.|. Sei La Mia Speranza  .|.

3. Con il Cuore, Soltanto

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“Riesci a capirlo, Legolas?”.

La tua voce è limpida, calma. Come la mattina, tiepida e silenziosa, che si sta svegliando con noi. Come il lago, dalle onde appena increspate, simili a pennellate d’olio color cobalto ed oltremare stese su uno strato trasparente di acquerello turchese.

E tutto… tutto pare luminoso.

Così luminoso.

“Si. Io… credo di si”.

“Tutti apparteniamo a qualcuno. O a qualcosa”.

Ci investe una brezza leggera, e tu socchiudi gli occhi. Sembri triste. E’ qualcosa a cui penso spesso, quando ti guardo.

“E tu… a chi appartieni?”.

Esito un attimo prima di chiedertelo. Giro la testa per osservarti, sollevando gli occhi su, oltre il tuo mento perfetto e il lungo collo bianco. Sai, non te l’ho mai detto… però vorrei tanto vedere un tuo sorriso.

Sorridi… così poco.

Già. Mi aspetto sempre che tu sorrida, ma la linea della tua bocca, purtroppo, non muta. Nemmeno questa volta. Le tue labbra rimangono socchiuse, e allora capisco improvvisamente che, forse, non ho mai voluto vedere la tua malinconia. Che non ho mai voluto accettarla.

“Oh, ma che domande. A te. A tuo padre”.

Pronunci quelle parole cercando di farle risuonare vere, disperatamente reali. Fai anche una piccola risata, passandomi le dita sottili fra i capelli, ma i tuoi occhi sono lontani, come inquieti.

Io non rispondo, limitandomi a fissare i ciuffi d’erba davanti a me e la distesa blu dell’acqua, ubriacante e ancora talmente meravigliosa, quasi sorprendente ai miei occhi di adolescente.

No, non rispondo. Forse per il nodo che mi stringe la gola, o forse perché… perché qualcosa, in fondo al cuore, inizia a farmi male. Un male lacerante, ancora senza un nome ma già così familiare…

“Legolas…”.

Perché ho la sensazione… che tu te ne sia già andata?

E’… diverso, dalle altre volte.

Sono certo che qualcosa stia per cambiare. Non… non voglio.

“… dovrai sempre seguire il tuo cuore. E non imparare ad odiare. Mai”.

“Io… io non odio nessuno. Perché dovrei?”.

“Un giorno potresti farlo. Un giorno potresti sentire il cuore urlare e piangere, per poi lasciarlo, solo, a trasformarsi in un pezzo di ghiaccio. E allora nessun sentimento sarebbe più in grado di farlo sciogliere, di farlo ritornare pulsante e caldo”.

Ti fermi. Sento le tue mani sulle spalle, e lentamente mi fai girare verso di te.

I tuoi occhi, adesso, sono tornati sul mio viso, e tu… tu sei di nuovo qui. Lo sei per davvero. Ma, inspiegabilmente, un brivido mi percorre improvvisamente la schiena.

E’ questo ciò che chiamano… presentimento?

“Ama. Ama senza riserve, Legolas, e perdona. Se costruirai il tuo destino sull’amore non dovrai mai pentirti di nulla”.

Fai un’altra pausa, ma penso che  ti manchi il coraggio per continuare a guardarmi negli occhi.

In realtà… no, in realtà non lo so. Non ho mai saputo a cosa stessi realmente pensando, in quel momento.

“Il dolore e la sofferenza, molto presto, potrebbero essere insopportabili. Ma io… so che sei forte. Perché sei mio figlio”.

Mi guardi intensamente. Non sorridi, ma sento ciò che provi.

Il tuo struggente amore mi arriva. Mi entra nell’anima, e mi fa male.

Perché? Non riesco a capire.

Trascorre forse un minuto, poi il sole penetra finalmente tra le foglie delle robinie, investendoci con la sua luce accecante. I tuoi occhi verdi mi paiono lucidi, ma probabilmente sono i miei ad essersi velati di lacrime.

“Ogni cosa che accade ha un significato, ma non devi pretendere di capirlo subito… ”, riprendi, sfiorandomi la guancia con una carezza. “La risposta arriverà. Un giorno… giungerà fino a te, da sola. Ed in quel momento tutto ti risulterà chiaro, e giusto”.

Annuisco. Un movimento netto, veloce. E’ che… non riesco a continuare a guardarti, anche se vorrei chiederti delle cose. Tante cose. Però so che in ogni caso sarebbe inutile, che non mi risponderesti. Non rispondi mai nemmeno a papà, e nonostante questo lui ti lascia andare via…

Sempre.

“Mamma…”.

“Sì?”.

“Mi mancherai”.

Sposti la testa. Di poco.

Valánen continua ad osservarci, discreta, sussurrandoci la sua benedizione nel vento. Il tuo sguardo è nuovamente altrove, ma a me basta che le tue braccia continuino a tenermi stretto.

Fino a quando potrai farlo, fino a quando non sarò costretto a vederti scomparire… un’altra volta…

“Anche tu… anche tu mi mancherai. Terribilmente”.

 

Quella volta, però, non fui in grado di capirlo.

Non compresi che Valánen non stava affatto intonando un’altra benedizione per noi, bensì un addio.

L’ultimo, per te.

 

Legolas sbatté gli occhi una volta. Le nuvole si stavano spostando lentamente, e le loro sagome nette e brillanti spiccavano contro l’azzurro pallido del cielo, attraversato di tanto in tanto da piccoli nugoli di uccelli, probabilmente fringuelli o verdoni.

“Sembra lo stesso di quel giorno…”, sussurrò a se stesso, allungando le braccia fino a quel momento incrociate dietro il capo lungo l’ampio ramo rugoso sul quale era appoggiato. La quercia che quel pomeriggio aveva scelto come rifugio dava su uno degli argini più nascosti e splendidi di Ambalmíre, e appena l’aveva vista, passeggiando per l’isola, Legolas vi era salito sopra senza pensarci. Si era quindi sistemato in un ampio incavo posto fra alcune delle sua braccia scure, rimanendo così, per lungo tempo, a pensare. A… ricordare.

Le fronde cariche dell’albero, sopra la sua testa, si aprivano lasciando intravedere un pezzo di cielo, qualcosa che Legolas non aveva mai potuto fare a meno di associare a sua madre.

All’ultimo giorno in cui l’aveva vista.

Tutta questa luce.

I contrasti forti, surreali… ed un cielo che sempre dipinto…

Il ragazzo chiuse gli occhi, seppur a malincuore. Il desiderio di dimenticarla, insieme a quello di non cancellare mai, per nessun motivo, la sua immagine dalla mente continuavano ad entrare in conflitto nel suo cuore, anche dopo tutti quegli anni…

Sospirò, chiedendosi quando sarebbe riuscito a smettere di tormentarsi.

“Mai… probabilmente… ”, disse a voce alta, mettendosi a sedere tra le foglie. Strinse le labbra amaramente, ma quando una ventata d’aria fresca lo investì facendo stormire sommessamente la grande quercia, fu in grado di sorridere per davvero.

Questo posto ha qualcosa di confortante…

Però il vento non mi porta più la voce di Valánen.

Si tratta di qualcos’altro. Ma non so… cosa…

Fece un profondo respiro, riempiendo i polmoni d’ossigeno, ma una volta riaperti gli occhi un movimento minimo alla sua destra, ai piedi dell’albero, lo fece voltare.

“Allora era vero… io e Sam non riuscivamo a crederci… ”.

Al suono di quella voce quasi infantile la linea curva della bocca di Legolas si allargò, lasciando scoprire i denti bianchissimi. Gli occhi chiari gli si illuminarono, e con un salto scese dalla quercia per atterrare senza rumore nell’erba alta.

“Frodo!”, esclamò quindi felice, gettandosi ad abbracciare il piccolo uomo dai folti riccioli scuri in piedi davanti a lui, che con qualche difficoltà cercò di rispondere alla stretta circondando il corpo dell’amico con le corte braccia. Del tutto simile a Merry e Pipino ma con un viso molto più simile a quello di un piccolo angelo che di un Hobbit, guardò Legolas con un paio di occhi grandi e incredibilmente blu, dopodiché sorrise a sua volta.

“Non so come, ma avevo l’impressione che potessi essere su un albero come questo… ”.

“Eh eh, mi conosci bene, amico mio”.

Legolas fece qualche passo superando Frodo fino a che, arrivato ad un ammasso di rocce e sassi posto accanto ad un altro gruppo di tronchi, si sedette.

“Allora gli altri te l’hanno detto… ”, disse, guardando l’Hobbit. Questi si avvicinò lentamente, rimanendo di fronte a lui.

“Già. Più che altro quando ho saputo che Aragorn, oggi, era andato a pranzo, ho subito pensato ad un miracolo…”, rispose ridendo. “… solo dopo mi hanno parlato di te. Il fatto è che io e Sam siamo ritornati sull’isola solo da poche ore, andando poi a lavorare direttamente nei giardini. Non sapevamo di… “. Si interruppe, non trovando subito le parole per continuare. “… del tuo… ehm, ecco… incontro di ieri notte con lui”.

Mentre l’amico pronunciava quell’ultima frase, Legolas notò la sua faccia imbarazzata.

“Stai tranquillo… io ed Aragorn ci siamo chiariti. Beh… più o meno. Comunque non ci sono problemi… ”, mormorò allora il ragazzo, andando leggermente indietro col busto e appoggiando i palmi delle mani sulla superficie calda del masso. Tenne un attimo gli occhi abbassati, poi quasi timidamente li spostò su Frodo.

“Stamattina, quando gli altri mi hanno parlato di Aragorn, non ero riuscito a capire esattamente che tipo fosse, ma… quando poi, più tardi, sono andato a parlargli, tutto mi è sembrato molto più chiaro”.

Frodo osservò l’amico, poi sorrise.

“Perché, cosa ti ha detto?”.

“Che…”, iniziò Legolas, incerto. “… che è molto… solo, ecco. Beh, in verità non me l’ha detto con queste esatte parole, però… mi ha chiesto di rimanere per un po’ di tempo qui, a fargli compagnia”.

A quelle parole l’Hobbit sgranò gli occhi.

“Da… davvero?”, balbettò, mettendosi a sedere, incredulo, accanto a Legolas. “La cosa ha dell’incredibile… in tutti questi anni è riuscito a malapena ad accettare che noi gli stessimo intorno… ”.

L’altro annuì. Tornò a guardare le proprie ginocchia, e non disse nulla per un po’. Trascorse qualche istante e solo allora, rialzando le palpebre verso gli steli di alcune grandi margherite che oscillavano, piano, a pochi passi da lui, riprese a parlare.

“Io… non so cosa nascondano i suoi occhi lontani, ma… ”. Incrociò una gamba sotto l’altra,  stringendo leggermente le spalle. “… ho sentito come il… dovere di accettare. Mi è sembrato… talmente simile a me. Lo so che ti sembrerà stupido, ma ho pensato che forse avrei potuto fare per lui ciò che niente e nessuno è mai riuscito a fare per me… ”.

Si fermò, ma senza voltarsi per cercare l’approvazione nello sguardo dell’amico o una sua immediata risposta. Frodo però sorrise ugualmente, gettandogli un’occhiata. Un sorriso dolce, e un po’ triste.

“Non lo trovo stupido, Legolas. Lo sai che ti conosco meglio di chiunque altro… e per questo so anche cosa stai cercando, da quando hai iniziato a vagare per Valánen…”.

Sospirò, e Legolas socchiuse gli occhi.

“Nemmeno io so nulla del passato di Aragorn”, proseguì l’Hobbit. “Però credo di averlo conosciuto abbastanza, da quando sono qui, per sapere di cosa ha bisogno. E credo proprio che riguardo a questo particolare argomento voi due possiate arrivare a capirvi molto bene…”.

Si bloccò, poi ridacchiò improvvisamente attirando l’attenzione di Legolas che, senza capire, lo fissò. L’Hobbit scosse la testa, continuando a sorridere.

“Va bene, forse ogni tanto ha i suoi due o tre momenti no in cui non è il massimo della simpatia, ma ti assicuro che è una brava persona… ”.

A quelle parole anche l’altro si lasciò scappare una piccola risata.

“Mhh, si, l’ho sperimentato sulla mia pelle. E’ un tipo… particolare, ecco. Però penso che debba soltanto imparare a parlare nuovamente con la gente”. Sospirò. “Anche se ammetto che nemmeno io sono poi tanto bravo… ”.

“Legolas, tu parli con il cuore, e con i gesti”, lo interruppe in quel momento Frodo. Il tono dolce e amichevole dell’Hobbit si era fatto ancora più affettuoso. “Alcune volte le parole non servono”.

Il ragazzo biondo incrociò i suoi occhi blu, sorpreso, ma Frodo proseguì.

“Ricordo bene il primo periodo trascorso al servizio della… beh, della tua famiglia… ”. Sollevò la testa, e i piccoli boccoli scuri che gli incorniciavano la fronte si alzarono nell’aria, scompigliandosi. “Io, Sam, Merry e Pipino eravamo piuttosto spaventati dall’idea di cosa potevate… aspettarvi da noi. Non sapevamo assolutamente come comportarci. Non avevamo alcuna esperienza, ed eravamo letteralmente terrorizzati al pensiero di commettere degli errori…”.

Si fermò per un istante. Quei giorni sembravano essere veramente lontani, ormai…

“Diciamo che dovevamo abituarci all’idea di essere stati scelti da tuo padre. Si trattava di un onore, visto soprattutto che nessuno di noi discende da nomi importanti, o comunque da famiglie rimaste sempre accanto alle stirpi di Lórien… ”.

Fece un’ulteriore pausa, e Legolas lo osservò, incuriosito. Frodo sollevò le sopracciglia, respirando profondamente. Fissava le nuvole viaggiare piano sopra la sua testa. Sorrise, poi continuò a raccontare.

“Tu non eri un bambino molto loquace. Non legavi con nessuno, e nemmeno noi, per quanti sforzi facessimo, riuscivamo a parlarti. Ma nonostante tutto sapevi farti amare. Una volta… ricordo che io e gli altri trascorremmo un’intera giornata a mescolare impasti per i lembas, in occasione della Celebrazione della Festa della Nuova Luna. Dovevamo prepararne una quantità infinita, e non eravamo sicuri di riuscire a finire in tempo…”.

Tornò a guardare Legolas.

“Tu, però, quel pomeriggio venisti a trovarci. Non avevamo idea di come sapessi cosa dovevamo fare, o dove lavoravamo… tuo padre di sicuro non te l’avrebbe mai rivelato, e noi non ti avevamo mai visto interessarti ai nostri compiti, prima di allora. Eppure ti affiancasti silenziosamente a me e a Sam, e senza dire nulla iniziasti ad aiutarci. Eri un buon lavoratore… uhm, e anche un buon cuoco. Ci mettesti molto impegno, e prima di sera, grazie a te, tutti i lembas furono pronti per essere distribuiti il mattino seguente”.

Legolas chiuse gli occhi, sorridendo.

“Ora ricordo. O almeno, credo di ricordarlo… molto vagamente…”.

“Noi ti ringraziammo anche, alla fine”, aggiunse Frodo. “Ma tu non ci rispondesti, naturalmente. Anzi, quando Sam ti scompigliò i capelli con una mano tu scappasti via, spaventato… o forse imbarazzato… ”.

L’hobbit rise allegro, e il suono cristallino della sua voce si sollevò nell’aria, venendo subito trasportato via dal vento.

“Già, ero un ragazzino davvero problematico…”, ammise l’altro, scuotendo la testa. “Certo che tu non dimentichi proprio nulla…”.

“Assolutamente niente”, assicurò Frodo, muovendo ripetutamente un dito davanti al naso dell’amico. “E potrei raccontarti tanti altri episodi di questo tipo!”.

“Eh eh, no grazie… basta così. Credo di essermi vergognato abbastanza nell’ascoltare solo il primo…”.

Il ragazzo scese dalla roccia, e facendo qualche passo verso l’argine ripido alla sua destra portò le braccia dietro la schiena. Le tese, spingendo il petto in fuori.

Frodo, invece, rimasto seduto, lo osservò a lungo in silenzio, con un’espressione indecifrabile sul volto. Poi, lentamente, sollevò un braccio verso il proprio collo, afferrando il sottile cordoncino di cuoio che glielo circondava. Lo tirò fuori dalla camicia, rivelando alla sua estremità un piccolo e grazioso ciondolo in legno intagliato, lucido sotto il sole di quel pomeriggio.

“Questo… te lo ricordi?”.

A quella domanda, il ragazzo si voltò. E non appena vide ciò che l’amico teneva sollevato verso il cielo, come nell’atto di mostrare un piccolo ma importante tesoro, i suoi occhi si strinsero un poco, attraversati da un’ombra malinconica.

“Oh…”.

“Me lo regalasti il giorno dopo la… ”. Frodo si bloccò, indeciso sulle parole da utilizzare. Abbassò un attimo gli occhi, continuando poi con tono più grave. “ … la scomparsa… di tua madre. Ci lavorasti tutta la notte con l’unico scopo di donarlo a me… e solamente perché io rimasi con te, quella sera, a parlarti, dopo che tuo padre venne a comunicarti la… brutta notizia”.

Legolas rimase immobile, non facendo caso alla brezza incessante che, investendolo, gli sollevava i lembi della tunica ed i lunghi capelli dorati, portandogli alcune ciocche sul viso. Stringeva i pugni lungo i fianchi, e teneva le labbra serrate.

“Non so per quante ore continuasti a piangere… non emettevi un singhiozzo, ma le lacrime non smisero per un attimo di scendere sulle tue guance, Legolas”, mormorò ancora l’Hobbit, la voce sempre più bassa e addolorata. “Io… non sapevo cos’altro fare. Parlavo… e parlavo. Cercavo di infonderti coraggio, di lenire la tua sofferenza, pur sapendo benissimo che non avevo il potere di riuscirci. Ad un certo punto pensai che non ti fossi nemmeno accorto della mia presenza… i tuoi occhi non si erano mai staccati dal lago, né dal cielo. Così mi alzai, lasciandoti solo. La mattina dopo, però, svegliandomi… mi ritrovai al collo questo”.

Frodo lasciò che il ciondolo gli ricadesse sul petto. La corda gli si adagiò sulla pelle chiara, seguendo la forma delle clavicole appena pronunciate.

“Hai sempre avuto una quantità incredibile di amore, dentro di te. Amore per ogni cosa, per ogni persona che avevi accanto… ”. L’Hobbit imitò ciò che l’amico aveva fatto poco prima, atterrando con un salto leggero sull’erba. “Non hai mai avuto bisogno di parlare. Anche tua madre era così. Credo proprio… che tu abbia preso da lei”.

Il ragazzo mosse gli occhi. Li sbatté un paio di volte, ed un sorriso illuminò, anche se tristemente, il suo bellissimo volto.

“Sì, immagino di sì. Sai, è buffo che tu me ne parli… ”.

Frodo inclinò la testa.

“Che vuoi dire?”.

“Che proprio poco fa la stavo pensando. Oggi ogni cosa, purtroppo… mi ricorda mia madre. Anche se forse è inevitabile, visto il motivo per cui son giunto fin qui… ”.

L’Hobbit annuì piano.

“Già… Merry e Pipino me l’hanno raccontato. A dire il vero la cosa non mi ha stupito… molte volte, in questi anni, mi ha sfiorato l’idea che avresti potuto arrivare su Ambalmíre per vedere con i tuoi occhi Nimloth. Però, Legolas…”.

“… lo so, non c’è niente da fare”, riprese lui con una punta di frustrazione nella voce, sollevando gli occhi al cielo. “Ma non mi darò per vinto. Nel periodo in cui rimarrò qui farò di tutto per trovare una soluzione… non mi importa di quanto assurdo potrà sembrare il mio tentativo… “.

Frodo allungò le labbra, guardando l’amico con tenerezza.

“Sei cocciuto come sempre”, disse. “Ma posso soltanto essere felice di averti qui con noi, Legolas. Non so se tuo padre sarebbe altrettanto contento, ma… non preoccuparti, dal sottoscritto non saprà mai nulla”.

Rise. Legolas lo fissò, riconoscente.

“Ti ringrazio, amico mio”.

I due rimasero in silenzio per qualche istante. Legolas spostò lo sguardo all’orizzonte, verso le colline lontane ricoperte da file interminabili di alberi, dalle fronde di un verde chiaro e brillante, poi sospirò. Avrebbe voluto continuare a parlare con Frodo dei ricordi riguardanti sua madre, che quel pomeriggio gli stavano affollando la mente senza sosta… ma non era sicuro che fosse il caso di coinvolgere l’Hobbit nelle sue preoccupazioni. Il fatto era che solo in quel momento, dopo tutti quegli anni, gli era ritornato alla memoria l’ultimo dialogo che aveva avuto con lei. E a certe parole, a certe sensazioni… non aveva mai fatto caso, prima. Forse si trattava solo di semplici interpretazioni, certo… o più probabilmente, col tempo, alcune cose si erano leggermente modificate nella sua memoria, ma…

Strinse le braccia, incrociandole sul ventre. Un brivido freddo, nonostante il sole ed il vento tiepido, gli aveva attraversato la schiena.

E se lei avesse sempre saputo… che sarebbe morta?

Chiuse gli occhi con rabbia, d’improvviso, come nel tentativo di scacciare quell’ipotesi terribile dalla testa. Non sapeva esattamente cosa gli avesse suggerito quell’idea, ma era qualcosa che non era più in grado di ignorare. Di non prendere in considerazione.

Scosse il capo, e volgendo nuovamente le iridi chiare verso l’Hobbit allargò le labbra.

“E Samvise dov’è?”, chiese, con apparente serenità. Frodo ricambiò il suo sorriso, e dopo aver detto all’amico di seguirlo iniziò ad incamminarsi lungo uno stretto sentiero di terra battuta che, nascendo tra l’erba, arrivava fino al castello.

Legolas alzò un’ultima volta lo sguardo al cielo, malinconicamente, per poi andare dietro all’Hobbit. Forse… era davvero colpa dell’azzurro di quel pomeriggio, o della luce troppo forte…

Si, doveva essere così… per forza. Se la testa gli girava, e se quei maledetti brividi gelidi continuavano a scuoterlo…

Perché sua madre… non l’avrebbe mai lasciato.

Sarebbe certamente rimasta con lui se avesse saputo che, andandosene, sarebbe stata uccisa.

 

***

 

Aragorn si chinò nuovamente sui gigli, chiedendosi da quanto tempo li stesse fissando. Avrebbe dovuto prendere gli attrezzi per iniziare a concimarli già da un po’, ma inspiegabilmente non riusciva a staccare gli occhi dai loro calici candidi ed eleganti.

I grandi petali triangolari si aprivano verso l’esterno rigidamente, quasi altezzosamente avrebbe detto, se soltanto i fiori fossero stati in grado di provare dei sentimenti. Allo stesso tempo, però, quella curva lieve e così minuziosamente studiata dalla natura possedeva anche qualcosa di incredibilmente dolce, puro, semplice. Ovvio, in un certo senso, nella sua intaccabile perfezione.

Portò le dita alla base di uno dei gambi e, sollevando lentamente il braccio da terra, lo sfiorò in tutta la sua lunghezza. Socchiuse gli occhi.

Ma cosa mi è preso?

Allontanò quindi la mano dalla corolla bianca, appoggiandola sul ginocchio piegato.

Quella giornata…  sembrava esser passata così in fretta. Per la prima volta dopo tanto tempo, infatti, non aveva osservato con rabbia il sole spostarsi nel cielo, alzando la testa ogni minuto, né aveva sentito il peso delle tante ore vuote e sempre uguali, del silenzio opprimente e della solitudine del proprio cuore. Perché, quel giorno, qualcosa era cambiato.

Era arrivato Legolas, un forestiero. Una persona mai vista prima, un totale sconosciuto ma al quale lui aveva chiesto di restare. Di restargli accanto, per fargli compagnia. Forse la cosa in sé non sarebbe stata tanto assurda se, nei vent’anni trascorsi sull’isola, Aragorn non avesse rifiutato anche solo una superficiale amicizia con Frodo, Sam, Merry e Pipino, limitandosi ad avere con loro il freddo e semplice rapporto che esiste tra un padrone e la sua servitù.

In realtà era sempre stato quello il suo problema. Sebbene avesse sempre desiderato disperatamente, da un lato, compagnia e comprensione, dall’altro si era reso conto che, probabilmente, anche se avesse avuto qualcuno accanto non sarebbe stato capace di comunicargli nulla. Non sarebbe stato in grado di parlare, di scherzare o, molto più semplicemente, di amare.

Strinse le dita posate sulla gamba a pugno, lasciandosi poi cadere stancamente sull’erba.

Ormai… ho dimenticato quella parola.

Tornò ad osservare i gigli che, allineati nell’aiuola e rivolti verso il sole caldo, alto sopra il prato fiorito, si muovevano quasi impercettibilmente nella brezza pomeridiana.

Eppure, nonostante tutto… a Legolas aveva chiesto di rimanere. D’improvviso si era alzato, gli aveva bloccato la strada, e l’aveva pregato di non andarsene. Non aveva pensato a nulla quando l’aveva fatto, era qualcosa… che gli era venuto spontaneo. E assecondare i suoi istinti e la sua irrazionalità non era certo da lui. O perlomeno, non dell’Aragorn degli ultimi vent’anni…

Alzò la testa al cielo, sospirando. Di certo non si pentiva di nulla, ma il fatto che non capisse perché si fosse comportato in quel modo non lo rendeva affatto tranquillo. Non dopo la prima impressione che aveva avuto la notte precedente, quando aveva visto Legolas nel giardino, e nemmeno dopo ciò che aveva pensato vedendolo sorridere, quella mattina…

Quel ragazzo gli ricordava troppe cose. Troppe persone, ed un passato che ogni istante tentava di cancellare, pur sapendo benissimo che non avrebbe mai potuto farlo, per ovvi motivi…

Si alzò. Aveva gli stivali ed i pantaloni sporchi di terra, ma non gli importava. L’isola e tutto ciò che la ricopriva erano le uniche cose che gli fossero rimaste. Chiuse gli occhi un istante, poi sollevò un braccio fino al collo, raggiungendo una catenina sottile alla quale era appeso un ciondolo argentato. Il disegno del gioiello ricordava proprio quello di un fiore e al suo centro, unendosi ad una gemma brillante più piccola, una serie di pietre allungate formavano una corolla luminosa e sfaccettata, che sulla pelle abbronzata di Aragorn risaltava luminosa. L’uomo strinse a sé il pendaglio.

Non mi è davvero rimasto più nulla.

Dovrei odiare anche Ambalmíre, eppure… non ce la faccio.

Scosse il capo con un sospiro. Fece per riabbassarsi sull’aiuola, ma proprio allora una voce alla proprie spalle richiamò la sua attenzione.

“Sono bellissimi. Li curi tu?”.

Aragorn annuì. Non aveva bisogno di voltarsi per capire che era lui.

“Sì. Adoro i gigli”.

“Anch’io. E poi, hanno un profumo meraviglioso…”.

Legolas si accostò all’uomo, chinandosi per assaporare la fragranza intensa che proveniva dai calici bianchi. Rimase per un po’ immobile, in contemplazione con gli occhi chiusi, e quando li riaprì sorrise. Aragorn aveva continuato ad osservarlo, in piedi a pochi passi da lui, con le braccia rilassate lungo i fianchi.

“Da dove vengo io… gli alberi sono molto alti, sai?”, disse il ragazzo, allegro. Si risollevò, e guardò l’uomo. “Davvero altissimi. E i fiori… hanno profumi incredibili“.

A quella descrizione Aragorn dischiuse le labbra, incuriosito.

“E… dov’è, questo posto?”, chiese, inclinando leggermente la testa.

Legolas rimase interdetto. Fissò l’altro per qualche istante, poi con un piccolo sorriso abbassò lo sguardo sull’erba. Cosa… cosa gli era venuto in mente di raccontargli?

“Io… ecco, è un posto molto lontano… troppo, perché tu lo conosca”, mormorò senza molta convinzione. “Lascia… lascia perdere”.

Prese a fare qualche passo nel giardino, ma l’uomo lo raggiunse.

“Avanti, invece magari lo conosco… ”, insistette Aragorn, chinando il capo per cercare i suoi occhi. 

Il ragazzo non lo guardò.

“Mhh… no, son sicuro di no, credimi”.

“Non è che in realtà non vuoi dirmelo?”.

L’altro si bloccò. Si voltò di scatto per guardare il padrone dell’isola, leggermente infastidito.

“Sì, può darsi”, dichiarò duramente. “Diciamo che… come tu non vuoi parlarmi di te, anch’io preferisco non dirti nulla. Credo che sia qualcosa di ragionevole, o no?”.

Aragorn rimase sorpreso dal suo atteggiamento diffidente. Dentro di sé aveva provato anche una piccola fitta di delusione, ma cercò di non farci caso. Socchiuse però gli occhi con disappunto, spostandoli dal viso del giovane.

“Certo. Perdonami… ”, mormorò semplicemente. Si scostò da Legolas, superandolo con pochi passi veloci. Lui non aggiunse nulla, ma una volta rimasto solo accanto alla grande aiuola si rese conto di avere esagerato. Non era sua intenzione utilizzare ciò che gli aveva detto Aragorn quella mattina per mettersi sulla difensiva, o per giustificare il fatto che nemmeno lui era tenuto a parlare di se stesso. Si morse un labbro, dispiaciuto.

Un buon inizio, non c’è che dire…

Sono un vero disastro.

Fece un profondo sospiro, ma non si diede per vinto. Si voltò verso l’uomo, ricominciando a camminare lentamente dietro di lui. Doveva assolutamente trovare un altro argomento di conversazione, almeno per provare a rompere il ghiaccio… stando attento, ovviamente, a non rovinare tutto una seconda volta. In fondo era stato lui ad accettare di rimanere su Ambalmíre per fargli compagnia, e come minimo, adesso, doveva sforzarsi di rendere la sua presenza perlomeno gradevole…

“Ehm, Aragorn… ”, ricominciò quindi schiarendosi la voce, ma non sapendo nemmeno perché avesse aperto nuovamente bocca. Il problema principale era costituito dal fatto che i temi di cui potevano parlare erano piuttosto scarsi, visto che le loro vite personali dovevano rimanere escluse dalle conversazioni. Cosa rimaneva?

L’uomo si girò, osservandolo con un’espressione ambigua. Forse speranzosa.

Legolas deglutì, ma nel momento in cui fece per proseguire la sua attenzione fu catturata dal un grande albero di mele, situato proprio alle spalle di Aragorn.

I frutti, di un rosso intenso, lucido e particolarmente invitanti, brillavano sotto i raggi del sole come grossi rubini. Il ragazzo sorrise entusiasta, e con una piccola corsa raggiunse l’uomo.

“Adoro gli alberi di mele”, esclamò osservando le fronde verdi, fermandosi in piedi accanto al tronco. “Soprattutto perché non ne ho visti molti, finora. Ti sembrerà strano, ma questi sono i tipi di alberi che nel mio paese son molto rari… ”.

L’uomo sbatté gli occhi, sorpreso.

“Sul serio?”.

“Aspetta. Salgo a raccogliere qualche frutto”.

Aragorn aprì la bocca, pronto a rispondergli che se voleva potevano andare a chiamare Samvise, il quale avrebbe potuto procurargli una scala, ma Legolas non gli diede nemmeno il tempo di cominciare. Senza aspettare si arrampicò fra i rami nodosi del melo, aggrappandosi senza fatica fra le foglie e muovendosi come un gatto agile, silenzioso e leggero.

“Ma… ”, mormorò incredulo l’uomo, fissando con un certo timore il ragazzo che ormai, continuando a salire, era arrivato ad oltre tre metri da terra. “… è pericoloso! Forse… è meglio che tu… ”.

“Oh, non preoccuparti”, rispose allora Legolas con noncuranza, facendo capolino da un ramo carico di foglie e mele scure. “L’ho sempre fatto, fin da quando ero piccolo. E poi qua sopra ci sono i frutti migliori… più in basso il sole non arriva così direttamente… le mele son molto più buone, te lo assicuro… ”.

“Sì, ci credo, ma… ma… “, balbettò ancora l’altro, non riuscendo a staccare, preoccupatissimo, lo sguardo dalla figura seminascosta dalle fronde. “I rami non sono così resistenti, e… ”.

“E cosa? Avanti, non mi succederà proprio nul- ”, replicò un’altra volta il ragazzo, ma fu costretto ad interrompersi. Proprio in quel momento Aragorn udì distintamente il rumore del legno che si spezzava, un brusio di foglie smosse, ed infine un piccolo grido.

Una pioggia di mele cadde d’improvviso dai rami più alti. Legolas chiuse gli occhi preparandosi, mentre precipitava nel vuoto, a fare molto presto la loro stessa fine, ma inaspettatamente il suo corpo incontrò qualcosa di ben più piacevole del terreno duro. Si sentì afferrare prontamente da due braccia forti e calde, che però mollarono subito la presa, forse per la perdita dell’equilibrio. Fortunatamente atterrò sopra a qualcosa di morbido, e nonostante un lieve giramento di testa fu in grado di riaprire subito gli occhi.

“Oh… cosa… ”, mormorò intontito, ma la voce gli morì nuovamente in gola.

Perché, sotto di sé, che lo stava fissando senza parole, c’era Aragorn.

L’uomo aveva la fronte leggermente sudata, e alcune ciocche scure davanti agli occhi trasparenti, meravigliosi come sempre ma sgranati per la paura. Teneva le braccia strette intorno alla schiena e alla vita di Legolas che, praticamente steso sopra di lui, aveva istintivamente affondato la testa nell’incavo del suo collo.

“Ah… “, sussurrò il ragazzo, le labbra a pochi centimetri da quelle di Aragorn. Sentì le guance infiammarsi, ma non si mosse. In realtà non avrebbe potuto comunque farlo, vista la forza con la quale l’uomo lo stava trattenendo… e decisamente, la sensazione non era affatto spiacevole…

Anche il padrone dell’isola sembrava essere piuttosto imbarazzato, ma dopo alcuni secondi di silenzio, durante i quali aveva fissato Legolas come incantato, riuscì finalmente a scuotersi.

“Mi hai fatto… prendere un colpo… ”, disse piano, con un vago tono di rimprovero per nulla convincente. Non riusciva ad alzare troppo la voce, malgrado lo spavento preso. O meglio… in realtà non voleva. Non voleva spezzare quell’atmosfera, non voleva interrompere quel momento perfetto,  ma soprattutto… non voleva che Legolas si spostasse…

Il ragazzo, alle sue parole, gli mostrò un piccolo sorriso confuso. Si sentiva sempre più agitato e le gambe, pesanti, non accennavano a volersi spostare dal corpo dell’uomo.

“Io… scu-scusami… ”, iniziò a mormorare come risposta, rendendosi conto di non avere quasi più voce. Faceva addirittura fatica a sentirla lui stesso, anche se, in compenso, udiva distintamente i battiti del proprio cuore, veloci e ravvicinati, risuonargli nel petto. O forse… forse si trattava di quelli di Aragorn?

“ … non… non volevo… ”.

Cercò di farfugliare qualche altra parola in modo da comporre almeno una frase sensata, allontanandosi un poco dal viso dell’uomo, ma le mani di Aragorn contro i suoi fianchi gli rendevano difficile fare anche il più semplice ragionamento. Improvvisamente le sentì scivolare leggermente verso il basso, ed un brivido lo colse alla sprovvista, costringendolo a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, quelli di Aragorn gli sembravano essersi leggermente socchiusi, quasi come se non lo stessero più realmente guardando.

Erano come… offuscati, e…

“Legolas… ”.

La voce dell’uomo, bassa e calda, gli penetrò nella testa come un mormorio sussurrato e suadente, al quale era praticamente impossibile resistere. Interpretò il proprio nome pronunciato da Aragorn come un richiamo, una richiesta debole ma piena di desiderio, e privo di ogni difesa fece per abbassarsi ulteriormente sul viso dell’uomo, inebriato dal suo respiro caldo. Quando però spinse anche il proprio bacino contro quello del cavaliere, assecondando l’eccitazione che aveva iniziato ad impadronirsi del suo corpo e di quello dell’uomo, si bloccò.

“Ehm, forse è meglio che… che raccolga tutte queste mele”, disse allora con una certa fatica, spostandosi goffamente dalla posizione equivoca in cui era rimasto fino a quel momento e rialzandosi con pochi gesti veloci. “Così poi… le porto da Merry e Pipino… magari possono cucinarci un… un dolce…”.

Iniziò quindi a recuperare tutti i frutti caduti ed Aragorn, immobile nel prato, rimase a fissarlo senza dire una parola, ancora stordito dal calore che il corpo ed i movimenti del ragazzo erano riusciti a produrre in lui. Rialzò leggermente la schiena, appoggiando i gomiti nell’erba, e tentò di rimettere a fuoco le immagini che aveva davanti invano. La testa gli girava, mentre un lieve ronzio, incessante e fastidioso, gli riempiva le orecchie.

“Bene… ecco… allora io vado… ”, riprese proprio in quel momento Legolas, timidamente, girandosi verso di lui per rivolgergli un sorriso veloce. “Ci vediamo più tardi!”.

Corse via. L’uomo, invece, attese che il proprio cuore riprendesse a battere normalmente per rialzarsi da terra. Si passò una mano fra i capelli, tirandoseli indietro, poi sul viso, sopra la barba rada. Gli occhi chiari erano spalancati, puntati sul tronco del grande melo.

Cosa… cosa diavolo è successo?

Fece un sospiro. Il desiderio che aveva sentito crescere dentro di sé l’aveva decisamente colto di sorpresa, anche se non poteva negare che, invece, una sorta di attrazione l’aveva provata fin dall’inizio per Legolas. Sin da quando l’aveva visto, splendente nella notte, accanto al tronco di Nimloth. Due gemme rare, che brillavano fulgide nel buio…

Ora lo sapeva. Sapeva perché gli aveva chiesto di restare, nonostante tutto. Qualcosa di inspiegabile lo spingeva irrimediabilmente verso quel giovane dalla bellezza angelica ed eterea, così incredibile ma in qualche modo anche assolutamente naturale, ed ovvia. Perché, se da una parte era impossibile resistergli, dall’altra esistevano delle ragioni che non erano legate alla pura attrazione fisica. Ragioni che ancora Aragorn non riusciva a capire, ma che, in quel momento, non erano poi così importanti…

Di una sola cosa era però certo. E cioè che fin quando avesse potuto, fin quando Legolas avesse voluto… Aragorn lo avrebbe tenuto accanto a sé. Avrebbe fatto di tutto per non lasciarlo andare via, e per fargli desiderare di restare. L’uomo si stupì nel rendersene conto, e scosse la testa con un sorriso, incredulo. Per la prima volta, dopo tanto tempo, desiderava qualcuno vicino… lo desiderava con forza, senza preoccuparsi di nient’altro.

Senza preoccuparsi… di quanto sarebbe stato capace di donargli.

Alzò gli occhi verso i rami del grande melo, poi tornò accanto all’aiuola dei gigli. Fissò a lungo i petali bianchi, forti e bellissimi. Erano ancora baciati dal sole, ed il loro candore pareva più vivo e brillante di poco prima.

Aragorn sorrise un’altra volta. Infine, dolcemente, si abbassò per accarezzare uno dei fiori con le dita.

Così belli, perfetti… ma puri e semplici. Fieri, e così meravigliosi.

Capaci di incantare e confondere, con il loro profumo stordente…

“Assomigliano a te”, mormorò allora a voce alta, con un soffio. “Ti somigliano, Legolas Greenleaf”. 

 

To Be Continued…