.|. Sei La Mia Speranza  .|.

5. Contemplando Questa Luce

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Le ultime parole pronunciate da Aragorn risuonarono nella grotta nitidamente, per poi disperdersi, subito dopo, in un eco leggero e metallico. Nonostante il tono pacato, però, più che una richiesta quello dell’uomo era parso un ordine. Un preciso, netto ordine.

Legolas deglutì ancora una volta. Rimase immobile fino a quando la caverna ritornò silenziosa, ma nemmeno allora, sotto lo sguardo insistente del padrone dell’isola, riuscì a trovare il coraggio necessario per avanzare verso il piccolo specchio d’acqua.

“Ti assicuro che io non… volevo… ”, tentò di dire tenendo gli occhi bassi ed un tono di voce controllato. “Sono… capitato qui per… caso, e… ”.

“Lo so”, intervenne in quel momento l’altro, zittendolo gentilmente. “Non avevi intenzione di fare nuovamente il… ficcanaso. E nemmeno di spiarmi. Anche se non posso negare che, comunque… ”. Si fermò per pochissimo, e quando riprese la sua voce sembrò leggermente più bassa. “… beh, che quest’ultima cosa non mi creerebbe alcun problema… ”.

Il sorriso languido che Legolas aveva visto affiorare sulla bocca dell’uomo poche ore prima riapparve, vago ma dannatamente seducente, tra la barba rada del suo viso regale. Il ragazzo rimase quindi ad osservarlo a lungo con le labbra socchiuse, alla ricerca d’ossigeno.

Perché… doveva sempre fargli quell’effetto?

Premette il palmo di una mano alla base del proprio collo, piegando le dita gelate contro i muscoli tesi. E’ che… era come se… ogni volta, Aragorn fosse in grado di legarlo a sé tramite una corda invisibile, riuscendo a farla passare attorno al suo corpo agilmente ed accompagnando il movimento ad un fruscio piacevole… morbido, appena percepibile. Quando però giungeva, alla fine, a stringere i nodi creati dall’incrocio delle tiepide fibre della fune sulla sua pelle nuda, queste diventavano d’un tratto brucianti, capaci di lasciargli segni profondi, e decisamente difficili da ignorare…

Abbassò il braccio. Si voltò di lato, spostando gli occhi sulla parete luminosa che aveva ammirato durante la discesa. Anche se sapeva che sarebbe stato arduo, se non addirittura impossibile, era fermamente determinato a mostrarsi discretamente freddo. Sì, distante. Se da una parte, infatti, desiderava più di ogni altra cosa avvicinarsi ad Aragorn, rispondendo a quel commento malizioso con la stessa occhiata che gli aveva lanciato quella mattina a pranzo e proseguendo, intanto, nel minuzioso studio del corpo bagnato dell’uomo, dall’altro non poteva dimenticare come era stato trattato. Poco prima si era alzato dal letto animato dalle migliori intenzioni, deciso ad andare a cercare Aragorn per chiarire con calma ciò che era accaduto, ma ora quella fitta dolorosa, provata la prima volta nel salone con gli occhi fissi sui frammenti del calice caduto ai piedi del tavolo, stava attraversandogli nuovamente il cuore.

Non pensava fosse così difficile, per lui, dimenticare un torto subito, una parola sprezzante. Forse perché, in passato, nessuno gli aveva mai dato modo di preoccuparsene. O magari, molto più semplicemente, perché non sopportava l’idea che Aragorn potesse arrivare ad odiarlo. No, era un’ipotesi che non voleva nemmeno… nemmeno immaginare…

Sentì gli occhi inumidirsi, frustrato dalla confusione, dalla debolezza del proprio carattere, dalla fragilità di un cuore che aveva sempre creduto molto più forte, perlomeno dopo tutto quel tempo. Altro che atteggiamento distante… le sole cose che avrebbe voluto fare in quel momento erano ben altre, ma non era per nulla convinto che si sarebbero rivelate le migliori. Fuggire via da quel posto, il più velocemente possibile, era probabilmente la più logica. Immergersi nudo nel piccolo lago per poi spingere, con un secco scatto, le anche dell’uomo contro il proprio inguine già in fiamme quella, invece, più allettante…

Era quel calore ciò che desiderava. Un bisogno urgente, fondamentale.

Soltanto Aragorn, con il suo corpo ed il suo cuore… anche se rabbioso, e malinconico. Soltanto lui.

“Ho capito. Tranquillo, non… ti biasimo”.

Il ragazzo ebbe un sussulto. Sbatté un paio di volte le ciglia per asciugare gli occhi lucidi, poi si girò. Aragorn si era mosso, allontanandosi dal bordo e abbassando il viso sulla superficie colorata dai raggi del tramonto che, gentili, entravano da una grande spaccatura naturale della parete ricurva. Il profilo della pelle ambrata dell’uomo riluceva fiocamente fra le sfumature vermiglie del pezzo di cielo alle sue spalle, come la fiamma di una candela ormai consumata alle prime luci dell’alba. Pareva un’apparizione, tristemente rasserenante e bella da far male.

Legolas avanzò di un passo, incerto, ma poi si morse un labbro. Si bloccò.

“Scusami”, mormorò con un filo di voce. “E’ meglio… se rimango qui”.

L’altro non lo guardò, ma accennò un breve sorriso, mentre gli addominali del suo ventre si contraevano in un sospiro rassegnato.

“No… no, sono io quello che si deve scusare. Devo esserti sembrato un folle, questa mattina”.

La bocca di Legolas si assottigliò ancora. Devo averti fatto molto male era ciò che, in realtà, aveva sperato di sentire, ma ammise che nemmeno ciò che aveva supposto Aragorn era poi tanto lontano dal vero.

“… abbastanza”.

Incrociò le braccia sullo stomaco, coprendo il costato coi palmi aperti. Sollevò in modo falsamente distratto lo sguardo verso la sommità della caverna alla ricerca di un maniera con cui proseguire la conversazione, ma l’uomo riprese a parlare.

“Il mithril… è sorprendente, non è vero? Il modo con cui è capace di catturare la luce del sole e della luna…”.

Aragorn si fermò solo un istante, giusto il tempo per vedere il busto di Legolas ruotare, ancora una volta, nella sua direzione. 

“La luminosità di queste pareti, da sola, sembra riuscire addirittura a riscaldare l’aria… ”.

Gli occhi trasparenti del giovane biondo si puntarono su di lui, improvvisamente colmi di curiosità.

“Mithril… ?”, ripeté, incredulo. “Allora… è questo il leggendario materiale praticamente indistruttibile ma più splendido e prezioso del platino e dell’argento? Credevo fosse solo una fantasia dei cantori… ”.

L’altro si abbassò nell’acqua, nuotando rapidamente fino al bordo più vicino al punto in cui stava Legolas, in piedi con le braccia conserte.

“Da quel che ne so si trova solamente qui, adesso, anche se non fatico ad immaginare che ce ne sia un’enorme quantità sparsa per tutte le colline di Valánen, coperta da secoli di strati di terra e rocce”, riprese. “Ambalmíre è invece costituita quasi interamente da mithril, ma purtroppo all’esterno la fitta vegetazione ne nasconde la superficie riflettente. Ecco perché è chiamata così, ‘Gioiello di Pietra’. Ed ecco perché amo moltissimo venire in questo posto… ”.

L’uomo diresse lo sguardo verso un punto indefinito, oltre la testa di Legolas. Stava ancora sorridendo, ma questa volta in maniera diversa. In un modo… realmente sereno.

“… qualche volta, aspettando qui il calare della notte, ho l’impressione che la vita sia un po’ meno ingiusta. Riesco a credere ancora alla speranza, e… mi sento meglio”.

Nel pronunciare quelle ultime parole abbassò le palpebre piano, poi emise un profondo e rilassato respiro. Non si accorse, però, dei passi leggeri del ragazzo che, finalmente, aveva deciso di avvicinarsi.

“Perché… è come se la luce fosse in grado di sopravvivere, in qualche modo, alle tenebre… non è vero?”.

L’uomo rialzò la testa, spalancando debolmente gli spicchi azzurri ornati dalle lunghe ciglia scure. A solo poche decine di centimetri da sé il giovane biondo lo guardava, accucciato sul bordo di pietra grezza. La linea delle sue labbra pallide era dolce, gli occhi appena socchiusi e così simili a quelli che Aragorn aveva visto, per anni, riflessi ogni mattina nello specchio della propria stanza.

Quest’ultimo restò, così, a fissare Legolas per un po’. Un brivido inspiegabile gli percorse più volte la schiena.

“Esatto… ”, disse infine con un mormorio, rispondendo al sorriso tenue del ragazzo. “Non avrei saputo… descriverlo meglio”.

Lui non disse nulla. Dopo qualche istante si sollevò sulle ginocchia, ma solo per spostarsi poco più in là. Raggiunse un masso liscio e dolcemente degradante sull’acqua cristallina, e vi si sedette con un fruscio leggero. Aragorn lo osservò, stupito, sfilarsi quindi i calzari di tela e cuoio, lasciando i piedi chiarissimi sospesi a meno di una spanna dalla superficie.

“Mi sorprendi ogni giorno di più”, mormorò poi il giovane, lanciando una lunga occhiata alla propria immagine sotto di sé e successivamente all’uomo, ancora fermo nell’acqua accanto all’argine roccioso. Fece una breve risata. “E non a causa del tuo… carattere imprevedibile. Almeno, non solo per quello”.

Il padrone dell’isola inarcò un angolo della bocca, sinceramente sollevato dal calo di tensione. Più che sollevato, felice.

“Mh, son proprio curioso di sapere quali sono gli altri motivi, allora. Non ho grandi pregi”.

“Non dire assurdità!”, rispose allora Legolas, d’istinto. Fissò Aragorn ma, immediatamente, tornò ad osservare il fondo del piccolo lago, imbarazzato.

“Beh, è che… ho notato che conosci la Lingua Alta. In pochi conoscono l’origine del nome dell’isola, ed il suo reale significato. Ambal e míre sono due vocaboli appartenenti al linguaggio parlato dagli Dei, ed anche mithril. Quindi… ecco, son rimasto davvero meravigliato. Non sapevo che qualcuno, ancora, lo studiasse. Mi sembri troppo giovane per poterlo aver imparato ai tempi in cui era diffuso tra il popolo… ”.

Aragorn, questa volta, rise di cuore.

“Forse ho qualche anno in più di quanto tu creda, ma hai ragione. Lo conosco perché me l’hanno insegnato. Sono stati i miei genitori a farlo, molti anni fa”.

La voce dell’uomo risuonò nella grotta, amplificata. Legolas lo guardò con finto sospetto, divertito dalla sua risata.

“Non hai più di quarant’anni. E non provare a contraddirmi, perché sappi che non ti crederò”.

“Eh eh, come vuoi. Comunque tranquillo, sei arrivato… molto vicino alla verità, immagino”.

Il ragazzo sorrise. Anche se avessi i capelli bianchi ti amerei lo stesso, pensò, stringendosi nelle spalle. Anche se sapessi… che tutto questo non potrebbe durare che poco più di qualche inverno e primavera…

Non avrebbe voluto farsi imprigionare ancora una volta da pensieri simili, ma gli bastò poco per capire che non sarebbe mai riuscito a sfuggirvi. A loro come alla cruda realtà.

Dopo tutti questi anni, dovrei aver imparato a conviverci.

Aggrottò stancamente le sopracciglia, ma Aragorn non lo notò.

“Mio padre era orafo e fabbro”, proseguì infatti l’uomo, perso nei ricordi. “Quello di lavorare il mithril fu per tutta la sua vita uno dei suoi più grandi sogni, ma non ebbe mai l’occasione di averne tra le mani nemmeno qualche grammo. In compenso conosceva ogni dettaglio dei racconti antichi, nei quali il mithril era sempre presente, minuziosamente descritto. Armi, diademi, armature, fregi… ogni cosa, fino ai primi decenni del secolo, era realizzata con questo materiale”.

Alzò i gomiti dall’acqua, appoggiandoli sul bordo e incrociando le braccia.

“Se solo… avesse potuto vedere questo posto… ”.

Il tono malinconico e sognante della sua voce aleggiò nell’aria calda e umida della grotta, facendola calare per un momento nel silenzio. Legolas immerse allora i piedi nell’acqua, sporgendosi leggermente in avanti. Iniziò a muoverli piano, in un modo quasi controllato, come per concentrarsi su qualcosa.

“Sono certo… che ne sarebbe stato entusiasta”, mormorò.

L’altro dischiuse velocemente le labbra.

“Lo credo anche io”.

“E ora lui è… ”.

“Morto. Io ero solo un bambino”.

Il lieve sciabordio dell’acqua sulla pelle del ragazzo cessò, improvvisamente.

“Mi… dispiace”.

“Non preoccuparti. Non potevi saperlo. Comunque… è stato un buon padre. Mia madre, invece, mi ha insegnato molte cose sulla Lingua Alta. La amava moltissimo”.

Lo sguardo del padrone dell’isola si perse, indugiando a lungo sulle proprie, lunghe dita, distese davanti a sé su uno degli avambracci piegati.

“Lei è sempre stata… così devota agli Dei. Per tutta la sua vita, ha sempre avuto un’immensa fiducia in loro… ”.

Fece un’altra, lunghissima pausa, e per un attimo Legolas ebbe la sensazione che non volesse continuare. Lo vide voltarsi un poco, forse per sfuggire ai suoi occhi preoccupati.

“… trovava… incredibilmente elegante la loro lingua”, ricominciò però poco dopo, sommessamente. “Spesso, in casa, intonava alcuni canti della Seconda Era. Le erano stati insegnati dai suoi genitori, e forse sperava che imparassi ad amarli così come li aveva amati lei, durante la sua infanzia”.

Ascoltando quel racconto il giovane non poté fare a meno di sorridere ancora. Appoggiò le mani sulle rocce, quindi stese il collo tra le spalle inarcate, accostate alle orecchie.

“E l’hai fatto?”, domandò dolcemente.

Aragorn si girò di nuovo. Annuì.

“I canti, certo. Non potevo non amarli, soprattutto perché oggi rappresentano gran parte dei pochi ricordi che mi sono rimasti di lei. La Lingua Alta… non particolarmente. O meglio… non lo so. Non ho avuto l’occasione di poterla parlare a lungo”.

Si fermò. Il sole era probabilmente in parte già sceso verso le colline ad ovest, sulla sponda del lago verso cui guardava l’entrata della caverna. Legolas non era in grado di scorgerlo a causa della propria posizione e del basso tetto dell’imboccatura, ma sentiva ugualmente il tenue calore degli ultimi raggi del disco rosso sulle gambe seminude.

Assaporò il piacevole contrasto con la temperatura fresca dell’acqua, colto da un torpore strano. Percepiva gli occhi di Aragorn su di sé. Forse, non era il tramonto a scaldarlo…

“Tu, invece… come conosci la Lingua Alta?”.

Un tono insolito, per una frase detta a fior di labbra. Come se volesse alludere a qualcosa di diverso, o di sottinteso.

“L’hanno… l’hanno insegnata anche a me”, rispose il ragazzo. “Preferisco quella Comune, in realtà, ma trovo che… il linguaggio degli Dei abbia dei suoni bellissimi. Così… ”.

“… suadenti”.

A quell’intervento, il giovane mosse la testa.

Aragorn si stava spostando, avanzando nell’acqua con lentezza. Avanzando… verso di lui.

“Inoltre… ”, continuò l’uomo, “… certe cose risultano molto più facili da dire, quando le parole paiono note innocenti… ”.

Gli occhi di Legolas di fissarono a quelli, impenetrabili, del padrone dell’isola, incatenandosi ai loro riflessi grigi. Al riverbero dorato della sua pelle umida, investita dalla luce.

Tese ulteriormente le braccia. Le irregolarità della pietra gli pungevano violentemente i palmi, ma nonostante il dolore continuò a spingere ugualmente contro la superficie ruvida, come a cercare di voler inglobare quella sensazione esatta e definita dentro di sé.

“Certe… cose… ”. La sua voce era quasi un sussurro, ma tutt’altro che timoroso. “Ad… esempio?”.

L’altro produsse una piccola onda sullo specchio liscio in cui era immerso portando il braccio destro dinanzi a sé, in senso antiorario. Legolas seguì il silenzioso cammino del rilievo cristallino con lo sguardo fino al suo infrangersi contro l’ombelico di Aragorn, quando l’acqua scivolò ai lati lambendo i fianchi scolpiti dell’uomo in un suono breve ma denso.

“Ad esempio… una potrebbe essere… ”.

I suoi occhi si alzarono, con esasperante lentezza, sul ragazzo, percorrendo i contorni del suo corpo centimetro per centimetro. Pareva star cercando di sondare qualcosa, in apparenza invisibile o abilmente nascosta, e che fosse vicino, estremamente vicino a trovarla…

… aníron… (… voglio… )”.

Una lieve esitazione. Poche ciocche scure, staccandosi dalla sua fronte bagnata, gli ricaddero piano sugli zigomi. Sottili, gli ombreggiavano le iridi tagliando il loro azzurro a tratti, simili a rami nudi e affilati contro un cielo invernale, terso e pallido. Ed in quel preciso istante ogni porzione del profilo perfetto di Legolas, dalle ombre vaghe dei suoi lineamenti eterei fino al più piccolo dettaglio della sua pelle lattea, fu nella testa di Aragorn. Ogni singolo dettaglio, fissato in un’immagine eterna. Indelebile.

… aníron… le gaded a le echaded nîn… an cened le ninnad an i ‘lass, Ithilgalad nîn… an cened hílad lîn annad dhúath nan Anor… (voglio… prenderti e farti mio fino a vederti piangere dal piacere, mia Luce Lunare… fino a vedere il tuo splendore oscurare perfino il Sole… )”.

L’ultimo, di quella successione tenue ma sensuale di suoni, uscì dalle labbra dell’uomo come un alito leggero. Sussurrato. Soltanto pochissimi centimetri, ormai, lo separavano dalle gambe del giovane immerse per metà nell’acqua, e quando finalmente giunse davanti a lui, bloccandosi silenziosamente, gliele sfiorò con le braccia.

Per tutto il tempo Aragorn non aveva staccato gli occhi dal Legolas. E quegli occhi, adesso, erano fatti soltanto di ghiaccio e fuoco. Di acqua limpida, e fiamme di desiderio puro…

Le labbra del ragazzo si schiusero di poco, tremanti. L’uomo non mutò invece espressione, continuando a fissarlo anche quando fece emergere le mani dalla superficie per posarle sulle sue cosce, leggermente divaricate. Le fece quindi salire, premendo con forza sul tessuto liscio e setoso dei pantaloni.

Legolas mosse le palpebre, quasi impercettibilmente, e strinse le labbra. Provò a trattenersi, non riuscendo però a nascondere un violento sospiro nel momento in cui l’uomo gli spalancò con pochi gesti la tunica, sganciando agilmente con le dita, insinuatesi sotto la stoffa leggera, le piccole chiusure in metallo.

Quando riaprì gli occhi il viso di Aragorn era già contro il suo ventre. Lenta, sentì la sua bocca, ruvida per la barba incolta, salire dall’incavo dell’ombelico fino a quello sotto il costato, fermandosi un istante prima di riprendere immediatamente il percorso verso il torace. I baci dell’uomo si propagarono veloci, arrivando fin su, tra le clavicole, per poi ritornare subito indietro, a seguire il contorno rosato dei capezzoli gonfi con la punta della lingua. Li tormentò a lungo, e quando iniziò ad assaggiarli, piano, anche con i denti, fece salire una mano lungo il braccio del ragazzo, abbandonato mollemente sulla pietra scura. Arrivata al collo gliela insinuò sensualmente dietro la nuca, afferrandogliela con dolcezza.

“Ah… ”.

Il gemito di Legolas, questa volta, fu più forte degli altri alzatisi nell’aria della grotta fino a quel momento. Attrasse Aragorn contro di sé, flettendo con impeto improvviso il braccio che l’uomo aveva accarezzato. Affondò le dita tra i suoi capelli bagnati ed alzò il viso verso l’alto, deliziato dal piacere che, elettrico, gli si irradiava dal petto offuscandogli la mente e facendo crescere l’eccitazione che premeva insistente contro la chiusura dei suoi pantaloni. Ad ogni movimento l’uomo la lambiva continuamente con il ventre, senza però arrivare mai a toccarla.

Legolas si morse più volte le labbra ma, all’ennesimo sfioramento, emise un singulto frustrato.

Allora Aragorn si fermò. Sollevò lo sguardo sul ragazzo, fissandolo con occhi annebbiati forse nel tentativo di capire cosa volesse dirgli. Ascoltò i respiri affannati di entrambi ma poi, dopo aver gettato una veloce occhiata all’inguine in fiamme del ragazzo, sorrise. In modo allusivo, malizioso, e terribilmente compiaciuto.

Senza dire ancora nulla prese a far ridiscendere il palmo della mano ferma dal collo del giovane lungo il suo corpo, senza fretta ma esercitando una certa forza. Attentamente misurata.

Mentre muoveva le dita contro la sua pelle tiepida, l’uomo puntò nuovamente gli occhi in quelli di Legolas. Erano confusi, ma assetati di sensazioni ancora da conoscere. Un lieve, lievissimo sorriso era ancora sulle labbra del signore di Ambalmíre, e quando la superficie della sua mano giunse oltre l’orlo della calzamaglia del ragazzo questi spalancò le labbra in un singhiozzo soffocato, chiudendo le dita sull’avambraccio teso di Aragorn. L’uomo si bagnò le labbra con la lingua, estasiato dalla voce del compagno scossa dal piacere, quindi passò nuovamente la mano sul suo bacino. Questa volta il tocco fu però più deciso, ed il padrone dell’isola sfregò il rigonfiamento chiaramente distinguibile sotto il tessuto chiaro con incredibile sensualità, in una carezza violenta e lussuriosa.

Legolas gridò. Parte dei capelli biondi che, leggermente scompigliati, gli scendevano lungo le guance arrossate si mossero piano al soffio del suo respiro ansante. Rimase per qualche istante con gli occhi socchiusi nel tentativo di riacquistare il controllo di sé, e quando riuscì a trovare la forza per risollevarsi dalla spalla di Aragorn pronunciò due sole parole.

La sua voce, debole per i battiti accelerati, era poco più di un fievole sussurro.

… Echado… han… (… fallo…)”.

Rimase a guardare l’uomo. Deglutì, e riaprì le labbra.

Aragorn lo imitò. Era… esattamente quello. Era quell’invito chiaro, in risposta al desiderio che aveva confessato di provare poco prima, in Lingua Alta… quella preghiera, implorante e quasi disperata, ciò che aveva aspettato di udire dalla voce di Legolas sin dalla prima volta in cui aveva sentito il suo corpo contro il proprio, quel pomeriggio nel giardino del castello. Ed i suoi occhi supplicanti, liquidi per l’eccitazione, tutto quello che aveva desiderato vedere prima di riuscire, finalmente, a stringerlo a sé. Prima di poterlo possedere, con tutta la forza e la passione rimasta sopita per vent’anni…

Non attese oltre. Trascinò il ragazzo giù dall’argine di pietra, circondandogli la vita con le braccia per attirarlo contro il proprio petto, lucido di minute goccioline trasparenti e mosso da respiri veloci. Legolas non riuscì nemmeno a toccare il fondo coi piedi che Aragorn già lo stava baciando, con le grandi mani, nervose e mobili, aperte sulla sua schiena coperta dalla sottile tunica ormai fradicia.

Lui si lasciò stringere, abbandonandosi alle labbra avide dell’uomo con la stessa fame. Era un bacio simile, ma tuttavia molto diverso a quello che si erano scambiati prima di esser interrotti da Merry, quella mattina, e Legolas pensò semplicemente che si trattasse di una naturale, ovvia conclusione a tutto ciò che era accaduto tra lui ed Aragorn fino a quel momento. La malinconia, la rabbia, la tristezza, la gioia, la delusione, la passione… tutto era mescolato in quel secondo bacio, ed impregnato di una consapevolezza dolceamara. Allo stesso modo lo erano anche le loro lingue che, frenetiche, si incontravano di continuo e violentemente, come nella paura di non poter più avere, in futuro, altre occasioni per farlo…

L’acqua, smossa dai loro movimenti, si infranse ancora una volta contro la parete della grotta che si innalzava al loro fianco, producendo uno sciacquio debole. Il ragazzo circondò le spalle dell’uomo con slancio, e inarcò leggermente la schiena. Voleva di più, e aderendo col bacino al corpo nudo di Aragorn scoprì che anche il padrone dell’isola era ormai al limite. La sua erezione premeva infatti con forza contro il ventre di Legolas, e l’essere immersi nell’acqua acuì notevolmente il brivido che il giovane percepì lungo la propria schiena.

L’uomo, probabilmente scosso dalla stessa scarica d’eccitazione, emise un lungo gemito. Alla ricerca di un contatto maggiore spinse allora il compagno contro la parete, e lui alzò gli occhi socchiusi verso il tetto della caverna, non facendo caso al dolore alla nuca causato dal ruvido piano freddo alle sue spalle.

Sospirò languidamente. L’acqua arrivava ad entrambi all’altezza dell’ombelico, accarezzando dolcemente le loro anche, snelle e vicine. Aragorn lo guardò, poi chiuse gli occhi. Quando li riaprì cercò velocemente la mano di Legolas per condurla sopra di sé. Immersa solo in parte la virilità dell’uomo, turgida d’eccitazione, era chiaramente visibile nella luce rossastra e soffusa della grotta. Il giovane biondo percepì le dita dell’amante stringersi saldamente intorno al proprio pugno per poi, dapprima lentamente, iniziare insieme ad accarezzare il suo inguine proteso.

Nel sentire la carne pulsante dell’uomo sotto la mano, Legolas aprì la bocca in un gemito muto. Sollevò il ventre con uno scatto ritrovandosi, così, a spingere disperatamente contro l’eccitazione di Aragorn mentre questi, guidandolo con la propria mano, faceva lo stesso contro la sua ancora crudelmente imprigionata dai pantaloni madidi d’acqua.

“… sei… sei ingiusto… ”, riuscì allora a mormorare con le labbra socchiuse, senza più quasi la forza per pronunciare chiaramente le parole. “… è da questa mattina che… mi fai aspettare…”.

L’altro allargò di poco la linea delle labbra, costretto dall’ennesima, decisa carezza della mano di Legolas a sporgersi in avanti con un sussulto. Nascose il viso nel suo collo.

“Aha… ma non… negare che è… ciò che vuoi… ”.

A quelle parole, pronunciate ad un soffio dal proprio viso, il ragazzo deglutì. Il sangue gli stava salendo alla testa, sempre più velocemente…

“… e inoltre ricordati… ”, continuò poi l’uomo con un sussurro, intervallando ogni parola con il tocco sensuale della lingua nelle cavità rosee del suo orecchio, “… che dovrai… oscurare il Sole per me… ”.

Legolas cercò di mettere a fuoco la scala di pietra che, nella parte opposta della caverna, emergeva dalla penombra fievolmente illuminata dalle candele che ne costeggiavano la discesa. Fece per rispondere, ma Aragorn non gli permise di replicare. Lasciatagli la mano l’uomo scese con le dita sui suoi muscoli tesi, e arrivato oltre le anche lo afferrò da dietro per sollevarlo. L’acqua intorno a loro si increspò violentemente, ed il ragazzo si aggrappò al collo del compagno che, camminando, si spostò poco più in là, dove il bordo scendeva quasi orizzontalmente plasmando un’ampia lastra, levigata e smussata.

La superficie cristallina la lambiva appena, sommergendola di pochi centimetri ad ogni riflusso. Aragorn adagiò dolcemente il corpo del giovane sul gradino di pietra, poi rimase a rimirarlo per un istante così, disteso con gli occhi chiusi e completamente abbandonato a lui. Si chinò sulle sue gambe, e dopo aver armeggiato qualche secondo con la chiusura dei pantaloni glieli tolse, sfilandoglieli con lentezza a causa dell’adesione del tessuto bagnato alla sua pelle chiara.

Aragorn sapeva di avere, adesso, lo sguardo di Legolas su di sé, ma non alzò gli occhi su di lui. Preferiva immaginare come lo stesse guardando. Comporre i suoi lineamenti perfetti, stravolti dall’eccitazione, nella propria mente, lasciandosi ubriacare dal suono roco e splendido delle sue grida mentre gli percorreva l’interno delle cosce fino agli incavi dolci dell’inguine, per poi tornare di nuovo alla ginocchia o risalire su, all’addome tremante…

“E’… meraviglioso… ”, mormorò ad un tratto contro il suo collo, poggiandovi sopra baci leggeri, “… risentire questo calore dopo… tanto tempo… ”.

Legolas trattenne un nuovo sospiro, e passando le dita tra i capelli dell’uomo, sparsi sul proprio petto, sorrise. Dopo qualche istante fece una piccola, debole risata.

“In effetti dubito che tu possa esserti sentito attratto da uno degli hobbit”, disse divertito, la voce flebile per l’eccitazione. “Anche se riconosco che i loro piedi pelosi sono estremamente sensuali… ”.

Aragorn spostò la testa per lanciargli un’occhiata veloce, le labbra curvate ironicamente. L’altro continuò a ridere per un attimo, poi si fermò, rabbuiandosi.

“Una volta… ”, riprese con un mormorio incerto, “… avevi… qualcuno accanto?”.

L’uomo socchiuse gli occhi.

“No”, rispose subito. Scese ancora verso il petto del ragazzo, saggiandolo con le mani. “O meglio, sì… ma non è stato nulla di serio. Semplicemente, delle esperienze da… adolescente, se vogliamo chiamarle così. Con molte ragazze del villaggio nel quale vivevo, e qualche forestiera”.

La sua voce acquisì una punta di tristezza.

“A quel tempo erano le sole cose capaci di darmi l’illusione di essere meno solo, ma non amai mai davvero. Cercavo solo il tepore di un corpo, e nient’altro”.

Tacque, e Legolas si limitò a continuare ad accarezzargli teneramente il capo. Poteva soltanto ipotizzare la quantità di donne che, per anni, si erano alternate nel letto dell’uomo, e qualcosa gli suggerì che non fossero state poche. Ma non provò alcuna gelosia, né nessun altra sensazione fastidiosa, ad eccezione di una sottile fitta di pura tristezza all’altezza del cuore. Qualunque fosse stata la ragione della sofferenza che il compagno portava radicata dentro di sé, lui non gliel’avrebbe chiesta. Sarebbe stato Aragorn stesso a raccontarglielo, nel momento in cui se la sarebbe sentita di farlo.

“Mi dispiace”.

“Mh, oggi sarà la terza volta che me lo dici, ma non deve dispiacerti. Ora so di non aver sofferto per metà della mia vita invano”.

Il padrone di Ambalmíre lo guardò intensamente. Sorrise malinconico.

“Credevo… di non essere più in grado di amare. Credevo che avrei trascorso i giorni che mi restavano osservando questo lago notte e giorno, contando le ore susseguirsi infinitamente lente, infinitamente esasperanti, e tutte uguali. Ed invece mi sbagliavo. Perché sei arrivato tu”.

Legolas sentì un nodo salirgli alla gola, venendo trafitto da quelle parole come se fossero state le peggiori che potesse udire. Perché… sapeva perfettamente cosa significavano.

L’aveva sperato, e allo stesso tempo l’aveva temuto.

Aragorn… ricambiava i suoi sentimenti. Aragorn lo amava.

Se si fosse trattato ancora una volta soltanto di sesso, per lui, sarebbe stato molto più semplice. Meno indolore, meno crudele. Ma adesso quelle che erano state per tutte quelle settimane soltanto desideri e paure si erano avverate.

Rimase a fissare, inerte e con gli occhi improvvisamente vitrei, un punto preciso dello specchio d’acqua.

Come… farò a dirglielo?

Non lo accetterà. Non mi permetterà di farlo.

Ed Aragorn…

Come reagirà quando scoprirà la verità?.

E’… una follia.

Ma non posso più tornare indietro. Il mio cuore… non può più tornare indietro.

E lui dovrò capirlo. Entrambi dovranno lasciarmi libero di scegliere il mio destino.

Sentì gli occhi pungergli, ma non voleva che il compagno notasse le lacrime che gli stavano offuscando la vista. Prese allora il viso dell’uomo tra le mani, accostandolo con forza alle labbra. Inclinò il capo, ed insinuò la lingua nella sua bocca. Voleva perdersi nel suo calore, disperatamente, cercando di scacciare il pensiero della lancinante sofferenza che gli avrebbe probabilmente portato quell’amore totale. Che gli avrebbe portato quel bacio, ed i successivi che l’avrebbero seguito…

Quando si staccarono, però, Legolas aveva ancora le iridi blu lucide, investite dalla luce calda e traditrice del tramonto. Aragorn allora aggrottò le sopracciglia scure, preoccupato, ma l’altro scosse la testa.

“Non è nulla”, sussurrò il ragazzo, celando l’angoscia dietro ad un sorriso tirato. “Ora… mi passa”.

“Spero però che siano lacrime di gioia… ”, disse lui, posando un altro bacio sui suoi occhi ma tirandosi, poi, bruscamente indietro. Afferrò le gambe del giovane, quindi le spinse ai lati, divaricandole.

“… perché devo ancora arrivare a farti piangere e gridare per altri motivi, Ithilgalad nîn… ricordi?”.

Legolas provò ad alzarsi leggermente per incontrare gli occhi del padrone dell’isola, ma una nuova ondata di piacere inatteso lo costrinse a gettare indietro la testa con uno scatto convulso. Le labbra di Aragorn si erano finalmente chiuse su di lui, ponendo fine alla sua lunga e tormentosa attesa.

L’uomo proseguì ad accarezzarlo con la lingua a lungo, tenendolo con una mano alla base in una stretta gentile ma energica. Quando poi i movimenti della sua bocca divennero improvvisamente più profondi e veloci, Legolas si tese verso l’alto. Le dita del compagno allora scesero più giù, mentre con le labbra ripercorreva per un’ultima volta l’intera lunghezza del suo membro prima di concentrarsi sull’estremità.

Il ragazzo tremò più volte gemendo il nome dell’uomo, ma all’ennesimo tocco della sua lingua lo bloccò. Gli spinse debolmente indietro il capo, mentre i respiri affannosi e veloci gli alzavano e abbassavano il petto glabro.

“A… aspetta… ”, mormorò, incerto. “… sto... perdendo il controllo, e… non voglio che succeda. Non voglio che succeda così… ”.

Fece una pausa per deglutire. La sua voce tremava.

“Non sarebbe lo stesso”.

L’uomo sorrise. Si avvicinò un’altra volta a lui, e passandogli due dita sulle guance, delicatamente, lo guardò con occhi socchiusi. Adoranti.

“Cosa vuoi che faccia? Basta solo che tu me lo dica”.

Legolas gli ricambiò lo stesso sguardo, portando la propria mano a congiungersi con quella dell’uomo, ferma accanto al suo viso.

“Amami”.

Gliela strinse, quindi se la accostò alle labbra. Aragorn lo osservò.

“Sei… sicuro di volerlo?”, gli chiese allora, serio. “Io non… ecco, è la prima volta che lo faccio con un… altro uomo. Non so se… ”.

Sospirò, a corto di parole.

“E’ che ho paura di farti male. Quando dicevo che ti avrei fatto piangere, di certo non intendevo questo… ”.

“Non me ne farai. Lo so”.

Legolas stese le braccia verso il compagno, e gli circondò il viso con i palmi aperti. Lo attirò a sé, poggiandogli un leggero bacio sulle labbra.

“E anche se fosse… sarà un dolore dolce”.

Aragorn lo guardò un istante, e dopo aver sfiorato la sua fronte con la bocca si sollevò piano, voltandosi. Poco distante, abbandonati fra due piccole formazioni rocciose dirimpetto al limpido specchio d’acqua, stavano i vestiti dell’uomo insieme alla sua spada, un pezzo di stoffa morbida ed una serie di piccole boccette trasparenti, contenenti un liquido denso e vischioso. Aragorn vi si avvicinò, e ne prese una.

“Questa è la sola cosa che ho per… ”, iniziò a dire, ma le parole gli morirono in gola, soffocate da un flusso di piacere caldo. Il ragazzo biondo era infatti apparso alle sue spalle, senza fare alcun rumore, e circondatagli la vita con le braccia aveva iniziato a muovere una mano su di lui.

L’uomo gemette. Si aggrappò all’argine, spingendo nel contempo le natiche contro il membro estremamente eccitato del compagno. Legolas allora si sporse ulteriormente in avanti, ed il suo petto aderì completamente alla schiena di Aragorn.

“Que… questa volta sei tu che… mi sorprendi… ”, mormorò il padrone dell’isola, fra un sospiro e l’altro. “Ed è una… decisamente, una… piacevole sorpresa… ”.

L’altro sollevò un angolo della bocca, parlando a pochi centimetri dall’orecchio dell’uomo.

“Non volevo lasciarti tutto il divertimento… ”, sussurrò maliziosamente, accompagnando la frase ad una carezza più violenta sull’erezione dell’amante. Appoggiò una guancia al suo collo bagnato, e con le ciglia abbassate schiuse deliziato la bocca.

“… credo proprio che tu… aha…  mi abbia sottovalutato… ”.

Aragorn serrò le labbra, ma senza riuscire ad impedire alla propria mano di raggiungere il polso sottile del ragazzo. Lo strinse, forse nell’intenzione di acquisire controllo sui suoi movimenti, ma Legolas gli fece lasciare immediatamente la presa. Riportò il braccio dell’uomo lungo i fianchi, quindi lo costrinse a piegarlo contro lo stomaco. Coprì le sue dita con le proprie.

“Qualcosa… mi dice che ti stai vendicando per prima… ”, suppose Aragorn con un breve sorriso, subito sostituito da un sospiro. Il ragazzo incurvò le labbra, soddisfatto. Prese ad assaporare il suo collo con la lingua, strappandogli un altro lieve lamento.

“Mh… forse… ”

Trascorse solo un’altra manciata di secondi, poi la mano di Legolas si fermò. L’uomo sentì le sue dita allontanarsi, e con un gemito frustrato fece per voltare il capo verso il compagno. Questi, però, riprese inaspettatamente a toccarlo, stringendo con decisione le dita intorno alla sua eccitazione. E mentre, lentamente, con il pollice iniziava a sfregargli la punta turgida con attenti movimenti circolari, aprì la bocca per riempirla con la curva della sua spalla. Succhiò la pelle dell’uomo con voluttà, insaziabile, fino a che Aragorn, ormai giunto al limite, spinse indietro il bacino con uno scatto brusco. Si voltò, e liberatosi da quella dolce prigionia attirò a sé Legolas.

Si abbassarono insieme nell’acqua. L’uomo gli afferrò le cosce per sollevarle ed ancorarle ai propri fianchi, poi si girò nuovamente con lui. La schiena del ragazzo incontrò la parete dell’argine.

“Non… posso più aspettare… ”, ansimò Aragorn con voce appena udibile, percorrendo di continuo con gli occhi il viso, vicinissimo, dell’altro. “Ti prego, Legolas… ”.

Il giovane aprì le labbra per riacquistare fiato, ed il suo respiro caldo si mescolò a quello, accelerato, dell’amante.

“Sì, credo che…”. Chiuse gli occhi, poi li riaprì. “… come vendetta, possa bastare”.

Rinforzò la stretta delle braccia intorno al collo di Aragorn. Gli mordicchiò piano un labbro e, infine, risollevando le iridi sulle sue, lo guardò con desiderio.

“Voglio sentirti dentro di me… per non dimenticare cosa significa, mai”.

Le sue sopracciglia si trasformarono in una linea malinconica, ma fu solo per un attimo.

“Non sarai più solo. Se lo vorrai, io rimarrò sempre accanto a te”.

Aragorn gli sorrise. Nello stesso modo, tenue e dolcissimo. E prima di allungarsi a recuperare la piccola boccetta dimenticata sul bordo di pietra restò a contemplare il suo viso, accarezzandogli piano una guancia.

Poi, solo un bisbiglio.

Soffice. Struggentemente vero.

“Ti amo”.

Mentre quelle due, semplici parole iniziavano a ripetersi nella testa di Legolas come un ritornello martellante e spietato, questi gettò indietro la testa, lasciando affondare nell’acqua parte dei lunghi capelli dorati. Sentì le mani di Aragorn afferrargli i fianchi, ed il proprio bacino emergere, senza peso, in superficie.

Strinse le palpebre. Ad ogni movimento dell’acqua gli spuntoni rocciosi della parete gli urtavano le spalle, provocandogli un lieve dolore.

Per non dimenticare mai…

Abbassò le braccia per cercare, sotto di sé, dei punti ai quali aggrapparsi.

Fece un profondo respiro. La temperatura dell’acqua era… talmente piacevole…

… mai…

Si sentiva leggero, meravigliosamente leggero.

Inebriato, pervaso dal piacere, cullato da un morbido letto d’acqua.

Se lo vorrai…

Amato.

Se lo vorrai, per sempre.

Un fremito però lo scosse, improvviso. Spalancò gli occhi, emettendo un sospiro strozzato.

Il dito di Aragorn, coperto di olio profumato, aveva iniziato a entrare ed uscire dai lui, ripetutamente.

Socchiuse le labbra boccheggiante, perso in quell’ondata calda e liquida che gli stava attraversando il ventre già bollente riversandosi nei suoi sensi, tesi dalla passione. L’uomo, invece, proseguì così per un po’, quindi si fermò un attimo, giusto il tempo per raccogliere dell’altro liquido nella mano. Quando riprese il movimento del polso le sue dita erano raddoppiate, così come la velocità con la quale si insinuavano nel corpo tremante dell’amante.

Legolas sentì la propria eccitazione pulsare dolorosamente. Desiderava più di ogni altra cosa poterla stringere nella propria mano, ma la posizione precaria non gli permetteva di muoversi. Aragorn, allora, rendendosi conto che il compagno era finalmente pronto, allontanò velocemente il braccio dal suo bacino per spostarlo verso di sé, dove prese fra le dita il proprio membro eretto. Impaziente, lo guidò tra le cosce divaricate del ragazzo e quando cominciò, piano, a penetrarlo, l’uomo gli afferrò le natiche per evitare che l’acqua smossa lo trascinasse indietro.

“A… ahh… ”.

Legolas dovette fare un’enorme sforzo per mantenere la presa sulle rocce ma Aragorn, sentendolo gemere, non poté resistere dall’entrare di un altro paio di centimetri nella sua carne. Il giovane biondo sentì il proprio cuore mancare un battito venendo sommerso da nuovi, elettrici brividi di piacere in contemporanea ad una forte fitta di dolore, e con uno colpo di reni si sollevò dall’acqua per aggrapparsi al collo dell’uomo.

L’erezione di Aragorn si spinse violentemente in lui fino alla base, affondando completamente nel suo corpo. Legolas sollevò di scatto il viso, mentre un singhiozzo gli usciva con forza dalle labbra, liberatorio e lussurioso. Iniziarono così a muoversi entrambi con una foga estrema, veloci, aiutati dalla bassa gravità dell’acqua ed allacciati l’uno all’altro, uniti nei bacini dalle linee affilate e sensuali. Per favorire una penetrazione maggiore Legolas sollevò ulteriormente le ginocchia fino a serrarle appena sotto le ascelle dell’uomo, mentre Aragorn piegò le gambe, chinandosi di alcuni centimetri sotto la superficie.

Ad un certo punto il ragazzo distese l’addome, inclinando il busto all’indietro e continuando a tenersi alle braccia del compagno. L’uomo, allora, aumentò il ritmo delle spinte, ed i gemiti del ragazzo si moltiplicarono gradualmente per trasformarsi, alla fine, in singulti.

“… aha… ah… p… più… ”.

Le parole di Legolas erano diventate, ormai, solo balbettii pronunciati con un filo di voce. Riuscì infatti a dire solo quelle poche sillabe, perché nel riaccostarsi al petto dell’uomo non fu in grado di trattenersi dallo spingere la lingua nella sua bocca mentre, con l’altra mano, chiudeva il pugno sulla propria eccitazione.

Progressivamente la realtà cominciò a perdere contorni definiti. Le sole cose esistenti per i due amanti erano rimaste il calore del corpo dell’altro ed il suono, incredibilmente concreto, dei gemiti esasperati di entrambi nell’aria fresca della sera imminente. Il flusso di piacere che, incandescente, stava salendo dentro di loro iniziò poi a sommergerli quando Legolas, staccandosi dalla bocca dell’amante, mosse con uno scatto il bacino abbassandosi quasi orizzontalmente con la schiena sul liquido piano cristallino.

Aragorn spalancò la bocca in un singhiozzo muto. Affondò le dita nella natiche del ragazzo, e con poche, rapide spinte finali venne dentro di lui gridando. In quello stesso istante, Legolas si aggrappò convulsamente a lui. Strinse il proprio membro un’ultima volta, e quando un caldo fiotto chiaro inondò il ventre di Aragorn, anche Legolas urlò.

Rimasero immobili. Senza dire nulla, assaporarono le ultime scie del violento orgasmo che li aveva travolti stretti l’uno all’altro, i rispettivi visi affondati nell’incavo del collo del compagno. Soltanto quando Aragorn uscì dal giovane con un sospiro languido i due si spostarono, piano, verso la grande lastra liscia a pochi metri da loro.

Sfiniti, si distesero. L’abbraccio dell’acqua si chiuse intorno a loro, avvolgendoli senza far rumore, e soltanto allora Legolas volse la testa verso il petto dell’uomo.

Due rivoli trasparenti, scendendo piano, gli stavano rigando le guance.

“Ci sei riuscito, hai visto?”.

Aragorn sorrise. La sua mano sfiorò la spalla del compagno, mentre gli occhi, alzandosi di poco, guardarono all’imboccatura della grotta, oltre la quale le colline lontane stavano venendo avvolte dalle prime ombre della notte. Solo una vaga aurea dorata, sfumata intorno al loro contorno dolce, persisteva ancora nel cielo ormai scuro.

“… l’hai sconfitto. Il sole si è ritirato, per lasciare il posto a te”.

L’uomo non aggiunse altro e Legolas, per tutta risposta, si accoccolò contro di lui.

Le pareti intorno a loro scintillavano ancora debolmente, facendo sembrare la caverna una volta fittamente stellata. Il ragazzo catturò quel chiarore negli occhi per sigillarlo nella propria mente, poi abbassò le ciglia.

La luce, in qualche modo, sarà in grado di sopravvivere alla tenebre.

Sulla sua pelle pallida scivolò un’ultima lacrima. Cadde dal suo mento, infrangendosi contro il petto di Aragorn simile ad una solitaria goccia di pioggia, silenziosa e discreta, prima di una notte di diluvio.

 

To Be Continued…

 

*Un ringraziamento alla mia mellon Stefychu’/Ene per avermi tradotto le frasucce in elfico*