.|. Otherside .|.

4. Day 3 - the morning

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12:35 – keep on running

 

…devo dormire, devo dormire, devo dormire… ma come fa uno a dormire con questa cazzo di luce che –

Luce?

Socchiudo un occhio, con un immane sforzo di volontà. Un cielo sinistramente illuminato si riversa nella stanza attraverso la finestra, che ho dimenticato di oscurare. La luce scivola fra le tende, rimbalza contro il muro, e si raccoglie in una polla scintillante proprio nelle mie palpebre.

Immagino significhi ‘giorno’.

Ma tu guarda. Non credevo avrei fatto così poca fatica ad addormentarmi con Orlando nel letto. Mi aspettavo una notte insonne, piena di tentazioni represse… ma d’altronde, non sono più un ragazzino. Certe cose non mi si addicono più.

Mi avviluppo con calma nelle coperte. Eccolo qua, Orlie, ancora in coma profondo. Dormi, dormi, piccolo. Ti fa solo bene.

Mi rigiro a fissare il soffitto. L’intonaco è screpolato, e la luce cerca di insinuarsi nelle fessure grigiastre, con scarso successo. C’è un ragno che vaga in un angolo, le lunghe zampette sottili che si muovono a scatti. Poi scompare in una delle fessure.

Credo che sia una vita quasi invidiabile, la sua. Io non ne ho, di fessure in cui dileguarmi. Credevo che questo albergo potesse essere la mia fessura, certo – ma non sta funzionando in modo particolare. I problemi non sono scomparsi. Sono solo in standby.

Ieri sera è così lontana. Una sorta di visione, mimetizzata fra le lenzuola tiepide. E l’unica cosa sensata che mi naviga nel cervello ridotto in pappetta è il lasciar perdere tutto. Se Orlando non si ricorda nulla, perché andare io a rinvangare? Non mi va proprio di fare il gufaccio. Magari prenderò Owen e lo spaccjherò di botte in un angolo, questo è doveroso, ma niente di più. Bene, perfect, è davvero una genialata. E ora torniamo a dormire, va…

“CARO BENZINA: LEVITANO I PREZZI CON GRAN DISAPPUNTO DEI CONSUMATORI, I QUALI HANNO DECISO DI RIVOLGERSI…”

Si, ma che cazzo… ma chi è che si mette a guardare il telegiornale quando sono appena… aspe… quando è appena mezzogiorno e mezza? E soprattutto, perché vicino a ME? io devo dormire, dio santo, non hanno un paio di cuffie? E poi, PERCHÉ devono tenere il volume così alto, vacca boia?!

Ecco, sono incazzato. Hanno interrotto la mia naturale fase di riaddormentamento e ora sono completamente sveglio e mi girano le palle.

Sarebbe cosa buona e giusta andare dovunque siano sti stronzi telegiornalofili e ficcargli telecomando e televisore in culo, così in profondità da rendere superflui i clisteri per il resto della loro vita. Dio, quanto vorrei farlo. Ma devo trattenermi – anche perché non so esattamente quanto potrei avere ragione…

E va bene, niente telesupposta. Ma devo trovare un modo per cacciare fuori dai miei canali auricolari questa voce insistente, che adesso è intenta a declamare le mirabolanti proprietà di Vibromax, il massaggiatore irresistibile…

In piedi. Con passo più che coguarico mi appropinquo alla porta. Vibromax riduce i vostri rotolini, tonifica le vostra natiche, elimina la cellulite, prepara il caffè…

Dio, devo salvarmi da ciò.

Ribalto un cassetto a casaccio in cerca di una sciarpa, che naturalmente non trovo. C’è un foulard allucinogeno con banane giallo flash e una sparata di fiori tropicali. È orrendo, ma direi che può andare…

Con certosina perizia, tento di avvolgermelo attorno alla testa. Deve passare sulle orecchie più volte possibile, e magari resistere più di cinque secondi. Tre giri… ecco, adesso non ci arriva a fare il nodo. Aspettate. E se lo appallottolassi attorno ad un orecchio, poi lo facessi passare tipo cuffie sopra la testa… oookay… adesso lo appallottolo anche sull’altro, e poi…

“C’è un motivo o sei impazzito?”

Paralisi.

Mi volto come un ladro colto con le zampe in cassaforte, e trovo Orlando seduto tranquillamente nel letto, che mi guarda con un’aria di… con un’aria…

Con l’aria chi ha trovato nella propia camera da letto un individuo con in testa un foulard rosa ricoperto di flora tropicale, ecco con che aria, santo dio.

“Ecco… mi… mi infastidiva il telegiornale, così – ”

“Che telegiornale?”

Nell’istante di agghiacciante silenzio che segue, mi rendo conto che i bastardi hanno spento la tivù.

Che iddio vi stramaledica e vi faccia apparire una ziggurrat sotto al culo mentre vi sedete sul cesso. Stronzi.

“Ecco… c’era. C’era, cioè… prima.”

“Ah.”

Giocherello con lo sgargiante foulard.

“Ti senti… uh… bene, stamattina?”

“Dì, hai intenzione di tenerlo ancora per molto?”

In una frazione di secondo, l’orrore floreale è compresso nel mio pugno. Sarei lieto di sentirlo disgregarsi fino ad un informe ammasso di molecole.

Il silenzio è a dir poco infinito.

Okay, e adesso che cazzo dico? Avrei voglia di fare seppuku dopo l’emerita figura di merda che ho fatto. Bel modo di iniziare la giornata! E per ieri sera, poi? Cosa si ricorda? Cosa sa? Cosa vuole? Che ci faccio io qui? Qual è lo scopo della vita? C’è nulla dopo la morte? Dio esiste? Perché non indosso mutande verde pisello? Chi ha deciso che i calzini si debbano indossare appaiati? Che cosa ha appena detto Orland –

Eh?

Rotolo fuori dal vortice di seghe mentali in cui mi ero inceppato. “Cos’hai detto?”

“Ho detto: vieni a sederti, che chiamo per la colazione in camera. Cosa vuoi?”

Voglio zomparti addosso e farti cose impronunciabili davanti alle quali Dino Velvet si coprirebbe gli occhi. (non l’ho detto ad alta voce, vero?)

“Uh… frittelle, direi. E… un cappuccino.”

“Frittelle. Cappuccino.”

“E magari un po’ di sciroppo d’acero, se ce l’hanno.”

“D’accordo. Ah, Viggo?”

“Sì?”

“Per lo zompare addosso… magari un’altra volta, okay?”

 

 

14:09 – unintended blues

 

Pare che la fase figure di merda si sia conclusa, il che è oltremodo positivo. La colazione è passata senza incidenti. Se si escludono il cappuccino bollente rovesciato sull’inguine e le briciole di croissant incastrate nella trachea dopo una raffica di starnuti, ovvio.

Beh, diciamo che è passata senza troppi incidenti. Insomma, il nervosismo mi rende… nervoso, e anche essere raffreddato mi rende nervoso. E io sono raffreddato. E quindi faccio casini.

La luce che mi ha svegliato un paio d’ore fa non è che un pallido ricordo. Un grigio pesante e avvolgente cerca di spingere la sua gommosa mole nella camera, mentre insistenti gocce di pioggia scrosciano annoiate sull’intera città. Le vedo rigare il vetro e rilucere piano quando qualche faro di passaggio le colpisce. Potrebbe essere notte, potrebbe essere inverno, potrebbe essere il Kansas che si contrae aspettando un tornado. Potrebbe non essere vero, potrebbe essere uno di quei sogni scuri che richiamano i vecchi film New Orleans anni Trenta, sapore di scantinati fumosi e neri al pianoforte o abbrancati a un sax, mentre una black lady canta, con una di quelle voci inconfondibili.

Potrebbe non essere reale che io sia qui, a sonnecchiare a pancia in su con le braccia a farmi da cuscino, mentre vicino a me Orlando riposa, contando le gocce di pioggia sulla finestra. Potrebbe non essere reale, ma non mi interessa granchè. Non mi interessa granchè neppure cosa Orlando stia pensando, perché non conta – e non conterebbe nemmeno se fossimo reali.

Io sono qui. Lui è qui. Non c’è nessun altro, nessun’altro eccetto noi in tutto il mondo, a parte forse qualche nero nel mezzo del suo blues, impegnato a descrivere un dolore che arriva dritto al seno della madre terra. E forse vorrei crederlo davvero, non c’è nulla al di là di quella pioggia. Lei ha cancellato il resto del pianeta, l’ha fatto gocciolare via come acquerelli da un foglio ormai sgualcito, e presto scivolerà anche nella stanza, e ci cancellerà. Credere che accetteremmo di svanire insieme – ma che senso avrebbe svanire, se sapessi credere che non esistiamo?

Sento qualcosa, che s’impegna per riportarmi alla realtà – ma io non ne ho intenzione, no. Anche se buona parte del mio corpo la pensa diversamente qui vicino ad Orlie, specie la parte del corpo eretta vicino alle cosce di Orlie, ecco. Ma la pioggia fa strani effetti, sapete. Intontimento, confusione e via dicendo. E non dimentichiamo del raffreddore. Ecco, il raffreddore altera le percezioni, e con le percezioni alterate è ovvio che il mio corpo mi invii messaggi sbagliati, voglio dire, tutta la faccenda parte-del-corpo-vicino-a-Orlie è solo un qualche tipo di errore, un'illusione, o qualcosa del genere. Nessun dubbio su questo. Nessun dubbio. Nessun…

“Haaa-choo!”

Merda. Bé, l’avevo detto che sono raffreddato. Niente di grave. Non ho assolutamente bisogno di niente. Ora, dove cazzo ho messo i fazzoletti…?

“Viggo?”

Rotolo lontano da Orlando, in equilibrio piuttosto precario in ginocchio sul bordo del letto apro il cassetto del comodino e inizio a rovistare, non si vede niente senza luce, ma non ho intenzione di accenderla perché la penombra è già abbastanza per far risaltare una certa sporgenza nei miei boxer, meglio evitare…Rispondo con una specie di grugnito, che potrebbe essere interpretato come “sì”, “no”, “non rompere le balle” o “ho davvero bisogno dei fazzoletti”. Orlie sembra prenderlo per un “sì”.

“Sei raffreddato.”

Sospiro, troppo impegnato a cercare quei dannati fazzoletti per capire fino in fondo la stupidità di quello che ha detto Orlando. Bofonchio qualcosa simile ad un “Abbastanza” prima di riprendere a frugare, ma quanta roba c’è in questo cassetto?!

“Qui, Viggo.”

Riesco quasi a sentire un sorriso nella sua voce. Mi volto e me li sta tendendo lui i fazzoletti. Oh, beh. “Grazie” prima di tuffare il naso in quei benedetti pezzi di carta, soffiata memorabile, ho il naso otturato, fa niente. Appallottolo il fazzoletto e lo metto sul comodino, evviva i fazzoletti, e per un istante mi balenano in testa svariate domande su come cazzo è che mi ritrovo in un letto matrimoniale con Orlie e un erezione. Mi domando anche in quanti modi queste due cose possano combinarsi, ho sempre odiato tetris ma ci arrivo da me che le possibilità sono infinite. La più sensata mi suggerisce di piantare tutto e andarmene a dormire in bagno. O in corridoio. O…

La mano di Orlie cala di piatto sulla mia testa con un sonoro CIAC. Il pugno parte in automatico e colpisce il cuscino che l’animale si sta reggendo davanti allo stomaco.

Oh. Stavo per spappolargli il budellame.

“Hai sete?”

Ancora perso nelle mie menate, rimango un momento interdetto mentre mi ballonzolano in mente

perplesse ed ovvie immagini di acqua e bicchieri di plastica.

“Allora, lo vuoi un drink?”

Oh. Sta additando il frigobar. Un frigobar? E quando ce l’hanno messo? Oh. Beh. Sì, grazie…un drink.

“Cosa vuoi?”

“Mmmmmh… Bourbon e SevenUp.”

Okay. Non sta andando tanto male. Ora sono in un letto matrimoniale con Orlando, un’erezione e un alcolico. Orlie si versa a sua volta un bourbon e si siede a gambe incrociate dritto di fronte a me, dove diavolo sono i cuscini?! Ne acchiappo uno e me lo metto con nonchalanche fra le gambe appoggiandoci i gomiti, funzione paravento, Cristo di Dio devi proprio guardarmi così?!... occazzo… devo inventarmi qualcosa per distrarlo, nonché per distrarmi,

cosa posso dire, cosa diamine posso dire?, il mio cervello sembra vorticare al rallentatore, ad un tratto la mia bocca si muove da sola prima che io possa pensare a cosa farle dire…

“Giochiamo?”

Orlando mi guarda e dopo un attimo di perplessità il suo viso si rilassa in un sorrisino… scherza o è malizioso? Oddio… e se decidesse di provocarmi? Anche se volesse solo approfittarne un po’, chi mi dice che riuscirei a resistere? Io non… oddio… si muove… che fa?! Che vuole fare?! ...ah… si è versato un altro bicchiere… uh…? Sì, grazie, ne bevo volentieri ancora un goccio… mmmmh… Orlie si è chinato verso il mobile, e mi sorprendo a leccarmi le labbra, mentre un ghigno cerca di far capolino sulla mia bocca…

…“appetitoso” è la prima parola che mi viene in mente…

…la seconda è “fame.”

 

 

16:18 – tell the truth

 

Sono passate due ore, più o meno… Orlie è stravaccato di traverso sul letto con la testa che penzola giù, e si sta stirando le braccia, facendole scrocchiare tese verso il soffitto. Le gocce di pioggia che striano la finestra sono lacrime scure sul grigiore del suo torace, unica fonte di luce il debole, freddo chiarore di una candela ed i lampi che, di tanto in tanto, rischiarano a sprazzi la stanza. Protendo la mano verso il comodino e verso l’ennesimo bourbon e SevenUp, ai quali sono tornato fedele dopo una breve parentesi a base di Kaipiriña, lime, zucchero, soda e kaschaça.

Riappoggio con un grugnito la schiena anchilosata alla testiera del letto e bevo un sorso, allungando un piede e lasciandolo dondolare. Nello stereo va a basso volume un cd fornito da Orlie, le note di Two Princes degli Spin Doctors allietano l’atmosfera. Approvo.

Mi accendo l’ennesima sigaretta, lasciando che il suo pennacchio di fumo si spanda pigramente nell’aria.Orlando si impossessa del piegevole in miniatura caduto dal pacchetto, ed inizia a leggiucchiarlo.

“Qui c’è scritto che c’è il catrame, lì dentro.”

Replico con un mugolio non meglio identificato. Il fumo è dolciastro e mi si sta inerpicando su per le narici con la grazia di una danzatrice del ventre. Ipnotico.

“Significa che ti stai asfaltando i polmoni.”

Grugnisco. “Orlando, mi spiace fartelo notare, ma anche tu fumi.”

“Appunto. Passane una, che devo lastricarmi il vialetto.”

Gli lancio il pacchetto. Traffica, e io mi lascio rimbambire da fumo, pioggia, lenzuola tiepide, dal semplice esistere. Se vivacchiare fosse un mestiere, sarebbe il mio.

È un’ora e mezzo che giochiamo a ‘obbligo o verità’. Che a dire il vero finora è stato ‘verità o verità’. Dalle stronzate siamo passati alle cose più pese man mano che l’alcol annientava le inibizioni e il sonno incipiente richiedeva informazioni degne di interesse. Non è andata male, e sono contento di averci pensato.

Ho scoperto che Orlie aveva un cane, aveva uno skateboard, ha avuto la prima ragazza in terza elementare, è stato picchiato tre volte dalla squadra di football della scuola di un suo cugino (al quale era affezionato quanto all’idea di un piercing al glande), ha perso la verginità a 16 anni (…cos’è questa sensazione in fondo allo stomaco..?...), guarda film porno, si masturba e altre cazzatine… lui di me ha scoperto una quantità imprecisata di informazioni frivole e leggermente maliziose, fra cui che ho scopato con delle mie fan, che mi è già capitato di fare cilecca (e qui la sua risatina mi ha fatto accapponare i nervi come un’unghia su una lavagna), che reggo bene agli sforzi prolungati (e qui la sua risatina mi ha fatto imbizzarrire gli ormoni e ho dovuto ricorrere ancora una volta al cuscino) e che il mio pene è più lungo di 20 centimetri.

Invidiosi, eh?

Adesso tocca ad Orlie, sono cinque minuti buoni che lo fisso mentre mordicchia il filtro della Marlboro pensando a una domanda. Ehi…per un attimo mi sembra di intravedere un ghigno sulla sua faccia, no, è sparito, mi sono sbagliato…boh, non lo so, non mi interessa, anche se forse non è prudente sottovalutarl –

“Viggo.”

Orlie mi fissa un momento, giusto il tempo di accertarsi di avere la mia attenzione.

“Tu ne avresti voglia?”

“Uh?”

Lo stronzetto non risponde,si limita a guardarmi e sbattere le ciglia di quegli occhioni che si ritrova.

“Di cosa?” aggiungo, come se stessi parlando ad un deficiente.

“Di scopare, Viggo. Avresti voglia di fare sesso? Ora?”

L’alcool si apre come il Mar Rosso nella mia testa, lasciandomi inaspettatamente solo, con il cuore che batte furiosamente, talmente forte che ho paura lo senta anche Orlie. Ho un caldo fottuto e mi sento soffocare, dove vuoi arrivare, Orlando, dove cazzo vuoi arrivare, cosa stai cercando di farmi dire…?

Deglutisco, mi umetto le labbra di bourbon, deglutisco di nuovo, giocherello con il ghiaccio nel bicchiere, tutto pur di perdere un po’ di tempo, facendo finta di pensare mentre la mia mente è paralizzata in un turbine di domande terrificanti.

È una provocazione? Devo dargli corda? O è forse uno scherzo?... Devo fargli una proposta, è questo che si aspetta, devo fare una mossa, è questo che vuole da me?... Mi sta lanciando un appiglio per…? Ma no…decido di no, è solo una domanda stupida…una cazzata, Orlie non vuole che lo attiri a me in un bacio mozzafiato, non vuole fare sesso con me. No. Okay.

Mi schiarisco la gola.

“Beh,” giocherello ancora con il ghiaccio, vagamente imbarazzato, impacciato, ma dove porca troia sono finiti la mia audacia, il mio spirito d’intraprendenza..?

“Credo…credo di sì. Con la persona giusta. Con la persona giusta sì, certo.”

Non oso guardarlo. Non so quali fossero le sue intenzioni, ma non voglio leggere la sua espressione e incassare un’amara certezza… non voglio guardarlo… non… non resisto, alzo lo sguardo, ma Orlando ha la testa inclinata in modo tale che l’ombra ne avvolge tutta la parte superiore, dal naso in su. E non posso trattenere un microscopico sussulto di sollievo da qualche parte nel petto, a sinistra.

Intanto, è il mio turno.

E d’improvviso nella mia testa si schiude l’albicocca di un’idea, ed il nocciolo scivola fuori come se fosse stato pronto da sempre…

“Andresti a letto con un uomo?”

Lo guardo, gustandomi tutte le espressioni che scorrono sulla sua faccia. Non credo di essere stato troppo audace, in fondo è solo una battuta, giusto?, una qualunque domanda, come quella che potrebbe fare un…u-un…okay, forse ho un po’ esagerato nell’audacia, ma sono contento di averlo fatto, insomma. Forse è colpa dei troppi Bourbon e SevenUp, ma ho voglia di punzecchiarlo, di trasgressione, mi sento forte, la mia personalità è forte, schiacciante, preponderante! Ho il dominio assoluto, lo so, oh come lo so, e io…

“Sì.”

E mi smerda.

“Sì, certo che ci andrei. Anche adesso.” Cos’è quello sguardo Orlie? Ma che… “…se trovassi un uomo che me ne facesse venire voglia, sì.”

Okay. Mi ha smontato. O comunque la mia personalità preponderante adesso è molto meno preponderante di prima. Mi sembra quasi di vederlo, il mio ego che si affloscia come un canotto massacrato da una foratrice… insomma, pensavo di metterlo in difficoltà, in imbarazzo, per lo meno… mentre sono io che sotto il suo sguardo così deciso, così… così suo mi sento rimpicciolire sempre di più, divento piccolo, piccolo, piccolissimo… e basta che Orlando dica

“Obbligo o verità?”

in quel suo tono stronzo che sembra gridare “ce l’ho in pugno!” che sono completamente attartarugato, le mie facoltà mentali si sono ritirate nel loro guscio e io resto lì a rotolarmi nel nulla della mia scatola cranica. Non ho più un briciolo di coraggio, di malizia, niente di niente! Tutto quello che posso fare è muovere la bocca come un pesce handicappato ed aprire e chiudere nervosamente le mani.

Percepisco lo sguardo sardonico di Orlimerda che sicuramente si sta divertendo un mondo a vedermi dibattere come una trota dopo che il fiume dei miei pensieri è totalmente evaporato. Cosa faccio? Devo dire qualcosa, ma cosa?! Io….io…

“Obbligo” dico precipitosamente. “Scelgo l’obbligo.”

Nei tre decimi di secondo che Orlie impiega per passare da un’espressione stupita ad un sorriso di perfido trionfo, io realizzo di avere fatto una grande, colossale, immensa stronzata.

 

 

16:30 – mind the gap

 

L’ho fatto. Sono completamente in sua balìa. Ma perché non l’ho capito prima che era esattamente a questo che voleva condurmi!

Ma certo…che stupido sono stato! Eppure ora è così chiaro… non aspettava altro, il bastardo! Cosa mi chiederà di fare? Sicuramente qualcosa di umiliante, per la quale potrà deridermi in eterno… perderò totalmente la faccia… guardalo lì… nella penombra non vedo il suo volto. E ora…

 

“Baciami.”

 

…e ora lui sicuramente mi… COSA?!?

Lo fisso ad occhi sgranati, la mia mascella tenta di forzare le sue giunture per cadere a terra.

Il silenzio dura per un lasso di tempo non meglio determinato.

“Cosa?”

“Baciami.”

“…cosa?”

Orlie si sporge in avanti, passandosi la lingua sulle labbra. Stronzo.

“Ho detto, baciami. Dammi un bacio.”

“…un…”

“Un bacio, Viggo, un bacio con la lingua.”

“…con la…”

Orlie si appoggia tranquillamente ad un cuscino, le gambe mezze allungate sul letto, incrocia le braccia.

Come on, Viggo. Come on.”

Io esito ancora. Jesus *fuck*, questo è…

Cerca di parlare ancora. Ci prova.

Non ci riesce. Perché io glielo impedisco.

Perché la mia bocca si avventa sulla sua, la mia lingua si tuffa fra le sue labbra, non mi faccio pregare. Proprio no. Niente perché, niente però. Niente. Mi sembra di averlo voluto per secoli, ed ora è qui, è mio. È vero, dio, è vero. È ora… ora!

È tutto ciò che immaginavo. La sua lingua è rovente contro la mia, brucia, si muove e lotta e brucia, calore che si getta in picchiata nei miei lombi. Che reagiscono prontamente. Lo stringo, lo tiro a me, lo afferro, sei mio, adesso, sei mio, ti voglio, Orlando, dio quanto ti voglio…

In qualcosa a metà fra un istante e l’infinito lui reagisce, mi ribalta, sono supino sul materasso, inchiodato giù da diversi chili di Orlando. Bollente. Si muove, sopra di me, le sue mani si allacciano nei miei capelli, si aggrappa alla mia testa mentre la sua lingua invade la mia bocca con l’avidità di un predatore. Ma io non cerco di fuggire, l’intero mio corpo si protende verso di lui, catalizzato dal suo calore, dalla sua pelle…

Dio, ci stiamo baciando. Siamo io ed Orlando Testa di Cazzo Bloom che ci baciamo, scambiandoci respiri, lingue, labbra, anime e stracciando futuri predestinati come carne da macello. Accarezziamo. Sfreghiamo l’uno contro l’altro, la sua lingua nella mia bocca, perdio, mi sta sbranando mentre mi cavalca, sarei grato di lasciarmi divorare, sono suo. Sono suo.

Gli afferro i fianchi, mentre lui scompiglia i miei capelli. Controllare i movimenti del bacino è pura fantascienza, ormai ha vita propria e propria volontà, e si muove, oh, si muove, spingendo, premendo, in risposta alle lente carezze del corpo di Orlando. Dio. Orlando, a gambe aperte su di me, strofina l’inguine contro il mio, ed io lo sento, lo sento duro, e vado fuori. Fuori di testa.

Lo stringo, lo stringo così forte che ho paura di spezzarlo, mentre la sua bocca si fonde con la mia in un’amalgama di corpi e di tensione, un bruciore disperato si concentra nel mio ventre – credo di stare per morire, l’ho voluto così, tanto, così tanto, così irrimediabilmente, e mi sorprendo a strattonare la cinta dei suoi jeans, via, oh dio fermami, fermami!, ma non ci riuscirebbe neanche Astaroth al comando di un esercito di demoni, la furia della carne mi ha travolto, e lo bacio, lo catturo, mente tocco il suo torace, mentre succhio la sua lingua, dio, voglio fare sesso con lui…

La sua mano, sulla mia, una carezza. Ma – vuole fermarmi – ecco il mio primo pensiero. – NON MI VUOLE – ecco il secondo. E l’incantesimo si infrange.

 

Separati. Il mondo intero frapposto fra di noi, mentre lui respira in fretta, le labbra arrossate, umide. Umide di me, della mia bocca. Ed io resto immobile, le mani serrate sul suo corpo, duro da far male. Indietreggio. Mi ritraggo, vigliacco che non sono altro, perché mi sono lasciato prendere e ho sbagliato, ho creduto, ho tradito, ho spezzato, ho distrutto, ho fatto una cazzata.

“Vig, ma cosa…”

“Mi dispiace, sono un cretino, scusami.”

Non lo riesco più a guardare. I suoi occhi scuri sono immensi. Sono certo che la sente, la mia erezione che gli preme fra le gambe. E io non voglio. Non volevo. Cristo, non volevo.

Vorrei che il letto mi inghiottisse per poi risputarmi in una bolla di nulla, da qualche parte perso nell’iperspazio della mia stronzaggine. Cerco di strisciare via, ma non ci riesco.

“Io… non so come spiegare. È solo che ad un tratto, non so… la tua pelle… io ho creduto di… ti prego, perdonami. Non volevo forzarti, è solo un gioco che mi è sfuggito di mano, io… io non ho mai inteso… non volevo spingerti a fare qualcosa che – ”

Due mani si piantano con violenza ai lati della mia testa, così forte da farla rimbalzare sul materasso. Alzo lo sguardo, stupefatto, e incontro le fiamme ardenti degli occhi di un Orlando furente, imbestialito, che mi domina faccia a faccia come potrebbe un animale inferocito…

“Ma che cristo stai dicendo?!”

“Questa cosa. Io… insomma, non voglio spingerti a questo se non ti senti pronto. Non voglio che sia una forzatura, capisci? Voglio che, se deve accadere… qualcosa… accada perchè tu lo desideri davvero. Non per uno stupido gioco, o perché io ti stia in qualche modo costringendo.”

“Cazzo Vig, ma sei deficiente?”

Un momento. Questa non è la reazione che mi aspet –

“Cosa credi che sia io, una donna con l’uccello? Sono un maschio, ci sei, un maschio, proprio come te! Quindi non devi sciogliere il mio cuore con dolci parole e cazzate! Non andrò in crisi isterica se mi baci! Non dovrò essere certo di amarti ed essere certo che sia la cosa giusta ed essere certo di essere l’uomo della tua vita prima di venire a letto con te, dio santo, sono un uomo anch’io, voglio scopare anch’io, proprio come gli altri!”

“Ma questo è solo un gioco. Non avrei dovuto importi il mio…”

Non si lascia interrompere.

Mi piace fare cose maschili, andare al bar e ruttare e fare le gare a chi piscia più lontano, e non me ne frega un cazzo se è inelegante. Capito? Rischio la vita buttandomi giù dai ponti, se vuoi baciarmi puoi farlo, se vuoi toccarmi puoi farlo, se vuoi farmi una sega mi farai addirittura un piacere, non scoppierò in lacrime gridando allo stupro!”

“Però…”

“Non devi sedurmi come sedurresti una delle tue fan, okay? Dì, cosa vedi, in me, una ragazza fragile e indifesa, la giovane deficiente di turno da incantare con pippe mentali e rimorsi? Ma allora trovati una ragazza e comprati un vibratore! Il fatto che tu sia uomo e voglia star sopra non fa automaticamente di me una donna, ci sei?”

“Ma…”

“E ora fammi un santo piacere: smettila con le seghe mentali e scopami, cazzo!”

 

 

16:36 – god

 

Cristiddio, devo saltargli addosso.

Adesso. Ora. Subito! Forza, Viggo, muovi quelle mani, afferralo, prenditelo, non hai sentito cos’ha detto? Eh? Cosa ti ha appena detto? Prendilo e fargli di tutto, prima che –

Troppo tardi. Vedo distintamente il vortce di seghe mentali avvicinarsi roboando nella mia mente. No, no, no, non adesso, non adesso! Ma lui ha ragione. Io non l’ho mai visto come un uomo – no ti prego fermo – l’ho offeso, l’ho ferito, svalutato – smettila, basta! – ce l’ha con me. Ho sbagliato tutto dalla mia nascita in poi…

Lui è caldo. È ancora caldo, ed il suo respiro è caldo sulla mia faccia. Ne percepisco la mancanza come un dolore lancinante quando si scosta, sedendosi sopra di me.

I suoi occhi  bruciano, fissi nei miei. Le sue cosce stringono i miei fianchi.

Si china, la sua lingua scorre fra le mie labbra, ancora una volta. Esasperante. Lenta. Bagnata.

Muovo le mani per afferrarlo. Ma si ritrae, di scatto. Lo guardo, ci capisco sempre meno. Ma che cosa vuole da me? È imbronciato. Poi il suo volto si distende. Sta sorridendo.

“Facciamo un patto.”

Ascolto. Annuisco, imbambolato. Accetterei di vendergli mia madre, gli darò tutto quello che mi chiederà. Un patto, dice lui. Vuoi la mia anima? Prenditela, è tua. Avanti, parla.

“Non sei stato affatto gentile. Ma facciamo così. Tu farai qualcosa per me… e dopo potrai baciarmi di nuovo. Ci stai?”

Annuisco ancora. Baciarlo di nuovo. Il paradiso terrestre mi appare come una concreta opportunità. Baciarlo di nuovo. Dio, l’ha detto. Baciare lui. Baciarlo ancora. Farò tutto ciò che vuoi, Orlando, devi solo dirmi cosa. Vuoi il ponte di Brooklyn? Se non lo vendono, lo rubo. Posso farlo. Tu lo sai che potrei farlo. Coraggio, dimmi!

“Bene. Voglio che tu mi faccia un regalo.”

Sembra facile. Dov’è la fregatura?

“E voglio che lo compri…”

Si abbassa, fino a sfiorare il mio orecchio con le labbra. Sussurra...

CHE COSA?!

I miserandi residui dei miei neuroni hanno raggiunto i loro fratellini oltre il punto di non ritorno.

È evidente. È impazzito. O sono impazzito io, che lo sto anche a sentire. O magari siamo tutti pazzi, ed allora ‘sta faccenda ha perfettamente senso. Ma io non posso farlo. Io non farò una cosa simile per lui. Non lo farò. Ci siamo capiti? Non lo farò mai! Ho dei limiti anch’io, per la madonna. No, non lo farò.

Non posso che fissarlo mentre lui si alza, e si avvia alla porta.

La pioggia è grigia sul suo petto, grigia mentre riga il suo volto. I riccioli che gli ricadono scomposti sopra gli occhi. Quelle labbra. Dio, è bellissimo. Quelle labbra socchiuse, ancora arrossate. Sono io che le ho mordicchiate, le ho leccate. Io stringevo quel torace, e l’ho lasciato andare, a farsi abbracciare dai fili d’ombra della pioggia sopra il vetro. E lo accolgono, loro, lo avvolgono, lo trattengono lontano. Gelose di quella bellezza, gelose, per portarselo via, nel loro limbo oscuro, là, nel corridoio, nelle stanze, nel resto del mondo. Perché non c’è corridoio, c’è un oceano, un fossato di pioggia innamorata, invalicabile, sul cui ciglio io potrei morire, incapace di colmarne la distanza.

Sopra il suo corpo, possessive strisce d’ombra ne decorano il volto. Come crepe, su una statua greco antica, bellissima e terribile, nella sua maledetta perfezione.

Dannazione!

Rampicanti d’acqua scura, non portatemelo via. Rinunciate voi a quel ragazzo che rivoglio, ne ho bisogno, come dell’ossigeno che devo respirare. Per favore. Non lasciatemi solo, con la consapevolezza di averlo fatto scivolare via dalle mie braccia. Per favore…

Orlando di appoggia allo stipite, sensuale come solo lui sa essere, e mi sorride ancora, maligno e perverso, e dio, così dannatamente figo…

Ma non cederò. Non voglio cedere. Io non farò una cosa simile. Non rinuncerò alla mia dignità per avere quel suo corpo contro il mio un’altra volta. NO.

“Ci vediamo, Vig.”