ancora… e ancora…

Valar, quanto desiderava quel corpo… lo desiderava come un uomo perso nel deserto può desiderare l’acqua… ma non così…

Così… non era giusto.

Perché ciò che voleva davvero dall’Elfo…

… era il suo cuore.

Il sole si era levato completamente sul bosco. La luce risplendeva candida sul volto di Legolas e nei suoi occhi. Aragorn, incapace di sopportare oltre quella vista meravigliosa e dolorosa insieme, si voltò di scatto, e si avviò alle barche senza guardarsi indietro.

 

         -TBC

Oh oh oh! Poveri cicci… si amano disperatamente, eppure ognuno crede che l’altro non potrà mai corrisponderlo… come sono cattiva! X>

Che ve ne pare? Vi piace? Vi fa schifo???  Io posso già anticiparvi che la storia si complicherà…!!!!