.|. Schegge di Follia - take 2 .|.
5. Ceneri ~
I returned a bag of
groceries
– They Might Be
Giants – “Dead”
Per un lungo istante,
nessuno si mosse.
Aragorn fissava ammutolito
Turlos, che lo contraccambiava con uno sguardo di odio incalcolabile.
Gimli voltava il viso dall’uno verso l’altro, quasi potesse vederli, e
torcendosi nervosamente le mani.
“Turlos…” chiamò infine il
Nano. “Dimmi che non mi sono illuso. Che non era solo uno scherzo della
mia vecchia mente stanca! Lui è Aragorn, vero? E’ tornato.”
Turlos arricciò le labbra
ed emise un sibilo di disgusto. Una subdola corrente gelida pareva
emanarsi dal suo corpo in onde invisibili.
“Proprio lui. Il figlio di
Arathorn in persona. l’Erede di Isildur. Granpasso. Dúnedain. Estel…” La
sua voce era pari alla sua bellezza, ed altrettanto glaciale. “Perché
l’hai condotto qui? Perché, se non me lo lasci uccidere?”
Aragorn compì un passo
strisciante indietro, e chiuse gli occhi dinanzi a quel nuovo orrore. La
sua mente si rifiutava di comprendere: Legolas, il suo Legolas lo odiava,
e voleva ucciderlo. No, non poteva essere, no. Non Legolas.
“Ucciderlo? Turlos!
Aragorn è tornato! E’ tornato da noi! Per tutti questi anni ci hai
ripetuto che la sua scomparsa non significava nulla, che egli era vivo, ed
ora vorresti ucciderlo? Ma non vedi? Con Aragorn al nostro fianco possiamo
riprendere a sperare, possiamo riprendere a combattere! Legolas--”
“Non chiamarmi in quel
modo!”
Non fu un urlo quello che
uscì dalle labbra dell’Elfo. Sembrava che la sua voce non avrebbe mai
raggiunto un tono più alto di quel ruvido respiro mormorante, eppure la
sala immensa parve rimbombare di echi tonanti. Gimli ammutolì all’istante.
“Legolas è morto, non
ricordi? E’ morto, perché Aragorn l’ha ucciso.” Il suo sguardo
dardeggiò nuovamente verso il Ramingo, che lo fissava ora con l’orrore più
assoluto stampato sul volto.
“Oh, non fissarmi in quel
modo, figlio di Númenor, come se non sapessi di cosa io parli: è inutile.
Il mio potere è tale che potrei leggerti nella mente in qualsiasi momento,
per rivivere ciò che hai fatto e conoscerne infine il perché.” Lo
fissava con occhi spietatamente feroci e pieni di furia, e Gimli si
sarebbe stupito di vedere un emozione umana balenare in quegli abissi di
ghiaccio.
“Ma perché dovrei, poi? So
bene cosa è accaduto. Non ero forse io la vittima dei tuoi giochi crudeli?
Dimmi, sei stupito di vedermi ancora vivo, Dúnedain? Ti chiedi come sia
possibile?” Il tono della sua voce era mortificante. “O sei talmente
rapito dal mio aspetto da gioire del fallimento del tuo disegno omicida?”
Rise; o forse singhiozzò. L’espressione del suo volto non mutò mai.
Aragorn, che fino a quel
momento non era riuscito a muovere nemmeno un muscolo, gli tese le
braccia, il volto distorto dall’angoscia.
“Mai! Mai, ti giuro
Legolas, mai! Mai l’avrei fatto! Come puoi pensare che alzerei anche un
solo dito su di te? Io ti amo, ti amo! Sai che darei la vita per
te!” gli gridò contro.
“Ed io la prenderei…”
Iniziò ad avvicinarsi con passo felino. Argon tremò nel vederlo, e non
certo di paura. “La prenderei…”
“Basta! Se vuoi la sua
vita, Turlos, allora dovrai prendere anche la mia!”
Nell’udire la voce
rombante di Gimli l’Elfo si fermò, immobile come pietra. Rimase un momento
a contemplare il viso angosciato di Aragorn. Poi piegò la testa
leggermente dal lato, le labbra schiuse e le sopracciglia seriche alzate
in una smorfia di crudele divertimento.
“Che attore sei, Dúnedain!
Una tale angoscia, un tale sgomento nel tuo sguardo! Sembrano quasi veri!
Ah, ma non mi stupisce che tu riesca a simulare così bene i tuoi
sentimenti. Che tu possa mostrare un volto, e nascondere quello vero.”
Si girò verso Gimli, e
avanzò verso di lui come se scivolasse in avanti senza peso, e le acque si
fendessero dinanzi a lui senza che le toccasse.
“Non vuoi che lo uccida.
Bene, non lo farò. Non mi importa di lui,” disse.
Una brutale cambiamento
avvenne sul suo viso: improvvisamente la furia e il disgusto furono
cancellati completamente dal nulla. Legolas (no anzi: Turlos,
perché a parte le fattezze del volto, quello non era più Legolas,
ormai) sembrava non provare più assolutamente nulla. Il suo viso non era
più animato di quello di una statua di marmo. Anzi - una simile effige
sarebbe stata scolpita con una parvenza di espressione negli occhi vuoti e
sulle labbra fredde, ma il viso di Turlos era totalmente inerte.
“Ma se dovesse avvicinarsi
di nuovo a me,” continuò mentre scivolava fuori dall’acqua e si
drappeggiava attorno al corpo splendidamente nudo una veste color delle
foglie, “sappi che non esiterei a liberarmene.”
Si avviò a passi cadenzati
verso la grande porta scolpita, scivolando da una zona d’ombra ad una di
luce come se apparisse e scomparisse. I suoi piedi non facevano il minimo
rumore sulla pietra. I suoi capelli ondeggiavano sinuosi, come bianche
alghe nelle profondità marine. La sua pelle sembrava catturare tutta la
luce nella stanza e rimandarla sotto forma di una dolce radianza.
Aragorn accolse quasi con
sollievo il rumore della porta che si apriva e si chiudeva, così
familiare, così vero, in quell’atmosfera assurda da incubo. Ma il
silenzio che lo seguì fu persino più tremendo. Era una vibrazione empia,
fatalista, interrotta solo dal mormorio agonizzante dell’acqua.
Gimli si nascose il viso
tra le mani con un gemito animalesco.
“Duecento anni… e mai
aveva mostrato un’emozione, mai aveva pronunciato più di poche parole!
Vecchio pazzo! Illuso! Speravo che vedendoti sarebbe tornato com’era, ma
tutto quell’odio, tutto quell’odio! La mia speranza si è ritorta contro di
me! Legolas è morto!” Aragorn corse da lui nell’acqua e lo scosse per le
spalle.
“Che cos’era? In nome dei
Valar che cos’è successo qui?” gridò. Gimli alzò le orbite chiuse verso di
lui, ma sembrò non averlo sentito.
“E’ morto…” ripeteva.
“Morto…”
“Quello era Legolas!”
gridò Aragorn, scuotendo il Nano con tanta forza che per poco non lo
scaraventò a terra. Gimli si scosse all’improvviso, e l’afferrò per la
camicia.
“Io non lo so più chi sia!
Io non posso vederlo! La sua voce, si, assomiglia a quella
di Legolas, ma ruvida come spine! E la sua pelle è fredda come quella di
un cadavere! Non prova più nulla, a malapena proferisce parola! Come posso
sapere se è davvero Legolas quello? I miei occhi non vedono! Io non
vedo!”
“Quello era Legolas!”
ripeté Aragorn urlando. “Sotto tutta quella luce… sotto tutto quell’odio…
c’era il volto di Legolas. Gli occhi che mi fissavano minacciandomi
erano quelli di Legolas! Le sue mani, il suo corpo… quello era Legolas!”
ripeté, come fosse una maledizione.
“No: quello è tutto ciò
che rimane di lui,” mormorò Gimli tristemente. “Quello era Turlos.”
Il Ramingo lo lasciò
andare, accasciandosi all’indietro contro una delle steli di pietra. Il
mondo si distorceva, contorcendosi, davanti ai suoi occhi. Il sangue gli
correva rombando nelle orecchie. Si passò una mano tra i capelli,
ordinando al suo cuore di rallentare i battiti. Aveva gli occhi fissi sul
riverbero della luce blu sulle acque, ma ciò che vedeva realmente era lo
sguardo carico d’odio di colui che amava.
“Aragorn…” mormorò infine
il Nano. Allungò le braccia verso di lui in un gesto impacciato, e
strinse. “Dopo tutti questi anni finalmente ritorni da noi. Ma temo sia
troppo tardi. Per Legolas, e per tutta la Terra di Mezzo. Perché ci hai
lasciato? E perché sei tornato, se non puoi aiutarci? Ci hai davvero
tradito, Aragorn?”
“Io non vi ho lasciati! Io
non vi ho mai---!” s’interruppe, ansando come chi abbia corso chilometri a
perdifiato. Tremava di furia e sgomento. La Tomba. Il viaggio nella
tenebra dello Specchio. Si, che li aveva lasciati.
“Dimmi cos’è successo,”
ripeté lentamente. “Dimmi di Legolas. Di Turlos. Di te. E di me.” Sentì il
Nano rabbrividire, come scosso da tremiti di febbre. “Era una promessa la
tua. Avresti riposto ad ogni mia domanda. Dimmi cosa è successo a Legolas.
Dimmi che cosa gli ho fatto.” Piangeva? Gimli stava piangendo? “Devo
sapere. Per riportare Legolas indietro.” Il Nano si staccò da lui. Si
sfregò la faccia con un gesto brusco.
“Vieni allora. Raccontare
sarà come vivere tutto da capo. E non so se posso farcela; non così.
Seguimi: avrò bisogno di silenzio e tranquillità, e molto, molto, alcol.”
Raggiunsero la stanza in
cui era alloggiato Aragorn senza proferir parola. Una volta arrivati Gimli
si accasciò sul letto, e pescando una bottiglia intarsiata da uno stipite
nascosto, iniziò ad ingollare ciò che dall’odore sembrava un potentissimo
liquore.
Non gli ci volle molto per
raggiungere quel grado di ubriachezza in cui la coscienza di sé evapora e
scompare, ed una specie di gravità scioglie la lingua addolorata. Dopo un
attimo di raccoglimento, e con la voce mormorante di colui che ha perduto
tutto, Gimli cominciò il suo lugubre racconto. Più di una volta Aragorn si
sente rabbrividire, sebbene la stanza fosse rischiarata da un camino
scoppiettante.
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