.|. Cala Alfirin (Luce Immortale) .|.

Ordunque...... eccoci qui con questa nuova follia! Che dire?? La lontananza da voi, carissime si é fatta piuttosto sentire in questi mesi, cosí che per darmi coraggio ho sbrigliato la fantasia!!! ^_____^

Allora, sicuramente riconoscerete la profezia di cui si parla: é quella della mitica Nemesi, en L’ultimo dono, una fic stupenda Ara/Lego. Diciamo che, leggendola per l’ennesima volta, le parole mi hanno fatto venire in mente alcune scene, anche se a dire il vero sono scene che appartengono piú agli ultimi capitoli che ai primi..... :P ok, la cara Neme mi ha gentilmente dato il permesso di utilizzare la sua opera, cosa per cui non smetteró mai di ringraziarla (Cal si prostra ai piedi di Neme...)

Non voglio scocciarvi piú, solo due ultime cose: primo, voglio ringraziare la mia amatissima beta reader di quetsa fic: la mia adorata mogliettina Elf (ci siamo sposate questo inverno, sapete?) che é sempre presente per me e mi aiuta, mi consiglia e sopporta con pazienza i miei sfoghi e le mie avventure..... grazie tesoro, ti voglio un bene enorme!!!!secondo, un enorme grazie alla mia nonnina Venu e alla mitica Ewyn_dispensatrice_di_ottimi_consigli!!!!!! (tranquilla, ho messo il pensatoio in modalitá off...hihihi!!!) che sono ormai un punto di riferimento per me!!!Eppoi, un saluto speciale alla mia mente affine Laz che mi incoraggia sempre e sa regalarmi delle autentiche sorprese!!!! Grazie, Cicci....ok, non rompo piú. Vi lascio alla lettura... spero vi piaccia e sia di vostro gradimento, qualsiasi feedback é piú che ben accetto!!!

Disclaimer - tutti i personaggi citati sono creazione del grande maestro J.R.R. Tolkien. Tutto ció che troverete qui raccontato é solo frutto della mia fervida fantasia, in preda ad un attacco di nostalgia :P

 

1. La Profezia

~

 

“Moriresti prima di vibrare il colpo!”

I movimenti con cui l’elfo aveva estratto la freccia e teso l’arco e quelle parole pronunciate in tono cosí freddo e determinato fecero sussultare Eòmer.

Il cavaliere di Rohan fissò intensamente il biondo arciere e pensò che mai aveva visto una creatura piú bella: da essa si sprigionava una forza, una sicurezza ed una freddezza tali che Eomer se ne sentí per un momento sopraffatto. Ma la grazia e l’eleganza con cui aveva estratto la freccia e la naturale fluiditá con cui si era mosso, lo facevano apparire parte integrante di ciò che lo circondava, come se fosse fatto di aria, roccia, fuoco, acqua e terra.

 

All’improvviso Aragorn si frappose tra loro, poggiando una mano sul braccio di Legolas e costringendolo ad abbassare l’arco.

L’Elfo lo assecondó, ma non smise di fissare negli occhi il cavaliere con aria di sfida. La freccia ancora puntata verso di lui.

Eòmer distolse a fatica lo sguardo: quegli occhi blu come il cielo di Rohan avevano qualcosa di magnetico che lo incatenavano.

Per un attimo solo pensò a tutte le canzoni e le leggende che aveva ascoltato da piccolo sugli Elfi, ma non trovò nulla che potesse aiutarlo in quel momento.

 

Aragorn sbuffò spazientito e si fece leggermente avanti.

Guardò Legolas e lo vide furioso.

Che strano, pensó. Era la prima volta che l’Elfo mostrava cosí apertamente i propri sentimenti. Solitamente era sempre freddo e controllato, in particolare davanti agli estranei.

 

Il Ramingo gli lanció un’occhiata leggermente preoccupata, poi si rivolse ad Eòmer.

 

“Sono Aragorn, figlio di Arathorn, lui é Gimli, figlio di Gloin e lui é Legolas, del Reame Boscoso. Siamo amici di Rohan e di Theoden, suo re.” Gli disse sicuro.

 

“Theoden non sa piú distinguere gli amici dai nemici.” Rispose l’uomo levandosi l’elmo.

A quel gesto i cavalieri che li avevano circondati ritirarono le armi e si allontanarono un poco.

“Nemmeno la propria stirpe.” Terminó il cavaliere, tornando a rivolgere la propria attenzione all’Elfo.

 

Legolas lo fissó con sguardo penetrante, sondando la mente dell’Uomo.

Quello che vi lesse gli fece abbassare la freccia: quello che aveva davanti era solo un uomo stanco, sfinito dalle lunghe battaglie e amareggiato dalla perdita di troppi amici e compagni.

Un Uomo distrutto dal dolore per la perdita dell’ Amore della sua vita...

 

Legolas protese la propria mente verso quella affaticata del guerriero, in una carezza gentile.

Eòmer alzò il volto di scatto, avvertendo un fresco tocco nella sua mente, come una dolce brezza primaverile che soffiava via i suoi tormentati pensieri, la sua angoscia e il suo profondo dolore.

Fissó l’Elfo, sorpreso, e fece un breve cenno col capo, con un lieve sorriso di ringraziamento.

 

Aragorn li guardava senza capire. Cosa stava succedendo?

Quando vide Eòmer sorridere e Legolas rilassarsi, si intromise nuovamente, non sopportando di vedere qualcuno fissare in quel modo il suo amico!

 

“Stiamo seguendo le tracce di un gruppo di Orchi. Dovete averli incontrati.” Disse a voce alta per riattirare l’attenzione del cavaliere su di sé.

 

“Dovete sapere ben poco sugli Orchetti, se li seguite in questo modo…” gli rispose Eòmer, guardandolo curioso.

“Ciononostante li stiamo seguendo. Puoi dirci qualcosa? “ chiese Aragorn, un po’ spazientito.

“Sono stati distrutti.” Rispose subito Eòmer, guardando di nuovo Legolas con comprensione.

“Abbiamo distrutto tutta la compagnia. I corpi sono stati ammucchiati e dati alle fiamme su quella collina.” Aggiunse, indicando con un breve cenno dietro di sé,  dove un lento fumo nero si alzava in lontananza.

 

“Ma c’erano due Hobbit con loro!” gridó Gimli, facendosi avanti. “Non avete visto due Hobbit?” chiese con una nota di disperazione nella voce.

Aragorn gli posò una mano sul braccio.

“Sono come bambini ai nostri occhi.” Spiegó. “Mezzuomini.”

Eòmer scosse la testa, sconsolato. Non aveva visto nessuno che corrispondesse a quella descrizione, ma la battaglia era stata feroce ed era notte.....

 

“Morti…” mormorò Gimli, guardando davanti a sé, sopraffatto per un attimo dal dolore.

Il cavaliere di Rohan assentí brevemente col capo.

Legolas lo fissava con gli occhi sgranati, la mascella contratta, cercando una conferma nei suoi occhi.

Eòmer lo guardò addolorato, incapace di parlare.

L’Elfo, allora, poggiò una mano sulla spalla del Nano in segno di conforto, stringendolo appena a sé.

Aragorn si avvicinò a loro… non poteva crederlo! Merry e Pipino non potevano essere morti!

 

Eòmer fischiò forte e due cavalli gli si avvicinarono.  Prese le briglie e le porse ai tre guerrieri . Poi risalí sul proprio, infilandosi l’elmo.

“Cercate i vostri amici, ma non confidate nella speranza…” Disse sicuro e facendo una breve pausa.

“Ormai ha abbandonato questi luoghi …” Terminò in tono mesto, e dopo aver scambiato un’altra lunga occhiata con Legolas, si rivolse verso i cavalieri dietro di lui : “Andiamo a Nord!” Ordinò urlando prima di lanciarsi al galoppo.

 

I tre amici seguirono con lo sguardo i cavalieri allontanarsi, finchè questi non sparirono dietro le colline. Poi montarono sui propri cavalli e si diressero veloci verso il fumo che si innalzava di fronte a loro.

 

Vi giunsero rapidamente e Gimli si mise subito a frugare con la sua ascia tra i resti carbonizzati, alla ricerca di un possibile segno, finchè trovó una delle piccole cinture di Lòrien.

Legolas abbassò il capo, costernato, e mormoró una breve preghiera ai Valar, anche se sentiva che quello non era stato il destino dei loro piccoli amici.

Aragorn sfogó la sua rabbia calciando via un pesante elmo di Uruk-hai e urlando la propria frustrazione.

Poi, ad un tratto, una traccia appena visibile sull’erba attiró la sua attenzione: erano tracce di Hobbit!

La speranza si riaccese nei loro volti e si misero a seguirle con un’ ansia febbrile.

 

Le tracce si inoltravano tra i fitti alberi della foresta di Fangorn.

 

I tre si arrestarono davanti al bosco, un po’ preoccupati.

Davvero gli Hobbit vi si erano addentrati? Cosa poteva averli spinti a sfidare i pericoli nascosti in quel luogo cosí antico e oscuro?

 

Aragorn fece qualche passo in avanti, incerto e perplesso.

Il buio stava calando rapidamente e non si sentiva sicuro ad entrare nella foresta di notte.

Tornò indietro, volendo sentire l’opinione di Legolas, ma quello che vide lo fece correre verso i suoi compagni: Gimli era inginocchiato a terra (non che facesse molta differenza, hihihihi ndCal_cattiva) e sorreggeva l’Elfo.

 

“Gimli!” Gridó Aragorn, “Che é successo a Legolas? Siete stati attaccati?”

 

Non appena li raggiunse si inginocchiò accanto all’amico che giaceva con gli occhi sbarrati e velati, il capo rovesciato all’indietro e la bocca leggermente aperta.

Lo sollevò dolcemente da terra e lo prese tra le braccia, cercando di svegliarlo.

“Valar!” Gemette il Ramingo. “É gelido! Gimli, presto, procura della legna. Dobbiamo accendere un fuoco!”

 

Gimli si allontanó con tutta la velocitá che le sue gambe corte e stanche gli pemettevano, mentre Aragorn si sedette in terra, poggiandosi contro il tronco di un albero e portando con sé Legolas. 

L’Elfo respirava a fatica e la fronte cominciava ad imperlarsi di sudore.

Aragorn lo guardava impotente, preocupatissimo. Lo strinse ancora più vicino a lui, cercando di scaldare quel corpo freddo con il suo.

Non aveva assolutamente idea di quello che stava capitando al suo amico.

Pur avendo vissuto a lungo con gli Elfi di Rivendell, non aveva mai visto niente del genere, anche se ricordava delle storie che gli raccontavano Elrohir e Elladan, durante le lunghe notti passate a pattugliare i confini nord-orientali.

Ma no, non poteva essere.... Legolas non gli aveva mai detto di possedere un simile dono! Lo conosceva da 70 anni ormai e l’avrebbe saputo...

 

L’uomo cominciò ad agitarsi sempre di più e una paura tremenda s’impadronì di lui. In quel momento, come non mai, desideró che Gandalf fosse ancora con loro. Lui, così saggio ed esperto, avrebbe sicuramente saputo cosa fare.

All’improvviso Legolas inarcò la schiena e la testa ricadde sulla spalla del Ramingo. L’uomo lo sorresse, spaventato, ma prima che potesse fare qualcosa udí un soffio leggere all’orecchio e la voce sottile e stranamente grave di Legolas.

Lo ascoltò attentamente, corrugando la fronte....

 

“Nad elin teithar aen i Aran dhaer

in Adenath,

tegitha i hîdh a i veleth, mas orthernir

auth a naeg.

A na chon, mîn ûn alfrin

annatha i galad lîn an edrad imyr.

 

I’ wend tegitha i dulu,

ir i val trastatha i chûn.

Mas cuianner naid dailt,

abonnatha amrûn ‘wain.

 

Anor cenitha i onnad dîn,

i Amar i vâd veren dîn.

Ithil erthatha hyn im rainc în,

a ned aur telitha i vethed.

 

Min laeglaiss en estel

istathar i amarth dîn,

ir êl en aduial annatha

i ant vedui o meleth.”

 

Nad elin teithar aen i Aran dhaer

in Adenath,

tegitha i hîdh a i veleth, mas orthernir

auth a naeg.

A na chon, mîn ûn alfrin

annatha i galad lîn an edrad imyr.

 

I’ wend tegitha i dulu,

ir i val trastatha i chûn.

Mas cuianner naid dailt,

abonnatha amrûn ‘wain.

 

Anor cenitha i onnad dîn,

i Amar i vâd veren dîn.

Ithil erthatha hyn im rainc în,

a ned aur telitha i vethed.

 

Min laeglaiss en estel

istathar i amarth dîn,

ir êl en aduial annatha

i ant vedui o meleth.”  (*)

 

 

Non appena ebbe pronunciato le ultime parole, Legolas fece un profondo sospiro e si abbandonò contro il corpo di Aragorn.

Chiuse gli occhi e il suo respiro si fece regolare e tranquillo.

 

In quel momento tornó Gimli: aveva trovato della legna giá tagliata dagli Orchi e inizió a preparare un piccolo fuoco vicino a loro.

“Come sta?” chiese poco dopo.

“Non ne sono sicuro, ma sembra si stia riprendendo.” Gli rispose Aragorn, mentre scostava delicatamente un ciuffo di capelli dal volto di Legolas.

Non disse nulla a Gimli della visione che doveva aver avuto l’Elfo, non voleva angosciarlo ulteriormente.

“La maledizione di Saruman non ha dunque limiti?” bofonchió il Nano.

“Cosa intendi?” gli chiese Aragorn, perplesso.

“Bhé, prima Gandalf…” Spiegò Gimli, schiarendosi la gola e voltando lo sguardo verso i due suoi compagni. “Poi Boromir…  Frodo e Sam se ne sono andati e gli altri Hobbit sono stati presi. Ora...” La voce gli si ruppe e si giró dall’altra parte, non riuscendo piú a guardare l’Elfo pallido e immobile tra le braccia del Ramingo. “Abbiamo fallito.” Concluse con voce tremante, cercando di mascherare la delusione e le lacrime che  gli riempivano gli occhi.

 

Aragorn gli sorrise tristemente, con affetto… Povero Gimli! Era un guerriero, sì, ma i lunghi anni nelle montagne non l’avevano preparato a prove non puramente fisiche. E poi si era straordinariamente affezionato a Legolas, pensó Aragorn, continuando a sorridere.

Se non fosse stato assurdo avrebbe pensato che.... Con sgomento, Aragorn si rese conto che un’ eventualità del genere non era affatto insolita ed improbabile, ma soprattutto che non lo divertiva affatto!

Fu distratto da un soffio leggero sul collo.

Abbassò lo sguardo e vide che Legolas stava riaprendo gli occhi.

Il volto aveva quasi ripreso il suo normale colorito e lo sguardo sembrava limpido.

 

“Legolas, come ti senti?” gli chiese, Aragorn, posandogli una mano sulla guancia, in una delicata carezza.

Legolas alzò lo sguardo verso di lui, improvvisamente confuso.

“Aragorn.... che mi é successo?”chiese debolmente a voce bassa.

Il Nano, non appena sentì quelle parole, si avvicinò in fretta all’Elfo e rispose:

“Stavamo seguendo Aragorn, che si era addentrato nel bosco, quando all’improvviso ti sei fermato, hai spalancato gli occhi e sei caduto, mastro Elfo…”

Legolas lo guardò senza capire.

Cercó di alzarsi, ma scoprí di non riuscirci: Aragorn lo teneva stretto a sé in un’amorevole abbraccio e solo in quel momento l’Elfo si accorse della posizione in cui si trovavano.

Erano seduti a terra, contro il tronco di un albero, e lui era completamente sopra il corpo dell’uomo. Il dolce e rassicurante tepore che avvertiva erano le forti braccia del Ramingo che lo stringevano. Si scostó, improvvisamente imbarrazzato, e cercó di alzarsi con l’aiuto di Aragorn.

“Legolas, é meglio se stai seduto ancora un pò…” gli disse dolcemente. “Almeno finché non capiamo cosa ti é successo…” Continuò, provando a convincerlo.

“No, sto bene!” rispose Legolas, in tono stranamente alto.

“Mastro Elfo, credo sia meglio fare come dice Aragorn. Quel bosco é maledetto, credimi! Non ci metterei mai piede di notte, neanche se avessi un esercito di Uruk-hai alle calcagna. E anche di giorno esiterei!” Disse Gimli in tono un po’ burbero.

“Non credo che giorno o notte faccia molta differenza a Fangorn, Gimli.” Gli rispose Legolas, sospirando.

Si passò una mano sugli occhi e si allontanò di qualche passo, dando le spalle agli amici.

 

“Sto bene…” Proseguì. “Non preoccupatevi. Ora ho solo bisogno di stare un pó solo....Scusatemi.” terminò, allontanandosi velocemente senza dar loro tempo di replicare.

Gimli fece per seguirlo, ma Aragorn gli pose una mano sulla spalla, fermandolo.

“No!” Gli disse. “Deve stare solo. Ora.” Continuó in tono fermo. “Ha bisogno di rigenerarsi. Di rientrare in contatto col suo mondo.”

“Mpf!” sbuffò il Nano. “Non riuscirò mai a capire gli Elfi!” Ribatté con un pò di rammarico nella voce. “Voglio solo sapere cosa é successo…” Continuó con un sospiro e scuotendo la testa.

“Anch’io, amico mio.” Gli rispose Aragorn, fissando il punto in cui era sparito il biondo arciere.

“Anch’io…”

 

 

 

Alcune ore piú tardi, Legolas non aveva ancora fatto ritorno e Aragorn cominciò a preoccuparsi.

Si girò verso Gimli, che russava rumorosamente, indeciso se svegliarlo o lasciarlo riposare. Scelse quest’ultima opzione, del resto era tutto tranquillo e mancava poco all’alba.

 

Si allontanó nella direzione che aveva preso Legolas qualche ora prima e si addentrò nella foresta, lasciandosi guidare dall’istinto.

Sapeva che l’avrebbe trovato. Ci era sempre riuscito. Ma non seguendone le tracce! No…

Quell’ essere meraviglioso non sembrava né sfiorare il suolo, né qualsiasi altra cosa quando si muoveva.

Era come se fosse un filo invisibile a tenerli uniti.

Tra loro c’era un legame cosí forte che sapeva sempre quando Legolas aveva bisogno di lui.  E riusciva a trovarlo, sì…ogni volta.

 

Dopo qualche minuto giunse ai piedi di una piccola radura e lí vide Legolas, seduto su una roccia, sotto una grande albero, con gli occhi rivolti alla Luna che stava lentamente tramontando.

Si fermò al limitare degli alberi, fissandolo come se lo vedesse per la prima volta.

Era bellissimo: la sua pelle, naturalmente pallida, sembrava assorbire la luce della Luna e rifletterla. I biondi capelli ricadevano sulle spalle come sottili fili argentati, mossi appena dalla brezza notturna.

Sedeva immobile, con le gambe incrociate e gli occhi chiusi, apparentemente estraniato da tutto ció che aveva attorno. Ma Aragorn sapeva che non era cosí…

 

“Vieni Aragorn…” Disse ad un tratto. “Non mordo!” Scherzò.

Poi si voltò verso di lui, aprendo gli occhi, e gli sorrise.

Aragorn trattenne per un attimo il fiato a quella visione, poi lo rilasció con un sospiro e ricambió il sorriso, improvvisamente felice.

“A volte dimentico che sei un Elfo…” Gli disse in tono allegro, mentre si arrampicava sulla roccia e gli si sedeva accanto.

“Davvero?” Chiese Legolas curioso, ma subito continuò: “Mi hai trovato anche questa volta.”

“Lo sai che ti trovo sempre! Non puoi sfuggirmi, Elfo!” Ribattè Aragorn, posandogli una mano sulla spalla e dandogli una piccola spinta scherzosa.

“É vero” confermò l’Elfo, ridendo a sua volta.

Poi si fece improvvisamente serio e lo fissó: “Tu sai cosa mi é successo.”

 

Aragorn sospiró: ebbene sì, lo sapeva.

 

“Sí” Rispose semplicemente, senza un tono particolare.

 

Legolas annuí col capo e tornò a rivolgere lo sguardo verso il cielo.

Rimasero in silenzio, uno accanto all’altro. Nell’aria solo il suono impercettibile dei loro respiri.

Poi Aragorn, con voce bassa per non turbare la magica atmosfera che si era creata, disse:

“Non sapevo avessi questo dono.”

“Dono?” Chiese ironicamente Legolas, fissandolo con intensitá negli occhi.

“A volte mi chiedo se lo sia davvero…” Continuó con uno strano tono di voce, un po’ distaccato, come se fosse immerso nei proprio pensieri e non stesse parlando con Aragorn. “I Valar si divertono a giocare con noi. Mi chiedo solo...” Ma s’interruppe.

Sospirò.

Aragorn lo guardó confuso. Non riusciva a capire le parole dell’Elfo, nonostante il suo unico desiderio fosse di comprendere appieno quella splendida creatura che gli stava davanti.

 

“Cosa hai visto?” Chiese, esitante.

Legolas si alzò in piedi, aggiustandosi la faretra sulla spalla e raccogliendo l’arco da terra.

“Niente che possa comprendere ora…” Rispose freddamente, con un vago cenno della mano. “Andiamo, é ora di addentrarci nella foresta.” Disse, poi, scendendo con un balzo dalla roccia.

Aragorn lo guardò senza comprendere, poi lo seguí di corsa e lo raggiunse quando ormai era prossimo all’accampamento.

Lo afferrò per un braccio, costringendolo a fermarsi e voltarsi verso di lui.

 

“Aspetta Legolas!” Gli disse secco e in tono leggermente alto.

“Che intendi dire? Parlami di quello che hai visto! Insieme potremo comprenderlo!”

Legolas lo fissò con sguardo triste.

“No, Aragorn. Non é ancora il momento. Ma non preoccuparti, amico mio. Quello che ho visto é ancora lontano.”

E nel dire queste parole si liberò con delicatezza dalla stretta del Ramingo e si voltó nuovamente.

 

“Perché non mi hai mai detto delle visioni?” Continuò Aragorn pieno di rammarico. Poi si morse il labbro, pentendosi: non aveva alcun diritto di chiederglielo, ma sapere che il suo vecchio e piú caro amico gli aveva sempre tenuto nascosta una cosa del genere, gli aveva fatto provare una fitta al cuore.

Legolas si fermó, chinando la testa. “Non era necessario…” Rispose velocemente, prima di riprendere a camminare.

“Non ti fidavi di me.” Lo accusó Aragorn, ma pentendosi ancora una volta delle proprie parole.

Legolas si voltò di scatto e lo raggiunse con pochi passi veloci. Lo afferrò per le spalle e lo fissò intensamente negli occhi:

“Mai!” Disse con forza, con gli occhi che gli brillavano per la passione trattenuta. “Mai devi pensare una cosa del genere! Sei l’unica persona di cui mi fidi completamente, Estel! L’unica!”

 

Aragorn lo guardò sbigottito, sentendosi improvvisamente felice, ma anche molto stupido. Alzó una mano per accarezzargli il volto e poi gli chiese con voce tremante:

“E allora perché? Perché non me ne hai mai parlato?”

Legolas continuò a fissarlo negli occhi, mentre le sue mani indugiavano ancora sulle spalle dell’Uomo.

“É davvero così importante?” Chiese con un sospiro. “É una maledizione, Aragorn. Solo un peso da portare.” Disse, chiudendo per un attimo gli occhi.

Poi li riaprì e il suo sguardo si fece incredibilmente dolce.

“Non avrei mai voluto caricarlo anche sulle tue spalle, Estel…” Terminó sussurrando piano.

 

Aragorn si sentí così incredibilmente felice e pieno di commozione, che si spinse ancora  piú vicino all’Elfo e lo chiuse nel proprio abbraccio.

“Sei il migliore amico che potessi mai avere, Legolas. Tu sai quanto sei importante per  me! Siamo compagni, e dobbiamo condividere ogni cosa.” Gli disse con dolcezza, accarezzando i suoi morbidi capelli biondi.

 

Legolas si perse in quell’abbraccio. Si lasció avvolgere da quelle braccia che ora lo stringevano con forza, ma senza fargli male.

Si inebriò del profumo intenso e mortale del corpo di Aragorn, lasciando che la sua mano calda e soffice continuasse a massaggiargli la nuca.

Allungò le braccia dietro il collo dell’uomo e gli posò le mani tra i capelli, godendo di quella morbidezza sotto le proprie dita.

 

Aragorn sentí Legolas abbandonarsi contro di lui e lo strinse ancora più a sé, e quando sentì l’abbraccio dell’altro, una strana sensazione lo invase.

Per la prima volta da molto tempo si sentí finalmente in pace e sereno col mondo intero, ma sopratutto con se stesso.

Desiderò che il tempo si fermasse, perché avrebbe voluto tenere quella splendida creatura tra le sue braccia per sempre.

Quasi senza rendersene conto posò le labbra su quei capelli di seta, sfioró con le labbra il profilo dell’orecchio e sorrise, sentendo Legolas rabbrividire leggermente.

Diede un leggero bacio sullo zigomo e da qui scese con le labbra fino alla guancia, per poi fermarsi all’angolo di quella bocca irresistibile.

Si scostò leggermente, sentendosi come immerso in un sogno, vittima del piú bell’incantesimo che potessero fargli. Fissó quegli occhi limpidi come il cielo d’estate e gli parvero d’un tratto incupirsi e brillare di passione.

Guardò quelle labbra invitanti così vicine alle sue e sentì fremere tutto il corpo. Avvicinandosi ancora di più al viso dell’elfo, si chinò verso la sua bocca leggermente dischiusa.

 

Legolas alzò il viso verso di lui, offrendoglisi completamente. L’unica cosa a cui riusciva a pensare, e che desiderava ardentemente in quel momento, erano le labbra di Aragorn  sulle sue.

Finalmente, dopo tanti anni, avrebbe sentito il sapore di quella bocca che tante volte aveva visto distendersi in un sorriso che era solo per lui. Un sorriso che era caldo, e intimo. Un sorriso che sapeva di affetto e complicitá.

 

All’improvviso, come un lampo, una terribile immagine gli attraversó la mente. Aragorn, con addosso le vesti di Gondor, giaceva a terra, sanguinante.

Lui gli era accanto, in lacrime, e lo sorreggeva.

Una grande luce li avvolgeva, mentre attorno a loro infuriava una terribile battaglia.

 

Aragorn sentí Legolas irrigidirsi e si scostó, sorpreso. Gli occhi dell’Elfo erano spalancati, fissi in una visione terrificante.

La bocca aperta, in un urlo silenzioso.

Il volto una maschera d’angoscia.

 

Poi, d’improvviso come era arrivata, la visione passó e Legolas ricadde tremante tra le braccia del Ramingo.

Aragorn lo sorresse, spaventato, chiamandolo dolcemente e cercando di svegliarlo.

 

“Aragorn!” Il vocione di Gimli risuonó improvvisamente nel silenzio dell’alba.

 

Aragorn si voltó verso di lui, portando Legolas tra le braccia e il Nano si affrettó verso di loro, preoccupato.

 

“Legolas! Cosa gli é successo, Aragorn?” Gli chiese, con una nota di panico nella voce.

“Non lo so, Gimli…” Rispose il Ramingo e questa volta il Nano potè avvertire per la prima volta la paura nella voce dell’uomo.

“Stavamo parlando e d’un tratto si é bloccato, ha spalancato gli occhi e poi é svenuto.” Spiegò, mentre raggiungevano il piccolo fuoco che avevano acceso la notte prima.

 

“Dobbiamo andare via di qui, Aragorn!” Urló Gimli all’improvviso. “É questo bosco, ne sono certo!”

“Non possiamo abbandonare Merry e Pipino al loro destino!” Ribattè a sua volta Aragorn.

“Neanche se questo costerá la vita a Legolas?” Chiese Gimli sempre più arrabbiato. “Non vedi che effetto ha questo bosco su di lui? Vuoi davvero sacrificarlo?”

Aragorn lo guardò un istante: Gimli aveva divaricato le gambe e piantato bene i piedi a terra, deciso e ostinato. Stringeva con forza il manico della sua ascia, ma l’uomo sapeva che non l’avrebbe mai alzata contro di lui.

“Questo é un prezzo che non pagherei mai, Gimli.” Rispose, in tono pacato ma deciso, fissandolo negli occhi.

 “Per niente e nessuno sacrificherei la vita di Legolas…”

Gimli parve rilassarsi, si avvicinó all’uomo e gli posò una mano sulla spalla.

“Lo so, amico mio.” Disse con voce più contenuta, scusandosi.

 

In quel momento Legolas sembró riprendersi e per la seconda volta in poche ore si sveglió tra le braccia di Aragorn.

 

“Legolas! Come ti senti?” Gli chiese il Nano preoccupato.

 

L’Elfo cercó di alzarsi in piedi e ancora una volta trovó il sostegno di Aragorn.

 

“Sto bene, non preoccupatevi.” Disse piano.

“É meglio andare, ora. Sento che sta per accadere qualcosa, dobbiamo affrettarci.” Continuò, esortando i compagni e cercando il suo arco.

Gimli glielo pose e Legolas lo ringraziò, accennando un sorriso. Poi si volse verso la foresta, scrutando tra gli alberi illuminati dalle prime luci del sole.

Aragorn lo guardava con ammirazione: sembrava essersi ripreso quasi completamente dall’accaduto e solo il turbamento che gli offuscava ancora lo sguardo tradiva quello che doveva aver visto. Gli si avvicinò e si chinó lievemente verso di lui:

 

“Sei sicuro di star bene?”

 Legolas si voltò appena verso di lui e con sguardo assente, annuì.

“Dobbiamo affrettarci.” Disse ancora, prima di inoltrarsi tra gli alberi.

 

Aragorn e Gimli lo seguirono, anche se il Nano continuava a brontolare e stringeva minacciosamente l’ascia tra le mani.

 

Raggiunsero un luogo dove gli alberi erano meno fitti e Aragorn si mise a perlustrare il terreno, alla ricerca di tracce degli Hobbit.

Gimli continuava a guardarsi attorno nervosamente, e ogni tanto lanciava delle occhiate preoccupate a Legolas.

L’Elfo stava ritto, col corpo teso in avanti, come in ascolto, e i grandi occhi blu spalancati in quell’oscuritá.

“Questa foresta é vecchia…” Sussurrò con la sua voce dolce, ma poi, poco dopo, si fece più grave: “Molto vecchia.... e piena di ricordi..... e rabbia!” Continuò, raggiungendo velocemente una vecchia quercia e ponendosi in ascolto.

“Gli alberi parlano tra loro!” Gridó, mentre uno strano rumore si levava attorno a loro.

 

Gimli strinse piú forte l’ascia, sollevandola. Aragorn guardó l’Elfo, chiedendogli solo con lo sguardo una silenziosa spiegazione e Legolas fece un breve cenno col capo.

Il ramingo si voltó in direzione del Nano che continuava a brandire la propria arma e a guardarsi attorno nervoso.

“Gimli!” bisbigliò Aragorn,“Abbassa l’ascia!”

Il Nano sembrò non sentirlo, ma dopo pochi istanti un barlume di comprensione gli illuminò lo sguardo e rimise l’ascia al suo posto, bofonchiando come il suo solito.

 

Legolas continuava a scrutare tra gli alberi, col corpo in tensione, pronto a scattare.

“Aragorn!” chiamò all’improvviso.

Il Ramingo lo raggiunse di corsa e lo affiancó, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Cosa vedi?” Gli chiese sussurrando.

“Lo stregone bianco!” Rispose Legolas. “Si avvicina…” continuó, seguendo con gli occhi dei movimenti che solo lui poteva vedere.

“Non lasciare che parli…” gli bisbigliò Aragorn nell’orecchio. “Ci lancerebbe un incantesimo...”

 

Legolas annuì e prese una freccia dalla faretra, sistemandola sull’arco.

Continuando a seguire il bagliore bianco che si muoveva tra gli alberi e che si stava avvicinando sempre più rapidamente, s’accorse che qualcosa a lui sconosciuto  gli impediva di aggiustare la freccia e prendere bene la mira.

Sarebbe stato facile per lui colpire quella figura, seppure si muovesse rapida, ma non poteva.

All’improvviso, quasi senza rendersene conto, lo stregone li raggiunse e gli fu alle spalle.

Si voltarono di scatto e furono abbagliati da una fortissima luce chiara, che non gli permetteva di vedere niente. Legolas strinse gli occhi e fece per tirare, ma ancora una volta qualcosa lo bloccò, rimanendo fermo coi muscoli tesi come la corda del suo arco, pronto a scagliare la freccia.

Gimli lanciò la sua ascia, che fu parata dal vecchio con un rapido colpo di bastone, mentre Aragorn fece un passo in avanti e sollevò la spada, ma questa, divenendo incandescente,venne lasciata cadere a terra.

Legolas, tentando di opporsi a quella forza misteriosa, lasciò andare la freccia verso l’alto.

 

“State seguendo le tracce di due giovani Hobbit.” Disse lo stregone, in tono grave. “Sono passati di qui.... e hanno fatto un incontro che non si aspettavano.”

 

“Chi sei?” Urló Aragorn, proteggendosi gli occhi con il braccio e la mano aperta.  “Fatti vedere!” Intimò con voce minacciosa.

 

La luce si attenuó subito e Legolas  guardò intensamente quella bianca figura. I suoi occhi si spalancarono di colpo e brillarono, mentre si inginocchiava e abbassava il capo, salutando alla maniera elfica.

“Mithrandir!” Sussurrò con reverenza ed emozione. “Perdonami, ti avevo scambiato per Saruman.” Si scusò a voce bassa e sommessa.

Gimli fissò lo stregone stupefatto: “Gandalf!” Riuscí solo a dire, mentre un nodo gli serrava la gola.

Aragorn lo osservò attonito, non riuscendo a credere di avere di nuovo davanti a sè il vecchio amico e maestro.

“Non puó essere” Mormorò con un filo di voce. “Io ti ho visto cadere!” Disse, avanzando di qualche passo.

 

“Caddi per molto tempo” Confermó Gandalf, “e il Balrog con me. 

Il suo fuoco mi avvolgeva. Avvampai. Poi precipitammo nelle acque profonde e tutto fu buio. Erano fredde come il mare della morte, e mi ghiacciarono quasi il cuore.”

 

Gli altri ascoltavano in silenzio, consapevoli dello sforzo che ricordare quei terribili momenti costava allo stregone.

 

“Lo sconfissi e credetti che il nulla mi avrebbe avvolto..... ma ho sentito la vita tornare in me.” Continuó, dopo un breve momento di silenzio.

“Sono tornato a voi al mutare della marea…” Disse infine. “Sono Gandalf il Bianco ora…” concluse, posando una mano sulla spalla du Aragorn, ma volgendo la sua attenzione a Legolas.

 

L’Elfo gli sorrise e posando gli occhi in quelli chiari dello stregone, tutti gli avvenimenti delle ultime ore fluirono dalla sua mente a quella del vecchio amico, lasciandolo finalmente riposato.

Gandalf lo fissò attentamente per qualche instante, poi tramite il pensiero gli disse:

“Non preoccuparti. Tutto questo ci sarà più chiaro con il tempo.”

Sorrise e volse lo sguardo verso Aragorn.

“Dobbiamo affrettarci!” Disse, avvolgendosi nel suo vecchio mantello grigio, “Abbiamo molto da fare.”

 

Uscirono senza indugi dalla foresta e recuperarono i propri cavalli.

“Andiamo a Edoras” Li informò Gandalf.

 

 

 

 

Cavalcarono tutto il giorno senza soste e quando anche la Luna li privó della sua pallida luce, furono costretti a fermarsi, facendo cessare anche gli interminabili brontolii da parte di Gimli.

Si accamparono vicino a degli alberi e accesero un piccolo fuoco.

Gimli si buttò subito a terra e inizió a russare rumorosamente.

 

Legolas si addentrò un poco tra gli alberi, in ascolto.

Quel piccolo bosco era vecchio, non come Faragorn, certo, ma abbastanza per avere dei ricordi dei tempi remoti .

L’Elfo si perse nel suo mondo di mormorii di foglie e di messaggi portati dalla linfa degli alberi.

Aragorn lo seguì con lo sguardo, preoccupato.

Quando lo vide poggiare una pallida mano sul tronco di un albero e chiudere gli occhi, in ascolto, sorrise sollevato: si stava riposando.

 

“Non essere in pena per lui, Aragorn.” Gli disse all’improvviso Gandalf, sedendosi accanto a lui di fronte al fuoco.

“É saggio e grande. Ha piú di duemilanovecento anni!” Disse ridendo. “Ha vissuto piú a lungo di quanto possiamo immaginare, e ha visto cose incomprensibili per la mente umana.” Continuò più seriamente, aspirando una lunga boccata dalla pipa.

“Cosa intendi dire?” Gli chiese l’uomo, perplesso.

“Mio giovane amico…” Iniziò Gandalf, volgendosi verso di lui con un sorriso affettuoso e poggiandogli una mano sulla spalla. “Legolas sta bene. Non sarà certo una visione che ce lo fará mancare…”

“Tu sai?” Chiese Aragorn, spalancando gli occhi per la sorpresa. “Come?”

“Figliolo, Legolas ed io siamo piú legati di quanto pensi....” Rispose il vecchio con un sorriso malizioso.

 

Aragorn cominciò a sentirsi a disagio: che voleva dire? Che fosse...? Ma no, non era possibile!!! Legolas e Gandalf non potevano essere.... Compagni!! Benché non riuscisse del tutto a capacitarsene, si disse che se questa era stata la scelta di Legolas, doveva rispettarla. D’altra parte lui non poteva pretendere che l’amico non si legasse mai a nessuno solo per restare sempre al suo fianco!!

 

La risata di Gandalf interruppe i suoi pensieri.

“No, no, amico mio! Stai pure tranquillo!” Lo rassicurò, battendogli affettuosamente una mano sulla spalla piuttosto divertito.

“Legolas é stato il mio maestro per qualche tempo.” Spiegó, con un luccichio malizioso negli occhi.

Aragorn spalancò la bocca fissando il mago, incredulo, e girandosi poi verso Legolas, ancora appoggiato contro l’albero.

“Co-come, tuo maestro???? Ma io.. pensavo...” Balbettava, senza riuscire a dire qualcosa di sensato.

“Mio caro ragazzo…” Iniziò Gandalf con pazienza, “Prima che i Valar mi inviassero su questa Terra di Mezzo come uno degli Istari, mi fu concesso di provare la vita mortale degli Uomini…” Rivelò lo stregone, guardando pensierosamente il fuoco. “Nacqui come un bambino mortale e crebbi con due genitori, come ogni uomo...” Continuò dopo un momento di silenzio.

 

Aragorn non osava quasi respirare e ascoltava in silenzio. Fissava l’amico, che ora gli pareva solo un vecchio stanco e curvo.

 

“Quando entrai nel mio dodicesimo anno di vita, mio padre mi portó a Mirkwood, al principio della primavera. Si inoltró con me in mezzo agli alberi e quando giungemmo ad una cascata, mi bació, mi benedí e sparí,  lasciandomi solo. Ti confesso che avevo una paura tremenda. Sapevo che lí avrei ricevuto l’addestramento necessario per stare al mondo, ma non avevo mai visto gli Elfi e nella mia immaginazione Mirkwood era associato a dei ragni giganti poco raccomandabili!”

Gandalf si girò un attimo verso il ramingo e gli strizzó l’occhio, ridacchiando.

“Bhé, all’improvviso sentii un fruscio dietro di me, e mi voltai. Mi trovai davanti la creatura piú bella che avessi mai visto e pensai, per un momento, di essere in presenza di un Valar.

I suoi capelli erano biondi e lunghi, assomigliavano a sottilissimi fili di seta.

La pelle diafana sembrava risplendere nel lieve chiarore dell’alba e il corpo flessuoso, aggraziato e falsamente fragile, emanava forza e agilità.”

 

Aragorn annuì con convinzione. Nella sua mente si era creata la perfetta immagine evocata da Gandalf e quasi non riusciva a respirare davanti a tanta bellezza. Lo stregone sorrise compiaciuto e continuó, immergendosi nuovamente nei propri ricordi.

 

“Parló all’improvviso… Una voce bassa, dolce, flautata, che ancora lo distingue e lo esalta tra tutte le creature della Terra di Mezzo: ‘Giungi a noi come una nuova gemma, Tuilirion*.’ Mi disse, dandomi il mio primo e piú caro nome elfico.

‘Vieni, ti farò conoscere tutto ció che é necessario tu sappia.’ Continuó, tendendomi una mano lunga e perfetta.

Ricordo che la afferrai con delicatezza, quasi temendo di fargli male e che mi stupii della stretta che mi diede. Alzai gli occhi verso di lui e fu allora che lo sentii ridere per la prima volta. Non puoi immaginare, Aragorn! Il suono piú bello che abbia mai udito in tutta la mia lunga vita! Era come il rigoglío cristallino di un torrente, l’allegro stormire delle foglie in primavera, il dolce mormorío del mare al tramonto…”

 

Aragorn fissò lo stregone: era vero. Lui stesso aveva udito ridere Legolas, anche se poche volte, e ogni volta ne era rimasto completamente affascinato, come mai gli era capitato con Arwen.... e si era sentito incredibilmente orgoglioso di essere spesso la causa di quell’allegria.

 

 

Il vecchio stregone proseguì:

“Quel giorno iniziò il mio addestramento a Mirkwood sotto la guida di Legolas, mio tutore e maestro. Mi insegnó a maneggiare l’arco e i pugnali, ma non me la cavavo granchè bene. Poi un giorno, mentre andavamo nel bosco per allenarci, Legolas si fermó all’improvviso. Mi voltai, pensando che volesse mostrarmi qualcosa, ma quando lo vidi mi spaventai. Aveva gli occhi spalancati e un’espressione di terrore sul volto. Mi guardai attorno, ma non vidi niente che potesse esserne la causa.

Poi, ad un tratto, si rilassò e cadde a terra. “

Qui fece una pausa, sospirò e poi riprese:

“Lo afferrai appena in tempo e così scoprii quanto siano leggeri gli Elfi. Ero solo un ragazzo, ma lo presi tra le braccia facilmente e lo portai a lato del sentiero, poggiandolo contro il tronco di un albero. Si riprese quasi subito e gli chiesi cosa fosse accaduto. Non mi rispose. Mi disse solo che le mie mani non erano fatte per arco e pugnali e che da quel giorno mi avrebbe insegnato le arti e le potenze della natura.”

 

Gandalf riprese a fumare la pipa, mentre Aragorn lo guardava in silenzio.

Era la prima volta che lo stregone gli raccontava qualcosa di cosí personale, ma l’aver saputo del legame tra lui e Legolas lo aveva turbato in una maniera che non riusciva a spiegarsi.

Per la prima volta desideró quasi essere anche lui un Elfo e aver condiviso con il biondo arciere tutto, fin dal suo primo respiro.

La voce del mago interruppe di nuovo i suoi pensieri…

 

“Fu così che scoprii delle visioni di Legolas... Non mi ha mai voluto dire cosa vide quel giorno.” Continuò pensieroso. “Mi chiedo solo....” Ma non terminò: uno strano rumore attirò la loro attenzione ed entrambi si girarono di scatto verso l’oscuritá. Fortunatamente  era solo Gimli che si girava nel sonno…

Gandalf rise.

“É meglio che ti riposi anche tu, Aragorn. Questi saranno giorni intensi e non sappiamo quando ci sará concesso di poter dormire ancora…” Consigliò con voce calda e tranquilla.

 

Aragorn si voltó verso Legolas, desiderando ardentemente raggiungerlo.

Non sapeva cosa dirgli, sentiva solo il bisogno di abbracciarlo forte e accarezzargli i capelli, come già tante altre volte era successo in passato.

Gandalf gli posò una mano sulla spalla.

“No.” Gli disse con fermezza. “Ha bisogno ancora di tempo. Puó sembrare il contrario, ma non si é ancora ripreso del tutto. Vai a dormire Aragorn…” Lo esortò, allontanandosi lentamente.

Il ramingo si sentì stringere il cuore, ma Gandalf aveva ragione: era tardi e aveva bisogno di dormire e riposare. Lanciò un’ ultima occhiata a Legolas e si andò a sdraiare vicino al fuoco.

 

“Ti ringrazio per non avergli detto niente.” Disse all’improvviso una voce nella mente di Gandalf. Lo stregone sussultó, poi sorrise, rilassandosi.

Legolas si avvicinò al fuoco e si sedette accanto allo stregone, appoggiando il mento sulle ginocchia rialzate.

Il suo sguardo era grave e pensieroso; quando guardò Gandlalf sapeva di antico e di nuovo  e tali erano la forza e la saggezza che emanava, che lo stregone si sentí nuovamente un fanciullo.

 “Cosa hai visto quel giorno?” Gli chiese, continuando quel dialogo silenzioso.

“Ho visto molte cose, Gandalf. Ma soprattutto, ti ho visto affrontare il Balrog a Moria.” Concluse l’Elfo, sospirando.

“Per questo mi hai fatto diventare uno Stregone?” Chiese ancora il vecchio. “Per poterlo vincere?”

 

“Sei diventato uno Stregone perché quello era il volere dei Valar, Mithrandir…” Gli rispose Legolas, fissandolo negli occhi. “Dovevi affrontare il Balrog per diventare Gandalf il Bianco e combattere questa guerra. Ho visto molte cose, amico mio. Troppe.” Concluse, con tono stanco e addolorato.

“Non puoi essere certo di quello che significa. E soprattutto se si verificherá, Legolas…” Gli disse all’improvviso Gandalf, posandogli una mano sul braccio.

“Lo sono, amico mio. Lo sono…” Gli rispose subito l’Elfo. “Ma sarà il volere dei Valar.... “

Si bloccò un momento, guardando la luna in cielo.

“Ti chiedo solo una cosa, Gandalf… in nome di tutti questi anni di amicizia.” Si volse verso l’altro e lo fissò ancora una volta negli occhi.

“Non dire niente ad Aragorn. Mai. Anche quando....” E qui volse lo sguardo a terra. “Non glielo dirai!” Lo pregò di nuovo, quasi urlando.

 

Gandalf lo guardó, combattuto. Poi si arrese alla supplica determinata che leggeva in quei splendidi occhi.

“D’accordo.” Assentì. “Farò come desideri, Maestro.” Promise, chiamandolo come faceva da ragazzo.

 

 

 

* Tuilirion = Figlio della Primavera

 

(*) nelle stelle é scritto che un grande Re/degli Uomini,/ riporterá la pace e l’amore, dove dominavano dolore e guerra./ E al suo fianco, una creatura immortale/ donerá la sua luce per squarciare le tenebre.

L’amicizia porterá il conforto/ quando l’angoscia tormenterá il cuore./ Dove vivevano insicurezze,/ nascerá una nuova alba.

Il Sole assisterá al suo inizio,/ la Terra al suo felice cammino./ la Luna li unirá nelle sue braccia,/ e nel mattino verrá la fine.

Tra le verdi foglie della speranza/ conosceranno il loro destino,/ quando la stella della sera fará/ un ultimo dono d’amore.