.|. Schegge di Follia - take 2 .|.
12.
Cambiare il Destino ~
In
my heart and in my soul
- November Project - Endless Circle
Aragorn aprì gli occhi
con un sussulto.
Sopra di lui, il cielo
di Lothlorien brillava già dei primi barlumi dell’alba. E Lucifero*, la
stella del mattino, lampeggiava quieta, come un occhio mostruoso che lo
fissava irridente. Era vagamente cosciente di udire un debole suono di
singhiozzi giungere da presso, ma l’onda sofferente dei ricordi lo
travolse in modo così repentino e devastante che Aragorn riuscì solo a
raggomitolarsi su un fianco e a gemere, gemere come una creatura
rabbiosa e ferita; un gemito che si trasformò poi in un ruggito, un urlo
amorfo che gli echeggiò attorno, spiazzandolo con la consapevolezza che,
ormai, non poteva fare più nulla.
Riusciva ancora a
vedere, dietro lo schermo delle palpebre serrate, quella scena
agghiacciante; vedeva il baluginio delle fiamme sulla lama della spada,
il sangue che zampillava, e i capelli, i capelli come fili di
scintillante oro colato che frustavano, incorniciandolo, attorno a quel
sorriso triste, quegli occhi luminosi che ancora lo fissavano, aldilà
del velo della morte.
Aragorn urlò ancora,
impotente, sbattendo il pugno contro la dura madre terra, tremando in un
misto di furia e orrore e sofferenza lancinante. Continuò così fino a
che qualcosa sembrò spegnersi dentro di lui, ed il Ramingo rimase steso
a faccia in giù nell’erba umida. Gli ci volle tutta la sua forza di
volontà, ma infine Aragorn riuscì a trascinarsi in ginocchio e poi in
piedi.
Chiunque fosse, l’Uomo
che si guardò intorno in quel momento non era più Aragorn, né lo sarebbe
più stato. Qualcosa era mutato in lui, qualcos’altro si era spezzato e
–incredibilmente- qualcos’altro ancora era sorto alla vita,
trasformandolo in una persona completamente diversa – né migliore, né
peggiore, ma forse semplicemente più saggia.
D’un tratto l’Uomo
intravide la sorgente dei pietosi singhiozzi. Una forma tremula era
distesa come una supplice aldilà della colonnina che sorreggeva lo
specchio. Quando la luce fredda della prima aurora la colpì in viso,
essa sembrò attraversarla, come se non fosse una figura reale, ma solo
un triste frammento di un sogno perduto.
Ma nel cuore di Aragorn
non c’era posto per la compassione. Non per quella figura. Non in quel
momento di dolore dilaniante.
Avanzò comunque verso di
lei, e lei lo guardò con un moto di vergogna e dolore che, sebbene la
facesse sembrare irrimediabilmente fragile e nient’affatto regale, la
rese anche più reale.
“Aragorn…” mormorò
Galadriel, e sebbene i suoi occhi fossero tremuli di lacrime, la sua
voce era chiara e ferma, e le sue guance asciutte. Per un istante
chiazze di colore divamparono sul volto del Ramingo, ma la sua furia fu
subito domata. Poteva credere di odiarla, in quel momento, e rallegrarsi
che il suo stesso egoismo l’avesse ferita; ma sapeva che un giorno,
forse anche troppo presto, l’avrebbe perdonata. Lei era pur sempre
Galadriel, la Dama venerabile e dolce che sin dall’infanzia l’aveva
guidato per le strade della vita. E lui, sebbene si considerasse un Uomo
di poche virtù, si sapeva incline al perdono.
Non andò da lei,
comunque. Non l’aiutò ad alzarsi, né le offrì parole di conforto. In
quel momento non c’era in lui alcuno stimolo a lenire la sua sofferenza.
La Dama sembrò percepire
i suoi pensieri ed annuì, abbassando il capo come una penitente.
“La giustizia di Turlos
è invero la giustizia dei Valar,” mormorò in modo appena percettibile.
Poiché il suo sguardo era rivolto a terra, ella non vide il modo in cui
Aragorn strinse i pugni e premette insieme le labbra esangui al suono di
quel nome.
“Ha fatto sì che io
sentissi la sua sofferenza, e mille volte accresciuta, attraverso lo
Specchio.” Si portò una mano bianca al collo, e un tremito la scosse.
“Oggi io sono morta con lui,” spiegò, ma non poté aggiungere altro.
Aragorn si stupì di
sentire il suo cuore iniziare già a sciogliersi, ma di nuovo non disse
nulla, e lei lo sentì freddo e distante come una statua di marmo. Un
sentimento estraneo e soverchiante di vergogna la fece ritrarre ancora
più in se stessa. Rimasero a lungo in silenzio, finché, spinta da un
impulso inspiegabile la Dama iniziò a spiegarsi, ad implorare -senza
però pronunciare le parole- il perdono del Ramingo.
“L’influsso dell’anello
è forte, e persino in questa landa che credevo intoccabile dal male esso
riesce a piegare i cuori di coloro che ascoltano i suoi blasfemi
sussurri. Sfruttando l’amore per la mia piccola, la mia dolce Arwen, si
è insinuato nel mio cuore, e l’ha reso cieco.”
“Amore?” le fece eco
Aragorn, meditabondo e cupo. “Oppure orgoglio?”
La Dama abbassò
nuovamente il capo, come la corolla di un fiore appassito.
“Non nego che il mio
cuore a lungo ha desiderato quell’oggetto di diabolica bellezza. Per
secoli ho meditato sul bene che avrei potuto portare se avessi fatto mio
il potere dell’Unico. Ed ora che esso è qui, nei miei sogni ho visto me
stessa Regina! Regina della Terra di Mezzo, bella e terribile come
l’alba!” Levò le mani al cielo, e guardò infine Aragorn negli occhi.
“Credevo di poter resistere al suo richiamo, ma quando ordinai a Legolas
di allontanarsi da te, quando gli mostrai le sue più profonde paure
nello Specchio pur di far sì che Arwen fosse tua, era comunque l’Anello
a guidarmi.”
Fece una pausa, come se
sperasse che Aragorn le venisse in soccorso, asserendo che capiva, e
ponendo fine alle sua vergognosa confessione. Ma Aragorn non si mosse,
ne disse nulla, e la Dama vide nei suoi occhi un riflesso del gelido
Turlos.
“Se tu fosti stato Re, e
lei la tua Regina, un potere incredibile mi sarebbe venuto senza
l’ausilio dell’Anello. Madre della Madre della Regina del Mondo!
Strega-Regina degli Elfi! E padrona unica del potere che comanda le
acque. Gli onori a me attribuiti sarebbero stati enormi, e in
quell’illusione di invulnerabilità avrei ritenuto giusto
-indispensabile!- fare mio il potere dell’Unico.” Chiuse gli occhi.
“Era una prova, e l’ho
fallita. Non potrò più tornare all’Ovest, né resterò Galadriel.”
Ma proprio in quel
momento, quando meno se l’aspettava, Aragorn venne da lei, le prese il
viso tra le mani, e con voce decisa e limpida le disse:
“No. Se questa era una
prova, ebbene, essa ancora non è fallita. Lo Specchio mi ha mostrato un
futuro atroce. Un futuro senza più speranza né luce che rischiarino la
vita delle genti –Eldar, Uomini o Nani che siano. Un futuro in cui io e
Legolas siamo stati separati, e dove la certezza che io non lo ami lo ha
distrutto, e con lui la Terra di Mezzo. Mi è stata data la possibilità
di cambiare tutto questo. Di creare un Mondo dove io e lui ci
apparteniamo, anima e corpo, e dove la luci brilli su tutto ciò che ci
circonda. Aiutatemi a realizzare questo futuro, ed avrete superato la
vostra prova. Rinunciate all’Orgoglio! Rinnegate le tentazioni del
potere! Liberate Arwen dalle false visioni che le avete mostrato pur di
non farla partire, qualunque esse siano. Ditemi dov’è Legolas, e sarete
perdonata.”
Galadriel lo guardò a
lungo negli occhi, e non vide traccia dell’Uomo insicuro che aveva
attirato in quella radura la sera prima. Al contrario, si stupì di
vedere riflesso nel suo sguardo la luce di Eärendil, la stella più cara
al suo popolo. Un segno che Aragorn aveva finalmente chiaro il suo
destino e l’accettava, non come spettatore passivo, ma da conquistatore.
“Lì dove il Nímrodel si
allarga in una polla scintillante, e fiori dorati brillano come stelle
sulle dolci sponde cinte da una corona di betulle - lì è dove devi
cercare Legolas.” Annuendo, Aragorn le lasciò andare il viso e
s’incamminò fuori dalla Radura dello Specchio. Quand’era già al limitare
degli alberi la Dama lo richiamò, e lentamente disse:
“Se questo vale ancora
qualcosa per te, Aragorn, tu e Legolas avete la mia benedizione. Vi
aiuterò sempre, e sempre vi difenderò. E sappiate che se anche non vi
sarà un solo luogo nella Terra di Mezzo dove il vostro amore sarà libero
di prosperare, Lothlorien sarà sempre aperta per voi, e per chi vi vorrà
seguire.”
Nella penombra frondosa,
le parve di vederlo annuire quietamente, ma Aragorn scomparve alla vista
così in fretta che ella non fu mai certa del suo perdono.
* * * * *
Aragorn avanzò senza
suono tra gli alberi, in quel periodo strano tra la notte e il giorno in
cui si dice che le potenze occulte prendano il sopravvento sulla vita
reale. Tutt’intorno a lui si stava alzando una leggera nebbiolina
scintillante. Ed in quel velo magico gli alberi slanciati e candidi
sembravano figure vive che attendevano fiduciose.
Eppure il senso d’orrore
che ancora non l’aveva lasciato completamente faceva apparire la quieta
gloria dell’alba e il bel bosco d’oro intrisi di fredde tenebre e
alieni.
Poi, nella nebbia, si
manifestò debolmente il suono dell’acqua del Nímrodel che correva sul
suo letto di massi bianchi. Era un suono dolcissimo e vibrante, e non
per la prima volta, ascoltandolo Aragorn pensò al canto struggente di
una bellissima fanciulla innamorata.
Servendosi del suono
come guida Aragorn si affettò in avanti, finché attraverso la nebbia
d'argento si profilarono dinanzi a lui le sagome delle betulle. Erano
come tante ancelle agili e snelle che, disposte a cerchio attorno
all’altare del santuario, lo incoraggiavano ad avvicinarsi, intonando
una melodia d’acqua spumeggiante. Poi una luce tremolò al di sotto dei
rami che si agitavano come braccia invitanti, e i suoi pallidi raggi si
tesero come le dita di una mano candida verso di lui.
Aragorn oltrepassò la
cinta di alberi, e si fermò a contemplare il paesaggio che gli si era
rivelato.
La radura era
tondeggiante e conca, e orlata da ombrose betulle grigie. L’erba
tempestata di rugiada annuiva frusciando al tocco della brezza. Ombre
tremule giocavano a rincorrersi nel sottobosco fragrante, e tra di esse
mormorava quieto il Nímrodel d’argento. E poi c’era lui, il diamante al
centro del santuario, la perla adagiata negli abissi ondeggianti
d’ombra, con la stretta tunica argentazzurra, e i capelli che si
stendevano come un morbido manto sulle spalle.
Sedeva con le gambe
piegate sotto il corpo al limitare delle acque, e la sua pelle emanava
una soffice vibrazione luminosa. Guardava con occhi distanti e scuri lo
scorrere del fiume, e ad Aragorn sembrò che le sue labbra appena
schiuse, bellissime nel loro pallore vellutato, stessero formando il suo
nome, sebbene rimanessero immobili.
Si avvicinò di
un passo e in quel momento, quando Legolas alzò gli occhi su di lui, un
fascio dorato si alzò d’un tratto dall’orizzonte e colmò la radura in
una cascata di luce. Il volto dell’Elfo, profilato d’oro, era pura
bellezza, ed Aragorn sentì il nodo che aveva in petto sciogliersi, e gli
occhi bruciare di lacrime di contentezza. Una dolce sensazione di pace
sgorgò in lui, come acqua di fonte, quando comprese di essere finalmente
a casa. E la tristezza che sentiva, e l’orrore, si stemperarono in una
quieta malinconia, una sensazione dolce e, in un certo senso, piacevole.
Nessuna
creatura poteva essere più bella, o più cara al suo cuore di quell’elfo
scintillante, ed ogni volta che lo vedeva la sua anima era soggiogata da
quella consapevolezza semplice ed assoluta. Lo amava. Che altro c’era da
aggiungere?
Provò a dire qualcosa,
ma la voce gli venne meno, ed il Ramingo poté solo muovere le labbra
senza alcun suono. Scosse la testa, incerto se il desiderio ambiguo che
si agitava dentro di lui era quello di ridere o di piangere. Si limitò
ad avanzare verso Legolas, che ora si alzava, languido, la testa
inclinata così che il bel viso gli fosse celato. Per un lungo momento
rimasero uno dinanzi all’altro, vicini abbastanza da sentire il respiro
dell’altro sul viso, ma senza guardarsi. Nessuno dei due parlò, mentre
il sole si alzava a riscaldarli entrambi.
“Perché non mi guardi,
Legolas?” sussurrò infine Aragorn. Allora Legolas lo guardò
languidamente negli occhi, seppure con riluttanza. Aragorn non poté fare
a meno di tremare.
Mai la bellezza del suo
amore l’aveva commosso tanto come in quel momento. Il suo viso parve ad
Aragorn come il ricordo di un antico sogno, e quella visione gli toccò
il cuore, in profondità che credeva ormai morte, risvegliando in lui
un’estasi tale che era quasi fisica.
Provò un sollievo
indescrivibile alla vista dei suoi capelli d’oro, dell’azzurro stellato
dei suoi occhi. Il calore che quel corpo tanto amato emanava gli sembrò
un miracolo e un a benedizione. Eppure la luce del suo viso era come
quella di una candela che sta per spegnersi, e le sue guance erano di un
pallore esangue. Nei suoi occhi c’era un luccichio strano, il riflesso
di un desiderio profondo e tristissimo che prometteva di tormentarlo in
eterno.
“Aragorn…” quando
Legolas infine parlò, il suo tono era molto ovattato, come se
pronunciare quel nome lo ferisse. L’elfo alzò una mano, e sfiorò
delicatamente il pendente che il Ramingo portava al collo. Studiò
l’Evenstar a lungo, quindi lo guardò nuovamente in viso. I suoi occhi di
zaffiro erano colmi di affettuosa tristezza. La bocca era atteggiata in
un sorriso tremulo. La realizzazione di cosa angosciasse così il bel
Principe schiacciò Aragorn con la pesantezza di un macigno, lo ammutolì
con un moto di amarezza.
Senza una parola Legolas
iniziò a scostarsi, ed Aragorn, che non poteva sopportare di saperlo
lontano da sé, gli afferrò le mani gentilmente tra le sue. Legolas lo
guardò stupito, forse anche confuso, ma non protestò quando Aragorn lo
trasse gentilmente a sé, e lo chiuse tra le sue braccia.
Di nuovo rimasero
immobili per lungo tempo, finché il bel viso Legolas, confuso e
preoccupato, si irrigidì in una maschera di stupore incredulo. Tremando
alzò la mano che Aragorn aveva stretto fino a quel momento tra le sue e
guardò incapace di parlare l’anello di Barahir che scintillava fioco
attorno al suo anulare, come una promessa forgiata nel mithril.
“Ho così tante cose da
dirti,” mormorò il Ramingo, mentre si strappava l’Evenstar dal collo e
la lasciava scivolare sull’erba. “Ed altrettante da chiederti. Vorrai
ascoltarmi, amore mio?”
Fu in quel momento
–mentre gli occhi di Legolas si illuminavano e lui annuiva con un tenue
sorriso sulle labbra– che Aragorn si rese finalmente conto di cosa
rendesse così dissimili lo sguardo di Legolas e quello di Turlos: vi era
una luce, negli occhi di Legolas, che persino nei momenti più oscuri non
era mai venuta meno, e che invece lo sguardo dell’altro non aveva mai
posseduto.
E mentre attirava
Legolas a sé, e gli chiudeva le labbra amorevolmente con le sue, Aragorn
capì come quella luce non fosse nient’altro che Speranza.
Estel.
- Fin.
* Lucifero non è affatto una stella della
Terra di Mezzo, ma vi prego di farmela passare questa volta… il nome
dell’astro (che esiste davvero!) era troppo evocativo perché resistessi
alla tentazione di usarlo. =)
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