.|. Otherside .|.

3. Day 3 - the night

~

00:12 – selfish

 

Ricado indietro, contro il muro, mentre mi districo lentamente dalle emozioni di Orlando, nelle quali sono ancora invischiato, scambiandole per mie, vivendole come mie. La realtà comincia a ricomporsi intorno a me, dio, sono fradicio di sudore, ed il mio sangue sta seguitando a sfrecciare per le mie vene senza neanche accennare a rallentare.

Mi tremano le gambe, tanto che temo di stare per crollare a terra, sul gelido pavimento di linoleum sudicio. Abbandono la testa contro il muro, con un tonfo sordo, prima di chiudere gli occhi, concedendo loro un po’ di tregua dalle luci del locale, che continuano a ruotare e tramutarsi, seguendo il primordiale ed incessante battito della musica. Ed è  lo stesso battito che imperversa nella mia testa, inarrestabile, che fa vibrare le mie ossa con i suoi bassi sparati al massimo… pulsa, e pulsa, e pulsa, così come seguita a pulsare il mio uccello, sovraccarico di tensione, una tensione dolorosa, bruciante, che implora di essere liberata…

In una frazione di secondo, la mia mano è sulla patta dei miei jeans, ed inizio a sfregare con lentezza, la rovente voglia di venire combattuta dal bisogno di prolungare un altro po’ questa sensazione straziante, questo stato di semincoscienza, di semiestasi in cui sto liberamente andando alla deriva… un lamento sfugge dalle mie labbra socchiuse, mentre mi consento di premere appena un poco più forte, prima di scivolare ad armeggiare con la cerniera…

Socchiudo gli occhi, riportando il mio sguardo assente sulla coppia davanti a me, domandandomi in qualche remoto e sperduto frammento di cervello che cosa Orlando stia facendo ora, se sta forse abbracciando Owen, se –

Il risveglio dalla trance è immediato.

Owen sta gridando, la sua voce soffocata dalla musica ruggente, i muscoli in trazione ed i nervi del collo tesi allo spasimo. Urla addosso ad Orlando, sembra furibondo, lo spintona con violenza… ed Orlando…

Orlando è accasciato contro la parete, in piedi per miracolo. Gli occhi chiusi, si sorregge come può, ondeggiando pericolosamente ora da una parte ora dall’altra… afferro al volo la situazione. Alcool, e forse qualche droga sono tornate a galla, approfittando della sua debolezza, ed ora Orlie è stronato come la Germania del dopoguerra, lo vedo tentare di muoversi e quasi rovesciarsi a terra… si volta, faccia al muro, poggiando la fronte ad un braccio piegato. Barcolla. Owen lo strattona, grida ancora, forse si aspetta una risposta, ma Orlie lotta per restare in piedi, sembra non notare nemmeno il suo furente compagno…

Scuoto la testa, ma non riesco a dissipare la nebbia che la riempie. Vagamente cerco di ricapitolare cos’è successo, ma rinuncio. So solo che Orlie… che Orlando è venuto, e Owen…

Owen no.

Intuisco che questo potrebbe, dovrebbe, deve significare qualcosa… ma non riesco a capire… non riesco a concentrarmi… è tutto pesante ed incerto, pulsa, e le luci cambiano, e girano, ed il mio corpo mi chiama a gran voce, ecco, far scivolare le dita verso l’apertura dei jeans… ma non riesco a trovare la cerniera… un bottone… ecco… da quand’è che sono così difficili da aprire? Cazzo! Il cervello mi sta trottolando nella testa come una giostra impazzita, vedo luci girare e facce girare e muri girare e fra un po’ vedrò anche i cavallini e le carrozze a forma di zucca… poi tutto inizia a distorcersi, e quelle strane creature distorte attraversano il mio campo visivo, mentre le luci si avvolgono e si combinano a formare strane composizioni, brillano, brillano così tanto che vorrei schermarmi gli occhi, ma non controllo più le mie mani…. voglio coprirmi la faccia, ma le mani non si muovono… non si muovono…

Muovetevi, cazzo! Siete le mie fottutissime mani, e se io voglio che vi muoviate, dovete obbedire!

Mi ignorano, le stronze, e intanto la luce si tende, si tira, un enorme serpente luminoso che nuota lentamente verso di me, nel caos che lo circonda… sta’ indietro, in nome di dio, vade retro bastardo! Ma quello non mi caga nemmeno di striscio, e continua ad ondeggiare, come un dragone cinese che se la viaggi lungo le montagne, va’ via, voglio che vada via, qualcuno lo faccia andare via, qualcuno spenga quel maledetto dragone, via, fuori dai miei occhi, fuori dalla mia testa, via, VIA!

Le mie stesse mani mi colpiscono con violenza, quando finalmente riesco a muoverle, mi sbattono sugli occhi, facendo esplodere l’allucinazione in una miriade di frammenti microscopici, mi sfregiano, mi tagliano, sollevo le palpebre di scatto, devono uscire, fuori, o mi accecheranno…

Gran dio…

Deliro. È il delirio, è ancora un’allucinazione, non è così? Quei frammenti hanno strappato qualcosa nei miei occhi, quello che vedo è fasullo, un puzzle di microscopiche illusioni, non è vero… che stronzata, questa visione, Owen, che preme un Orlando semisvenuto contro la parete, Owen che lo stringe mentre si muove dentro di lui, in continuazione, mentre se lo sbatte lì, addossato al muro, dio santo mentre SE LO FOTTE COME UN ANIMALE, lì, davanti ai miei occhi, davanti a me, Owen, che si fotte il mio Orlando mentre quello non capisce nemmeno di esistere, Owen, lurido bastardo, Owen che sta per venire, che bagnerà il MIO Orlando con il suo schifosissimo sperma…

Non lo accetto!

È mio, Orlando! Mio! E lui sta per marchiarlo come una bestia… e lui se lo sta trombando, dio cristo, si muove dentro di lui, dentro Orlando Testa di Cazzo Bloom, ed Orlando è fuori gioco, non sa cosa stia succedendo, è uno stupro, questo, è così che devo vederlo, è così che lo vedo. Autoindotta o no, una rabbia furente sta divampando nelle mie viscere, insieme ad una malata eccitazione, è così bello vedere Owen che si approfitta di Orlando in questo modo selvaggio, mi attizza immaginare di essere io farmelo a questa maniera, mi attizza ma non è giusto, non posso accettarlo, eppure ho quest’immagine che mi sfreccia per la mente, un Orlando bendato, drogato, nudo, che si piega al volere di sconosciuti, cinque, sei, quanti sono, ginocchioni sul letto mentre lecca uno di loro, la sua lingua che si muove alla cieca lungo il pene rigonfio, un secondo che gli serra le mani dietro la schiena mentre un terzo lo lecca fra le gambe, percorrendo tutta la lunghezza dall’ano alla punta del pene, affondando il volto fra i suoi riccioli per succhiare la pelle dei testicoli, per poi spostarsi a prenderlo in bocca… e un quarto si unisce a lui, da dietro, leccando la sua apertura, prima di infilarvi un dito, con calma,  muovendolo in piccoli, lenti cerchi, mentre sfrega il proprio uccello contro la pelle di Orlie, prima di…

MIODDIO, FUORI DALLA MIA TESTA!

Mi afferro il capo con ambo le mani, curvo in avanti, ringhiando, poi di scatto la mia testa si solleva, i miei occhi di nuovo fissi sulla scena davanti a me, sento qualcosa andare a fuoco nella mia testa, nel fragore e nel calore, sta bruciando, brucia tutto, Owen sembra un maiale, un grasso, schifoso maiale grufolante che gode dentro al MIO Orlando, eccolo mentre viene, glielo leggo in faccia, ed una furia assassina mi esplode nel cervello, quello schifoso, venuto, dentro Orlando. Il MIO Orlando, lui sì, io no, lui sì, merda umana che non è altro, lui sì!

Con un ruggito mi avvento in avanti, proprio mentre Owen lascia andare Orlie, che si accascia al suolo. Owen. Barcolla all’indietro, stordito, stremato dall’orgasmo. È il momento perfetto, è il momento, ora, ORA!

Con un balzo gli sono addosso, crolliamo a terra, non riesce nemmeno a reagire, e già la mia testa è calata di scatto in mezzo alla sua fronte, prova a respingermi, confuso, ma io sono incazzato come una murena, sono feroce, sono geloso, GELOSO e furibondo, “LUI E’ MIO!” ruggisco, non so se può sentirmi, ma i miei gesti li capisce eccome, mentre blocco il suo ennesimo tentativo di parata e gli premo con l’avambraccio contro il collo, e spingo, e stringo, lo vedo strabuzzare gli occhi, ghigno, “E’ questo che vuoi?” ripeto, imitanto Orlando, “E’ questo che…”

M’interrompo mentre non so come riesce a mandare a segno un cazzotto, da qualche parte nel mio stomaco, mi distraggo, mi spintona, tentando di ribaltarmi all’indietro, ma non cedo, mi ergo sopra di lui, inchiodandolo al suolo con un ginocchio sul suo sterno, alzo un braccio ed implacabile lo lascio ricadere, una volta, due volte, dritto in faccia, sangue sul mio pugno chiuso, mentre digrigno i denti, in fiamme, “Sei a posto?” sibilo, “SEI A POSTO?” gli grido in faccia, preparandomi a colpire di nuovo…

“Vig…”

Un sussurro, che ha il potere di fermarmi come nessun colpo avrebbe mai potuto. In un istante ho scordato Owen, il patetico pagliaccio che piagnucola implorandomi di non fargli male, e sono al fianco di Orlando. È a terra, contro il muro, gli occhi semichiusi, si muove, forse vuole alzarsi, ma non ha più il minimo controllo su di sé… poi di nuovo, a mezza voce, solo un sussurro sconnesso, ma lo sento…

“Vig…”

“Shhhh, sono qui, Orlando, sono qui… sono qui…” Non so nemmeno se mi stia realmente chiamando, se mi abbia visto, ma una cosa è certa, lui se ne viene via con me, ora. Lancio un rapido sguardo alle mie spalle, ma Owen si è già dileguato, buon per lui. “Orlie… devi alzarti… mi hai capito, tesoro…? Avanti… ti aiuto io…”

Lo afferro come posso, cercando di sollevarlo, ma Orlie non reagisce, non capisce, e devo rinunciare. Si appoggia al muro, gli occhi chiusi, bofonchiando qualcosa di incomprensibile. Dio, è madido di sudore. Gli scosto i capelli dalla faccia, accovacciato accanto a lui, lo vedo socchiudere gli occhi e poi serrarli di nuovo, feriti dalle luci stroboscopiche. La mia mente è stremata, la musica continua la sta sfibrando, drena anche le sue ultime energie. Devo uscire di qui.

“Coraggio, Orlando, solo un piccolo sforzo. Qui, appoggiati a me… ooooooh-issa,” grugnisco per lo sforzo mentre lo sollevo praticamente di peso, afferrandolo sotto le braccia. Una volta in piedi, Orlando si appoggia contro il muro, incapace di reggersi da solo, ma non cade. Faccio una breve pausa, riprendendo fiato, mentre lo scandaglio con gli occhi. Ha i pantaloni abbassati.

Soffoco la nausea mentre mi si sbatte in faccia l’evidenza di quanto è successo. Mi chino e afferro l’orlo dei suoi jeans, strattonandoli fino a tirarli su, cercando di non guardare… ma devo, e lo vedo.

Vedo lo sperma di Owen sgocciolargli lungo le cosce. È un insulto ad Orlando, è un insulto alla creatura che stringo fra le braccia, in fondo è una cazzata, lo so, ma è così orrendo, così straziante, da farmi desiderare di fuggire, di correre via, di trovare Owen e colpirlo, colpirlo, farlo sanguinare, farlo urlare…

Scuoto la testa. Non ora. Lo farò, lo giuro, dio cristo, lo giuro, ma non ora.

Mi passo un braccio di Orlando intorno alle spalle, sorreggendo il mio angelo per la schiena mentre con l’altra mano lo tengo eretto, per quanto mi è possibile. Muovo qualche passo, cercando di capire se possiamo arrivare alla mia macchina in questo modo. Pare che funzioni. Orlando si appoggia a me con tutto il suo peso, ma io sono forte. Posso farcela.

“Coraggio, honey. Vieni, andiamo a casa.”

 

 

01:56 – what to do

 

Ok. Ho bisogno di qualcosa per tirarmi su, per sbrogliarmi le idee, e ne ho bisogno adesso. Qualsiasi cosa, giuro che mi va bene qualsiasi cosa, purché sia scura, bollente ed altamente eccitante. E non sto alludendo alla pelle di Orlando quando è abbronzato, dio madonna, no – no – no – NO. Caffè. Coffee.

Mioddio… un caffè. In questo momento trovo sia la più meravigliosa scoperta del mondo, dopo la vaselina, forse. Evviva il caffè, bravi bravi, ed ora una dose da iniettarmi direttamente in vena, please. Ho bisogno di un caffè. Doppio. Triplo. Caffè.

Inondo il lavandino di polvere marrone mentre svuoto nella tazza una pinta buona di nescafè solubile istantaneo. Anzi, facciamo due tazze, una anche per Orlie, se non crolla prima. Aprire microonde, infilare nel microonde, un minuto. Ronza, ronza, fa’ con calma, che io nel frattempo devo capire cosa fare con Orlando, che è nella stanza a fianco, semisvenuto su una sedia.

Allora. Un momento di raccoglimento. Io dovrei sapere cosa fare. Almeno, si suppone che io sappia cosa fare.

Ma non ne sono molto convinto, ad essere sinceri.

Niente panico. Dunque, cosa c’è di fondamentale da fare? Orlando non sta così male da richiedere un dottore. Credo. Quindi, posso eliminare la voce ‘soccorso immediato’. Insomma, non credo che abbia preso tanta di quella roba da essere in pericolo di vita. E poi… il fatto è che non voglio gettarlo in pasto ai dottori e i giornalisti e tutti gli avvoltoi che non aspettano altro. Orlando Bloom, si ubriaca! Orlando Bloom si droga! E se lo visitassero più a fondo? Orlando Bloom è un rotto in culo! Orlando Bloom si fa stuprare nei locali!

Lasciamo perdere. Anche perché, se proseguo, finirete per capire che invece non mi va di perdermi una nottata con un Orlando praticamente alla mia mercé, al quale potrò estorcere con facilità tutte le informazioni che voglio –

Ops.

Stavo scherzando, ovviamente. Ovviamente.

Vabbè. Passiamo alla questione Owen. Non mi pare che Orlie sia in crisi, o che stia per avere un attacco isterico post-stupro. Anche se, beh, tecnicamente non so se si possa definire uno stupro. Una cospicua fetta del mio cervello sta gridando di chiamare la polizia, di far prendere Owen e farlo gettare in galera e poi ficcare la chiave nel culo di un rinoceronte e liberarlo nella savana, cosicché lo stronzo sacco di merda non mi si incastrerà mai più fra i coglioni.

Questa sì che è una tentazione.

Ma non posso. Non posso… cazzo! E cosa direi? “Salve, scusate, sono Viggo Mortensen… sì, sono io. No, l’autografo dopo. Volevo denunciare un certo Owen – no, non so il cognome, mi dispiace, no, non so nemmeno dove abiti, e no, non saprei fare un identikit… – insomma, questo Owen ha stuprato Orlando Bloom. Sì, quell’Orlando Bloom. Come lo so? Dunque, stavo guardando Orlando che si trombava il suddetto Owen, e stavo proprio per farmi l’ennesima sega della settimana, quando, improvvisamente… “

Ecco. Capirete che, pur con la mia non indifferente faccia da culo ed il mio danese stoicismo, non posso andare a raccontare una cosa del genere. Quindi, purtroppo, e vi assicuro che mi dispiace un casino, non posso. Owen rimarrà una spina di cactus conficcata nel mio inguine.

Ma al diavolo, non è di Owen che voglio preoccuparmi, adesso. Di là c’è Orlando, ubriaco, strafatto, che ha ancora addosso l’odore di sudore e di… insomma, non fatemi diventare volgare. Ma la combinazione odore di quello più Orlando è molto, molto insidiosa. Anche perché non è che io sia l’uomo più lucido della terra, ora come ora, e nemmeno il più morigerato. Dio.

Voglio.

Quel.

Caffè.

TLING!

Oh, dio benedica i forni a microonde e chi li ha inventati. Ed anche il caffè solubile, già che ci siamo.

Mi ustiono orrendamente con la tazza rovente, e mi sfuggono una dozzina di bestemmie in rapida successione mentre travaso il caffè in una tazza nuova, sgocciolando per tutto il pavimento. E la cosa si ripete per la seconda tazza. Affanculo, che rimanga tutto così com’è.

Stringo i caffè e, con una scrollata di testa, vado a raggiungere Orlando.

 

 

02:10 – time will tell

 

 “Ahem.”

Mi schiarisco la gola, cercando disperatamente qualcosa di sensato da dire. Non che serva a qualcosa, a ben pensarci, dato che Orlando è praticamente spalmato sul tavolo, la faccia seminascosta dalle braccia incrociate, e dubito fortemente che possa capirmi. Non ha nemmeno guardato la tazza che gli ho messo davanti.

Prendo un sorso dalla mia, tanto per fare qualcosa.

Mmmmmmmh... caffeina.

Vado alla finestra, giocherellando con le tende. Fuori, i lampioni sono glaciali, ed in fondo alla strada c’è un’insegna viola che lampeggia a pubblicizzare un sexyshop. Le mancano due lettere.

E d’improvviso, non reggo più la vista. Tiro la tenda, la serro fra le dita, vorrei quasi stracciarla. Dio. Fa così schifo. Fa tutto così schifo. La città fa schifo, gli uomini fanno schifo, Owen fa schifo perché si è fottuto Orlando, ed Orlando, il mio Orlando, fa schifo per cosa sta diventando. E faccio schifo anche io, io che sono stato a guardare.

Avrei voglia di piangere, perché non c’è niente che io possa fare per cambiare tutto questo. Posso solo renderlo peggiore. E avrei voglia di ridere, perché è tutto così assurdo.

E mi viene da ridere davvero. Dio, fa schifo anche questo caffè.

Mi ritorna in mente la prostituta dell’altra notte. Forse dopotutto ce l’abbiamo, qualcosa in comune. Non sto io cercando in Orlie quello che lei cercava in me? E l’ho detto io per primo, non c’è niente da trovare. Ma non m’interessa. Io lo voglio lo stesso.

Mi volto, e scopro che Orlando si è ripreso, più o meno, e sta occhieggiando sospettosamente la tazza che ha davanti al naso.

Sospiro. È di questo che ora devo occuparmi.

Faccio qualche passo nella sua direzione. “Caffè,” spiego, indicando la tazza con un cenno. Lui alza brevemente gli occhi, poi ritorna a fissarla affascinato, senza far cenno di prenderla. Sospiro ancora. Forse è più malmesso di quanto credessi.

“Orlando, puoi capire cosa ti dico?”

Di nuovo, mi guarda, per poi riabbassare gli occhi. Beh, quanto a capire non so, ma sentire mi sente di certo.

E ora che cazzo dico?

Oh. E se invece capisse benissimo? E se… può darsi che abbia ricordato cos’è successo. Ma certo, come può parlarmi se sa che cosa ho visto? È chiaro che si sta vergognando a morte. L’umiliazione deve essere terribile.

“Orlie, honey,” comincio, chinandomi in avanti. “Non devi vergognarti…”

Seguita ad ignorarmi. Mi appoggio al tavolo, di fronte a lui.

“Dico sul serio. Io non posso capire cosa stai provando in questo momento, ma posso cercare di immedesimarmi in te – e, ti assicuro, non hai motivo di nasconderti.”

Continua ad ignorarmi. Ma io non ho intenzione di lasciarmi sconfiggere.

“Orlando, è una cosa che sarebbe potuta capitare a chiunque. Mi hai sentito? Chiunque. Ed io sono solo grato di essere stato lì per aiutarti –” deglutisco, mentre un vago senso di colpa mi pesa nel petto al pensiero di come in effetti io non l’abbia aiutato. Meglio sorvolare su questo dettaglio. “Non devi avere vergogna, Orlando, non quando si tratta di me. Io non ho intenzione di giudicarti, di sfruttare questa cosa a mio vantaggio, di farti pesare alcunché – voglio solo che… voglio solo…”

Per l’appunto… ma cos’è che voglio, io?

Vorrei, vorrei davvero completare l’ennesima delle scontatissime frasi fatte che vado sproloquiando, ma non mi viene niente. Non so davvero che cosa dire. Orlando non mi guarda. Fissa la tazza, poi abbassa il volto, sfregandosi la fronte contro le maniche della felpa che gli ho in qualche modo infilato, per poi tornare a fare capolino, gli occhi fissi in avanti.

Mi sorge il dubbio che forse non mi stia affatto ascoltando. Al diavolo, niente cazzate. Proseguo.

“Questa… questa cosa si può affrontare in molti modi. Si sopravvive, non solo – si vive ancora. Mi rendo conto che mi sto addentrando in una tematica estremamente personale. Ma desidero davvero che tu ne esca il più indenne possibile.”

Faccio una pausa, quanto basta per un altre sorsata di insipido caffè. Ancora una, magari. Finito.

“Possiamo parlarne quanto vorrai. Possiamo andare a riempire Owen di botte. Possiamo rivolgerci ad uno psicologo, penso che potrebbe essere d’aiuto. Possiamo sporgere denuncia, se lo desideri.”

Sto cercando di azzeccare il motivo per cui rifiuta di parlarmi, di rispondermi. Sto cercando qualcosa che lo spinga a reagire, qualsiasi reazione. Sono pronto. Sono preparato. Posso sopportare una crisi di rabbia, sono forte abbastanza da affrontare uno scoppio di violenza, non sono certo di poter sopravvivere alle sue lacrime, ma sono pronto a provare. Però, Orlando non reagisce. Non ha reagito nemmeno quando ho pronunciato il nome di Owen. E, sinceramente, non so proprio cos’altro dire per provare a scuoterlo.

“Possiamo…”

Ed è qui che mi rendo conto di stare usando il ‘noi’. Qualcosa scricchiola, cigola, mentre il castello di fredda razionalità che stavo reggendo si incrina, si sgretola. Paf. Scompare.

“Al diavolo. Orlando…” riprendo, la tazza vuota scordata sul tavolo, sollevando le braccia. “Io voglio esserti accanto mentre affronti quanto è successo. Voglio provare ad aiutarti, voglio provare ad ascoltarti, voglio provare a capirti. Io…” ed è qui che commetto l’errore. Lo guardo. Forse sorpreso dal mio scatto mi sta finalmente guardando, sbattendo lentamente gli occhi, ed è così dolce, così dannatamente tenero… dio…

“Io…” abbasso gli occhi, spiazzato, annientato da quella dolcezza. “Io voglio starti vicino, Orlie. Honey. Voglio stare con te, voglio provare a difenderti da tutto ciò che potrà mai minacciarti. Voglio stare con te.”

Mi volto, fronteggiando la finestra, osservando le luci della strada filtrare debolmente dalla tenda. Dio, mi sento un ragazzino. Non sto arrossendo, ma ho lo stesso il cuore che batte forte, ed è così strana questa sensazione, il sapere che sto per dirlo, che lo dirò, e questa paura, la paura di quale sarà la sua reazione, di cosa cambierà…

“Orlie… quello che sto cercando di dire è che… dio. È così buffo… non avevo idea che sarei arrivato a questo, stanotte. Non lo sapevo. Non so come siamo giunti a questo, ma io…”

Chiudo gli occhi, stringendo le mani. Sì, mi esplode nel cervello, sì, fallo, sì, lo sto per fare, lo sto facendo davvero, fallo e cambia tutto, fallo e spacca il mondo, forza, dillo, Viggo, dillo, signore e padrone del mondo, straccia ogni convenzione. Dillo.

“Orlie. Io ti amo.”

 

 

02:23 – and so it goes

 

Fermi tutti. L’ho detto. L’ho detto? Cazzo, l’ho detto davvero! Ad Orlando! E ora… ora cosa…ma chissenefrega, l’ho detto, il peggio è passato. E ora avanti, devi solo più voltarti, Viggo, voltati e annega nei suoi occhi, voltati, e sii suo.

“Orlando…”

Con un sospiro, mi volto. Mi rimetto alla sua volontà. Mi volto…

“Orlando?”

…e lo vedo, con una guancia appoggiata sulle braccia, gli occhi chiusi, il respiro regolare. Addormentato.

Sono a dir poco brasato.

Ah, beh. Allora era per questo che non mi rispondeva. Non che si stesse perdendo in paranoie, sensi di colpa e paure, no, niente di così grave. Semplicemente, non si ricordava più nemmeno chi ero.

Immagino che dovrei essere sollevato.

E invece sono solo un coglione in piedi in mezzo ad una stanza, nel cuore della notte, che ha parlato da solo per un quarto d’ora, che ha aperto il suo cuore al ragazzo dei suoi sogni il quale stava beatamente dormendo.

Mi lascio crollare sulla sedia davanti a lui, nel silenzio indifferente che sembra aver impregnato l’intera città, ascoltando lo spolverio del suo respiro. Guarda come se la dorme, il mio angelo. Non ha sentito una sola parola.

Mi sento patetico. E solo.

E di nuovo vorrei piangere, mentre mie rendo conto che il miracolo non è avvenuto, che il mondo di merda in cui mi trovavo prima non si è magicamente disciolto, ed ancora vorrei ridere, per l’assurdità che mi sta piovendo addosso, per quanto stupidamente ridicola sia questa situazione.

Ma non mi va realmente, nessuno dei due. Così, invece, allungo la mano ad impossessarmi della sua tazza di caffè, ormai gelido, e che a lui, tanto, non serve più.

 

 

03:16 – sleeping awake

 

Credevo che mi avrebbe fatto qualche effetto infilarmi nel letto di Orlando.

Invece, niente.

Non dico volessi l’ennesima sessione di self service, per carità – ho passato i quarant’anni da un pezzo ormai, e certi ritmi potrebbero essermi fatali – senza contare che non è dignitoso ridursi alla masturbazione così spesso alla mia età… ma un minimo di, diciamo, interesse corporale me lo aspettavo, quello sì.

Beh, ad essere sinceri, dopo tutto il casino di stasera mi sentirei un maledetto maniaco a farmi *altre* fantasie su Orlando. Direi che per oggi ho già dato in quanto a voyeurismo.

Credevo che non ci dovesse essere niente di mentale in questa mia fissazione per lui. sapete, niente menate, niente preoccupazioni, niente pensiero in generale. Diciamo che sono riuscito ad attenermici abbastanza, fino ad ora. Ma forse, dopotutto mi sbagliavo. O forse, beh, non sono ancora quell’animale che pensavo di stare diventando – forse un minimo di affetto, in questa mia testa disastrata, riesco ancora ad infilarcelo. Fosse anche solo compassione, è comunque un passo avanti.

Credo.

Mi rigiro nel letto, appallottolandomi nel lenzuolo. È bello grande, due piazze e mezza – è un po’ triste, starci da solo.

Sì, da solo.

Non ve l’avevo detto?

Orlando è nella suite accanto, in camera mia. Non sarei mai riuscito a portarlo fin qui nelle condizioni in cui mi ritrovo – e, insomma, non me la sono sentita di infilarmici a letto. Avrei probabilmente avuto strane reazioni, e l’ultima cosa che voglio è farlo svegliare con un pazzo assatanato avvinghiato addosso…

Sbirciando in corridoio posso vedere la porta socchiusa. Non è molto, ma in qualche modo mi fa piacere saperlo là, da quelle parti. Sono abbastanza fiero di me per averlo accudito. Mi ha fatto sentire… importante.

Mi sovviene che questo è successo *dopo* che l’ho guardato mentre veniva praticamente stuprato davanti ai miei occhi.

Beh, non ho mai preteso di essere una persona coerente.

Eccheccazzo, gente. Sono le tre del mattino passate, ho rinunciato all’opportunità di dormire con Orlando e magari molestarlo, l’ho visto trombare con un altro, ho ogni tipo di merda chimica che mi straripa dal cervello e non ho voglia di farmi altre menate. Quindi. Appena mi passerà questo fottutissimo fischio che il casino del locale mi ha installato nelle orecchie potrò dormire. Appena passerà questo cristo di cigolio che –

Drizzo le orecchie come una mangusta in calore. Cigolio? Va bene la demenza senile, ma non sento ancora le voci. Oddio, non troppo spesso, almeno, e mai così poco sconvolto.

Passi. Ovattati, soffocati. Sento una sorta di tonfo… un brontolio. Un altro cigolio, poi un rumore secco, di ossa contro legno. Un grugnito.

Scandaglio il corridoio. Non c’è nessuno.

Ma non facevano rumore di catene, i fantasmi? Ma no, questo in Scozia… magari qui in America fanno rumore di passi e tonfi… oddio! E se fosse? Cazzo, io ho paura dei fantasmi. Signor spettro, per favore, vada da un’altra parte. Sono una brava persona, io. Oddio, eccoli di nuovo, i passi… e se fosse lì? Dietro la porta? Magari con la testa mozzata, o un cappio al collo, pronto a ghermirmi…

No, cosa sto dicendo. Bambinate. Non c’è niente dietro la mia porta. Visto? È perfettamente immobile. Proprio come prima. Visto? È assolutamente…

GNEEK.

Rimango brasato.

Oddio. Si è mossa! Lo giuro, l’ho vista, ommadonna si sta muovendo si sta muovendo si sta muovendo si sta aprendo ossantissimidemonidelparadiso cos’è quello? Cos’è quello?! Oddio una mano… una mano… una sagoma che scivola nella stanza… ommadonna… ommadonna io non credevo fosse davvero un fantasma… io non credevo che – oddio si sta avvicinando… no! Vade retro! Vorrei mettermi a urlare ma sono paralizzato… rimasugli di vodka e pastiglie mi impiastricciano l’encefalo e ci credo davvero che sia uno spettro, un babau, sbucato da un armadio da qualche parte nella mia testa… sbucato da… oddio, è a due passi dal letto, ma è –

… ma vaffanculo, è Orlando…

Come uno zombie, solleva un lembo di lenzuolo e si arrampica sul letto, abbattendovisi a peso morto. Si copre alla bell’e meglio e nel giro di qualche secondo è già in un limbo lontano, lontano anni luce da me, dalla stanza, da tutto.

Ah.

Ora ho capito. Orlando che rintronato come un campanaccio si sveglia – Orlando che non so bene con quale angolo di cervello utilizzabile si rende conto di essere nella stanza sbagliata – Orlando che cerca l’uscita rimbalzando per la suite come una pallina in un flipper – Orlando che è così cotto da non accorgersi di me. Me: l’unico idiota in grado di scambiare Orlando Bloom per uno spettro…

E che in questo momento si trova a letto con lui.

…wow.

Mi avvicino, piano piano. Credo che potrei farlo saltando, e non se ne accorgerebbe. Ma non mi pare comunque il caso.

Ha i capelli tutti scompigliati, e sta facendo il broncio. Dio, irresistibile…

Allungo lentamente una mano, fino a sfiorare i suoi ricci. Lo guardo, nella penombra. Vorrei parlare, vorrei chiedergli scusa per il modo ignobile in cui mi sono comportato, vorrei dirgli che è bellissimo, vorrei ripetergli che lo amo, vorrei... perché mentire a me stesso? Vorrei saltargli addosso.

Ma ho sonno. Mi rannicchio contro la sua schiena – il viso contro il suo collo tiepido, non riesco a trattenermi dal leccarlo – e mi lascio cadere, cadere. Verso l’oblio.

Devo dormire, devo dormire, devo dormire…