.|. Changing Friendship .|.

by Isil

I legami di amicizia mutano, cresce  la paura di qualcosa di troppo grande per due compagni che decidono  di aprire il loro cuore. Viggo e  Orlando riusciranno  a diradare le nebbie della propria confusione per dei nascenti e inattesi sentimenti?

Drammatico/Sentimentale | Slash | Rating NC-17 | One Piece

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L’uomo  sedeva  in  riva  al  corso  d’acqua, ne osservava  il  lento  scorrere,  l’assoluta mancanza  di  increspature  sulla  superficie,  liscia  quasi fosse  illusoriamente  immobile.  Giocherellava  con  un  sassolino  chiaro, levigato  e  lucente  come  una  pietra  preziosa.  Lo  passò  tra  le  dita,  poi  di  mano  in  mano,  poi  iniziò  a  sfiorarlo  tra  l’indice  e  il  pollice  percorrendone il  contorno  rotondo,  toccandolo  come  fosse  coperto  di seta.  Lo  lanciò  lontano  con  uno  scatto  preciso  del  polso. Uno, due, tre, quattro  rimbalzi, poi  scomparve.

Il  vociare  della  troupe  era  ancora  percepibile  a  quella  distanza,  ma  chiudendo  gli  occhi  e  rivolgendo  altrove  i  pensieri  era  possibile  far  finta  d’esser  soli  in  quella   piccola  bellissima  valle. Sentiva  gli  uccelli  volare  verso  la  collina  e  oltre, il  leggero  rumore  dell’acqua,  il  vento  della  sera  che  cominciava  a  soffiare  piano  tra  gli  alberi  che  lo  circondavano  celandolo  a  tutto  il  resto. Sentiva  il  proprio  respiro,  calmo  e  regolare.

 

-Viiiiiiiiiiiiiig! Viiiiiiiiiiiig!-

L’uomo  rimase  immobile,  senza  aprire gli  occhi.

-Viiiiiiiiiiiig! Vieni  fuori!-

Nessuna  risposta.

-Eccoti  finalmente!- urlò  un  ragazzo  correndo  fuori  dalla  boscaglia. L’uomo  aprì  gli  occhi  e  lo  guardò  arrivare. Indossava  dei  jeans  chiari  piuttosto  malconci,  una  maglia  nera  su  cui  spiccava un  grosso  simbolo  dei  pirati  nel  centro,  ed  un  paio  di scarpe  da  tennis.  Quel  look  sembrava  in  effetti un  po’  trasandato ma  rispecchiava  precisamente  l’immagine  che  tutti  si  erano  fatti  della  personalità  del  giovane  attore.

–Diosanto  Viggo,  non  mi  sentivi  urlare? Che  ti  costava  rispondere?-

L’uomo sorrise.

-Allora?- chiese  ancora  il  giovane  a  braccia  aperte.

-…ti  chiedo  scusa  Orlando,  non  ti  avevo  sentito-

-Non  ci  credo!Dì  che  non  volevi  vedermi  piuttosto!- esclamò  il  ragazzo  con  espressione  imbronciata.

-Ahahahah, dai Orl, smettila  di  far quella  faccia,  lo  sai  bene  che  mi  fa  sempre  piacere  vederti,  ma  se  mi  hai  cercato  ancora per   quel programmino  che  avevi  in  mente  scordatelo,  non  vengo  a  surfare  con  te  a Tauranga!- disse  con  tono  deciso.

-Ma  dai,  ahahah, perché?  E  per  esser  precisi  è a  Mount Maunganui…- puntualizzò  ridendo l’altro,

-Perché?! Prima di tutto  è sulla  costa nord  e  ci  si  mette  un  secolo  da  qui  in  auto,  e  secondo  perché  fare  surf  alla  barriera  corallina  è  pericoloso!-

-Sapevo  che l’avresti  detto  vecchio  mio!- disse  Orlando  poggiando  una  mano sulla  spalla  dell’amico  e  sedendosi  accanto  a  lui. -…comunque  non  ti  ho  cercato  per  convincerti  ma  per  avvertirti  che  siamo  quasi  pronti  per  tornare  in città,  e  le  costumiste  ti  stanno  aspettando  da  più  di  un’ora  per  riavere  indietro  quello  straccetto  che  hai  addosso-

-Straccetto?- disse  l’uomo  guardandosi  con  aria  interrogativa.

-Hai  capito  bene, muoviti!- disse  alzandosi  in  piedi  e  tirando  il braccio  dell’amico  per  far alzare  anche  lui. -…ma  è  proprio  necessario  tenere  quella  roba  anche  quando  le  riprese  sono  finite?-

-…è  che  mi  ci  sento  a  mio  agio,  non lo  faccio  apposta…e  non  tirarmi,  mi  fai  male!-

-..povero  delicatissimo  mortale,  dai  che  è  tardi,  raggiungiamo  gli  altri.-

 

I  due  si  incamminarono quindi  oltre  la  boscaglia   per  tornare  alla  radura  in cui   avevano  girato  fino  ad  un  paio  d’ore  prima  le  scene  del  tragitto  da  Rohan  verso  il  fosso  di  Helm.  Le  riprese  erano  andate  un  po’  per  le  lunghe,  e  al  tramonto  gli  stallieri  stavano  ancora  cercando  di  far  calmare  tutti  i  cavalli. Nonostante  la  giornata  di  lavoro  fosse  teoricamente  conclusa  il  viavai  era  ancora  frenetico.

Raggiunti  i  colleghi  Orlando  si  fermò  a  chiacchierar  con  loro,  Viggo  corse  invece  al  camper. Entrò  come  un ladro,  e  appena  fu  sorpreso  da una  moretta  che  lo  aspettava  con  le  braccia incrociate  sul  petto, alzò  le  mani   come  sorpreso  a  rubare  e  dichiarando  inutilmente la  propria  innocenza.

-Scusami  Julia,  ti  giuro  che  non  l’ho  fatto  di  proposito,  perdonami  ti prego! Scusa!-

L’espressione  severa  della  donna  si  trasformò  subito  in  gran  sorriso.

-Vieni  qui  su! Non  ci  facciamo nemmeno  più  caso  se  si  tratta  di  te,  ma  se  non  ti  fossi  volatilizzato  col costume  come ogni  volta  avremmo  potuto  chiuder  la  baracca  ore  fa!- disse  lei  aiutandolo  a  sbottonare  la  casacca  scura.

-Ti  giuro  che  mi  è  proprio  passato  di  mente,  perdonami!-

-Lascia  perdere,  ma  la  prossima  volta  cerca  di  tornare  qui  prima  di  sparire,  ok?-

L’uomo  annuì.

-Ora  vai,  i  tuoi  vestiti  son  su  quel  mobile,  e  quando  hai  finito  chiudi  tu  per  favore, ok?  A  domani  Mortensen.- disse  infine  lei  uscendo  dalla  roulotte.

-Certo,  e  grazie  ancora  Julia!-

Lasciato  solo  l’attore continuò  a  svestirsi, poggiando  con  cura  sull’appendiabiti  ogni  capo,  poi  infilò  i  jeans  neri, strinse  bene  la  cintura  e  cominciò  a  guardarsi  attorno  spazientendosi.

-È  questa  che  cercavi?- chiese  una  voce  divertita  alle  sue  spalle. L’uomo  si  girò  di  scatto  per  poi  tranquillizzarsi  subito.

-Grazie…- rispose  Viggo  prendendo  dalle  mani  del  ragazzo  la  sua  camicia.

-Uno  strip  tutto  per  me…- l’altro  soffocò  una  risatina -…peccato  tu  non  sia  il  mio  tipo…-

-Ah  no?- iniziò  l’altro divertito -…e  quale  sarebbe  il  tuo  tipo?-

-Tanto  per  cominciare  non  sei  immortale  come  me…e  poi  hai  la  barba!-

-Ahahaha…-

-Ridi  eh? Muoviti  che  gli  altri  son  già  sulla  jeep,  stavamo  aspettando  solo  te-

L’uomo  afferrò  quindi  la  giacca  e  seguì  l’amico  verso l’auto.

 

La  banda  dei  giovani  attori  convinse, non  senza  sforzo,  gli  adulti  del  gruppo  a  saltar  la  cena in  albergo, per  passare  la  serata  in  un  piccolo  tour  dei  locali  che  ormai  da  mesi  erano  diventati la  tappa  fissa  dei  ragazzi.

Placarono  quindi  il  loro  vorace  appetito  in  un  ristorantino  indiano  in  periferia,  per  poi  affogare  nell’alcol  in  un  pub  poco  fuori  città,  ribattezzato  “la  Taverna  del Puledro Impennato”  da  un  alticcio  Billy  Boyd.

A  fine  serata  però  si  ritrovarono  in  pochi  attorno  al  tavolo  di  legno  scuro  imbandito  di  bottiglie  di  birra  e  diversi  bicchieri  pieni  di  ogni  liquore. Ian  e  Christopher,  tirando in  causa  la  propria  anzianità,  si  erano  ritirati  subito  dopo  cena.  Hugo, John, e  Bernard  si  erano  congedati  prima  del  secondo  giro  di  birra,  e  Brad  decise  con Andy  di  riportare  in  albergo  David  prima  che  la  sua  ubriachezza  diventasse  molesta.

-Son  rimasto  l’unico  sopra  i  trenta,  comincio a  sentirmi  di  troppo…- avanzò  Viggo  poggiando  di  fronte  a  se  il bicchiere  con  l’ultimo  goccio  d’alcol  della sua  serata.

Qualcuno  rise,  ma  i  più  non  gli  diedero  peso.

-…ragazzi,  tutto  quello  che  vi  siete  scolati  non  vi  sembra  sufficiente  per  stasera?- proseguì  cercando  approvazione  con lo  sguardo  verso  tutti  i  suoi  compagni.

-Ma  dai  Mortensen!- esclamò  Karl accendendo  la  sigaretta tra le labbra di Orlando  –domani  siamo liberi, no?-

-Veramente  no!- lo interruppe  il  fumatore  alla sua  destra.

Gli  hobbit  si  guardarono  reciprocamente  con  aria  incredula.

-Saremo  liberi  sabato, ma oggi  è  solo  mercoledì- aggiunse  l’uomo.

-Appunto- proseguì  Orlando -…e….ascoltatemi  bene  perché  non  mi  sentirete  mai  più in  vita  vostra  dire  una  simile  eresia…. temo  di  dover  dar  ragione  al mortale  nell’affermare  che  le  bottiglie  collezionate  per  oggi  sono  abbastanza, è meglio  tornare-

Commenti  di  protesta  si  levarono  innumerevoli, ma  gli  unici  due  individui  stranamente  sobri  della  compagnia  riuscirono  ad  infilare  in  auto  i  ragazzi e  riportarli  in  albergo  senza  che  Peter  ricevesse  soffiate  circa  lo  stato  del  suo  cast. 

 

In  ascensore.

-Come  mai  eri  d’accordo  con  me?- chiese  Viggo  al  giovane  inglese,

-Strano  vero?  Il  fatto  è  che  se  mi  fossi  ubriacato  domattina  sarei  riuscito  comunque  ad  alzarmi  per  presentarmi  sul  set,  ma  non  posso  dire  lo  stesso  degli  altri…-

-..capisco-

-…e  non  voglio  che  per  contrattempi  causati  da  loro  Peter  ci  costringa  a  girare  anche  sabato e  domenica,  ho  altri  progetti  in  mente.-

-…mh…-

-Ti  va  un  the  caldo prima  di  andare  a  dormire?-

-Un  the?- domandò  il  danese –a  quest’ora? Ma  voi  inglesi  non  lo bevete  alle  5?-

-La  smetti  di  sfottere? Ci  mettiamo  dieci  minuti…-

-Ok,  ti  seguo-

I  due  si  diressero  quindi  nella stanza  di  Orlando,  che  invitò  l’amico  a  sedersi  in  qualsiasi  posto  avesse  trovato  una  superficie  libera  abbastanza  grande  per  potersi  sedere,  poi  tirò fuori  da  un  mobiletto  una  bottiglia  in  vetro  con  l’etichetta  in  bianco  e  nero  e  due  bicchieri, uno  diverso  dall’altro,  posando  il  tutto  sul  tavolino  di  fronte  all’altro,  che  nel frattempo  aveva  liberato  dai  vestiti  sia il  divano  che  la  poltrona  accanto,  accomodandosi  su  quest’ultima.

Il  giovane  si  abbandonò  quindi  di  peso  sul  divano,  tolse  le  scarpe  e  si  sfilò  la  maglia  gettandola   nel  mucchio.

Poi  cominciò  a  riempire  i  bicchieri,  e  ne  porse  uno  all’amico.

-Da  quando  questo  lo chiami  the, Orlando?-

-Quante  storie  Vig! se  t’avessi  invitato  a  bere  un  whisky  saresti  venuto?-

-No-

-Lo  sapevo, ah  se  vuoi  del  ghiaccio  lo  trovi  nel  frigobar, scusa  ma  io  sono  abituato  a  berlo liscio- così dicendo  fece  tintinnare il suo  bicchiere  contro l’altro  e  mandò  giù  due  dita  del  distillato  in  un  solo  sorso. Poi  appoggiò pesantemente  il  bicchiere  sul tavolo.

-Aaaah…ci  voleva  proprio!-

-Se  lo  dici  tu…- disse  l’uomo  poco  convinto,  che  iniziò a  sorseggiare  piano  e  a  lunghi  intervalli.

Il  ragazzo  si  era  abbandonato  completamente  tra  i  cuscini  del divano,  con  le  gambe  divaricate  e  la  braccia  aperte  coi palmi  verso l’alto. Viggo  non  riuscì  a  fare  a  meno  di  lasciar  scorrere  lo  sguardo   sul  suo  corpo.

Le  onde  castane  cadevano  leggere  sulle  spalle  chiare, il  torace  glabro   si  alzava  e  riabbassava  piano  al  ritmo  del  suo  respiro. Gli  occhi  scesero  curiosi  verso  gli  addominali  delicatamente  evidenti,  poi   più in  basso………….…basta! L’attore  scosse  la  testa per  riacquistare lucidità. 

Orlando  aveva  gli occhi  chiusi,  la  testa  reclinata  all’indietro  sulla  spalliera. Viggo  immaginò  di  sfiorare  quella  labbra  fini, assaggiare  quella  bocca  leggermente aperta  che  lo  invitava,  baciare  la  pelle  liscissima  del  suo collo…

“ora  è  troppo!”  pensò, “ma  che  diavolo  mi viene  in  mente? devo  aver  bevuto  troppo, è evidente…ma  dio…guardalo…è…è…è  Orlando, punto.”

-…senti  Orl..grazie  per  il  bicchierino  ma  è  ora  che  me  ne  vada  a  dormire,  è piuttosto  tardi  e…-

-No…- lo  interruppe  lui  alzando  la  testa  e guardandolo fisso negli occhi con aria dolce –non è  poi  così  tardi,  ti  prego…resta  ancora  un po’…mi  fa  piacere  la  tua  compagnia…- cercò di  convincerlo  tendendogli  un  braccio.

-No  davvero, Orlando, è meglio di  no. Vai  a  dormire  anche  tu, altrimenti  sarai  uno  straccio…-

-…ti  prego…-

-…no-

-uff,  e  va  bene,  guastafeste. Ci  vediamo  domani?-

-Contaci!- rispose  Viggo  aprendo  la  porta –buonanotte  elfo- 

-‘notte  Vig…-

 

Viggo  rientrò  velocemente  nella  sua  stanza,  si  chiuse  la  porta  alle  spalle  per  poi scivolare  contro  di  essa  con la  testa  fra  le  mani.

-Dio, che cazzo  mi è preso? Che  cazzo  mi  è  preso?-  si  disse  battendo  la  testa  un  paio  di  volte  contro  la  porta. Poi  si  alzò  scuotendo  il  capo  ogni  tre  passi  e  si  spogliò  verso  il  bagno  prima  di infilarsi  sotto  la  doccia.

La  manopola  dell’acqua  si  spostò  progressivamente  verso  destra. L’acqua  bollente  divenne  tollerabile,  poi  tiepida,  e  pian  piano  sempre  meno  calda,  fino  a  diventare  fredda. L’uomo  rimase  immobile sotto  il getto  violento  ,  i  capelli  fradici  gli  si  incollarono  al  collo  ed  alle  spalle.  I  primi  vapori  erano  ormai  cancellati  anche  dalla  plastica  del  box,  ma  lui  rimase  ancora  sotto  quel  getto  gelido.  Qualche  minuto  dopo  chiuse  il  rubinetto  e  infilò  l’accappatoio,  abbandonandosi  più  calmo  e  rilassato  sul  letto matrimoniale.

“Per  quale  motivo  l’ho guardato  in  quel  modo?”  si  chiese.  “perché  ai  miei  occhi  lui  è  diverso  da  tutti  gli  altri? Cosa  lo  rende  speciale?  Questa  cosa  comincia  ad  esser  strana,  è  da  troppo  che  lo  guardo  in  quel  modo…se  ne  sarà  accorto?  Oddio  no…spero  di  no…no,  figurati,  sicuramente  no.  Dev’essere  così  accidenti! È  un  amico,  è  e  deve  esser  solo  un  amico…certo  che  lo  è!  E  poi…e  poi  è  un  uomo  per  dio…è  un  uomo!”  Viggo  ricominciò  a  scuotere  la  testa. “….sono  ubriaco?  Si,  probabilmente  lo  sono…ma  no  che  non  lo  sono,  porca  miseria,  son  fin  troppo  lucido,  è  questo il  problema!  Che  diavolo mi  succede?” . l’uomo  continuò  ad  interrogarsi  a  lungo,  poi  si  addormentò.

 

In  un’altra  stanza  un  paio  di  piani  sotto  un  ragazzo  invece  era  ancora  sveglio. Le  potenti  vibrazioni  dell’heavy  metal  ad  alto  volume  riempivano  gli  ambienti. Orlando  cercava  freneticamente  di  mettere  in  ordine  le  camere.  Ammucchiò  le  maglie  da  una  parte,  le  diverse  paia  di  jeans  su  una  sedia  e  le  scarpe  tra il  frigo  bar  e  un  mobiletto,  ordinate  due  a  due  di  fronte  al  muro.  Poi  gettò  nel  cestino  le  lattine  di  birra  e  coca  parcheggiate  da  chissà quanto  sul  mobile  dell’ingresso,  seguirono  bustine  varie,  fazzoletti,  avanzi  di  patatine,  snack  a  metà  e  altre  cianfrusaglie. Iniziò  quindi  a  piegare  le  magliette  con  un’insolita  precisione,  disponendole  poi  nei  cassetti  della  stanza  da  letto  adiacente  al  salottino. Ripose  i  jeans  nell’armadio  e  sistemò  i  cuscini  sul  divano,  poi  si  incantò  ad  osservare  con  una  certa  soddisfazione  la sua  opera.  Era  bastata  poco  più  di  una  mezzora  per  rendere  quell’ambiente  abitabile,  in  fondo  non  ci  voleva  poi tanto!  Ma  per  quale  motivo  allora  non  aveva  mai  posto  fine  all’anarchia  che regnava  nella  sua  stanza?  Non  ne  sentiva  il  bisogno,  le  cose  sparse  ovunque  non  dovevano  considerarsi  disordine,  ma  temporaneo  casuale  dislocamento  degli  oggetti. Ma  ora  aveva  bisogno  di  calmarsi  e  per  impegnare  la  mente  si  era  deciso a  riordinare  una  volta  per  tutte. Anche  dopo  aver  finito  continuò  a  camminare  su  è  giù  tra  l’ingresso  e  la  camera  da  letto,  avanti e   indietro, avanti  e  indietro.

“L’ho  visto…l’ho  visto…eccome  se  l’ho  visto. Lui   non  se  n’è  accorto  ma  io  l’ho visto…mi  stava  guardando…e  che  occhi  aveva!  Perché  se  n’è  andato?  Ha  paura  di  restare  solo  con  me  forse?  È  da  settimane  che  va  avanti  questa  storia,  inizio  ad  averne  le  scatole  piene!  Non  la  smette  di  fissarmi…io  lo  becco  e  poi  fa  finta  di  nulla…ma  sembro  stupido?  Forse  è  convinto  che  non  me  ne  sia  mai  reso  conto,  ma  lo  vedo  eccome  il  modo  in  cui  mi  guarda!  Gli  piaccio?  …oh  si…si…decisamente  si!  Ma  perché  continua  a  far  finta  di  niente  mi  chiedo!  Il  bello  è  che  poi  quello  immaturo  sarei  io…come  no!  e se  ti  piaccio  dillo  no?  No!  E  no  cazzo,  e  se  gli  piaccio  davvero?  E  se  poi  me  lo  confessa  io  che  faccio?  Che gli  dico?  Che faccia  devo  fare?  …sono  un  attore  no?  Qualcosa  riuscirò  ad  inventarmi…e  no  che  non  posso…che  diavolo  mi  invento?”  non  si  fermò  un  solo  istante,  continuando  a  consumare  a  passi  veloci  gli  stessi  metri  di  moquette. “Dio!  Dio!  Dio!  I  suoi  occhi  quando  mi  guarda  sono…bellissimi…sono…sono  gli  occhi  di  un  uomo!  Perché  mi fanno  quell’effetto?…sono  così…magnetici…lucidi…basta!  No…ora  ricomincio  a  pensare  a  lui…no!  ma  quando  mi  guarda  così  vorrei……..nulla!  Non  vorrei  nulla!  Oh  si  invece,  almeno  io  devo  smetterla  di  far  finta  di  niente,  io  lo  so,  lo  sa  anche  lui  ma  io  lo  ammetto  almeno…no…non  lo  ammetto…o  si?  È  giusto  o sbagliato?  Che  stronzata!  Non  ci  sono  cose  giuste  o  sbagliate  quando  ti  piace  qualcuno,no?  quindi  lui  mi  piace?  Si…no…noooo…oppure  si…no….si…forse   si…si.  Cazzo,  si!  Che  casino,  che  casino!  Diosanto!”.

Orlando  si  fermò  improvvisamente,  si  tolse  i  jeans  e  i  boxer  e  corse  sotto  la  doccia.

L’acqua  cominciò  a  scrosciare  rumorosamente  nascondendo  quasi  la  musica  dall’altra  stanza.  Si  strofinò  i  capelli,  si  cosparse  di  bagnoschiuma  e  si  lavò  in  modo  frenetico,  poi  iniziò  a  massaggiarsi  più   piano  le  braccia,  il  torace,  l’inguine.  Chiuse  il  pugno  sul  pene  eretto  e  cominciò  a  muovere  la  mano  lentamente,  regolare,  ansimando   a  bocca  aperta.  Poi  sempre  più  veloce,  affogando  i  gemiti  sotto  il getto  d’acqua.  Più  veloce,  ancora  di  più…si  tenne  al  muro  per  non  perdere  l’equilibrio  mentre  il  suo  stesso  seme  gli  scivolava  caldo  tra  le  dita,  appoggiò  la  fronte  alle piastrelle   bagnate…-..dio  Vig…-

 

-Ragazzi, approfittiamo  della  bella  giornata  e  cerchiamo  di  non  perder  troppo  tempo, oggi  non  voglio  esser  costretto  a  farvi  ripetere  ogni  scena  mille  volte,  chiaro?- il tono  del  paffuto  australiano  era  stranamente  serio  quella  mattina.

-Si  può  sapere  che  gli  prende  oggi?  Quell’aria  scura  fa  quasi  impressione…sembra  Gimli!-  disse  Orlando  all’amico  vicino.

-Vai  a  quel  paese Bloom!- gli  rispose  seccato  John.

-…ho  sentito  il  meteo  con Peter  stamattina  presto,  e  dice  che  il  tempo  peggiorerà,  quindi  non  vuole  correre  il  rischio  di  rimandare  le  riprese  a  causa  del  maltempo…- li  interruppe  il  ragazzo  cui  era  diretta  la  battuta  dell’inglese.

-Davvero  Karl?- proseguì  Orlando, -non  lo  sapevo…speriamo  non  piova,  altrimenti  addio  weekend…-

 

Cominciarono  a  girare  poco  dopo,  senza  intoppi.  Una  breve  pausa  pranzo  fu  l’unica  concessione  che  il  regista  fece  agli  attori,  per  poi  proseguire  fino  al  tramonto.  Tutto  sommato  il  materiale  era piuttosto  buono,  quindi,  anche  se  solo  alla  fine  di  una  lunga  ed  estenuante  giornata,  Peter  si  complimentò  con  tutti  alla  solita  maniera,  gettando  in  un  angolo  l’aria  da  duro  che  aveva  assunto  tutto  il  giorno  per  far  marciare  il  suo  cast  come  un  piccolo  esercito.

Fu  solo  al  tramonto  che,  smessi  gli  abiti  da  guerrieri  e  orchi,  tutti poterono  tornare  nella  cittadina. 

Quella   sera  si  assentarono  dalla  tanto sospirata  cena  solo  due  persone:  Orlando  e  Karl.

Intorno  alla  mezzanotte  un  uomo  vagava  inquieto  per  i  corridoi  dell’albergo.  Aveva  già  tentato  di  dormire  andando  a  letto  presto,  ma  due  ore  trascorse  a  rigirarsi  tra  le  coperte  l’avevano  convinto  che  in  quel  periodo  il  suo  fisico si  fosse  probabilmente  abituato  ad  altri  orari.  Si  era  di  conseguenza  deciso  a  cercare  qualcosa  da  fare,  ma  senza  riuscirci. I  ragazzi  erano introvabili,  sicuramente  in  giro  da  ore  per le  birrerie.  La  maggior  parte  dei  suoi  coetanei  e  i  più  “anziani”  certamente  dormivano,  e  l’idea  di  concluder  la  serata  ascoltando  lo  spettegolare  delle  belle  colleghe  non  esaltava  particolarmente  l’attore  annoiato. 

Le  porte  dell’ascensore  si  aprirono  sulla  hall  semideserta.  Il  portiere  lo  salutò  col  solito  falso sorriso  compiaciuto.  Qualche  sconosciuto  leggeva   o  fumava  sulle  poltroncine,  altre  facce  ignote  conversavano  sommesse, ma  nessuno  che  ispirasse  nell’uomo  alcun  pallido  interesse.

Superando  la  porta  vetrata  alla  fine  del  salottino  scorse  il  bar  non  troppo  distante.  Iniziò  ad  attraversar  la  sala  diretto  al  bancone,  dritto  davanti  a  lui,  poi  si  fermò.

Orlando  sedeva  su  uno  sgabello  con  le  braccia  poggiate sul  vetro  del  bancone, il mento  incavato nell’incrociarsi delle proprie mani, che sostenevano  quella pesante  testolina carica di pensieri. Era solo. Accanto  al  gomito destro  un  bicchiere  vuoto per  metà.  In  silenzio, il  ragazzo  lasciava  vagare lo  sguardo nel  vuoto. Il  barista  gli  dava  le  spalle,  continuando  a  ripulire  la  macchina  da  caffé  che  ormai  nessuno  gli  chiedeva  di  utilizzare  a  quell’ora  della  notte. Avrebbe  chiuso  i  conti  del  bar  da  un  pezzo  se  quel  ragazzo  solitario  non  si  fosse  fermato  così  a  lungo  per  mandar  giù  due  dita  di  whisky.

Intanto  l’uomo  non  si  mosse,  osservando  ogni  dettaglio  della  figura  di  fronte  a  sé, cercando  le  prime  parole  per  azzardare  una  conversazione.  Accidenti,  erano  amici  e  gli  serviva  addirittura un  pretesto  per  rivolgergli  la  parola? Si  dette  dello  stupido  decidendosi  ad  andare  da  lui.

Una  mano  si  poggiò  ferma  sulla  spalla  destra  del  ragazzo,  che  sobbalzò  voltandosi  di  scatto  in  quella  direzione,  per  poi  sorridere  alla  vista  dell’amico,  che  dopo  un  istante  gli  si  sedette  accanto.

Gli  occhi  dell’uomo  scesero  scrupolosi  su ogni  dettaglio  del  giovane. Le  morbide  onde  scure  del  giovane  scendevano  leggere  a  toccargli  le  spalle,  una  maglia  chiara  piuttosto  larga  rispetto  a quelle  che  era  solito  usare  gli  avvolgeva il busto. Le  ombre  segnavano appena la  linea  dei  pettorali,  in  modo  sufficientemente  evidente  per  quello  sguardo  attento.  Un  paio  di  jeans  chiari  stringevano  le  sue  gambe  tornite, troppo  stretti  per  lasciare  qualcosa  all’immaginazione.

-…è  una  buona  compagnia?- domandò  Viggo  indicando  con  lo  sguardo  il  bicchiere  a  pochi  centimetri  da  lui. L’inglese  sorrise.

-Beh…sta  lì  in  silenzio,  non  ha  fretta,  non  fa  domande,  ascolta  senza  polemizzare,  e  poi  ha  un  buon sapore…quindi  si, è  una  buona  compagnia.-  disse  -…ma  non  la  migliore-

-temevo  il contrario. Ti ho perso  di vista  stasera…-

-Mi  controlli  uomo?- domandò  sarcastico il  giovane  voltando  lo  sgabello  verso  il  suo  interlocutore  per  averlo completamente di fronte.

-Come?Oh  no…no…- rispose  l’altro  quasi  con  imbarazzo –ma  eravamo  tutti  assieme  e  mi  ha sorpreso  non  trovarti  nel  gruppo,  tutto  qui.-

-in realtà  mancava  anche Karl,  non  l’hai  notato? Avevamo  delle  cose  da  comprare  prima  del  weekend,  qualche  elemento  dell’attrezzatura…cose  così…-

-quindi  Karl  parte  con  te  venerdì?-

-Oh si,  e  viene  anche  Dominic.  Ci  divertiremo!  Se  cambi  idea  sei  sempre  in  tempo  a  venire  anche  tu…-

-Ti  ringrazio  ma  declino  cortesemente, vi  sarei  d’intralcio  e  poi  non  sono  un  buon  surfista-

-…ma  a  me  non  dispiacerebbe  farti  da  maestro…-

-Hem…scusate  signori…-  si  intromise  timidamente il  barista –…è  piuttosto  tardi  e  io  dovrei  chiudere  il  bar per  stanotte…mi  dispiace  ma…-

-Scusami  tu- gli  rispose  Orlando –colpa  mia,  andiamo  via  subito!- disse  alzandosi  dal  suo  posto. Mandò  giù  in un  sorso  solo  ciò  che  restava  del  suo  drink  e  seguito  dall’amico  si  allontanarono  dal  bancone.

-Vai  a  dormire  ora, vecchio  mio?-  domandò  l’attore  al  più  anziano,  incamminandosi  verso  l’ascensore.

-In  realtà  no,  è  per  questo  che  cercavo compagnia  poco  fa…-

-e  hai  trovato  qualcuno  degno  d’esser  chiamato  tale?- scherzò  l’altro

-mah…tutto  sommato  direi  di  si.-

-la  ringrazio  sire…- rispose  Orlando  accennando  un  inchino  poco  prima  dell’apertura  delle  porte.

-Pensavo  che  non  sarebbe  male  rilassarsi  con  una  nuotata  prima  di  tornare  in  camera,  che  ne  dici?- ricominciò  il  danese  con  l’aria  di  chi  già  si  aspetta  un  no  come  risposta  ma  non  smette  di  sperarci.

-…non   so…sono  piuttosto  stanco…- l’amico  abbassò  gli  occhi  rassegnato –Ma  si  che  vengo! Ti  stavo  solo  prendendo  in  giro! Ma  ti  pare  realistico  che  un  baldo  giovane  come  me  sia  già  KO  a  quest’ora?!tz!-

-stupido…-

-dai  uomo,  vado  a  metter  su  qualcosa  di  decente  e  ci  vediamo all’ultimo  piano  tra  dieci  minuti  al massimo- disse  poi  velocemente  scendendo  dall’ascensore  per  correre  alla  sua  stanza.

 

L’uomo  entrò nella  sua  camera  senza  fretta,  si  spogliò  andando  verso  il  letto,  sistemò  i  vestiti  sulla  sedia  e  indossò  un  paio  di  semplici  boxer  neri  non  troppo  aderenti.  Indossò  i  pantaloni  di  una  tuta,  una  t-shirt  e  le  scarpe  da  ginnastica,  poi  uscì.  Fece  a  piedi  i  due  piani  che  lo  separavano  dall’ultimo  in  cui  si trovava  la  piscina  coperta.

Quando  vi  giunse  era  appena  scoccata  l’una.  Guardandosi  attorno  si  scoprì  solo,  le  luci  spente  se  non  quelle  della  piccola  anticamera.  Raggiunto  l’interruttore  principale  accese  solo  le  luci  subacquee  e  poche  altre,  lasciando  gran  parte  dell’ambiente  illuminato  debolmente.  Poi  si  avvicinò  al  bordo  della  piscina,  si  tolse  i  vestiti  per  abbandonarli  su  una  panchina  di  plastica  poco  distante  e  si  sedette  sul  bordo  coi  piedi  immersi,  dando  le  spalle  all’ingresso.

Quella  non  era  la prima  volta  in  cui  Viggo  si  ritrovava  nel  cuore  della  notte  a  cercare  un  po’  di  tranquillità  in  quel posto   inaspettatamente  affascinante. L’acqua  appena  increspata  per  il  movimento  dei  suoi  piedi  appena  sotto la  superficie.  Non  era  fredda,  ma  piacevolmente  mitigata.  Nessun  brivido  al  suo  tocco,  ma  quasi  un  lento  sciogliersi  ad  ogni  passo  che  l’uomo  faceva  avanzando  gradino  dopo  gradino.  Sentiva  la  stanchezza  perdersi  come  un’increspatura,  i  muscoli  lasciavano  libera  la  tensione  accumulata,  ogni  fibra  di quel  corpo  stanco  lasciava  che  l’acqua  penetrasse  e  si  fondesse  in  se.  Nessun  pensiero,  nessuna  preoccupazione. Solo  lui,  il  silenzio  e  l’acqua  azzurrina.  Sempre  più  spesso  si  cullava  in  quella  pace,  coccolava  se  stesso  con  ciò  che  come  poche  altre  gli  dava  piacere.

Rimase  così, seduto  su  quel  bordo,  ad  attendere  l’amico,  senza  impazienza.

Un’energica  spinta  gli  fece  perdere  l’equilibrio,  un  forte  tonfo,  aprì  gli  occhi  e  si  trovò  sott’acqua  a  rigirare  su  se  stesso.  Pochi  secondi  dopo  emerse  tirandosi  indietro  i  capelli  incollati  al  volto.

-ma  cos…-

-AHAHAHAHAH! Guardati  Vig,  hai  un’espressione  da  immortalare… sei  troppo  buffo!!! Oddio  che  ridere! AHAHAH!- Orlando  rideva  rumorosamente  tenendosi  le  mani  sulla  pancia,  quasi  piegato  in  due  e  con  le  lacrime  agli  occhi.

-Accidenti  a  te  Orl!-  gli  urlò  l’altro  immerso  fino  al  torace  due  metri  più  in  là. –Ma ti  sembra  il  modo?-

-Scusa  vecchio  mio ma  non  ho  resistito,  la  tentazione  era  troppo  forte…lo  giuro!-

-Stupido  inglese!- 

Seguì  un  secondo di  silenzio,  poi  entrambi  iniziarono  a  ridere  di  gusto.

-Orl…- iniziò  poi  l’uomo –ma  che  diavolo  hai  addosso?-  continuò  poi  ridendo  additandolo.  Il  giovane  si  guardò  perplesso.

-Questi  dici?- chiese  prendendo  con  due  mani  i  lembi  dei  calzoncini  allargandoli  come  se  stesse  mostrando  una  gonna. –che  hanno  che  non  va?-

Per  tutta  risposta  l’altro  non  smise  di  deriderlo.

-Dai  Orl,  sei  ridicolo!- 

Il  ragazzo  indossava  dei  calzoncini  abbastanza  larghi,  che  gli  coprivano  le  gambe  quasi  fino  al  ginocchio.  Ma  quello  che  colpì  l’uomo  fu  soprattutto  la  fantasia  di  indefiniti  disegni  multicolor  sullo  sfondo  di  un  tessuto  dalle  tonalità  indefinibili,  decisamente  un  costume  da  non  mostrare  in  pubblico.

-E  così  io  sarei  ridicolo  eh?-  urlando  questo  il  ragazzo  prese  una  piccola rincorsa  per  poi  saltare  in  acqua  tenendosi  la  gambe  piegate  contro  il  petto….SPLASH!!!

 

Nuotarono  l’uno  attorno  all’altro,  come  squali  che  studiano la  preda  prima  di  attaccarla. Per  molto  tempo  continuarono  a  scrutarsi  senza  dire  una  parola,  cercando  di  leggere  negli  occhi  dell’altra  persona  le  intenzioni,  un’attenzione  troppo  profonda  o  magari  qualcos’altro. Più  trascorrevano  i  minuti  più  divenne  difficile  trovare  qualcosa  da  dire  che  non  rovinasse  quello  strano  magnetismo  creato  tra  gli  occhi  limpidi  come  il  mare  e  quelli  nocciola e  caldissimi  del  ragazzo. 

Innumerevoli  volte  entrambi  immaginarono  di  iniziare  anche  una  seppur  stupida  e  banale  conversazione,  ma  nessuno  alla  fine  emetteva  un  solo suono. 

Viggo  nonostante  questo  appariva  calmo,  non  staccava  i  suoi  occhi  da  quelli  dell’amico  e  continuava  a  respirare  piano,  socchiudendo  le  labbra  carnose. Quelle  labbra  Orlando  le  aveva  notate  da  troppo  tempo,  umide  e  invitanti,  ma  cercava  di  concentrarsi  sullo  sguardo  indagatore  dell’uomo  per  non  permettergli  di  vagare  senza  controllo.  Il  giovane  non  riusciva  ad  ostentare  la  stessa  tranquillità,  abbassò  lo  sguardo  due  o  tre  volte,  e  non  smise  di  mordersi  il  labbro  inferiore  rendendolo  arrossato  ed  estremamente   desiderabile  alla  vista  del  danese.

Orlando  si  sentiva  irrigidire  ogni  secondo  di  più,  come  se  l’acqua  non  fosse  tiepida  ma  ghiacciata.

Schizzò  prepotentemente  l’uomo  in  pieno  viso  e  ne  approfittò  per  tuffarsi  e  nuotare  veloce  verso  la  parte  opposta  della piscina,  mentre  Viggo  ancora  si  grattava  gli  occhi  irritati  dal  cloro.

Prima che  il  ragazzo  raggiungesse  la  sua  mèta  l’uomo  però  aveva  già  iniziato  a  nuotare  nella  sua  scia,  e  quando  Orlando  si  voltò  Viggo  era  ad  un  paio  di  metri  da  lui.

Orlando  rimase  immobile  guardandolo  arrivare. Poi  l’uomo  si  mise  di  fronte  a  lui,  con  aria  decisa  ma  non  arrogante.

-Di  cosa  hai paura,  Orlando?- disse  sensualmente  avvicinandosi  a  lui. Sentiva  il  suo  respiro  fresco  sul viso  ora,  per  questo tentò  di  arretrare,  ma  un  solo  passo bastò   per  fargli  toccare  il  bordo  con  la  schiena.

-…hai  paura  di  me?- proseguì  l’altro. In  risposta  il  ragazzo  mosse  lievemente  la  testa  da  sinistra  a  destra  un  paio  di  volte.

-…non  ti  temo…ho  solo  paura  di….questo- disse  con  voce  flebile  Orlando  poggiando  la  mano  sul  cuore  del  suo  amico.  Sentì  la  pelle  morbida  e  le  gocce  sotto  il  suo  tocco,  sentì  chiaro  il  suo  cuore  battere  forte,  e  continuò  a  guardare  quel  viso  che  si  avvicinava  al  suo,  sempre  di  più.

Viggo  posò  le  labbra  dischiuse  su  quelle  bagnate  del  ragazzo,  infilò  le  dita  tra  le  onde  morbide  dei  suoi  capelli  e  lo  avvicinò  a  se   delicatamente,  assaporando  quella  bocca  dolce  e  proibita.  Orlando  non  chiuse  gli  occhi  e  assecondò  quel  bacio  stranamente  atteso,  cinse  col  braccio  la  vita  dell’uomo  quando  questi  iniziò  ad  accarezzargli  il  petto  liscio  con  mano  esperta  e  tocco  indiscreto.

Orlando  assaggiò  il  calore  di  quel  frutto  come  il  più   invitante  mai  conosciuto,  curioso,  assetato,  attirato  da  una  forza  mai  sentita.  Il  cuore  nel  petto pulsava  come  impazzito.

L’uomo  sentiva  il  sangue  correre  come  lava  nel  corpo  sempre  più  caldo,  quando  i  due  si strinsero  in  un  abbraccio  convulso  le  loro  eccitazioni  di  toccarono  più  volte,  aumentando  il  piacere  di  quel  contatto  quasi  totale.  L’uomo  ne  era  conscio  e  non  tentò  di  tener  sotto  controllo  il  desiderio  che  in  lui  cresceva  incontenibilmente.

Ad  un  tratto  come  risvegliandosi  da  un  incantesimo  Orlando  riacquistò  consapevolezza,  fissò  l’uomo  come  spaventato  e  lo  spinse  lontano  con  tutta  la  forza  di  cui  fu  capace.

-…Orl…-

-NO!- urlò  scuotendo  la  testa,  mentre  facendo  leva  sulle  braccia  si  issò  fuori  dall’acqua  e  uscì  dalla  piscina.

-Orlando…-

Il ragazzo  afferrò  la  sua  felpa  buttata  su  una  panca  e  corse  via  senza  voltarsi.

-Non  posso!  Non  posso…-

-ORLANDOOO!!!-  la  sua  voce  riecheggiò  nell’enorme  stanza  vuota,  poi  il  silenzio. 

 

Intorno  alle  dieci  del  mattino  il  suono  fastidioso  di  un  bussare  insistente  rimbombava  in  uno  dei  corridoi.

-Orlando  apri…ti  prego…apri  questa  dannata  porta…Orl!-

Nessuna  risposta.

-Apri  Orl,  ho  bisogno  di  parlarti…dai  apri  cristo  santo…-

Silenzio.

-…Dio  Orlando…-  sospirò  rassegnato  l’uomo  appoggiandosi  al  muro.  Alle  sue  spalle  una  porta  si  aprì  d’improvviso.

-Ma  che  cazzo  succede?- urlò  un  ragazzo  assonnato  affacciandosi. Viggo  si  girò  versò  di  lui.

-…ah  Viggo,  sei  tu…che  diavolo  stai  facendo  a  quest’ora,  si  può sapere?-

-Oh  Billy   scusami…sto  cercando  Orlando  e  non  riesco  a  trovarlo,  è  una  faccenda  piuttosto  urgente…-

-Orlando?  Beh  la  tua  “faccenda”  aspetterà,  perché  è  partito  prima  delle  sei  con  Dominic  e  Karl, non  lo  sapevi?-

-Merda,  merda!  Si,  lo  sapevo,  solo  non  credevo  partissero  così  presto…-

-Volevano  sfruttare  appieno  la  giornata,  per  questo  non  hanno  perso  tempo.  Ma  stai  tranquillo,  domenica  per  cena  dovrebbero  esser  rientrati.-

-Grazie  Boyd,  scusami  per  averti  svegliato,  ci  vediamo.- si  congedò  poi  l’attore,  lasciando  libero  il  collega  di  tornare  tra  le  coperte. 

L’uomo  rientrò  quindi  nella  sua  stanza,  per  abbandonarsi  sul  letto  e  cercare  di  riordinare le  idee.

“Dio santo…tutto  questo  non  doveva  succedere,  non  doveva  succedere!  Ho  bisogno  di parlare  con  lui,  dobbiamo  chiarire  questa…questa   cosa…quello  che…dio  è  successo!  È  successo!  Ma  come  ho  potuto  baciarlo?  Cristo  è  un  mio  amico! Orlando è  un  mio  a-mi-co,  non  una  persona  qualsiasi…è….è….cazzo  sono  un  uomo,  come  ho  potuto  fare  una  cosa  simile?  E  lui  allora?  Ha  ricambiato  il mio  bacio…lo  voleva…ha  detto  di  no  ma  lo  voleva,  il  suo  corpo  mi  diceva  che  tutto  quello  che  è  accaduto  lo  voleva  pure  lui! Ma  allora  quella  reazione…no,  non  era  affatto  ubriaco,  No. Confuso?  E  io  no  forse?  Come  si  può  essere  così  dannatamente  stupidi?  Cosa  credevo di  poter  fare?  Baciarlo  e  poi  fare  come  se  nulla  fosse?  Ma  perché…perché  cazzo?  Cosa  significava  quel  bacio?  Perché  non  riesco a  smettere  di  pensare  a  lui…cosa  sto  facendo?  Ho  rovinato  tutto…ho  rovinato  tutto!  Stupido,  dannatamente  stupido!  Le  cose  tra  noi  stavano  cambiando…per  quale  maledettissimo  motivo  ho  fatto  questa  cazzata?  Tempo…serviva  tempo.  Mi  odia,  ora  mi  detesta…è  normale…credo.  Ma  la  sua  reazione  è  poi  così  giustificabile?  Prima  accetta  e  poi  si  rende  conto  di  tutto  solo  alla   fine?  Che  idiota  che  sono…è  solo  un  ragazzino  in  fondo,  non  sa  quello  che  vuole  e  la  cosa  peggiore  è  che  non  lo  so  nemmeno  io! Cosa  m’è  passato  per  la  testa?  Un giorno  di  punto  in  bianco  mi  invaghisco  di  un  ragazzo?  Sarei  un  pazzo,  e  invece  non  lo  sono,  il  fatto  è  che  mi  sta  ossessionando  da  mesi.  Non  riesco  a  staccar  gli  occhi  da  lui,  non  riesco  a  perderlo  di  vista,  è  assurdo. Assurdo!  E  lui  lo  sa  il  motivo per  cui  mi  comporto  così…altrimenti non  farebbe  lo  stesso…non  mi  asseconderebbe  come  invece  fa,  giusto?  Non  continuerebbe  a  stuzzicarmi  in  quel  modo,  no,  non  lo  farebbe.  Ma  allora  che  gli è  preso?  Forse  si  è  reso  conto  prima di  me  della  colossale  stronzata  che  stavamo  facendo,  forse  lui  era  più  lucido  di  me  quando  ha  detto  quel  “no”,  e  probabilmente  ha  ragione.  Dobbiamo  parlare  accidenti,  dobbiamo  mettere  in  chiaro  le  cose  o  mettere  fine  a  questa  storia  irragionevole.  Si.  Sempre che  accetti  di  rivolgermi  la  parola.  Dio,  parte  senza  nemmeno  avvertirmi,  nulla!  Due  giorni,  tra  due  giorni  metteremo  tutto  a  posto,  si,  ma  come?  Ho  tempo  per  pensarci…devo  pensare…devo  pensare….”

Rimase  steso  sul  letto  per  ore,  davanti  ai  suoi  occhi  solo  il  soffitto  bianco,  e  impressa  quell’unica  immagine,  quel  bacio, quel  maledetto  bacio.

 

Quattrocento  chilometri  più  a  nord  tre  ragazzi  stavano  scaricando  i  loro  bagagli  da  un  imponente  fuoristrada. Il  tempo  non  sembrava  loro  favorevole  ma   convinti  che  le  condizioni  atmosferiche  sarebbero  cambiate  decisero  ugualmente  di  montare  le  loro  piccole  tendine  canadesi  a  qualche  decina  di  metri  dalla  spiaggia,  la  loro  piccola  mezzaluna  di paradiso  per un  paio  di  giorni.

Dopo  poco  meno  di  sei  ore  di  viaggio  erano  arrivati  in  un piccolo  golfo  a nord dell’isola,  la  leggendaria  baia  di  Plenty  era  finalmente  davanti  ai  loro  occhi. 

Vasti  tratti  di  vegetazione  rigogliosa  incorniciavano  una  spiaggia   dalla  sabbia  fine  e  bianchissima,  nessuna  costruzione  né  abitazioni,  solo  un  piccolo  spettacolo  che  si  sarebbe  potuto  con  un po’  di  fantasia  definire  incontaminato. Questo  perché  i  tre  ragazzi  non  erano  i  soli  ad  aver  fatto  della  località  la  loro  mèta.  Diversi  gruppetti  di  surfisti  si  erano  sistemati  lungo  la  spiaggia,  a  debita  distanza l’uno  dall’altro. Le  tavole  colorate  infilate  verticalmente  nella  sabbia  delimitavano  le  comitive,  ma  scoraggiati  da  quello  che  si  preannunciava  come  maltempo,  uno  dopo  l’altro  i  giovani  stavano  abbandonando  la  spiaggia,  ed  entro  il  pomeriggio  i  tre  attori  si  ritrovarono  quasi  completamente  soli.

Durante  tutto il  viaggio  Orlando,  sprofondato  nel  sedile  posteriore  dell’auto  insieme  ad  alcuni  zaini,  era  riuscito  a  scambiare  coi  suoi  compagni  si  e  no  dieci  parole,  tirando  in  ballo  una  nottata  in  bianco  per  giustificare  una  sua  poco  credibile  stanchezza  e  quindi  il  quasi  perpetuo  silenzio.

In  realtà  un  solo  pensiero  martellava  secondo  dopo  secondo  il  suo  cervello: Viggo  e  quello  stupido  bacio. Da  quando  si  era  lasciato  il danese  alle  spalle   non  faceva  che  lottare  contro  quel  misto  di  rabbia,  rancore  e  confusione,  che  sentiva  crescere  e   contorcersi  dentro  di  se. 

Era  arrabbiatissimo  con  Viggo  per  tutto  ciò  che  era  successo,  anche  se  a  mente  fredda  non  poteva  non  riconoscere  che  l’uomo  non avrebbe  tentato  di  compiere  quel  gesto  se  lui  per  primo  non  gli  avesse  dato   il  suo  seppur  tacito  consenso.  Ma  come  un  fulmine  l’idea  di  quello  che  stavano  facendo  in  quel  momento  gli  aveva  squarciato  la  mente  e  aperto  gli  occhi  su  qualcosa  che  non  aveva  il  coraggio  di  vedere,  e  aveva  avuto  paura.  Paura  di  quello  che  sarebbe  potuto  accadere  se  le  cose  non  si  fossero  fermate  prima  che  fosse  troppo  tardi,  paura  di  quello  che  temeva  d’esser  diventato  e  paura  di  affrontare  ciò  che  realmente  provava  per  quell’uomo.  Si  sentiva  terribilmente  attratto  da  lui,  sentiva  un’energia  spingerlo  verso di  lui  ogni  volta  che  lo  sentiva  vicino,  e  quel  cuore  che  quasi  gli  esplodeva  nel  petto  ogni  volta  che  lo  vedeva.

Quell’attrazione  li  aveva  portati  a  sentire  l’uno  il  corpo dell’altro,  Viggo  lo  aveva  baciato,  ma  non  lo  aveva  costretto.  Per  quanto  tempo  aveva  immaginato  di  assaporare  quelle  labbra?  Quello  che  non  aveva  il  coraggio  di  riconoscere  come  desiderio  aveva  trovato  compimento,  ma  non  aveva  mai  pensato  di  poter  stare  così  male  dopo. Voleva  Viggo,  lo  sapeva,  e   l’inammissibile  consapevolezza  di  ciò  cominciava  a  farsi  strada  dentro  di  lui,  anche  se  forse  non l’avrebbe  mai   accettata. Si,  era  attratto  da  quell’uomo  che  aveva  tanto  ammirato,  quel  collega  che  non  poteva non  stimare  e prendere  ad  esempio,  e   questo  incuteva  molto,  troppo  timore.

Amava  le  donne,  eccome  se le  amava,  ma  Viggo….Viggo  aveva  toccato  quelle  corde  nascoste  nel  profondo,  quella  parte  inviolata  per  il  resto  del  mondo.  Quella  parte  Viggo  l’aveva  trovata,  gli  bastava  una  parola,  un  tocco  per  scoprirlo  come  nessuna  donna  aveva  mai  fatto.  C’era  forse  qualcosa  di  male  nell’esser  così  legati  ad  un  altro  uomo?  È  così  inconcepibile  quell’attrazione  che  gli  impediva  di  allontanarsi  da  lui?  Un  sentimento  non  poteva  davvero  esser  così  sbagliato,  se  due  anime  si  desiderano  l’un  l’altra  non  significa  forse  che  qualcosa  di  infinitamente  bello  e  puro  può  esistere?

Seduto  in  riva  al  mare  Orlando  osservava  il  sole nascondersi  dietro  le nuvole  grigie,  per  poi  fare di  nuovo  capolino  quando  il  vento  soffiava  via  quelle  stesse  nubi.  Immaginava  Viggo accanto  a  se,  riusciva  quasi  a  sentire  la  sua  voce  immaginandolo  descrivere  quel  sole  con  parole  che  solo  un  poeta  come  lui  poteva  trovare.

Il  vento  soffiava  sempre  più  forte,  e  scompigliandogli  i  riccioli  scuri  gli  strappava  via  la  rabbia  che  sentiva  dentro,  la  mordeva  pezzetto  per  pezzeto  per  poi  lasciarlo  libero   da  un  astio  immotivato.

Piano  piano  il  volto  del  ragazzo  si  distese,  si  trovò  sereno  all’idea  di  rivedere  Viggo  due  giorni dopo, doveva  parlargli  e  spiegargli  il  perché  della  sua  reazione,  voleva  confessargli  i  suoi  sentimenti,  condividere  la  sua  confusione  e  il  desiderio  di  trovare  con  lui  la  ragione  di  tutto.  Gli  avrebbe  svelato  la  sua  paura,  e  la  voglia  infinita  di  affrontare  quello  che  il  suo  cuore  gli  suggeriva  di  fare.

“non  c’è  nulla  di  male”  concluse  poi  Orlando,  “se  tra  noi  dovrà  succedere  qualcosa  non  impedirò  che  succeda.  Non  posso  temere  di  commettere  un  errore  finché  non  ci  provo,  se  poi  si  tratta  di  uno  sbaglio  avrò  almeno  la  certezza  di  aver  tentato  di  fare  tutto  ciò  che  era  in  mio  potere.  Non  abbiamo  nulla  da  perdere. Lui  mi  sorriderà  e  dirà  che  ho  ragione,  e  se  quello  che  facciamo  si  rivelerà  sbagliato  insieme  riusciremo  comunque  a  metter  le  cose  a  posto.  Andrà  tutto  bene,  lo  so.”

Viggo  avrebbe  amato  lo  spettacolo  che  il  ragazzo  aveva  ora  dinanzi  agli  occhi,  adorava  sentirsi  sul  viso  le  piccole  gocce  salate  che  il  vento  forte  portava  del  mare.  Orlando  lo  sapeva  e  cercava   di  assaporare  quelle  sensazioni  che  l’uomo gli  aveva  insegnato  a  riconoscere.  Con  la  lingua  assaggiò  il  sale  che  gli  pizzicava  le  labbra,  ascoltò  il  suono  fragoroso  dell’infrangersi  rabbioso  delle  onde  sulla  battigia,  il vento  scuotere  le  cime  degli  alberi  e  delle  palme  alle  sue  spalle.  Osservò  la  forza  del  mare  urlante  scosso  da  onde  altissime  e  prepotenti,  che  si  caricavano  di  energia  violenta  avanzando  metro  dopo  metro  dal  fondale  troppo  basso.

Sentiva  crescere  il  desiderio  di  affrontare  quella  potenza,  era  certo  di  avere  la  forza  per  cavalcare  quelle  onde  scure,  per  solcare  con  la  sua  tavola  il  mare  infuriato.

 

Orlando raggiunse  alla  macchina  i  suoi  amici,  scaricarono  i  bagagli  e  insieme  montarono  tre  piccole  canadesi  ad  un  passo  dalle  palme,  al  riparo  dall’alta  marea.

-Cos’aspettiamo  a  buttarci  tra  i  flutti?- disse  l’inglese  per  incoraggiare  gli  amici,  cominciando  a  tirar  fuori  la  sua  roba  da  uno  zaino.

-Ecco  finalmente il  nostro  Orlando!- esclamò  felice  Dominic  sorpreso  dal  repentino  cambio  d’umore  del  suo  amico.

-Cosa  c’era  che non  andava,  Orl?- chiese   Karl  preoccupato.

-Niente  di  cui  angustiarsi  amico,  non  mi farò  rovinare  il  weekend  da  brutti  pensieri,  siamo  venuti  qui  per  un  motivo,  no?-

-Orl  ha  ragione!- fu la conferma  di  un impaziente  Dominic,  che  cominciò a  tirar  subito  le  tavole  fuori  dalle  grosse  custodie  nere.

In  meno  di  dieci  minuti  erano  schierati  in  riva,  uno  accanto  all’altro  con  la  tavola  sotto  il  braccio  e  saldamente  allacciata  col cordino  alla  caviglia.

Il  fisico  di  Dominic  sembrava  addirittura  allenato  fasciato  nella  sua  muta  nera  e  giallo  fosforescente. Karl  al  contrario  poteva  vantare  la  sua  prestanza  fisica  evidenziata  da  una  muta  nera  e viola  che,  a  differenza  di  quella  dell’amico,  lasciava  scoperte  le  braccia  abbronzate  e  muscolose.  Come  i  suoi  compagni  osservava  quell’immensità  pronto  a  mettere  alla  prova  la  sua  abilità  con  la  tavola,  come  solo  un  australiano  di  nascita poteva  fare.

Orlando  invece  non  indossava  una  muta  come  gli  altri,  proclamandone  l’estrema  scomodità  aveva  infatti  optato  per  un  abbigliamento  più  consono  al  suo  estro.  Mise  dunque  degli  abbondanti  pantaloncini  di  un  rosso  acceso  e  con  una  fantasia  di  hawaiani  e  grandi  fiori  bianchi  in  contrasto,  che  lo  coprivano  fin sopra  le  ginocchia. Sottolineò  la  muscolatura  del  torace  con  una  maglietta  nera  a  maniche  corte  e  aderentissima,  con  una  scritta  fosforescente  sul  petto,  il  tessuto  gli  avvolgeva  i  bicipiti  e  il   busto  snello  come  una  seconda  pelle.

Con una  specie  di  grido  di  battaglia  si  gettarono  tutti  e  tre  in  acqua,  remando  energicamente  con  le  braccia,  una  volta  sdraiati  sulle  tavole,  per  allontanarsi  dalla  riva  e  iniziare  a  contendersi  le  onde  già  dal  largo.   

Il  dio  del  mare  regalò  loro  onde  alte  anche  quattro  metri,  e  all’inizio  furono  più  numerose  le  cadute  e  i  tuffi  involontari  che  i  cavalloni  affrontati  a  regola  d’arte. Gli attori  si  decisero  a  tornare  in  spiaggia solo  al  tramonto.  Stremati  da  una  serata  trascorsa  solcando  quelle  onde  altissime  si  rilassarono   seduti  attorno  ad  un’improvvisato  falò,  soddisfatti  nonostante  tutto,  in  fondo  non  era   alla  portata  di  tutti  un  mare  impetuoso  e  imprevedibile  come  quello  della  Nuova  Zelanda.

 

Nella  sua  camera  a  Wellington  Viggo  stava  sprofondando  nel  sonno  dopo  aver  letto  a  metà  una  sola  pagina  dell’ultimo  saggio  che  gli  era  capitato  per  le  mani.  Teneva  ancora  il  libro  nella  mano  destra,  il  capo  ripiegato  da un  lato,  sorretto  da  due  cuscini  che  lo  avevano illuso  di  mantenere  una  postura  abbastanza  eretta  da  permettergli  di  leggere  in  posizione  comoda.  La luce  dell’abat-jour  illuminava  debolmente  la  stanza  da  letto,  e  dopo  aver  riprodotto   l’ultima  traccia  di  un  album  di  musica  jazz  il  lettore  cd  si  era  spento  automaticamente,  lasciando  che  il  silenzio  della  notte  avvolgesse  l’uomo  e  i  suoi  sogni.

L’attore  indossava  ancora  un  paio  di  stretti  jeans  blu  scuro  e i  calzini.  Il  petto  nudo  e  robusto   si  alzava  lento  e  regolare  al  ritmo  del respiro. La  sua  espressione  era  serena,  la  sua  mente  già  vagava  e  rielaborava  vecchi  e  piacevoli  ricordi.

Orlando  era  di fronte  a  lui…no,  Legolas   era   colui  che  in  quel  momento  gli  stava parlando.  Ascoltava  quella  voce  argentina  come  fosse  il  suono  più  gradevole  che  avesse  udito.  Abbassò  lo  sguardo  su  di  se  e  notò  il  suo  costume,  si  guardò  poi  attorno per  constatare  di  trovarsi  sul  set.  Come  senza  accorgersene  iniziò  a  ridere  alle  battute  del  suo  amico, per  poi  osservare  ammirato  il  suo  viso  vivace  e  bellissimo,  la  sua  espressione  sincera,  gli  occhi  stretti  quando  risuonava  un’allegra  risata.

-Vedi  Vig,  voi  mortali  non  potete   ambire  alla  grazia  di  noi  eteree  creature  della  Terra  di  Mezzo,  non  siete  alla  nostra  altezza…-  lo  istruiva  il  ragazzo  con  un  gran  sorriso  sulle  labbra,  Viggo  annuiva  facendo  finta  di  dargli  ragione.

-….e  tanto  per  puntualizzare  gli  elfi  non  puzzano  come voi   miseri  uomini!-  proseguì  istruendo  il  suo  compagno,  tenendo  la  mano  destra  alzata  e  puntando  l’indice  al  cielo.

-Senza  contare  che  io  vivrò  per  sempre!- esclamò  poi   compiaciuto.

“Per  sempre…per  sempre…”  pensò  l’uomo,  “rimarrei  qui  con  te  per  sempre,  Orlando,  per  sempre…”

L’uomo  si  svegliò  di  soprassalto,  con  ancora  impressa  nella  mente quella  scena.  Ricordò  chiaramente  di  aver  vissuto  quella  scena,  era  successo  mesi  prima.  Allora  si  trovava  in  riva  ad  un  ruscello,  circondato  da  colleghi  e  il  resto  della  troupe.  Aveva  Sean  al  suo  fianco,  ricordava  d’aver  punzecchiato  con  lui  Orlando  per  tutto  il  pomeriggio,  e  che  il  ragazzo  non  aveva  risparmiato  nemmeno  una  delle  sue  frecciatine  per rispondere  ai  due  uomini  di  Gondor.  –Siete  così  intimoriti  dall’elfo!-  aveva  anche  detto.  E  mai  come  ora  quell’affermazione  poteva  essere  vera.

 

Un’ora  dopo  l’alba  Orlando  fu  il  primo  a  spuntare  dalla  sua  tendina   per  iniziare  a  prepararsi  e  mangiare  qualcosa.  Mezz’ora  dopo  gli  diedero  il  buongiorno  i  suoi  amici, oltremodo  sorpresi  di  trovarlo  già  all’opera.  Il  ragazzo  stava infatti  pulendo  la   tavola  accuratamente,  per  poi  lisciarla   con  la  cera  con  grande  attenzione.

-Orl,  che  diavolo  fai  a  quest’ora?-  domandò  assonnato  Dominc  stropicciandosi  gli  occhi.

-Non  si  vede?  Preparo  la  tavola,  no?-  rispose  l’altro  con  naturalezza.

-No.-  lo  interruppe  Karl  che  nel  mentre  preparava  il  caffé  su  un  fornelletto  da  campeggio.  –Non  senti  come  si  è  alzato  il  vento?  Guarda  che  cazzo  di  cavalloni  ci  sono  oggi…- disse  poi  alzandosi  e  indicando  il  mare  agitato. -…non  possiamo  surfare  con  questo tempaccio,  non  siamo  in grado  di  affrontare  onde  di  quel  tipo…-

-Tu  credi,  Karl?-

-Lo  credo anch’io-  intervenne  il  terzo –ma  lo  vedi  quanto  sono  alte,  porca puttana?  Saranno  dieci  o  dodici  metri,  se  non  di  più…non  ne  siamo  in  grado, ammettilo.-

-Parla per  te,  Monaghan…-

-Dai,  piantala  di  fare  l’idiota, Dom  ha  ragione.  Il  fondale  è  troppo  basso  per  rischiare  delle  cadute  con  la  forza  che  il  mare  ha  stamattina.  Appena  cala  un  po’  il  vento  ti  farò  vedere  cos’è  in grado  di  fare  un  australiano!-  concluse  Karl  prendendo  la  tavola  dalle  mani  di  Orlando.

 

Quello  stesso  pomeriggio.

Driiiiiiiin,  driiiiiiiiiiiiiiin, driiiiiiin.  L’attore  corse  al  telefono  avvolgendosi  un asciugamano  in  vita,  alzò  la  cornetta  appoggiandola  contro  i  capelli  ancora  grondanti  d’acqua.

-Si?-

-Viggo,  Billy.  Dominic  mi  ha  appena  chiamato…-

-OK,  allora?-

-Orlando…-

-Orlando  cosa?-

-…ha  avuto  un  incidente,  è  in  ospedale…

-Come  sta?-

-Non  lo so,  siamo  nella  hall  e  Elijah  sta  cercando di richiamarli  ma  il  cellulare  è staccato…-

-Arrivo!-

L’uomo  lasciò  la  cornetta  e   indossò  velocemente  i  primi  jeans trovati,  scarpe  da tennis  e  una  t-shirt,  infilò  in  uno  zainetto  una  felpa,  il  portafoglio  e  i documenti  e  corse  giù  dagli  amici  sbattendo  la  porta.

Nella  hall  lo  aspettavano  Billy,  Elijah  e  Ian,  quest’ultimo  al  telefono.

-Allora?- chiese  agitato l’uomo  raggiungendo  i  colleghi,

-Sappiamo  che  sono  ad  Auckland, e  sappiamo  in  che ospedale  sono-  rispose  il  più  giovane  -ma  Ian  non  riesce  ad  estorcere  alcuna  informazione  a  quella  stronza  del  centralino  del  pronto  soccorso-

-Da  quanto  tempo  sono  lì?-  chiese  ancora  Viggo

-Credo  da  un  paio  d’ore…- rispose  Billy.

-Abbiamo la  conferma  che  è  li,  ma  quell’inetta  non  vuole  dare  informazioni  per  questioni  di  privacy  dice…- intervenne  Ian  mettendo  giù  il  telefono.

Viggo  digitò  velocemente  un  numero col  cellulare  e  cinque  minuti  dopo  concluse  la conversazione.

-Ci  son  due  posti  sul  primo  volo,  parte  tra  mezz’ora,  chi  viene  con  me?-

Gli  altri  si guardarono  negli  occhi.

-Vengo  io.- disse  Ian  avanzando.

Viggo  corse  fuori  dall’albergo  diretto  alla  sua  auto.  Inchiodò  davanti  all’ingresso  dell’hotel  per  permettere  a  Ian  di  salire  sulla  BMW,  poi  sfrecciò  verso  l’aeroporto.

Ian  sedeva  davanti,  col  braccio  destro saldamente  ancorato  al  bracciolo  del  sedile. intimorito  per  la velocità  con  cui  il  danese  affrontava  la  provinciale,  fortunatamente  semideserta  a  quell’ora  del  pomeriggio.    Non  proferì  parola,  osservando  l’uomo  al  suo  fianco,  che  stringeva  le  mani  sul  volante  rivestito  di  pelle  nera  come  se  volesse  strangolare  un  serpente.

Dopo  poco  più  di  venti  minuti  entrarono  nell’enorme  complesso  di  vetro,  diretti  al  primo  sportello  libero. 

Durante  tutto  il  volo  Viggo  non  disse  una  parola. Impassibile  nel  suo  posto  non  sentiva  le  voci  che  lo  circondavano,  era  cieco  alle  altre  persone.  Non  smise  di  torturarsi  le  mani,  nervoso  e  irrequieto.

L’unica  cosa  che  desiderava  era  arrivare in  quel maledetto  ospedale, correre  nella sua  stanza  e  scoprirlo  seduto  sul  suo  letto  a  ridere  coi  suoi  amici,  magari  con  un  braccio  appeso  al  collo  e  l’ingessatura  già  piena  delle  firme  di  tutte  le  infermierine  del  reparto.  Voleva  stringerlo  a  se,  e sentire  le sue  braccia  indebolite  attorno  al  torace,  baciargli  i  capelli  e  rassicurarlo,  dirgli  che  era  tutto  finito  e che  sarebbe  rimasto  lì  con  lui,  che  non  avrebbe  avuto  nulla  da  temere. 

Ian  continuava  a  stare  al  suo  fianco,  e  non  ebbe  il  coraggio  di  chiedergli  nulla.

Giunti  ad  Auckland  un  taxi  li  portò  in  tutta  fretta  fino  all’ospedale  indicato  da  Dominc, e  Viggo  a  malapena  aspettò  che  l’auto  si  arrestasse  del  tutto  prima  di  precipitarsi  fuori  e  correre  all’accettazione.  Seguendo  le  indicazioni  di  un  paramedico  i  due  raggiunsero il  reparto  di  terapia  intensiva,  Karl  e  Dom  attendevano  in  corridoio  buttati su  delle  sedie  di  plastica  blu. Vedendoli  arrivare  il  più  giovane  scosse  l’australiano  e  andarono  incontro  agli  amici.

-Come  sta?- chiese  ansioso  Viggo  stringendo  le  spalle  larghe  di  Karl.

-Quando  l’hanno  portato  via  in  elicottero  era  sveglio,  ma  è  lì  dentro  da  ore-  rispose  il  ragazzo –non  ci  hanno  ancora  permesso  di  vederlo,  non  vogliono dirci  nulla…-

-Cos’è  successo?-  domandò  calmo  Ian.

-…quelle  onde  erano  troppo  alte…gliel’abbiamo  detto,  ma  non  ha  voluto  ascoltarci… - iniziò  Dom.  Karl  proseguì.

–Ieri  andava  tutto  bene,  ma  stanotte  s’è  alzato  il  vento  e  questa  mattina  era  impossibile  entrare  in  acqua,  il  mare  era  troppo  agitato. Siamo  riusciti  a  trattenerlo  in  spiaggia  per  un po’,  aspettando  che  il tempo  migliorasse.  Abbiamo  tentato  di  portargli  via  la  tavola,  abbiamo  quasi  litigato,  ma  nulla.- Viggo  stringeva  i  pugni  con  i  denti  serrati,  in  silenzio. Si  sedettero  vicini, accostando  le  sedie. Karl  riprese.

-Dopo  un  paio  d’ore  non  ha  resistito,  eravamo  convinti  che  si  fosse  rassegnato, invece   si  è  buttato  in  acqua…-

-Perché  cazzo  non  l’avete  fermato?- esclamò  Viggo  a  voce  alta,  Ian  gli  mise  una  mano  sulla  gamba  per  calmarlo.

-Io  ero  in  auto  per  prendere  le  cerate,  nel  caso  cominciasse  a  piovere,  Dom  stava  raccogliendo  legna  asciutta  per  il  fuoco…In  ogni  caso  quando  gli  siamo  corsi  dietro  non  ci  ha  nemmeno  ascoltato. Speravamo  che  dopo  una  caduta  e  bevendo  un  po’ d’acqua  si  sarebbe  fermato.  È  caduto  e  tornato  sulla  tavola  due  volte,  poi  quell’onda.  Enorme,  una  muraglia  d’acqua  scura,  furiosa,  assordante.  L’ha  presa  bene,  poi  ha  tentato  di  infilarsi  nel  tunnel…ma  l’onda  si  è  infranta  prima  che  riuscisse  ad  uscire,  si  è  chiusa  sopra  di  lui,  poi  è  sparito.  Ci  siamo  tuffati  immediatamente. La  tavola  è  tornata  subito  a  galla,  raschiata  e  senza  la   pinna,  deve  aver  sbattuto  con  violenza  sulle  rocce  del  basso  fondale.-

-Orlando  è  riemerso  qualche minuto  dopo…-  aggiunse  Dominc.

Viggo saltò  in  piedi,  rovesciò  la  sedia  provocando  un  gran  rumore  e  si  allontanò.  Girato  l’angolo  si  fermò  un  secondo,  tirando  un  diretto  sul  muro,  poi  appoggiò  entrambe  le  mani  aperte  alla  parete,  con  la  testa  bassa  e  il  viso  nascosto dai  capelli  spettinati. “Stupido, stupido  ragazzino. Incosciente.  Che  cazzo  hai  fatto! Cos’hai  fatto  Orl!”. Ian  lo  aveva  seguito,  gli  mise  una  mano  sulla  spalla  e  voltandolo  lo  guardò  negli  occhi,

-Sta  bene,  ne  sono  certo.- disse  con  voce  rassicurante,  e  gli  sorrise.  Mentre tornavano  dagli  altri  un  medico  andò  incontro  al  gruppo.

-Siete  i  suoi  amici?-  domandò  sfilandosi  gli  occhiali  e  infilandoli  nel  taschino  del  camice  bianco. Si  alzarono  tutti  si  scatto  per  andargli  vicino. 

-Come  sta?- chiese  Viggo  con  voce  roca.

-Ora sta  dormendo,  a  causa  dei  farmaci.  State  tranquilli,  direi  che  è  stato  fortunato, ha  una  gamba  in  trazione,  ma  niente  di  grave.  Abbiamo  dovuto  mettergli  qualche  punto,  ha  molte  contusioni,  ma  starà  bene.-

-Possiamo  vederlo?- chiese  Karl  ansioso.

-In  questo  momento  è  meglio  di  no.  comunque  potrebbe  dormire  fino  a  domani,  fareste  meglio  a  tornare  a  casa. Appena  si  sveglierà  vi  faremo  chiamare-  così  dicendo  si  allontanò  nella  direzione  opposta  da  quella  in  cui  era  venuto.

Calata  la  notte  Ian  convinse  Karl e  Dominic  ad  andare  nel  primo  Hotel  libero  a  dormire,  i  ragazzi  erano  a  pezzi. L’anziano  attore  non  tentò  nemmeno  di  proporre  a  Viggo  di  andare  con  loro. Scomparsa  dai  corridoi  anche  l’ultima  infermiera  il danese  si  infilò  nella  stanza  di  Orlando. L’uomo  chiuse  piano  la  porta  per  non  far  rumore,  guardandosi  attorno  furtivo.

-…c…ciao…Vig…-  una  voce  flebile  gli  giunse  dall’altro  capo  della  stanza.

-Orlando!- esclamò  stupito  l’attore  avvicinandosi  a lui.  Gli  si  sedette  accanto.

-…dovresti  dormire,  come  ti  senti?-  gli  chiese  sorridendo,

-…son…sono  stato  meglio…lo  ammetto…-

-Sei stato  un  incosciente,  lo  sai?-

-…niente  paternali  Vig…ti  prego…-

-Come  vuoi.  Ho  avuto paura  Orl…la  prossima  volta  te  la  faccio  pagare- il  giovane  abbozzò  un  sorriso,  che  si  trasformò  in  una  smorfia  di  dolore.

-…sono…stanco…-  disse  debolmente,

-Dormi  Orl…domani  starai  meglio,  vedrai…- così  dicendo  gli accarezzò  i  capelli  con  dolcezza.

Poco  prima  dell’alba  Viggo  aprì gli  occhi,  delle  dita  deboli  si  muovevano  contro  la  sua  mano. Sgranò  gli  occhi  guardando  le  palpebre  livide  del  ragazzo  aprirsi  stanche. 

-….s…sapevo  che…saresti  stato…qui…-

-E  dove  volevi che  andassi?  Come  stai?-

-…rinato…devo  portarmi a  casa  una  o  due  di  queste  flebo, sono  miracolose!-  l’altro  sorrise  rassegnato. Entro  la  fine  della  mattinata  Orlando  fu  in  grado  di  ricevere  gli  amici,  che uno  per  volta  si  congratularono  col  loro elfo  per  le  sue  sette  vite.  Non  potè  non  sorbirsi  le  ramanzine  più che  dovute  dei  suoi  amici,  e  fu  costretto  a  giurare  più  di  una  volta  di non  ripetere  l’impresa.  La  sera  stessa  gli  tolsero  la  trazione,  e  due  giorni  dopo,  litigando  col  medico,  il  ragazzo  firmò per  andar  via.

In  un  tardo pomeriggio  Viggo  si  ritrovò  ad  aiutare  lo  spericolato inglese  a  tornare  in  albergo.  Carico  di  borse  e  con  la  voluminosa  custodia  dell’ormai  defunta  tavola  da  surf  aprì  la  porta  della  stanza  e  sistemò  i  bagagli  nel  salottino,  e  attese  appoggiato  al  bracciolo  del  divano  che  Orlando  facesse  il  suo  ingresso.

-Ti  serve  aiuto?- chiese  sarcastico,

-No!-  fu  l’esclamazione  che  giunse  dal  corridoio

-Sicuro?-

-Ti  ho  detto  di  No!- urlò  il  ragazzo  oltrepassando  la  porta  con  passi  piccolissimi. Viggo  lo  osservava  divertito  con  le  braccia  incrociate.

-Ti  diverte?-

-Molto  in  effetti…-  ammise  l’altro

-…stronzo…- Viggo  soffocò  una  risatina.

Il ragazzo  chiuse  la  porta  con  una  stampella  e  ci  mise  cinque  minuti  per  arrivare  al  divano,  sempre  rifiutando  il  braccio  dell’amico  si  lasciò  cadere  sui  cuscini  senza  trattenere  una  smorfia.

-Hai  imparato  la  lezione  almeno?-

-Ancora?!  E  che  cazzo  Vig,  lasciatemi  un po’ in  pace,  già  sento  i  sermoni  di  Peter  che  mi  torturerà  da  qui  all’eternità…-

-Te  lo  meriti,  lo  sai.  E  poi  ci  hai  fatto  preoccupare…- disse  sedendosi  sul  tavolino  di  fronte  a  lui.

-…hai  avuto  paura?-  chiese  Orlando  timidamente

-Si,  te l’ho  già  detto,  e  non  voglio  più sentirmi  così. Per  favore  Orl,  non  far sì  che  accada ancora…-

-…ho…ho  avuto  paura  Vig…-

Il danese  gli  si  sedette  accanto  e  gli  mise  un  braccio  attorno  al  collo  baciandogli  la  fronte.

-…è  passato…ora  sei  qui  con  me…-

-…ho  visto  il  tunnel  chiudersi  su  di  me…poi…- 

-Smettila,  non  pensarci…è  finita.-

-Grazie  Vig-  bisbigliò  abbracciandolo. Poi  prese  il  viso  dell’uomo  tra  le  mani, e  schiuse  le labbra  guardando negli occhi  il  suo  compagno.  Come  la  prima  volta  vide  il  suo viso avvicinarsi  ma  non  ebbe  nulla da  temere,  sorrise  accompagnandolo  verso  di  sé ed  attese  quel tocco.

Viggo  poggiò  le  labbra  umide sulle  sue,  senza  forza,  assaggiando  delicatamente  quella  bocca  tanto  anelata.  Con  la  lingua  percorse  la  linea  delle  labbra,  per  poi  intrecciarla  sinuosa  con  la  sua.  La  dolcezza  di  quei  gesti  non  fermò la  nascente  eccitazione  dei  due  uomini,   che  assaggiavano  il  reciproco  sapore  con  maggior  ardore.  Ansimante  Orlando  tese  all’indietro  il  capo, mentre  le  piccole  gocce  di  sudore  che  imperlavano  il  suo  volto  scendevano  sul  suo  collo    liscio.  Viggo  assaporò  quel  sale  come  il  nettare  più  dolce,  impresse  piccoli  baci  sul  pomo  d’adamo,  poi  sulle  clavicole,  e  risalì  nuovamente  tracciando  con  la  punta  delle  lingua  un  sentiero  invisibile  sul  collo  del  debole  giovane.  Questi  lo  tirò  a  se  per  baciarlo  con  crescente  ardore,  stuzzicandolo  o  mordicchiandogli  il labbro  inferiore,  tenendo  le  dita  di  una  mano  tra  i  riccioli  scuri  dell’uomo  e  l’altra  mano sempre  salda  in  quella  del  compagno.

Ansimante  poi  tuffò  i  suoi  occhi  nocciola  in  quell’azzurro  profondo  da  cui  non  riusciva  a  staccarsi.  Stanco  per il viaggio   e  indebolito  dagli antidolorifici  Orlando  perse  presto  la  forza  che  desiderava invece  dimostrare  al  suo  uomo.

Viggo  lo  aiutò  a  stendersi  sul  letto,  e  il giovane  si addormentò  qualche  minuto  dopo.  Il  compagno  aprì  la  porta  che  dal  salottino  dava  al  balcone,  e  incrociando  le  braccia  per  appoggiarsi  al  parapetto  vi  affondò  il  mento  assorto  nei  suoi  pensieri.  Da  quando  si  erano  rivisti  in  quella  stanza  d’ospedale  lui  e  Orlando  sembravano  aver  dimenticato  ciò  che  era  successo  quella  notte  in piscina,  gli  era  stato  accanto  come  il  più  premuroso  degli  amici,  e  il  ragazzo aveva  fatto  di  tutto  per  non  staccarsi  mai  dal  suo  angelo  custode.  Si  erano  comportati  con  naturalezza,  avevano  scherzato,  l’uno  aveva  accolto  come  un  tesoro il  sostegno  dell’altro,  e  il  secondo  non  poteva  fare  a  meno  di  cercare  di  proteggere  il  più  giovane.  Nessuna  tensione,  nessun  malinteso,  nessun nervosismo.  Non  uno  dei  due  aveva  scordato  quei  momenti,  ma  non  sembrava  più  così  importante  parlarne,  perché  semplicemente  non  c’era  più  nulla  da  chiarire.  Viggo  sentiva  di  essersi  legato  a  quel  ragazzo  così  tremendamente  avventato  che  pur  condividendo  la  sua  stessa  confusione  l’aveva  superata,  e  aveva  deciso  si  affrontare  una  cosa  che  entrambi  temevano  ma  che  poteva  essere  vissuta  con  un  po’  di  coraggio  e  riconoscendo  la  sincerità  e  l’innocenza  dei  propri  sentimenti.

Si  trattava  di  riconoscere  un  cambiamento profondo,  loro  stessi  stavano  imparando  ad  aprire  gli  occhi  a  qualcosa  di  inaspettato  e  apparentemente  incomprensibile,  e  un  nuovo  aspetto  della  loro vita  poteva  sorprenderli  nel  bene  o  sconfiggere  un  legame  appena  instaurato. 

Con  aria  sognante  Viggo  posava  il  suo  sguardo  sulla  città  inondata  dalla  luce  rossastra  del  tramonto.  I  suoi  bellissimi  occhi  azzurri  si  persero  nel  calore  di  quel  sole  calante,  che  si  nascondeva  lento  e  assonnato  dietro  i  palazzi  in  vetro  che  riflettendo  quella  luce  la  irradiavano  tutt’attorno.

Un  bacio  delicato  si  posò  sul  suo  collo.  Viggo  si  voltò  per  accogliere  tra le  braccia  il  ragazzo  che  si  era  avvicinato  con  passo  incerto.  Tornarono  insieme  sul  letto,  Orlando  posò  il  capo  sul  torace  dell’uomo  che,  appoggiato  con  la  schiena  sui  cuscini,  giocherellava  coi  riccioli  del  ragazzo  disordinati  sul  suo  petto.

-…sai  Vig?  spesso,  ci  ho  pensato…-

-…a  cosa,  piccolo  elfo?-

-…ho  pensato  a  come  sarebbe  stato  se,  fra  di  noi,  le  cose  fossero andate  in  modo  diverso…-

-diverso…come?-

-non  lo  so.  Diverso.  Non  so  nemmeno  se migliore  o  peggiore  di  come  stiamo adesso,  però…quando  mi  guardo  indietro,  vedo  così  tante  strade  lasciate  vuote.  Strade  delle  quali  non  riesco  a  vedere  la  fine,  ma  sempre  assolate,  e  rassicuranti…perché  so  che  tu  sarai  al  mio  fianco…-

-…sono  e  saranno  tante  le  strade  che  ti  si  apriranno  di  fronte,  Orl,  ma  puoi  affrontarle  senza  timore,  hai  forza  e  cuore,  e  io   sarò  con  te …-

Orlando  lo  guardò  con  impressa  in  volto  un’espressione  felice  e  serena, la  sua  stessa  anima  gioì  aprendosi  in  un  bellissimo  sorriso. 

Viggo lo  strinse  a  se -…te  lo  prometto…-