.|. Changing Friendship .|. by Isil I legami di amicizia mutano, cresce la paura di qualcosa di troppo grande per due compagni che decidono di aprire il loro cuore. Viggo e Orlando riusciranno a diradare le nebbie della propria confusione per dei nascenti e inattesi sentimenti? Drammatico/Sentimentale | Slash | Rating NC-17 | One Piece | Commenta - Leggi i Commenti |
L’uomo sedeva in riva al corso d’acqua, ne osservava il lento scorrere, l’assoluta mancanza di increspature sulla superficie, liscia quasi fosse illusoriamente immobile. Giocherellava con un sassolino chiaro, levigato e lucente come una pietra preziosa. Lo passò tra le dita, poi di mano in mano, poi iniziò a sfiorarlo tra l’indice e il pollice percorrendone il contorno rotondo, toccandolo come fosse coperto di seta. Lo lanciò lontano con uno scatto preciso del polso. Uno, due, tre, quattro rimbalzi, poi scomparve. Il vociare della troupe era ancora percepibile a quella distanza, ma chiudendo gli occhi e rivolgendo altrove i pensieri era possibile far finta d’esser soli in quella piccola bellissima valle. Sentiva gli uccelli volare verso la collina e oltre, il leggero rumore dell’acqua, il vento della sera che cominciava a soffiare piano tra gli alberi che lo circondavano celandolo a tutto il resto. Sentiva il proprio respiro, calmo e regolare.
-Viiiiiiiiiiiiiig! Viiiiiiiiiiiig!- L’uomo rimase immobile, senza aprire gli occhi. -Viiiiiiiiiiiig! Vieni fuori!- Nessuna risposta. -Eccoti finalmente!- urlò un ragazzo correndo fuori dalla boscaglia. L’uomo aprì gli occhi e lo guardò arrivare. Indossava dei jeans chiari piuttosto malconci, una maglia nera su cui spiccava un grosso simbolo dei pirati nel centro, ed un paio di scarpe da tennis. Quel look sembrava in effetti un po’ trasandato ma rispecchiava precisamente l’immagine che tutti si erano fatti della personalità del giovane attore. –Diosanto Viggo, non mi sentivi urlare? Che ti costava rispondere?- L’uomo sorrise. -Allora?- chiese ancora il giovane a braccia aperte. -…ti chiedo scusa Orlando, non ti avevo sentito- -Non ci credo!Dì che non volevi vedermi piuttosto!- esclamò il ragazzo con espressione imbronciata. -Ahahahah, dai Orl, smettila di far quella faccia, lo sai bene che mi fa sempre piacere vederti, ma se mi hai cercato ancora per quel programmino che avevi in mente scordatelo, non vengo a surfare con te a Tauranga!- disse con tono deciso. -Ma dai, ahahah, perché? E per esser precisi è a Mount Maunganui…- puntualizzò ridendo l’altro, -Perché?! Prima di tutto è sulla costa nord e ci si mette un secolo da qui in auto, e secondo perché fare surf alla barriera corallina è pericoloso!- -Sapevo che l’avresti detto vecchio mio!- disse Orlando poggiando una mano sulla spalla dell’amico e sedendosi accanto a lui. -…comunque non ti ho cercato per convincerti ma per avvertirti che siamo quasi pronti per tornare in città, e le costumiste ti stanno aspettando da più di un’ora per riavere indietro quello straccetto che hai addosso- -Straccetto?- disse l’uomo guardandosi con aria interrogativa. -Hai capito bene, muoviti!- disse alzandosi in piedi e tirando il braccio dell’amico per far alzare anche lui. -…ma è proprio necessario tenere quella roba anche quando le riprese sono finite?- -…è che mi ci sento a mio agio, non lo faccio apposta…e non tirarmi, mi fai male!- -..povero delicatissimo mortale, dai che è tardi, raggiungiamo gli altri.-
I due si incamminarono quindi oltre la boscaglia per tornare alla radura in cui avevano girato fino ad un paio d’ore prima le scene del tragitto da Rohan verso il fosso di Helm. Le riprese erano andate un po’ per le lunghe, e al tramonto gli stallieri stavano ancora cercando di far calmare tutti i cavalli. Nonostante la giornata di lavoro fosse teoricamente conclusa il viavai era ancora frenetico. Raggiunti i colleghi Orlando si fermò a chiacchierar con loro, Viggo corse invece al camper. Entrò come un ladro, e appena fu sorpreso da una moretta che lo aspettava con le braccia incrociate sul petto, alzò le mani come sorpreso a rubare e dichiarando inutilmente la propria innocenza. -Scusami Julia, ti giuro che non l’ho fatto di proposito, perdonami ti prego! Scusa!- L’espressione severa della donna si trasformò subito in gran sorriso. -Vieni qui su! Non ci facciamo nemmeno più caso se si tratta di te, ma se non ti fossi volatilizzato col costume come ogni volta avremmo potuto chiuder la baracca ore fa!- disse lei aiutandolo a sbottonare la casacca scura. -Ti giuro che mi è proprio passato di mente, perdonami!- -Lascia perdere, ma la prossima volta cerca di tornare qui prima di sparire, ok?- L’uomo annuì. -Ora vai, i tuoi vestiti son su quel mobile, e quando hai finito chiudi tu per favore, ok? A domani Mortensen.- disse infine lei uscendo dalla roulotte. -Certo, e grazie ancora Julia!- Lasciato solo l’attore continuò a svestirsi, poggiando con cura sull’appendiabiti ogni capo, poi infilò i jeans neri, strinse bene la cintura e cominciò a guardarsi attorno spazientendosi. -È questa che cercavi?- chiese una voce divertita alle sue spalle. L’uomo si girò di scatto per poi tranquillizzarsi subito. -Grazie…- rispose Viggo prendendo dalle mani del ragazzo la sua camicia. -Uno strip tutto per me…- l’altro soffocò una risatina -…peccato tu non sia il mio tipo…- -Ah no?- iniziò l’altro divertito -…e quale sarebbe il tuo tipo?- -Tanto per cominciare non sei immortale come me…e poi hai la barba!- -Ahahaha…- -Ridi eh? Muoviti che gli altri son già sulla jeep, stavamo aspettando solo te- L’uomo afferrò quindi la giacca e seguì l’amico verso l’auto.
La banda dei giovani attori convinse, non senza sforzo, gli adulti del gruppo a saltar la cena in albergo, per passare la serata in un piccolo tour dei locali che ormai da mesi erano diventati la tappa fissa dei ragazzi. Placarono quindi il loro vorace appetito in un ristorantino indiano in periferia, per poi affogare nell’alcol in un pub poco fuori città, ribattezzato “la Taverna del Puledro Impennato” da un alticcio Billy Boyd. A fine serata però si ritrovarono in pochi attorno al tavolo di legno scuro imbandito di bottiglie di birra e diversi bicchieri pieni di ogni liquore. Ian e Christopher, tirando in causa la propria anzianità, si erano ritirati subito dopo cena. Hugo, John, e Bernard si erano congedati prima del secondo giro di birra, e Brad decise con Andy di riportare in albergo David prima che la sua ubriachezza diventasse molesta. -Son rimasto l’unico sopra i trenta, comincio a sentirmi di troppo…- avanzò Viggo poggiando di fronte a se il bicchiere con l’ultimo goccio d’alcol della sua serata. Qualcuno rise, ma i più non gli diedero peso. -…ragazzi, tutto quello che vi siete scolati non vi sembra sufficiente per stasera?- proseguì cercando approvazione con lo sguardo verso tutti i suoi compagni. -Ma dai Mortensen!- esclamò Karl accendendo la sigaretta tra le labbra di Orlando –domani siamo liberi, no?- -Veramente no!- lo interruppe il fumatore alla sua destra. Gli hobbit si guardarono reciprocamente con aria incredula. -Saremo liberi sabato, ma oggi è solo mercoledì- aggiunse l’uomo. -Appunto- proseguì Orlando -…e….ascoltatemi bene perché non mi sentirete mai più in vita vostra dire una simile eresia…. temo di dover dar ragione al mortale nell’affermare che le bottiglie collezionate per oggi sono abbastanza, è meglio tornare- Commenti di protesta si levarono innumerevoli, ma gli unici due individui stranamente sobri della compagnia riuscirono ad infilare in auto i ragazzi e riportarli in albergo senza che Peter ricevesse soffiate circa lo stato del suo cast.
In ascensore. -Come mai eri d’accordo con me?- chiese Viggo al giovane inglese, -Strano vero? Il fatto è che se mi fossi ubriacato domattina sarei riuscito comunque ad alzarmi per presentarmi sul set, ma non posso dire lo stesso degli altri…- -..capisco- -…e non voglio che per contrattempi causati da loro Peter ci costringa a girare anche sabato e domenica, ho altri progetti in mente.- -…mh…- -Ti va un the caldo prima di andare a dormire?- -Un the?- domandò il danese –a quest’ora? Ma voi inglesi non lo bevete alle 5?- -La smetti di sfottere? Ci mettiamo dieci minuti…- -Ok, ti seguo- I due si diressero quindi nella stanza di Orlando, che invitò l’amico a sedersi in qualsiasi posto avesse trovato una superficie libera abbastanza grande per potersi sedere, poi tirò fuori da un mobiletto una bottiglia in vetro con l’etichetta in bianco e nero e due bicchieri, uno diverso dall’altro, posando il tutto sul tavolino di fronte all’altro, che nel frattempo aveva liberato dai vestiti sia il divano che la poltrona accanto, accomodandosi su quest’ultima. Il giovane si abbandonò quindi di peso sul divano, tolse le scarpe e si sfilò la maglia gettandola nel mucchio. Poi cominciò a riempire i bicchieri, e ne porse uno all’amico. -Da quando questo lo chiami the, Orlando?- -Quante storie Vig! se t’avessi invitato a bere un whisky saresti venuto?- -No- -Lo sapevo, ah se vuoi del ghiaccio lo trovi nel frigobar, scusa ma io sono abituato a berlo liscio- così dicendo fece tintinnare il suo bicchiere contro l’altro e mandò giù due dita del distillato in un solo sorso. Poi appoggiò pesantemente il bicchiere sul tavolo. -Aaaah…ci voleva proprio!- -Se lo dici tu…- disse l’uomo poco convinto, che iniziò a sorseggiare piano e a lunghi intervalli. Il ragazzo si era abbandonato completamente tra i cuscini del divano, con le gambe divaricate e la braccia aperte coi palmi verso l’alto. Viggo non riuscì a fare a meno di lasciar scorrere lo sguardo sul suo corpo. Le onde castane cadevano leggere sulle spalle chiare, il torace glabro si alzava e riabbassava piano al ritmo del suo respiro. Gli occhi scesero curiosi verso gli addominali delicatamente evidenti, poi più in basso………….…basta! L’attore scosse la testa per riacquistare lucidità. Orlando aveva gli occhi chiusi, la testa reclinata all’indietro sulla spalliera. Viggo immaginò di sfiorare quella labbra fini, assaggiare quella bocca leggermente aperta che lo invitava, baciare la pelle liscissima del suo collo… “ora è troppo!” pensò, “ma che diavolo mi viene in mente? devo aver bevuto troppo, è evidente…ma dio…guardalo…è…è…è Orlando, punto.” -…senti Orl..grazie per il bicchierino ma è ora che me ne vada a dormire, è piuttosto tardi e…- -No…- lo interruppe lui alzando la testa e guardandolo fisso negli occhi con aria dolce –non è poi così tardi, ti prego…resta ancora un po’…mi fa piacere la tua compagnia…- cercò di convincerlo tendendogli un braccio. -No davvero, Orlando, è meglio di no. Vai a dormire anche tu, altrimenti sarai uno straccio…- -…ti prego…- -…no- -uff, e va bene, guastafeste. Ci vediamo domani?- -Contaci!- rispose Viggo aprendo la porta –buonanotte elfo- -‘notte Vig…-
Viggo rientrò velocemente nella sua stanza, si chiuse la porta alle spalle per poi scivolare contro di essa con la testa fra le mani. -Dio, che cazzo mi è preso? Che cazzo mi è preso?- si disse battendo la testa un paio di volte contro la porta. Poi si alzò scuotendo il capo ogni tre passi e si spogliò verso il bagno prima di infilarsi sotto la doccia. La manopola dell’acqua si spostò progressivamente verso destra. L’acqua bollente divenne tollerabile, poi tiepida, e pian piano sempre meno calda, fino a diventare fredda. L’uomo rimase immobile sotto il getto violento , i capelli fradici gli si incollarono al collo ed alle spalle. I primi vapori erano ormai cancellati anche dalla plastica del box, ma lui rimase ancora sotto quel getto gelido. Qualche minuto dopo chiuse il rubinetto e infilò l’accappatoio, abbandonandosi più calmo e rilassato sul letto matrimoniale. “Per quale motivo l’ho guardato in quel modo?” si chiese. “perché ai miei occhi lui è diverso da tutti gli altri? Cosa lo rende speciale? Questa cosa comincia ad esser strana, è da troppo che lo guardo in quel modo…se ne sarà accorto? Oddio no…spero di no…no, figurati, sicuramente no. Dev’essere così accidenti! È un amico, è e deve esser solo un amico…certo che lo è! E poi…e poi è un uomo per dio…è un uomo!” Viggo ricominciò a scuotere la testa. “….sono ubriaco? Si, probabilmente lo sono…ma no che non lo sono, porca miseria, son fin troppo lucido, è questo il problema! Che diavolo mi succede?” . l’uomo continuò ad interrogarsi a lungo, poi si addormentò.
In un’altra stanza un paio di piani sotto un ragazzo invece era ancora sveglio. Le potenti vibrazioni dell’heavy metal ad alto volume riempivano gli ambienti. Orlando cercava freneticamente di mettere in ordine le camere. Ammucchiò le maglie da una parte, le diverse paia di jeans su una sedia e le scarpe tra il frigo bar e un mobiletto, ordinate due a due di fronte al muro. Poi gettò nel cestino le lattine di birra e coca parcheggiate da chissà quanto sul mobile dell’ingresso, seguirono bustine varie, fazzoletti, avanzi di patatine, snack a metà e altre cianfrusaglie. Iniziò quindi a piegare le magliette con un’insolita precisione, disponendole poi nei cassetti della stanza da letto adiacente al salottino. Ripose i jeans nell’armadio e sistemò i cuscini sul divano, poi si incantò ad osservare con una certa soddisfazione la sua opera. Era bastata poco più di una mezzora per rendere quell’ambiente abitabile, in fondo non ci voleva poi tanto! Ma per quale motivo allora non aveva mai posto fine all’anarchia che regnava nella sua stanza? Non ne sentiva il bisogno, le cose sparse ovunque non dovevano considerarsi disordine, ma temporaneo casuale dislocamento degli oggetti. Ma ora aveva bisogno di calmarsi e per impegnare la mente si era deciso a riordinare una volta per tutte. Anche dopo aver finito continuò a camminare su è giù tra l’ingresso e la camera da letto, avanti e indietro, avanti e indietro. “L’ho visto…l’ho visto…eccome se l’ho visto. Lui non se n’è accorto ma io l’ho visto…mi stava guardando…e che occhi aveva! Perché se n’è andato? Ha paura di restare solo con me forse? È da settimane che va avanti questa storia, inizio ad averne le scatole piene! Non la smette di fissarmi…io lo becco e poi fa finta di nulla…ma sembro stupido? Forse è convinto che non me ne sia mai reso conto, ma lo vedo eccome il modo in cui mi guarda! Gli piaccio? …oh si…si…decisamente si! Ma perché continua a far finta di niente mi chiedo! Il bello è che poi quello immaturo sarei io…come no! e se ti piaccio dillo no? No! E no cazzo, e se gli piaccio davvero? E se poi me lo confessa io che faccio? Che gli dico? Che faccia devo fare? …sono un attore no? Qualcosa riuscirò ad inventarmi…e no che non posso…che diavolo mi invento?” non si fermò un solo istante, continuando a consumare a passi veloci gli stessi metri di moquette. “Dio! Dio! Dio! I suoi occhi quando mi guarda sono…bellissimi…sono…sono gli occhi di un uomo! Perché mi fanno quell’effetto?…sono così…magnetici…lucidi…basta! No…ora ricomincio a pensare a lui…no! ma quando mi guarda così vorrei……..nulla! Non vorrei nulla! Oh si invece, almeno io devo smetterla di far finta di niente, io lo so, lo sa anche lui ma io lo ammetto almeno…no…non lo ammetto…o si? È giusto o sbagliato? Che stronzata! Non ci sono cose giuste o sbagliate quando ti piace qualcuno,no? quindi lui mi piace? Si…no…noooo…oppure si…no….si…forse si…si. Cazzo, si! Che casino, che casino! Diosanto!”. Orlando si fermò improvvisamente, si tolse i jeans e i boxer e corse sotto la doccia. L’acqua cominciò a scrosciare rumorosamente nascondendo quasi la musica dall’altra stanza. Si strofinò i capelli, si cosparse di bagnoschiuma e si lavò in modo frenetico, poi iniziò a massaggiarsi più piano le braccia, il torace, l’inguine. Chiuse il pugno sul pene eretto e cominciò a muovere la mano lentamente, regolare, ansimando a bocca aperta. Poi sempre più veloce, affogando i gemiti sotto il getto d’acqua. Più veloce, ancora di più…si tenne al muro per non perdere l’equilibrio mentre il suo stesso seme gli scivolava caldo tra le dita, appoggiò la fronte alle piastrelle bagnate…-..dio Vig…-
-Ragazzi, approfittiamo della bella giornata e cerchiamo di non perder troppo tempo, oggi non voglio esser costretto a farvi ripetere ogni scena mille volte, chiaro?- il tono del paffuto australiano era stranamente serio quella mattina. -Si può sapere che gli prende oggi? Quell’aria scura fa quasi impressione…sembra Gimli!- disse Orlando all’amico vicino. -Vai a quel paese Bloom!- gli rispose seccato John. -…ho sentito il meteo con Peter stamattina presto, e dice che il tempo peggiorerà, quindi non vuole correre il rischio di rimandare le riprese a causa del maltempo…- li interruppe il ragazzo cui era diretta la battuta dell’inglese. -Davvero Karl?- proseguì Orlando, -non lo sapevo…speriamo non piova, altrimenti addio weekend…-
Cominciarono a girare poco dopo, senza intoppi. Una breve pausa pranzo fu l’unica concessione che il regista fece agli attori, per poi proseguire fino al tramonto. Tutto sommato il materiale era piuttosto buono, quindi, anche se solo alla fine di una lunga ed estenuante giornata, Peter si complimentò con tutti alla solita maniera, gettando in un angolo l’aria da duro che aveva assunto tutto il giorno per far marciare il suo cast come un piccolo esercito. Fu solo al tramonto che, smessi gli abiti da guerrieri e orchi, tutti poterono tornare nella cittadina. Quella sera si assentarono dalla tanto sospirata cena solo due persone: Orlando e Karl. Intorno alla mezzanotte un uomo vagava inquieto per i corridoi dell’albergo. Aveva già tentato di dormire andando a letto presto, ma due ore trascorse a rigirarsi tra le coperte l’avevano convinto che in quel periodo il suo fisico si fosse probabilmente abituato ad altri orari. Si era di conseguenza deciso a cercare qualcosa da fare, ma senza riuscirci. I ragazzi erano introvabili, sicuramente in giro da ore per le birrerie. La maggior parte dei suoi coetanei e i più “anziani” certamente dormivano, e l’idea di concluder la serata ascoltando lo spettegolare delle belle colleghe non esaltava particolarmente l’attore annoiato. Le porte dell’ascensore si aprirono sulla hall semideserta. Il portiere lo salutò col solito falso sorriso compiaciuto. Qualche sconosciuto leggeva o fumava sulle poltroncine, altre facce ignote conversavano sommesse, ma nessuno che ispirasse nell’uomo alcun pallido interesse. Superando la porta vetrata alla fine del salottino scorse il bar non troppo distante. Iniziò ad attraversar la sala diretto al bancone, dritto davanti a lui, poi si fermò. Orlando sedeva su uno sgabello con le braccia poggiate sul vetro del bancone, il mento incavato nell’incrociarsi delle proprie mani, che sostenevano quella pesante testolina carica di pensieri. Era solo. Accanto al gomito destro un bicchiere vuoto per metà. In silenzio, il ragazzo lasciava vagare lo sguardo nel vuoto. Il barista gli dava le spalle, continuando a ripulire la macchina da caffé che ormai nessuno gli chiedeva di utilizzare a quell’ora della notte. Avrebbe chiuso i conti del bar da un pezzo se quel ragazzo solitario non si fosse fermato così a lungo per mandar giù due dita di whisky. Intanto l’uomo non si mosse, osservando ogni dettaglio della figura di fronte a sé, cercando le prime parole per azzardare una conversazione. Accidenti, erano amici e gli serviva addirittura un pretesto per rivolgergli la parola? Si dette dello stupido decidendosi ad andare da lui. Una mano si poggiò ferma sulla spalla destra del ragazzo, che sobbalzò voltandosi di scatto in quella direzione, per poi sorridere alla vista dell’amico, che dopo un istante gli si sedette accanto. Gli occhi dell’uomo scesero scrupolosi su ogni dettaglio del giovane. Le morbide onde scure del giovane scendevano leggere a toccargli le spalle, una maglia chiara piuttosto larga rispetto a quelle che era solito usare gli avvolgeva il busto. Le ombre segnavano appena la linea dei pettorali, in modo sufficientemente evidente per quello sguardo attento. Un paio di jeans chiari stringevano le sue gambe tornite, troppo stretti per lasciare qualcosa all’immaginazione. -…è una buona compagnia?- domandò Viggo indicando con lo sguardo il bicchiere a pochi centimetri da lui. L’inglese sorrise. -Beh…sta lì in silenzio, non ha fretta, non fa domande, ascolta senza polemizzare, e poi ha un buon sapore…quindi si, è una buona compagnia.- disse -…ma non la migliore- -temevo il contrario. Ti ho perso di vista stasera…- -Mi controlli uomo?- domandò sarcastico il giovane voltando lo sgabello verso il suo interlocutore per averlo completamente di fronte. -Come?Oh no…no…- rispose l’altro quasi con imbarazzo –ma eravamo tutti assieme e mi ha sorpreso non trovarti nel gruppo, tutto qui.- -in realtà mancava anche Karl, non l’hai notato? Avevamo delle cose da comprare prima del weekend, qualche elemento dell’attrezzatura…cose così…- -quindi Karl parte con te venerdì?- -Oh si, e viene anche Dominic. Ci divertiremo! Se cambi idea sei sempre in tempo a venire anche tu…- -Ti ringrazio ma declino cortesemente, vi sarei d’intralcio e poi non sono un buon surfista- -…ma a me non dispiacerebbe farti da maestro…- -Hem…scusate signori…- si intromise timidamente il barista –…è piuttosto tardi e io dovrei chiudere il bar per stanotte…mi dispiace ma…- -Scusami tu- gli rispose Orlando –colpa mia, andiamo via subito!- disse alzandosi dal suo posto. Mandò giù in un sorso solo ciò che restava del suo drink e seguito dall’amico si allontanarono dal bancone. -Vai a dormire ora, vecchio mio?- domandò l’attore al più anziano, incamminandosi verso l’ascensore. -In realtà no, è per questo che cercavo compagnia poco fa…- -e hai trovato qualcuno degno d’esser chiamato tale?- scherzò l’altro -mah…tutto sommato direi di si.- -la ringrazio sire…- rispose Orlando accennando un inchino poco prima dell’apertura delle porte. -Pensavo che non sarebbe male rilassarsi con una nuotata prima di tornare in camera, che ne dici?- ricominciò il danese con l’aria di chi già si aspetta un no come risposta ma non smette di sperarci. -…non so…sono piuttosto stanco…- l’amico abbassò gli occhi rassegnato –Ma si che vengo! Ti stavo solo prendendo in giro! Ma ti pare realistico che un baldo giovane come me sia già KO a quest’ora?!tz!- -stupido…- -dai uomo, vado a metter su qualcosa di decente e ci vediamo all’ultimo piano tra dieci minuti al massimo- disse poi velocemente scendendo dall’ascensore per correre alla sua stanza.
L’uomo entrò nella sua camera senza fretta, si spogliò andando verso il letto, sistemò i vestiti sulla sedia e indossò un paio di semplici boxer neri non troppo aderenti. Indossò i pantaloni di una tuta, una t-shirt e le scarpe da ginnastica, poi uscì. Fece a piedi i due piani che lo separavano dall’ultimo in cui si trovava la piscina coperta. Quando vi giunse era appena scoccata l’una. Guardandosi attorno si scoprì solo, le luci spente se non quelle della piccola anticamera. Raggiunto l’interruttore principale accese solo le luci subacquee e poche altre, lasciando gran parte dell’ambiente illuminato debolmente. Poi si avvicinò al bordo della piscina, si tolse i vestiti per abbandonarli su una panchina di plastica poco distante e si sedette sul bordo coi piedi immersi, dando le spalle all’ingresso. Quella non era la prima volta in cui Viggo si ritrovava nel cuore della notte a cercare un po’ di tranquillità in quel posto inaspettatamente affascinante. L’acqua appena increspata per il movimento dei suoi piedi appena sotto la superficie. Non era fredda, ma piacevolmente mitigata. Nessun brivido al suo tocco, ma quasi un lento sciogliersi ad ogni passo che l’uomo faceva avanzando gradino dopo gradino. Sentiva la stanchezza perdersi come un’increspatura, i muscoli lasciavano libera la tensione accumulata, ogni fibra di quel corpo stanco lasciava che l’acqua penetrasse e si fondesse in se. Nessun pensiero, nessuna preoccupazione. Solo lui, il silenzio e l’acqua azzurrina. Sempre più spesso si cullava in quella pace, coccolava se stesso con ciò che come poche altre gli dava piacere. Rimase così, seduto su quel bordo, ad attendere l’amico, senza impazienza. Un’energica spinta gli fece perdere l’equilibrio, un forte tonfo, aprì gli occhi e si trovò sott’acqua a rigirare su se stesso. Pochi secondi dopo emerse tirandosi indietro i capelli incollati al volto. -ma cos…- -AHAHAHAHAH! Guardati Vig, hai un’espressione da immortalare… sei troppo buffo!!! Oddio che ridere! AHAHAH!- Orlando rideva rumorosamente tenendosi le mani sulla pancia, quasi piegato in due e con le lacrime agli occhi. -Accidenti a te Orl!- gli urlò l’altro immerso fino al torace due metri più in là. –Ma ti sembra il modo?- -Scusa vecchio mio ma non ho resistito, la tentazione era troppo forte…lo giuro!- -Stupido inglese!- Seguì un secondo di silenzio, poi entrambi iniziarono a ridere di gusto. -Orl…- iniziò poi l’uomo –ma che diavolo hai addosso?- continuò poi ridendo additandolo. Il giovane si guardò perplesso. -Questi dici?- chiese prendendo con due mani i lembi dei calzoncini allargandoli come se stesse mostrando una gonna. –che hanno che non va?- Per tutta risposta l’altro non smise di deriderlo. -Dai Orl, sei ridicolo!- Il ragazzo indossava dei calzoncini abbastanza larghi, che gli coprivano le gambe quasi fino al ginocchio. Ma quello che colpì l’uomo fu soprattutto la fantasia di indefiniti disegni multicolor sullo sfondo di un tessuto dalle tonalità indefinibili, decisamente un costume da non mostrare in pubblico. -E così io sarei ridicolo eh?- urlando questo il ragazzo prese una piccola rincorsa per poi saltare in acqua tenendosi la gambe piegate contro il petto….SPLASH!!!
Nuotarono l’uno attorno all’altro, come squali che studiano la preda prima di attaccarla. Per molto tempo continuarono a scrutarsi senza dire una parola, cercando di leggere negli occhi dell’altra persona le intenzioni, un’attenzione troppo profonda o magari qualcos’altro. Più trascorrevano i minuti più divenne difficile trovare qualcosa da dire che non rovinasse quello strano magnetismo creato tra gli occhi limpidi come il mare e quelli nocciola e caldissimi del ragazzo. Innumerevoli volte entrambi immaginarono di iniziare anche una seppur stupida e banale conversazione, ma nessuno alla fine emetteva un solo suono. Viggo nonostante questo appariva calmo, non staccava i suoi occhi da quelli dell’amico e continuava a respirare piano, socchiudendo le labbra carnose. Quelle labbra Orlando le aveva notate da troppo tempo, umide e invitanti, ma cercava di concentrarsi sullo sguardo indagatore dell’uomo per non permettergli di vagare senza controllo. Il giovane non riusciva ad ostentare la stessa tranquillità, abbassò lo sguardo due o tre volte, e non smise di mordersi il labbro inferiore rendendolo arrossato ed estremamente desiderabile alla vista del danese. Orlando si sentiva irrigidire ogni secondo di più, come se l’acqua non fosse tiepida ma ghiacciata. Schizzò prepotentemente l’uomo in pieno viso e ne approfittò per tuffarsi e nuotare veloce verso la parte opposta della piscina, mentre Viggo ancora si grattava gli occhi irritati dal cloro. Prima che il ragazzo raggiungesse la sua mèta l’uomo però aveva già iniziato a nuotare nella sua scia, e quando Orlando si voltò Viggo era ad un paio di metri da lui. Orlando rimase immobile guardandolo arrivare. Poi l’uomo si mise di fronte a lui, con aria decisa ma non arrogante. -Di cosa hai paura, Orlando?- disse sensualmente avvicinandosi a lui. Sentiva il suo respiro fresco sul viso ora, per questo tentò di arretrare, ma un solo passo bastò per fargli toccare il bordo con la schiena. -…hai paura di me?- proseguì l’altro. In risposta il ragazzo mosse lievemente la testa da sinistra a destra un paio di volte. -…non ti temo…ho solo paura di….questo- disse con voce flebile Orlando poggiando la mano sul cuore del suo amico. Sentì la pelle morbida e le gocce sotto il suo tocco, sentì chiaro il suo cuore battere forte, e continuò a guardare quel viso che si avvicinava al suo, sempre di più. Viggo posò le labbra dischiuse su quelle bagnate del ragazzo, infilò le dita tra le onde morbide dei suoi capelli e lo avvicinò a se delicatamente, assaporando quella bocca dolce e proibita. Orlando non chiuse gli occhi e assecondò quel bacio stranamente atteso, cinse col braccio la vita dell’uomo quando questi iniziò ad accarezzargli il petto liscio con mano esperta e tocco indiscreto. Orlando assaggiò il calore di quel frutto come il più invitante mai conosciuto, curioso, assetato, attirato da una forza mai sentita. Il cuore nel petto pulsava come impazzito. L’uomo sentiva il sangue correre come lava nel corpo sempre più caldo, quando i due si strinsero in un abbraccio convulso le loro eccitazioni di toccarono più volte, aumentando il piacere di quel contatto quasi totale. L’uomo ne era conscio e non tentò di tener sotto controllo il desiderio che in lui cresceva incontenibilmente. Ad un tratto come risvegliandosi da un incantesimo Orlando riacquistò consapevolezza, fissò l’uomo come spaventato e lo spinse lontano con tutta la forza di cui fu capace. -…Orl…- -NO!- urlò scuotendo la testa, mentre facendo leva sulle braccia si issò fuori dall’acqua e uscì dalla piscina. -Orlando…- Il ragazzo afferrò la sua felpa buttata su una panca e corse via senza voltarsi. -Non posso! Non posso…- -ORLANDOOO!!!- la sua voce riecheggiò nell’enorme stanza vuota, poi il silenzio.
Intorno alle dieci del mattino il suono fastidioso di un bussare insistente rimbombava in uno dei corridoi. -Orlando apri…ti prego…apri questa dannata porta…Orl!- Nessuna risposta. -Apri Orl, ho bisogno di parlarti…dai apri cristo santo…- Silenzio. -…Dio Orlando…- sospirò rassegnato l’uomo appoggiandosi al muro. Alle sue spalle una porta si aprì d’improvviso. -Ma che cazzo succede?- urlò un ragazzo assonnato affacciandosi. Viggo si girò versò di lui. -…ah Viggo, sei tu…che diavolo stai facendo a quest’ora, si può sapere?- -Oh Billy scusami…sto cercando Orlando e non riesco a trovarlo, è una faccenda piuttosto urgente…- -Orlando? Beh la tua “faccenda” aspetterà, perché è partito prima delle sei con Dominic e Karl, non lo sapevi?- -Merda, merda! Si, lo sapevo, solo non credevo partissero così presto…- -Volevano sfruttare appieno la giornata, per questo non hanno perso tempo. Ma stai tranquillo, domenica per cena dovrebbero esser rientrati.- -Grazie Boyd, scusami per averti svegliato, ci vediamo.- si congedò poi l’attore, lasciando libero il collega di tornare tra le coperte. L’uomo rientrò quindi nella sua stanza, per abbandonarsi sul letto e cercare di riordinare le idee. “Dio santo…tutto questo non doveva succedere, non doveva succedere! Ho bisogno di parlare con lui, dobbiamo chiarire questa…questa cosa…quello che…dio è successo! È successo! Ma come ho potuto baciarlo? Cristo è un mio amico! Orlando è un mio a-mi-co, non una persona qualsiasi…è….è….cazzo sono un uomo, come ho potuto fare una cosa simile? E lui allora? Ha ricambiato il mio bacio…lo voleva…ha detto di no ma lo voleva, il suo corpo mi diceva che tutto quello che è accaduto lo voleva pure lui! Ma allora quella reazione…no, non era affatto ubriaco, No. Confuso? E io no forse? Come si può essere così dannatamente stupidi? Cosa credevo di poter fare? Baciarlo e poi fare come se nulla fosse? Ma perché…perché cazzo? Cosa significava quel bacio? Perché non riesco a smettere di pensare a lui…cosa sto facendo? Ho rovinato tutto…ho rovinato tutto! Stupido, dannatamente stupido! Le cose tra noi stavano cambiando…per quale maledettissimo motivo ho fatto questa cazzata? Tempo…serviva tempo. Mi odia, ora mi detesta…è normale…credo. Ma la sua reazione è poi così giustificabile? Prima accetta e poi si rende conto di tutto solo alla fine? Che idiota che sono…è solo un ragazzino in fondo, non sa quello che vuole e la cosa peggiore è che non lo so nemmeno io! Cosa m’è passato per la testa? Un giorno di punto in bianco mi invaghisco di un ragazzo? Sarei un pazzo, e invece non lo sono, il fatto è che mi sta ossessionando da mesi. Non riesco a staccar gli occhi da lui, non riesco a perderlo di vista, è assurdo. Assurdo! E lui lo sa il motivo per cui mi comporto così…altrimenti non farebbe lo stesso…non mi asseconderebbe come invece fa, giusto? Non continuerebbe a stuzzicarmi in quel modo, no, non lo farebbe. Ma allora che gli è preso? Forse si è reso conto prima di me della colossale stronzata che stavamo facendo, forse lui era più lucido di me quando ha detto quel “no”, e probabilmente ha ragione. Dobbiamo parlare accidenti, dobbiamo mettere in chiaro le cose o mettere fine a questa storia irragionevole. Si. Sempre che accetti di rivolgermi la parola. Dio, parte senza nemmeno avvertirmi, nulla! Due giorni, tra due giorni metteremo tutto a posto, si, ma come? Ho tempo per pensarci…devo pensare…devo pensare….” Rimase steso sul letto per ore, davanti ai suoi occhi solo il soffitto bianco, e impressa quell’unica immagine, quel bacio, quel maledetto bacio.
Quattrocento chilometri più a nord tre ragazzi stavano scaricando i loro bagagli da un imponente fuoristrada. Il tempo non sembrava loro favorevole ma convinti che le condizioni atmosferiche sarebbero cambiate decisero ugualmente di montare le loro piccole tendine canadesi a qualche decina di metri dalla spiaggia, la loro piccola mezzaluna di paradiso per un paio di giorni. Dopo poco meno di sei ore di viaggio erano arrivati in un piccolo golfo a nord dell’isola, la leggendaria baia di Plenty era finalmente davanti ai loro occhi. Vasti tratti di vegetazione rigogliosa incorniciavano una spiaggia dalla sabbia fine e bianchissima, nessuna costruzione né abitazioni, solo un piccolo spettacolo che si sarebbe potuto con un po’ di fantasia definire incontaminato. Questo perché i tre ragazzi non erano i soli ad aver fatto della località la loro mèta. Diversi gruppetti di surfisti si erano sistemati lungo la spiaggia, a debita distanza l’uno dall’altro. Le tavole colorate infilate verticalmente nella sabbia delimitavano le comitive, ma scoraggiati da quello che si preannunciava come maltempo, uno dopo l’altro i giovani stavano abbandonando la spiaggia, ed entro il pomeriggio i tre attori si ritrovarono quasi completamente soli. Durante tutto il viaggio Orlando, sprofondato nel sedile posteriore dell’auto insieme ad alcuni zaini, era riuscito a scambiare coi suoi compagni si e no dieci parole, tirando in ballo una nottata in bianco per giustificare una sua poco credibile stanchezza e quindi il quasi perpetuo silenzio. In realtà un solo pensiero martellava secondo dopo secondo il suo cervello: Viggo e quello stupido bacio. Da quando si era lasciato il danese alle spalle non faceva che lottare contro quel misto di rabbia, rancore e confusione, che sentiva crescere e contorcersi dentro di se. Era arrabbiatissimo con Viggo per tutto ciò che era successo, anche se a mente fredda non poteva non riconoscere che l’uomo non avrebbe tentato di compiere quel gesto se lui per primo non gli avesse dato il suo seppur tacito consenso. Ma come un fulmine l’idea di quello che stavano facendo in quel momento gli aveva squarciato la mente e aperto gli occhi su qualcosa che non aveva il coraggio di vedere, e aveva avuto paura. Paura di quello che sarebbe potuto accadere se le cose non si fossero fermate prima che fosse troppo tardi, paura di quello che temeva d’esser diventato e paura di affrontare ciò che realmente provava per quell’uomo. Si sentiva terribilmente attratto da lui, sentiva un’energia spingerlo verso di lui ogni volta che lo sentiva vicino, e quel cuore che quasi gli esplodeva nel petto ogni volta che lo vedeva. Quell’attrazione li aveva portati a sentire l’uno il corpo dell’altro, Viggo lo aveva baciato, ma non lo aveva costretto. Per quanto tempo aveva immaginato di assaporare quelle labbra? Quello che non aveva il coraggio di riconoscere come desiderio aveva trovato compimento, ma non aveva mai pensato di poter stare così male dopo. Voleva Viggo, lo sapeva, e l’inammissibile consapevolezza di ciò cominciava a farsi strada dentro di lui, anche se forse non l’avrebbe mai accettata. Si, era attratto da quell’uomo che aveva tanto ammirato, quel collega che non poteva non stimare e prendere ad esempio, e questo incuteva molto, troppo timore. Amava le donne, eccome se le amava, ma Viggo….Viggo aveva toccato quelle corde nascoste nel profondo, quella parte inviolata per il resto del mondo. Quella parte Viggo l’aveva trovata, gli bastava una parola, un tocco per scoprirlo come nessuna donna aveva mai fatto. C’era forse qualcosa di male nell’esser così legati ad un altro uomo? È così inconcepibile quell’attrazione che gli impediva di allontanarsi da lui? Un sentimento non poteva davvero esser così sbagliato, se due anime si desiderano l’un l’altra non significa forse che qualcosa di infinitamente bello e puro può esistere? Seduto in riva al mare Orlando osservava il sole nascondersi dietro le nuvole grigie, per poi fare di nuovo capolino quando il vento soffiava via quelle stesse nubi. Immaginava Viggo accanto a se, riusciva quasi a sentire la sua voce immaginandolo descrivere quel sole con parole che solo un poeta come lui poteva trovare. Il vento soffiava sempre più forte, e scompigliandogli i riccioli scuri gli strappava via la rabbia che sentiva dentro, la mordeva pezzetto per pezzeto per poi lasciarlo libero da un astio immotivato. Piano piano il volto del ragazzo si distese, si trovò sereno all’idea di rivedere Viggo due giorni dopo, doveva parlargli e spiegargli il perché della sua reazione, voleva confessargli i suoi sentimenti, condividere la sua confusione e il desiderio di trovare con lui la ragione di tutto. Gli avrebbe svelato la sua paura, e la voglia infinita di affrontare quello che il suo cuore gli suggeriva di fare. “non c’è nulla di male” concluse poi Orlando, “se tra noi dovrà succedere qualcosa non impedirò che succeda. Non posso temere di commettere un errore finché non ci provo, se poi si tratta di uno sbaglio avrò almeno la certezza di aver tentato di fare tutto ciò che era in mio potere. Non abbiamo nulla da perdere. Lui mi sorriderà e dirà che ho ragione, e se quello che facciamo si rivelerà sbagliato insieme riusciremo comunque a metter le cose a posto. Andrà tutto bene, lo so.” Viggo avrebbe amato lo spettacolo che il ragazzo aveva ora dinanzi agli occhi, adorava sentirsi sul viso le piccole gocce salate che il vento forte portava del mare. Orlando lo sapeva e cercava di assaporare quelle sensazioni che l’uomo gli aveva insegnato a riconoscere. Con la lingua assaggiò il sale che gli pizzicava le labbra, ascoltò il suono fragoroso dell’infrangersi rabbioso delle onde sulla battigia, il vento scuotere le cime degli alberi e delle palme alle sue spalle. Osservò la forza del mare urlante scosso da onde altissime e prepotenti, che si caricavano di energia violenta avanzando metro dopo metro dal fondale troppo basso. Sentiva crescere il desiderio di affrontare quella potenza, era certo di avere la forza per cavalcare quelle onde scure, per solcare con la sua tavola il mare infuriato.
Orlando raggiunse alla macchina i suoi amici, scaricarono i bagagli e insieme montarono tre piccole canadesi ad un passo dalle palme, al riparo dall’alta marea. -Cos’aspettiamo a buttarci tra i flutti?- disse l’inglese per incoraggiare gli amici, cominciando a tirar fuori la sua roba da uno zaino. -Ecco finalmente il nostro Orlando!- esclamò felice Dominic sorpreso dal repentino cambio d’umore del suo amico. -Cosa c’era che non andava, Orl?- chiese Karl preoccupato. -Niente di cui angustiarsi amico, non mi farò rovinare il weekend da brutti pensieri, siamo venuti qui per un motivo, no?- -Orl ha ragione!- fu la conferma di un impaziente Dominic, che cominciò a tirar subito le tavole fuori dalle grosse custodie nere. In meno di dieci minuti erano schierati in riva, uno accanto all’altro con la tavola sotto il braccio e saldamente allacciata col cordino alla caviglia. Il fisico di Dominic sembrava addirittura allenato fasciato nella sua muta nera e giallo fosforescente. Karl al contrario poteva vantare la sua prestanza fisica evidenziata da una muta nera e viola che, a differenza di quella dell’amico, lasciava scoperte le braccia abbronzate e muscolose. Come i suoi compagni osservava quell’immensità pronto a mettere alla prova la sua abilità con la tavola, come solo un australiano di nascita poteva fare. Orlando invece non indossava una muta come gli altri, proclamandone l’estrema scomodità aveva infatti optato per un abbigliamento più consono al suo estro. Mise dunque degli abbondanti pantaloncini di un rosso acceso e con una fantasia di hawaiani e grandi fiori bianchi in contrasto, che lo coprivano fin sopra le ginocchia. Sottolineò la muscolatura del torace con una maglietta nera a maniche corte e aderentissima, con una scritta fosforescente sul petto, il tessuto gli avvolgeva i bicipiti e il busto snello come una seconda pelle. Con una specie di grido di battaglia si gettarono tutti e tre in acqua, remando energicamente con le braccia, una volta sdraiati sulle tavole, per allontanarsi dalla riva e iniziare a contendersi le onde già dal largo. Il dio del mare regalò loro onde alte anche quattro metri, e all’inizio furono più numerose le cadute e i tuffi involontari che i cavalloni affrontati a regola d’arte. Gli attori si decisero a tornare in spiaggia solo al tramonto. Stremati da una serata trascorsa solcando quelle onde altissime si rilassarono seduti attorno ad un’improvvisato falò, soddisfatti nonostante tutto, in fondo non era alla portata di tutti un mare impetuoso e imprevedibile come quello della Nuova Zelanda.
Nella sua camera a Wellington Viggo stava sprofondando nel sonno dopo aver letto a metà una sola pagina dell’ultimo saggio che gli era capitato per le mani. Teneva ancora il libro nella mano destra, il capo ripiegato da un lato, sorretto da due cuscini che lo avevano illuso di mantenere una postura abbastanza eretta da permettergli di leggere in posizione comoda. La luce dell’abat-jour illuminava debolmente la stanza da letto, e dopo aver riprodotto l’ultima traccia di un album di musica jazz il lettore cd si era spento automaticamente, lasciando che il silenzio della notte avvolgesse l’uomo e i suoi sogni. L’attore indossava ancora un paio di stretti jeans blu scuro e i calzini. Il petto nudo e robusto si alzava lento e regolare al ritmo del respiro. La sua espressione era serena, la sua mente già vagava e rielaborava vecchi e piacevoli ricordi. Orlando era di fronte a lui…no, Legolas era colui che in quel momento gli stava parlando. Ascoltava quella voce argentina come fosse il suono più gradevole che avesse udito. Abbassò lo sguardo su di se e notò il suo costume, si guardò poi attorno per constatare di trovarsi sul set. Come senza accorgersene iniziò a ridere alle battute del suo amico, per poi osservare ammirato il suo viso vivace e bellissimo, la sua espressione sincera, gli occhi stretti quando risuonava un’allegra risata. -Vedi Vig, voi mortali non potete ambire alla grazia di noi eteree creature della Terra di Mezzo, non siete alla nostra altezza…- lo istruiva il ragazzo con un gran sorriso sulle labbra, Viggo annuiva facendo finta di dargli ragione. -….e tanto per puntualizzare gli elfi non puzzano come voi miseri uomini!- proseguì istruendo il suo compagno, tenendo la mano destra alzata e puntando l’indice al cielo. -Senza contare che io vivrò per sempre!- esclamò poi compiaciuto. “Per sempre…per sempre…” pensò l’uomo, “rimarrei qui con te per sempre, Orlando, per sempre…” L’uomo si svegliò di soprassalto, con ancora impressa nella mente quella scena. Ricordò chiaramente di aver vissuto quella scena, era successo mesi prima. Allora si trovava in riva ad un ruscello, circondato da colleghi e il resto della troupe. Aveva Sean al suo fianco, ricordava d’aver punzecchiato con lui Orlando per tutto il pomeriggio, e che il ragazzo non aveva risparmiato nemmeno una delle sue frecciatine per rispondere ai due uomini di Gondor. –Siete così intimoriti dall’elfo!- aveva anche detto. E mai come ora quell’affermazione poteva essere vera.
Un’ora dopo l’alba Orlando fu il primo a spuntare dalla sua tendina per iniziare a prepararsi e mangiare qualcosa. Mezz’ora dopo gli diedero il buongiorno i suoi amici, oltremodo sorpresi di trovarlo già all’opera. Il ragazzo stava infatti pulendo la tavola accuratamente, per poi lisciarla con la cera con grande attenzione. -Orl, che diavolo fai a quest’ora?- domandò assonnato Dominc stropicciandosi gli occhi. -Non si vede? Preparo la tavola, no?- rispose l’altro con naturalezza. -No.- lo interruppe Karl che nel mentre preparava il caffé su un fornelletto da campeggio. –Non senti come si è alzato il vento? Guarda che cazzo di cavalloni ci sono oggi…- disse poi alzandosi e indicando il mare agitato. -…non possiamo surfare con questo tempaccio, non siamo in grado di affrontare onde di quel tipo…- -Tu credi, Karl?- -Lo credo anch’io- intervenne il terzo –ma lo vedi quanto sono alte, porca puttana? Saranno dieci o dodici metri, se non di più…non ne siamo in grado, ammettilo.- -Parla per te, Monaghan…- -Dai, piantala di fare l’idiota, Dom ha ragione. Il fondale è troppo basso per rischiare delle cadute con la forza che il mare ha stamattina. Appena cala un po’ il vento ti farò vedere cos’è in grado di fare un australiano!- concluse Karl prendendo la tavola dalle mani di Orlando.
Quello stesso pomeriggio. Driiiiiiiin, driiiiiiiiiiiiiiin, driiiiiiin. L’attore corse al telefono avvolgendosi un asciugamano in vita, alzò la cornetta appoggiandola contro i capelli ancora grondanti d’acqua. -Si?- -Viggo, Billy. Dominic mi ha appena chiamato…- -OK, allora?- -Orlando…- -Orlando cosa?- -…ha avuto un incidente, è in ospedale… -Come sta?- -Non lo so, siamo nella hall e Elijah sta cercando di richiamarli ma il cellulare è staccato…- -Arrivo!- L’uomo lasciò la cornetta e indossò velocemente i primi jeans trovati, scarpe da tennis e una t-shirt, infilò in uno zainetto una felpa, il portafoglio e i documenti e corse giù dagli amici sbattendo la porta. Nella hall lo aspettavano Billy, Elijah e Ian, quest’ultimo al telefono. -Allora?- chiese agitato l’uomo raggiungendo i colleghi, -Sappiamo che sono ad Auckland, e sappiamo in che ospedale sono- rispose il più giovane -ma Ian non riesce ad estorcere alcuna informazione a quella stronza del centralino del pronto soccorso- -Da quanto tempo sono lì?- chiese ancora Viggo -Credo da un paio d’ore…- rispose Billy. -Abbiamo la conferma che è li, ma quell’inetta non vuole dare informazioni per questioni di privacy dice…- intervenne Ian mettendo giù il telefono. Viggo digitò velocemente un numero col cellulare e cinque minuti dopo concluse la conversazione. -Ci son due posti sul primo volo, parte tra mezz’ora, chi viene con me?- Gli altri si guardarono negli occhi. -Vengo io.- disse Ian avanzando. Viggo corse fuori dall’albergo diretto alla sua auto. Inchiodò davanti all’ingresso dell’hotel per permettere a Ian di salire sulla BMW, poi sfrecciò verso l’aeroporto. Ian sedeva davanti, col braccio destro saldamente ancorato al bracciolo del sedile. intimorito per la velocità con cui il danese affrontava la provinciale, fortunatamente semideserta a quell’ora del pomeriggio. Non proferì parola, osservando l’uomo al suo fianco, che stringeva le mani sul volante rivestito di pelle nera come se volesse strangolare un serpente. Dopo poco più di venti minuti entrarono nell’enorme complesso di vetro, diretti al primo sportello libero. Durante tutto il volo Viggo non disse una parola. Impassibile nel suo posto non sentiva le voci che lo circondavano, era cieco alle altre persone. Non smise di torturarsi le mani, nervoso e irrequieto. L’unica cosa che desiderava era arrivare in quel maledetto ospedale, correre nella sua stanza e scoprirlo seduto sul suo letto a ridere coi suoi amici, magari con un braccio appeso al collo e l’ingessatura già piena delle firme di tutte le infermierine del reparto. Voleva stringerlo a se, e sentire le sue braccia indebolite attorno al torace, baciargli i capelli e rassicurarlo, dirgli che era tutto finito e che sarebbe rimasto lì con lui, che non avrebbe avuto nulla da temere. Ian continuava a stare al suo fianco, e non ebbe il coraggio di chiedergli nulla. Giunti ad Auckland un taxi li portò in tutta fretta fino all’ospedale indicato da Dominc, e Viggo a malapena aspettò che l’auto si arrestasse del tutto prima di precipitarsi fuori e correre all’accettazione. Seguendo le indicazioni di un paramedico i due raggiunsero il reparto di terapia intensiva, Karl e Dom attendevano in corridoio buttati su delle sedie di plastica blu. Vedendoli arrivare il più giovane scosse l’australiano e andarono incontro agli amici. -Come sta?- chiese ansioso Viggo stringendo le spalle larghe di Karl. -Quando l’hanno portato via in elicottero era sveglio, ma è lì dentro da ore- rispose il ragazzo –non ci hanno ancora permesso di vederlo, non vogliono dirci nulla…- -Cos’è successo?- domandò calmo Ian. -…quelle onde erano troppo alte…gliel’abbiamo detto, ma non ha voluto ascoltarci… - iniziò Dom. Karl proseguì. –Ieri andava tutto bene, ma stanotte s’è alzato il vento e questa mattina era impossibile entrare in acqua, il mare era troppo agitato. Siamo riusciti a trattenerlo in spiaggia per un po’, aspettando che il tempo migliorasse. Abbiamo tentato di portargli via la tavola, abbiamo quasi litigato, ma nulla.- Viggo stringeva i pugni con i denti serrati, in silenzio. Si sedettero vicini, accostando le sedie. Karl riprese. -Dopo un paio d’ore non ha resistito, eravamo convinti che si fosse rassegnato, invece si è buttato in acqua…- -Perché cazzo non l’avete fermato?- esclamò Viggo a voce alta, Ian gli mise una mano sulla gamba per calmarlo. -Io ero in auto per prendere le cerate, nel caso cominciasse a piovere, Dom stava raccogliendo legna asciutta per il fuoco…In ogni caso quando gli siamo corsi dietro non ci ha nemmeno ascoltato. Speravamo che dopo una caduta e bevendo un po’ d’acqua si sarebbe fermato. È caduto e tornato sulla tavola due volte, poi quell’onda. Enorme, una muraglia d’acqua scura, furiosa, assordante. L’ha presa bene, poi ha tentato di infilarsi nel tunnel…ma l’onda si è infranta prima che riuscisse ad uscire, si è chiusa sopra di lui, poi è sparito. Ci siamo tuffati immediatamente. La tavola è tornata subito a galla, raschiata e senza la pinna, deve aver sbattuto con violenza sulle rocce del basso fondale.- -Orlando è riemerso qualche minuto dopo…- aggiunse Dominc. Viggo saltò in piedi, rovesciò la sedia provocando un gran rumore e si allontanò. Girato l’angolo si fermò un secondo, tirando un diretto sul muro, poi appoggiò entrambe le mani aperte alla parete, con la testa bassa e il viso nascosto dai capelli spettinati. “Stupido, stupido ragazzino. Incosciente. Che cazzo hai fatto! Cos’hai fatto Orl!”. Ian lo aveva seguito, gli mise una mano sulla spalla e voltandolo lo guardò negli occhi, -Sta bene, ne sono certo.- disse con voce rassicurante, e gli sorrise. Mentre tornavano dagli altri un medico andò incontro al gruppo. -Siete i suoi amici?- domandò sfilandosi gli occhiali e infilandoli nel taschino del camice bianco. Si alzarono tutti si scatto per andargli vicino. -Come sta?- chiese Viggo con voce roca. -Ora sta dormendo, a causa dei farmaci. State tranquilli, direi che è stato fortunato, ha una gamba in trazione, ma niente di grave. Abbiamo dovuto mettergli qualche punto, ha molte contusioni, ma starà bene.- -Possiamo vederlo?- chiese Karl ansioso. -In questo momento è meglio di no. comunque potrebbe dormire fino a domani, fareste meglio a tornare a casa. Appena si sveglierà vi faremo chiamare- così dicendo si allontanò nella direzione opposta da quella in cui era venuto. Calata la notte Ian convinse Karl e Dominic ad andare nel primo Hotel libero a dormire, i ragazzi erano a pezzi. L’anziano attore non tentò nemmeno di proporre a Viggo di andare con loro. Scomparsa dai corridoi anche l’ultima infermiera il danese si infilò nella stanza di Orlando. L’uomo chiuse piano la porta per non far rumore, guardandosi attorno furtivo. -…c…ciao…Vig…- una voce flebile gli giunse dall’altro capo della stanza. -Orlando!- esclamò stupito l’attore avvicinandosi a lui. Gli si sedette accanto. -…dovresti dormire, come ti senti?- gli chiese sorridendo, -…son…sono stato meglio…lo ammetto…- -Sei stato un incosciente, lo sai?- -…niente paternali Vig…ti prego…- -Come vuoi. Ho avuto paura Orl…la prossima volta te la faccio pagare- il giovane abbozzò un sorriso, che si trasformò in una smorfia di dolore. -…sono…stanco…- disse debolmente, -Dormi Orl…domani starai meglio, vedrai…- così dicendo gli accarezzò i capelli con dolcezza. Poco prima dell’alba Viggo aprì gli occhi, delle dita deboli si muovevano contro la sua mano. Sgranò gli occhi guardando le palpebre livide del ragazzo aprirsi stanche. -….s…sapevo che…saresti stato…qui…- -E dove volevi che andassi? Come stai?- -…rinato…devo portarmi a casa una o due di queste flebo, sono miracolose!- l’altro sorrise rassegnato. Entro la fine della mattinata Orlando fu in grado di ricevere gli amici, che uno per volta si congratularono col loro elfo per le sue sette vite. Non potè non sorbirsi le ramanzine più che dovute dei suoi amici, e fu costretto a giurare più di una volta di non ripetere l’impresa. La sera stessa gli tolsero la trazione, e due giorni dopo, litigando col medico, il ragazzo firmò per andar via. In un tardo pomeriggio Viggo si ritrovò ad aiutare lo spericolato inglese a tornare in albergo. Carico di borse e con la voluminosa custodia dell’ormai defunta tavola da surf aprì la porta della stanza e sistemò i bagagli nel salottino, e attese appoggiato al bracciolo del divano che Orlando facesse il suo ingresso. -Ti serve aiuto?- chiese sarcastico, -No!- fu l’esclamazione che giunse dal corridoio -Sicuro?- -Ti ho detto di No!- urlò il ragazzo oltrepassando la porta con passi piccolissimi. Viggo lo osservava divertito con le braccia incrociate. -Ti diverte?- -Molto in effetti…- ammise l’altro -…stronzo…- Viggo soffocò una risatina. Il ragazzo chiuse la porta con una stampella e ci mise cinque minuti per arrivare al divano, sempre rifiutando il braccio dell’amico si lasciò cadere sui cuscini senza trattenere una smorfia. -Hai imparato la lezione almeno?- -Ancora?! E che cazzo Vig, lasciatemi un po’ in pace, già sento i sermoni di Peter che mi torturerà da qui all’eternità…- -Te lo meriti, lo sai. E poi ci hai fatto preoccupare…- disse sedendosi sul tavolino di fronte a lui. -…hai avuto paura?- chiese Orlando timidamente -Si, te l’ho già detto, e non voglio più sentirmi così. Per favore Orl, non far sì che accada ancora…- -…ho…ho avuto paura Vig…- Il danese gli si sedette accanto e gli mise un braccio attorno al collo baciandogli la fronte. -…è passato…ora sei qui con me…- -…ho visto il tunnel chiudersi su di me…poi…- -Smettila, non pensarci…è finita.- -Grazie Vig- bisbigliò abbracciandolo. Poi prese il viso dell’uomo tra le mani, e schiuse le labbra guardando negli occhi il suo compagno. Come la prima volta vide il suo viso avvicinarsi ma non ebbe nulla da temere, sorrise accompagnandolo verso di sé ed attese quel tocco. Viggo poggiò le labbra umide sulle sue, senza forza, assaggiando delicatamente quella bocca tanto anelata. Con la lingua percorse la linea delle labbra, per poi intrecciarla sinuosa con la sua. La dolcezza di quei gesti non fermò la nascente eccitazione dei due uomini, che assaggiavano il reciproco sapore con maggior ardore. Ansimante Orlando tese all’indietro il capo, mentre le piccole gocce di sudore che imperlavano il suo volto scendevano sul suo collo liscio. Viggo assaporò quel sale come il nettare più dolce, impresse piccoli baci sul pomo d’adamo, poi sulle clavicole, e risalì nuovamente tracciando con la punta delle lingua un sentiero invisibile sul collo del debole giovane. Questi lo tirò a se per baciarlo con crescente ardore, stuzzicandolo o mordicchiandogli il labbro inferiore, tenendo le dita di una mano tra i riccioli scuri dell’uomo e l’altra mano sempre salda in quella del compagno. Ansimante poi tuffò i suoi occhi nocciola in quell’azzurro profondo da cui non riusciva a staccarsi. Stanco per il viaggio e indebolito dagli antidolorifici Orlando perse presto la forza che desiderava invece dimostrare al suo uomo. Viggo lo aiutò a stendersi sul letto, e il giovane si addormentò qualche minuto dopo. Il compagno aprì la porta che dal salottino dava al balcone, e incrociando le braccia per appoggiarsi al parapetto vi affondò il mento assorto nei suoi pensieri. Da quando si erano rivisti in quella stanza d’ospedale lui e Orlando sembravano aver dimenticato ciò che era successo quella notte in piscina, gli era stato accanto come il più premuroso degli amici, e il ragazzo aveva fatto di tutto per non staccarsi mai dal suo angelo custode. Si erano comportati con naturalezza, avevano scherzato, l’uno aveva accolto come un tesoro il sostegno dell’altro, e il secondo non poteva fare a meno di cercare di proteggere il più giovane. Nessuna tensione, nessun malinteso, nessun nervosismo. Non uno dei due aveva scordato quei momenti, ma non sembrava più così importante parlarne, perché semplicemente non c’era più nulla da chiarire. Viggo sentiva di essersi legato a quel ragazzo così tremendamente avventato che pur condividendo la sua stessa confusione l’aveva superata, e aveva deciso si affrontare una cosa che entrambi temevano ma che poteva essere vissuta con un po’ di coraggio e riconoscendo la sincerità e l’innocenza dei propri sentimenti. Si trattava di riconoscere un cambiamento profondo, loro stessi stavano imparando ad aprire gli occhi a qualcosa di inaspettato e apparentemente incomprensibile, e un nuovo aspetto della loro vita poteva sorprenderli nel bene o sconfiggere un legame appena instaurato. Con aria sognante Viggo posava il suo sguardo sulla città inondata dalla luce rossastra del tramonto. I suoi bellissimi occhi azzurri si persero nel calore di quel sole calante, che si nascondeva lento e assonnato dietro i palazzi in vetro che riflettendo quella luce la irradiavano tutt’attorno. Un bacio delicato si posò sul suo collo. Viggo si voltò per accogliere tra le braccia il ragazzo che si era avvicinato con passo incerto. Tornarono insieme sul letto, Orlando posò il capo sul torace dell’uomo che, appoggiato con la schiena sui cuscini, giocherellava coi riccioli del ragazzo disordinati sul suo petto. -…sai Vig? spesso, ci ho pensato…- -…a cosa, piccolo elfo?- -…ho pensato a come sarebbe stato se, fra di noi, le cose fossero andate in modo diverso…- -diverso…come?- -non lo so. Diverso. Non so nemmeno se migliore o peggiore di come stiamo adesso, però…quando mi guardo indietro, vedo così tante strade lasciate vuote. Strade delle quali non riesco a vedere la fine, ma sempre assolate, e rassicuranti…perché so che tu sarai al mio fianco…- -…sono e saranno tante le strade che ti si apriranno di fronte, Orl, ma puoi affrontarle senza timore, hai forza e cuore, e io sarò con te …- Orlando lo guardò con impressa in volto un’espressione felice e serena, la sua stessa anima gioì aprendosi in un bellissimo sorriso. Viggo lo strinse a se -…te lo prometto…-
|