.|. The Matrix .|.

 

2. Colle Vento

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Il mattino seguente Aragorn andò in cerca dei due elfi e trovateli nella stalla che preparavano i loro cavalli per la partenza disse loro: “Signori, ho deciso di accettare l’incarico che mi proponete, qualunque esso sia.”.

Elladan gli sorrise e rispose: “Sono felice della tua decisione Aragorn, adesso ti fornirò le indicazioni per raggiungere chi ti sta cercando. Conosci l’antica torre edificata su Colle Vento, che si trova a circa cento miglia a est di questo villaggio?”.

“Si,” rispose l’uomo “è Amon Sûl, ma ormai è disabitata da secoli, mi sono sempre chiesto come faccia a stare ancora in piedi.”.

“Bene,” ribatté Elrohir prendendo la parola. “Dirigiti lì più velocemente che puoi e potrai incontrare chi ti sta cercando! Per ora addio!” Disse l’elfo tendendogli la mano da stringere, e dopo di lui fece lo stesso Elladan, che in più lo abbracciò come se fosse un qualche lontano parente incontrato per la prima volta dopo lungo tempo e gli sussurrò: “Ben ritrovato Estel!”. Poi seguì il fratello fuori dalla stalla e si diressero insieme verso ovest.

 

Aragorn camminò per quattro giorni verso est, e giunse alla torre la sera del quarto giorno, mentre le prime stelle spuntavano nel cielo. La torre si ergeva alta e sottile, e tuttavia dava anche una sensazione di forza, eppure il Ramingo sentiva che c’era qualcosa di sbagliato, non nella torre in se, ma nel fatto che fosse lì a stagliarsi chiara contro il cielo scuro, dopo tanti secoli di abbandono e tante guerre, come mai non era andata distrutta?

Questi pensieri non lo tormentarono per molto, troppa era la curiosità di incontrare chi gli aveva mandato l’anello e lo stava cercando. L’uomo entrò nella torre, avendo trovato la porta aperta, e cominciò a salire verso l’alto; qualcosa gli diceva che se qualcuno lo aspettava sarebbe stato nella stanza più alta.

La stanza più alta della torre occupava tutto l’ultimo piano e vi si accedeva attraverso una botola nel pavimento, lì si trovava un tavolo su cui erano appoggiati alcuni calici di cristallo ed una bottiglia contenente un liquido scuro; intorno al tavolo vi erano alcune sedie, di più non si riusciva a vedere, l’unica fonte di luce erano le stelle. Aragorn fece qualche passo incerto verso il tavolo, non gli piaceva trovarsi in un ambiente sconosciuto e per di più male illuminato, chiunque avrebbe potuto attaccarlo alle spalle, e infatti improvvisamente sentì una lama fredda sul collo e una voce splendidamente modulata, ma venata di ironia, che gli sussurrava all’orecchio: “Cosa vedo! Un Ramingo colto alla sprovvista!”. Dopodiché la persona che stava alle sue spalle rise sommessamente e un attimo dopo, senza che Aragorn avesse percepito alcun movimento, si trovava di fronte a lui con il volto vicinissimo al suo e sorrideva.

La vista dello sconosciuto sorridente tolse il fiato al Ramingo: era un elfo, dai sottili capelli biondi, lisci come seta e a quella distanza così ravvicinata poteva vedere che i suoi occhi erano di un blu scurissimo come le profondità marine. Mai aveva visto una creatura simile, desiderò improvvisamente di prenderlo tra le braccia, baciarlo e possederlo anche sul nudo pavimento di pietra di quella stanza se fosse stato necessario.

L’elfo smise di sorridere e si allontanò di alcuni passi dall’uomo come se avesse potuto percepire i suoi desideri e ne fosse stato turbato. Aragorn intanto era riuscito a ritrovare il controllo della sua mente quel tanto che serviva per chiedere all’elfo: “Sei tu che mi stavi cercando?” Il tono della sua voce risuonò abbastanza convincente alle sue orecchie anche se la frase era stata pronunciata in un solo respiro. L’elfo sorrise di nuovo e rispose: “Si, sono io, ma non solo io. Anche altri ti cercano, e non tutti per il tuo bene, per fortuna ti abbiamo trovato prima noi Estel.”. “Perché mi chiami così, l’ha fatto anche Elladan, e non capisco.”. L’elfo tacque un attimo meditando poi parlò nuovamente: “Elladan è sempre stato avventato, chiamarti così in un luogo in cui poteva essere sentito da orecchie indiscrete, ma perché tu ti stupisci, forse non conosci il significato di questa parola?”. “Come tutti quelli della mia stirpe parlo l’elfico sin dall’infanzia,” rispose il Ramingo con una sfumatura di risentimento: cosa credeva quell’elfo, che nessuno a parte loro potesse padroneggiare quella lingua? “Eppure non capisco perché mi chiamate speranza!”. L’elfo sorrise nuovamente prima di rispondere. “Perché tu sei la nostra speranza Aragorn, perché forse sei il Barthannen, il Predestinato.”.  

Aragorn restò interdetto davanti a quell’affermazione, ma si riprese velocemente, e quando parlò il suo tono era tra l’infastidito e l’arrogante: “Sono stanco di perdere tempo elfo...”.

“Mi chiamo Legolas.” L’interruppe l’elfo.

 “Cosa?” Chiese l’uomo sorpreso di essere stato fermato, all’inizio di quella che avrebbe dovuto essere una lunga tirata, dalla voce bassa e calma dell’elfo.

“È il mio nome: Legolas. Mi farebbe piacere che lo usassi, quando mi chiami elfo con quel tono lo fai sembrare un insulto.”.

 Aragorn era completamente senza parole, l’elfo, con quelle poche frasi sommesse, l’aveva fatto sentire in colpa, ed effettivamente la sua reazione era stata decisamente sproporzionata. Le sue labbra si tesero in un piccolo sorriso colpevole e alla sua mente affiorarono ricordi dell’antica lingua degli elfi che aveva sentito da bambino e mormorò, come se stesse ricordando qualcosa di molto remoto, mentre di avvicinava il più possibile all’elfo: “Laiqalassë...”.

Legolas restò sorpreso di sentir uscire dalle labbra dell’uomo il suo nome nella forma Alto Elfica in uso in Eldamar, ma poi sorrise e trovandolo nuovamente così vicino a lui fece qualcosa che sorprese non solo Aragorn, ma anche se stesso: si protese verso di lui e gli sfiorò le labbra con le proprie. Aragorn che non si aspettava nulla del genere, ma che non trovava nulla da ridire sull’argomento, lo circondò con le braccia assaporando il piacere di quel corpo caldo stretto al proprio e di quelle labbra morbide appoggiate sulle proprie.

Legolas si abbandonò tra le braccia dell’uomo, non trovava la volontà di sciogliersi da quell’abbraccio, né sentiva il desiderio di staccarsi da quelle labbra che premevano sulle sue con sempre maggior voracità, che pretendevano di più...

“Basta!” Esclamò Legolas liberandosi dalle braccia dell’uomo che lo guardò sorpreso da quella reazione e poi disse: “Scusa, ma mi sembrava che non ti dispiacesse, dopotutto hai cominciato tu.”.

L’elfo lo fissò un attimo prima di rispondergli: “Si, è vero, ma sono stato avventato. Mi stavo lasciando trascinare... lontano da quello che sono venuto per fare realmente.”.

L’uomo sorrideva, sapeva che l’elfo stava cercando di convincere più se stesso che lui, ma non aveva fretta: aveva sentito come si abbandonava tra le sue braccia e il battito furioso del suo cuore, sapeva che sarebbe bastato poco per poterlo avere nuovamente tra le sue braccia e lui non intendeva solo per qualche bacio.

“Vieni, scendiamo!”.

Aragorn fu scosso dai suoi pensieri dalla voce dell’elfo, che aveva aperto la botola nel pavimento e stava scendendo verso le stanze più basse della torre. Il Ramingo seguì Legolas per diverse rampe di scale finché l’elfo non si fermò su un pianerottolo ed aprì la porta di una stanza e con un cenno lo invitò a seguirlo all’interno.

La stanza era molto grande e vi si trovava oltre ad un grande letto a baldacchino, che qualcuno si era preoccupato di preparare con lenzuola ricamate e morbide coperte, un tavolo, con delle sedie intorno, sul quale poggiava un vassoio coperto, bottiglie, bicchieri, piatti, posate e un candelabro con molti bracci acceso.

“Siediti,” disse Legolas “hai viaggiato tutto il giorno e immagino che sarai stanco ed affamato, dopo potrai riposarti se vuoi. Io sono qui solo per darti qualche chiarimento finché non arriverà chi ti ha realmente convocato.”.

“E quando arriverà?”.

“Con ogni probabilità non prima di domani mattina.”.

Legolas e Aragorn consumarono il loro pasto in silenzio, mentre l’elfo fingeva di non vedere il modo sfacciato con cui l’uomo ogni tanto lo osservava. Legolas si sentiva estremamente confuso per come si era comportato: gettandosi tra le braccia dell’uomo, cosa di cui si vergognava, e desiderando farlo di nuovo, cosa di cui si vergognava anche di più. Dopo aver terminato il cibo nel suo piatto l’ elfo sapeva che non aveva più scuse per non guardare in faccia l’uomo, eppure questo richiese tutta la sua volontà, e gli disse: “Se vuoi puoi riposare fino a domattina, ti sveglierò io per tempo.”.

Aragorn sorrise e rispose: “Grazie, sei molto gentile, ma tu non dormirai?”.

L’elfo rispose mentre si alzava e si avvicinava ad una finestra: “Per me è sufficiente stare qui a guardare le stelle per riposare.”.

Il Ramingo percepì una grande malinconia nella voce dell’elfo e, invece, di pronunciare una delle frasi maliziose che si era preparato durante la cena, andò a mettersi a fianco di Legolas davanti alla finestra e dopo aver preso la sua mano nella propria gli sfiorò lo zigomo con le labbra e mormorò: “Riposa bene, Laiqalassë.”.

L’uomo lasciò l’elfo con le sue stelle, si spogliò, si mise sotto le coperte e si addormentò quasi subito.

Legolas passò la notte, non ad osservare le stelle, ma a contemplare il volto del Ramingo addormentato.