.|. Tourniquet .|.
3. Avaquette
Nyaare, Raime Enyaliee (Storie Dimenticate, Memorie Inseguite ~
Yaaresse… (C’era una
volta)
I iirima haryion…
(Uno splendido principe)
…che viveva pacifico
nel suo reame d’alberi e foglie. Nessuno sapeva ove veramente fosse,
sicché si sparse la voce che in quel regno si potesse trovare la
felicità eterna. Per altri, invece, sotto le amorevoli cure del regnate
si poteva guarire da ogni morbo e ferita. Le ragazze sognavano che tra
le braccia di quel principe si potesse trovare l’amore eterno e l’eterna
beltà.
Il regnante di quella
terra meravigliosa viveva solo, e portava un nome bello quanto il suo
viso: Lae-eg-ò-Lassea; il Governatore delle Foglie.
Principe
dell’Eternità, egli aveva lunghi capelli biondi come l’oro, sfumati
della luce delle stelle;lo sguardo fiero e forte come il mare in
tempesta. Le sue labbra erano colorite del succo delle fragole e le sue
guance morbide come la seta più fine. Il suo corpo perfetto era stato
modellato nell’avorio più puro e la sua mente saggia godeva della
benedizione di tutti gli alti Valar del cielo. Ora, starete pensando a
lui come un principe bellissimo, ma normale nel suo genere umano. E
invece no, poiché il figlio della luna aveva un bellissimo paio d’ali
candide come i fiori d’arancio, che gli spuntavano dalle spalle e
formavano su di lui uno splendido mantello piumato. Ma dietro quell’apparenza
serena che molti, sulla terra, veneravano e dietro quella regale
maschera di gioia, si celava invece l’ombra grigia di un dolore: la
solitudine.
“Nel mio giardino i
fiori sbocciano a mio comando ed ogni cosa risplende dei riflessi dorati
del sole… ma non c’è nessuno all’infuori di me…”
Certe sere, quando il
sole baciava rispettoso il balcone d’avorio della stanza del principe,
egli si stringeva nelle ali, chiuso come in un morbido bozzolo bianco e
si lasciava andare a strani pensieri, di come sarebbe stato bello se
avesse potuto trovare qualcuno che gli facesse compagnia.
“Di sicuro i tramonti
avrebbero nuova luce se con me ci fosse qualcuno ad ammirarli.. ed i
fiori avrebbero fragranze nuove se qualcuno me li facesse riscoprire…”
sospirava.
Un giorno, quando il
sole sanguinava più del solito sulla scia dell’orizzonte e la luna
sembrava più grande della terra stessa, il principe prese una decisione.
Con la complicità del buio scese le ripide scale del suo regno e ne
chiuse i cancelli d’argento, lasciando a guardia del suo mondo un falco
dalle grandi ali color della pece. Fatto ciò,calò sul suo bellissimo
viso un cappuccio trapunto di stelle ed aprì le ali, lasciandosi planare
verso la Terra.
Quando i suoi piedi
toccarono il suolo, l’alba era appena spuntata ed illuminava le fronde
del bosco tutt’intorno, gettando ombre di luce sulla pelle chiara del
principe. Stranamente, si sentì come a casa, circondato da grossi alberi
secolari, con l’erba verde che fungeva da soffice tappeto.
Dopo circa un giorno
di cammino, il principe iniziò a perdere la speranza. Sole e Luna gli
avevano narrato di un mondo popoloso, dove splendide città gremite di
gente s’alternavano a sconfinate campagne e boschi ombrosi. Che fosse
tutta una menzogna? Mentre era assorto in quei suoi pensieri sentì un
fruscio alla sua destra, proveniente dal bosco più fitto. Il suo cuore
ebbe un balzo e tutto il suo essere pregò perché incontrasse una
persona. Quando si voltò, non vide nulla. Strinse le ali intorno alle
proprie spalle e decise di farsi largo tra le fronde ombrose e cariche
di rugiada. Sguainò la spada lucente dal suo fodero d’oro e si fece
largo, scostando amorevolmente i rami per non infierire ferite gli
alberi. Solo i rovi non lo lasciarono passare, e le loro spine gli
ferirono le belle ali bianche, ma il principe andò avanti. Poco dopo, si
presentò ancora quel rumore, che nell’oscurità del sottobosco si era
fatto quasi viscido, come un sibilo misto a rami spezzati e lo
strisciare sopra le foglie marce che tappezzavano la terra.
Non poteva essere un
umano.
Qualcosa, nella mente
del principe, gli consigliò di rinfoderare la spada e prendere l’arco
d’oro che teneva alla schiena. Prese una freccia d’ebano dalla faretra
ed avanzò in difesa.
Il rumore si faceva
forte e pulsante, come un cuore gocciolante acqua che si fosse insidiato
tra gli alberi. Il principe si fermò in una piccola radura circondata e
coperta da alberi dai tronchi neri. Sotto i suoi piedi la terra bagnata
stagnava come un acquitrino. Abbassò l’arco.
Come ad un segnale,
un gigantesco mostro si gettò su di lui dall’alto, grondante bava
sanguigna e pioggia, cercando di disarmare lo splendido angelo coi suoi
lunghi artigli di ferro.
Il principe si trovò
sopraffatto da quell’orrida creatura e nel buio non riuscì a
distinguerla. Quella lanciò un grido che risuonò terrorizzante come
ferro che stride su altro ferro. L’angelo s’accorse che quegli artigli
orribili gli avevano slacciato la cintura bianca dalla quale pendeva la
spada e allora aprì le ali in tutta la loro ampiezza, invocando a sé
tutta la luce possibile. La creatura rimase accecata ed indietreggiò
urlante alla vista di quell’essere bello quanto pericoloso per lei. I
loro sguardi s’incontrarono e la creatura rimase stregata da tanta
maestosità, che finì con l’innamorarsi perdutamente di colui che aveva
cercato di uccidere. S’ammansì come un cane quando scorge il suo padrone
e lanciò qualche uggiolato in segno di scusa. L’angelo chiuse le ali e
tese una mano verso l’animale. Nonostante fosse sporco di fango e bava
della bestia, il suo fascino fu come la luce lontana di una stella e
quella s’avvicinò. Lasciò che lui le carezzasse la grossa testa pelosa e
chiuse tutti e dieci piccoli occhi di cui disponeva, ritirando le zanne
dentro la propria bocca.
“Chi sei..?”
le mormorò il
principe con un tono calmo e sensuale. La creatura fremette a quelle
parole.
“Io non ha nome. Sono
chi, che vive nell’ombra di bosco e che si nutre da luce, ma ella teme.”
Rispose con quella
sua voce roca e stridula, cercando di esprimersi nella lingua
dell’angelo. Il principe sorrise.
“E’ tardi, amica mia,
per riprendere il mio viaggio. Potrei restare, stanotte, qui?”
la creatura annuì e
subito compì un grosso balzo con le sue grosse zampe di ragno pronta a
tessere un’amaca sospesa tra due rami robusti. Il principe posò le
proprie armi ai piedi del grande albero e sorrise benevolmente al
mostro. Dentro di sé, però, una voce gli diceva che non v’era da fidarsi
tanto di una creatura del genere e prese una freccia dalla faretra,
nascondendola tra le pieghe della veste.
S’abbandonò, stanco e
bellissimo, sull’amaca, rivolgendo un ultimo sguardo in alto, dove
dovrebbe esserci stato il cielo e sospirò, cadendo profondamente
addormentato. Le belle ali bianche formavano una coperta piumata sul suo
corpo e teneva una mano poggiata sul petto, che s’alzava e s’abbassava
in un respiro calmo.
Il mostro si
avvicinò, sospeso su di lui e ne osservò i dolci lineamenti del viso,
bevve la luce dei suoi capelli e desiderò avidamente il possedere quelle
labbra di fragola e quel corpo splendido. Dentro di lei, s’annidò
un’ombra di mero desiderio che la spinse ad infrangere la pace nei
confronti del Principe angelo. Allungò verso di lui due lunghe zampe e
gli scostò la tunica da sopra una spalla, annusando febbrilmente il
profumo di quella pelle chiarissima. Il principe, nel sonno, emise un
lungo gemito ed il ragno fremette. Desiderò che il principe gemesse
ancora, ma quello rimase zitto e pacifico nel suo sonno angelico. Il
mostro allora desiderò di tenerlo per sempre in quel sonno, così che lui
potesse essere suo per tutti i suoi giorni e potesse amarla senza
vederla in volto. Iniziò allora con l’avvolgerlo nella sua ragnatela
bianca di bava,ma quando arrivò al petto del principe un Corvo gracchiò
sonoramente.
“Cra Cra!” urlava con
la sua voce roca “Cra! Sei a conoscenza dell’infausto tradimento che
stai compiendo, o mostro?”
Il grosso ragno si
voltò di scatto verso il corvo, con gran fiele in corpo.
“Sciocco pennuto!
Gridando così finirai con lo svegliare il mio amore! Egli è mio: s’è
fermato qui e qui rimarrà finché sarà mio desiderio!”
gli rispose, ma il
Corvo continuò.
“Cra! Cra! Così
facendo stai andando incontro alla morte! Cra! Quando egli si sveglierà
ti ucciderà! Lascialo andare e ringrazialo solo di non averti ucciso al
primo istante!”
Ma, purtroppo per il
Corvo, quello fu il suo ultimo gracchio, poiché la bestia-ragno lo
afferrò con la sua ragnatela di bava e lo strinse fino a fargli
gocciolare sangue come fosse stata una spugna.
Il corpicino del
pennuto cadde a terra con un tonfo sommesso. La bestia si voltò verso il
principe e sentì il sangue accelerarle nelle vene, vedendo l’angelo
sveglio e vigile, con uno sguardo d’accusa puntato fisso su di lei.
Il ragno lanciò un
grido ed aprì le fauci, tirando fuori le zanne nere e scattando contro
l’angelo con due zampe di ferro. Ma quando fu sopra di lui con l’intento
d’ucciderlo, sentì una lama trafiggerle il ventre e penetrare in
profondità, fino a trapassarla. Dalla ferita sgorgò sangue nero e denso
come catrame, che, acido, andò a sciogliere la gabbia di ragnatela del
principe, il quale si liberò spalancando le ali. Il ragno si contorse
mostruosamente in uno spasimo, lanciando gemiti convulsi e striduli.
L’angelo allora levò
l’indice contro di lei.
“Tu hai tradito la
mia fiducia, mostro!”
la accusò e così
dicendo inondò la radura di una grande luce, accecando il ragno ferito a
morte per vederlo bene. Il mostro era, in tutto e per tutto, un grosso
ragno peloso e nero, con otto grosse zampe di ferro ed il ventre grosso
di bava.
“Non.. non
ucciderme…! Non ucciderme…!”
lo implorò,
vigliacca.
“Non tu ucciderò,
mostro, ma la freccia che hai in corpo rimarrà per sempre e ti ferirà
ancora di più ad ogni tuo respiro, senza mai ucciderti. Spenderai la tua
esistenza nel dolore, pentendoti delle tue azioni. Da ora, tu sarai
Ungweliante, Colei che è destinata a soffrire. Ora anche tu sei una
creatura, ed hai un nome. Ritirati nella tua fetida tana e non rimettere
mai più piede qui!”
le comandò.
Ungweliante obbedì terrorizzata, strisciando e gemendo nella corsa verso
il suo cunicolo buio. Così fatto, il principe discese dall’amaca oramai
sciolta e raccolse il corpo del Corvo, al quale doveva la vita. Pianse
sommessamente per la sua anima, quando un tumulto scosse il piccolo
petto dell’animale che riaprì gli occhietti neri e sgranchì le ali,
sbattendole lentamente e sollevandosi dalle mani misericordiose del
principe.
Questi prese l’arco
d’oro ed incoccò una freccia. Mirò con attenzione verso l’alto e lasciò
vibrare la corda tesa.La freccia s’incastrò con precisione al centro
della cupola di rami oramai morti. Al tocco della freccia, i rami si
diradarono aprendosi all’alba nascente e bevendone la luce come acqua
piovana. Le foglie morte ritrovarono vigore e gli alberi sentirono la
linfa verde di nuovo scorrere nei loro tronchi anneriti.
Ma il Principe se
n’era già andato.
Camminò ancora,
ritornando alla ricerca di un’umana compagnia. Addosso a lui ancora la
sozzura del sangue del ragno, e il fango e la bava viscida. Arrivato
alla sponda di un lago, sorrise tra sé e sé. Appoggiò le armi lucenti
sotto un albero e s’immerse con veste e tutto, sentendo la fresca
beatitudine dell’acqua. Quando le vesti si furono pulite, ritornò a riva
e le appoggiò su di un ramo ad asciugare, mentre la splendida spilla che
le teneva unite riluceva ai raggi del sole.
Così, splendidamente
svestito, ritornò alle acque del lago, immergendosi nuovamente ed
aprendo le belle ali perché si pulissero dalle macchie d’ombra. Rimase
lungo tempo a mollo, come un bambino che non vorrebbe più uscire dal
proprio bagno. Mentre lisciava accuratamente le penne delle proprie ali,
gettò uno sguardo ai propri averi, sotto l’albero e scorse un’ombra
accanto a loro. Si allarmò e si alzò dalle acque, aprendo le ali per
incutere una certa soggezione a chiunque si fosse avvicinato. Le piume
ancora gocciolanti sparsero tutt’intorno all’angelo una pioggia di gocce
che rilucerono dei colori dell’iride.
L’ombra rimase
pietrificata un po’ per la paura d’esser stata scoperta, un po’ perché
era stata rapita dalla magnificenza di quella visione. Il principe uscì
dall’acqua, nascondendo la propria nudità con le ali bianche. L’ombra
apparteneva ad un ragazzo, che indossava una giacchetta viola sopra un
paio di calzoni dello stesso colore, stretti nei grossi stivali di
cuoio. Teneva i lunghi capelli neri legati in una coda mentre alcune
ciocche gli si arricciavano dietro le affusolate orecchie a punta.
“Chi siete voi, che
vi avvicinate al mio incustodito tesoro?”
domandò il principe.
L’Elfo fece un passo indietro senza parlare,le labbra sigillate dalla
soggezione verso quella figura così splendida. Allora, il principe si
avvicinò alla propria veste candida e finalmente asciutta e si rivestì,
appuntando la spilla sulla spalla sinistra.
“Avanti, non temete.
Non mangerò né voi né il vostro nome, se me lo direte!”
scherzò sorridendo
affabilmente. Il ragazzo sembrò calmarsi.
“Il mio nome è
Laurel, mio signore.”
Mormorò abbassando lo
sguardo in un mezzo inchino.
“Stelladoro… e
ditemi.. cosa v’ha spinto ad avvicinarvi?”
la domanda risultò un
po’ strana alle orecchie dell’Elfo. Che intendesse far venire a galla
uno sbagliato doppiosenso? Però.. quello sguardo era così dolce, il
sorriso così puro… Anche se avesse risposto che era venuto per spiarlo
(cosa non vera, ma che poi si era sostituita al motivo effettivo) non si
sarebbe sentito così colpevole…
“Sono un guerriero..
o meglio… una s-s-semplice recluta. Mi ha attirato lo splendore delle
vostre armi…”
balbettò leggermente
ed avvampò in volto. L’angelo sorrise ancora. Si chinò e prese l’Arco
d’oro, la faretra e la spada.
“Non pensavo che
queste tre cose potessero suscitare tanto imbarazzo…”
scherzò riferendosi
al rossore dell’Elfo che si sentiva esplodere dalla vergogna. Il
Principe sguainò la spada sottile e poi rivolse lo sguardo al ragazzo.
Uno sguardo luminoso come l’acqua sotto i raggi del sole.
“Puoi prenderle tu,
se ti piacciono così tanto.”
Disse. L’Elfo
spalancò i grandi occhi scuri.
“Dite sul serio? Oh..
non mi capaciterei mai di privarvene… Io…”
“Non devi
preoccuparti di nulla. Tieni.”
E così dicendo
rinfoderò la spada e gliela porse, insieme con l’arco e la faretra.
L’Elfo sembrava sul punto di saltargli in braccio dalla gioia.
“Non.. non so
come….come ripagarvi…sire..”
l’angelo lo guardò
negli occhi, quasi bevendo la felicità dell’altro. Finalmente avrebbe
potuto chiedere..se…
Vieni, vieni con me
nel mio regno ch’è sempreverde, accompagnami fino ai cancelli d’argento
e dimora con me nell’eternità… Pensò. Quando stava per chiedergli ciò,
dalla strada maestra provenne un gran trambusto ed apparvero altri Elfi
abbigliati come Laurel, che cavalcavano alti destrieri dal manto color
corteccia. Uno di questi teneva un altro cavallo per le briglie,
probabilmente quello dell’Elfo. Il principe ebbe un tuffo al cuore. Non
voleva farsi vedere da troppe persone. Quella strana sensazione di
sentirsi diverso l’aveva pervaso in ogni dove e provava timore nel
mostrarsi a così tante persone.
“Mio signore, io…”
iniziò l’Elfo
osservandolo, ma l’angelo si appiattì contro il grosso ramo chiudendo le
ali intorno a sé.
“Laurel! Sbrigati che
siamo in ritardo per la marcia! Poi diamo la colpa a te di fronte al
Mektar!” (Il Mektar è il maestro di Spade, colui che ha il compito
di allenare le giovani reclute alle arti della guerra) L’Elfo rivolse
uno sguardo all’angelo, che tratteneva il respiro per non farsi vedere.
“Mio signore…?”
“Vai… Vai, dolce
Laurel… io proseguirò per la mia via…”
“E’ un addio?”
chiese dolcemente
l’Elfo. Ancora non conosceva bene quella creatura meravigliosa, ma
sentiva dentro di sé il forte desiderio di rimanergli accanto.
“No, Laurel. Ma ora
vai… e possano i Valar illuminare la tua via…”
Il ragazzo lo guardò
un’ultima volta, esitante ed il cuore gli si fermò in petto quando
avvertì una mano del bellissimo principe sulla guancia. Il loro fu un
contraccambiarsi di sguardi che parve durare un’eternità. Stava
trascorrendo uno di quei momenti in cui il mondo intorno s’annulla e le
uniche due persone sulla terra sono l’una di fronte all’altra, incuranti
di tutto. Perché si bastano e non v’è null’altro che li possa distrarre
o dividere.
“Laurel! Allora?
Guarda che scendo da cavallo! Che diamine ci fai lì? Chi c’è con te?”
insistette uno dei
compagni. Il principe voltò la testa ed abbassò la mano.
“Grazie ancora, mio
sire…”
mormorò l’Elfo e si
decise ad andarsene. Montò a cavallo con gesto rapido, sfoggiando le
belle armi d’oro. Quando il gruppetto era oramai infondo alla strada,
l’angelo uscì dal suo nascondiglio per seguire con lo sguardo la prima
persona con la quale aveva parlato in tutta la sua vita. Da lontano,
Laurel si voltò indietro e vide il suo principe alzare una mano verso di
lui in cenno di saluto.
Ma dentro di loro,
nessuno era triste. Sapevano con certezza che si sarebbero presto
incontrati di nuovo. Bastava solo saper aspettare. Solo aspettare.
Aspetta, piccolo
bambino indeciso.. aspetta… vedrai che questo dolore passerà. Ogni
dolore passa, anche quando è così forte. Piccolo ragazzino impaurito,
aspetta.. non piangere.. non di nuovo… Chiudi gli occhi…
Legolas si strinse nelle
spalle, sempre più piccolo in quell’angolo. All’orizzonte che si tingeva
di rosso scuro si stagliava una strana ombra nera, brulicante e
battagliera. Cos’era? Ma no, non gl’importava. Aveva un altro pensiero
per la testa.
Perché? Perché questa
fiaba mi è ritornata alla mente? La persona che me l’ha narrata… non..
non voglio ricordarla mai più. Mi sono giurato di non pensarci più, ma…
Ma come posso dimenticare… come posso scordarmi di lui?
Il mio primo uomo. La
prima persona della quale mi sono innamorato in tutta la mia esistenza…
Lui…
Alzò lo sguardo ancora
una volta verso l’orizzonte lontano.
Non posso scordarmi
di lui, che ha plasmato il mio carattere e… il mio corpo…
Scostò un poco il
polsino di cuoio dal proprio polso destro. Si guardò la mano,
rigirandosela per guardare bene il palmo. Nell’angolo del polso che dava
verso di sé stava un piccolo segnetto, quasi una puntura di vespa, un
neo innaturale tracciato con un inchiostro strano. Rimaneva per sempre.
“L’avremo tutti e
due. Io nel polso sinistro e tu in quello destro. Così nessuno lo vedrà,
ma noi sapremo che ci sarà sempre. Come il nostro amore…”
Legolas aggrottò la
fronte e rimise il polsino di cuoio al suo posto, quasi con cattiveria,
mentre nel cuore dimorava la delusione.
“Sono sempre io
quello che deve perdonare! Sempre io quello che deve capire! Quand’è che
sarai tu a dover capire e perdonare me? Quando accadrà? Probabilmente
sarò già nelle Terre Immortali quando TU imparerai… ed io… non voglio
aspettare tutto questo tempo. Fa male. Non posso sopportare un dolore
simile così a lungo. Non me ne capacito.”
Tutte quelle voci,
quelle parole, improvvisamente turbinavano nella sua testa… quei
momenti… Aragorn…
Quel nome apparì senza
una ragione, un intruso ostinato dentro un concetto che nulla aveva a
che fare con lui. O forse si?
“-Ilu! Ilu…. I kyer
le! Hauta le! Ilu! En-ilu! (No.. no… ti prego fermati! No! Basta!)
-Le
voite hanya! I laume hauta tenna le… (Devi capire ! Non mi
fermerò mai finché tu…)”
Era finita allo stesso
modo. Per un motivo o per l’altro. Forse era colpa sua? Forse era lui la
causa di tutta quella sofferenza? Era lui stesso l’autore del proprio
dolore? E se così fosse stato, avrebbe potuto porvi rimedio?
Aragorn s’allacciò la
cintura di cuoio e si coprì con la palandrana nera. Gli era venuto
freddo d’improvviso. Oh! Come l’avrebbero scaldato le braccia di Legolas
intorno alle spalle… aveva avuto un strano atteggiamento. Che gli avesse
fatto male? Forse avrebbe dovuto avere più tatto e non trascinarlo
direttamente a letto.. Eppure lo voleva così tanto, e lo voleva
tutt’ora. E pensare che gli sembrava gli fosse piaciuto, quando aveva
urlato e gemuto così forte.. si era aggrappato a lui.. Che fosse stata
la scoperta che Arwen sapeva tutto a turbarlo? Impossibile, glie ne
aveva parlato solo dopo e lui già era desolato… Aprì la mano in cui
stava racchiusa Evenstar. Non gli era mai parsa così opaca. Non brillava
quasi più.
-Sire Aragorn.. Re
Theoden vi attende…
lo avvertì Eowyn
affacciandosi alla porta. In un primo momento, a causa dei capelli
biondi, Aragorn l’aveva creduta Legolas e sarebbe stato certo meglio. E
invece ora lo attendeva una lunga e tediosa discussione su come salvare
la gente di Rohan. Più che il popolo, ad Aragorn premeva la vita di una
sola persona.
Eowyn lo condusse nella
Sala Grande del Trombatorrione e lì Theoden con i suoi due generali lo
attendevano. Avevano tutti e tre un’aria tesa e scura, come se una
nuvola stazionasse sopra le loro menti di abili strateghi militari.
-Sire Aragorn, Hama mi
ha portato or ora brutte notizie…
iniziò il re e Hama si
fece avanti.
-L’esercito di Huruk
proveniente da Isengard si sposta velocemente verso di noi. Tra quelle
che noi abbiamo stimato quattro ore, saranno qui davanti alle mura.
Aggiunse con aria greve.
-Quanti sono?
Chiese Aragorn. Tanto
per far credere loro che gl’importasse qualcosa.
-Circa diecimila tra
Huruk e Orchetti di sostegno.
Aragorn scosse la testa
fingendo un atteggiamento preoccupato. Mille o diecimila o infiniti che
fossero, nelle sue vene pulsava il dispiacere per aver ferito Legolas ed
averlo privato della sua fiducia in lui. L’avrebbe mai perdonato?
-Siamo troppo pochi per
affrontarli senza soccombere…
aggiunse il secondo
generale, Gamling.
-Troppi o troppo pochi
che siamo, dobbiamo affrontarli. Non c’è via di fuga da qui.
Sentenziò Aragorn. Aveva
deciso di trasporre tutto il suo dispiacere e la sua fiele in quella
battaglia e in tutte le decisioni a lei annesse. Sarebbe stato meglio
che rodersi dentro a quella maniera.
-C’è un cunicolo che si
snoda tra le grotte… porta esattamente oltre le montagne, al Dunclivo
sud…
lo informò Hama. Aragorn
scosse la testa.
-No, no! Se gli Huruk
vengono da Isengard a tale velocità, allora poco impiegherebbero ad
attraversare la Breccia di Rohan per andare a prendere chi passa di là !
Non possiamo lasciare nessuno allo scoperto.
Poi si rivolse con voce
decisa a Theoden.
-Non vengono qui per
conquistare e sottomettervi. Vengono per sterminarvi. Vogliono vedere
tutta la gente di Rohan in un bagno di sangue e nient’altro. Quello che
dobbiamo tentare di fare è scacciarli dalle donne e dai bambini.
Theoden annuì, poi si
rivolse ai due generali.
-Così tenteremo. Andate
tra i paesani e prendete con voi chiunque sia in grado di maneggiare
un’arma. Le donne ed i bambini più piccoli, gli infermi e gli incapaci
portateli nelle grotte sotto il Trombatorrione. Se riusciremo a non far
penetrare quell’armata bestiale, allora saranno salvi.
I due generali chinarono
la testa in un mezzo inchino e lasciarono la sala. Theoden guardò
Aragorn con fermezza.
-Avremo tutti bisogno di
te. Vai a prepararti. Confido negli Dei degli Elfi.
-Più che nei Valar,
confida nella forza del tuo popolo, mio sire.
Lo incoraggiò l’uomo,
che scese nelle sale dove già tutti gli uomini ed i ragazzi si
raggruppavano per essere armati.
Devo essere forte per
me e per loro. Devo credere in loro. Devo credere.
Legolas avvertì il
fermento nella gente, sotto le mura e si alzò dal suo angolino: gli
uomini venivano reclutati, ed insieme a loro anche i ragazzini più
robusti, mentre le donne ed i bambini venivano portati dietro spesse
porte di legno scuro. Gli venne in mente, invece, l’organizzazione
ferrea degli Elfi. Non si usava mai mandare in guerra i giovani più
piccoli: ogni uomo che si rispettasse era addestrato alla guerra e
valeva quanto una macchina fatale di morte. Neanche nei casi più critici
vi era il bisogno di reclutare bambini. Questi umani ricevevano armature
a caso, tanto per proteggersi e le loro spade venivano prodotte quasi in
serie, ognuna fatta per ferire. Ogni guerriero elfico, invece, aveva
un’armatura forgiata su misura per il proprio corpo, con lo stemma del
proprio signore. Le armi erano di una persona sola e potevano solo
venire prestate per le gare ed i duelli, ma mai usate da altri per le
battaglie. Una spada era fatta per servire il suo possessore, per mirare
bene ed uccidere nel minor lasso di tempo possibile. Persino gli archi e
le frecce venivano calcolati in base all’altezza del guerriero, alla
forza del braccio e alla portata. Nessun arco era uguale ad un altro.
Nessun guerriero era come il compagno.
E poi il rigore, la
disciplina. Un Elfo non necessitava di un allenamento particolare per
rispettare il Rigore Militare comune. Quando c’era da ubbidire, lo si
faceva nel più assoluto silenzio. Raramente vi erano invidie e discordie
in un esercito Eldar. A tutti sembrava più che inutile il discutere sul
“perché ci fosse quel generale e non quell’altro”. Se era stato mandato
Tizio o Caio non importava: un perché ed un percome c’erano di sicuro.
La lotta era per uno scopo unico: il proteggersi ed il sopravvivere. Si
poteva pensare a qualsiasi cosa: al potere, al signore della terra, alla
propria patria, alla donna amata.. e si combatteva per quello. Un “mi
fido di te e ti difendo” che bruciava nei cuori ardimentosi dei
combattenti . La lotta era la dimostrazione del Valore, della Fiducia e
dell’Onore. Niente “Potere e Potenza”, niente manie di grandezza. Solo
un’esistenza dignitosa. Assorto in questi pensieri, Legolas ricordò i
giorni che aveva passato al campo militare, allenato al tiro con l’arco
come solo i principi potevano essere. E poi, quand’era piccolo, suo
padre già gli narrava di epiche battaglie e scontri all’ultimo sangue, a
volte facendolo rabbrividire e nascondere sotto le coperte del lettone;
altre,invece, il piccolo Legolas si drizzava a sedere ed allungava le
orecchie, attento ad ogni parola e gesto del nobile padre, imitandolo e
gioendo o rattristandosi per ogni vittoria o sconfitta.
D’un tratto, un rumore
fortissimo lo svegliò dai suoi ricordi di sogno. Un suono rimbombante
per tutta la vallata. Poi ci fu una pausa ed il silenzio parve come una
voragine di nulla. Ancora quel suono maestoso… Dal lato opposto dove era
tramontato il sole, apparve un’ombra che gettò al vento ancora il suo
garrito. Un corno.
-Eldar!
Gioì Legolas drizzandosi
in piedi. Un ultimo raggio di sole morente si stagliò tra le montagne,
andando ad illuminare di scintillii lontani le armature dorate di un
piccolo esercito in fila rigorosa, capitanato da un Elfo a cavallo.
Legolas si fiondò giù
per le scale ed entrò con prepotenza nel trombatorrione dove trovò
Theoden ed uno dei suoi generali.
-Gli Eldar! Sire
Theoden, un esercito è arrivato in nostro aiuto!
Il viso corrucciato
dell’uomo si aprì in un’espressione di sorpresa. Il generale corse al
piano inferiore, nell’armeria a dare la buona notizia. Tutti i capi
principali dell’esercito (più il capo fabbro che non era un grande uomo
di cultura, ma che voleva far valere il proprio lavoro) si ritrovarono
sulla scalinata davanti alle porte delle mura ad accogliere l’esercito
Elfico. Anche Aragorn. Legolas non gli rivolse lo sguardo.
Il capitano scese da
cavallo e si rivelò da sotto il rosso cappuccio.
-Sire
Theoden… Legolas.. Estel…
rivolse I propri saluti.
-Maegovannen, Haldir
ò Lorien! (Benvenuto, Haldir di Lorien!)
gioì Aragorn. Legolas si
limitò a sorridere, ma fu uno di quei suoi sorrisi luminosi quanto
l’alba primissima del giorno.
-Tempo fa tra uomini ed
Elfi era stata pattuita un’alleanza. Siamo qui per conto di Elrond di
Imaldris.. e per tenere fede a quel giuramento.
Si presentò
gloriosamente Haldir, mentre l’esercito alle sue spalle si posizionava
in segno di saluto al Re Theoden, tutti in fila ed immobili come statue
di sale.
Subito, l’esercito
ausiliario fu fatto entrare nelle mura ed Haldir diede disposizioni
perché si sistemassero sulle mura merlate i tiratori di precisione,
mentre i tiratori di maggior portata dovevano appostarsi dietro le mura.
Il popolo di Rohan si stupì e mormorò esclamazioni di ammirazione nel
vedere quei guerrieri perfettamente organizzati, anche nei respiri,
disposti silenziosamente in file perfette, i grandi archi di legno e oro
tenuti nella mano sinistra ed usati come stendardi di potere.
Legolas sorrise
nostalgico ed un po’ invidioso, ricordando il suo piccolo arco che stava
nella stanza di Aragorn.. così smilzo in confronto a quelli da battaglia
che anche lui aveva usato contro le Ungoliante.. A proposito di
arco.. se l’era scordato e voleva far vedere quanto fosse anche lui
desideroso di battaglia,perciò si affrettò a tornare nel trombatorrione
per riprenderlo. Entrato nella stanza di Aragorn,lo trovò appoggiato
accanto al giaciglio insieme con la faretra. Prima di prenderlo, diede
un’occhiata al saccone di paglia e alle lenzuola scombinate e sentì
ancora su di sé quel dolore improvviso.
Con un rapido gesto
della mano, scacciò da sé quel pensiero, quando sentì un fruscio
sommesso dietro di sé.
-Le avaquet a panta
len raamae… haryon in? (Ti sei dimenticato ti aprire le ali, mio
principe?)
Il cuore di Legolas
gli si fermò nel petto ed ogni cosa sembrò crollargli addosso.
Quella voce.. come poteva dimenticarla? Si voltò lentamente. Un Elfo
stava in piedi alle sue spalle, armato di tutto punto, con l’elmo d’oro
in testa. Portò due mani guantate al viso e si sfilò l’elmo. Una cascata
di capelli neri come la notte gli ricadde sulle spalle e qualche ciocca
gli finì davanti al viso. Se le scostò con uno sbuffo e tornò a fissare
Legolas con due occhi scuri e profondi. Sul viso ovale, le labbra
sembravano dipinte in un sorriso, mentre il suo sguardo s’addolciva di
una nota di nostalgia.
- Er
le avaquet le mool anta.. ? (O Hai scordato il viso del tuo
servitore ?)
-… Laurel…
sussurrò Legolas con
voce strozzata dalla paura, ma anche dalla commozione. Il suo parve un
sibilo del vento.
-Legolas…
l’Elfo lo guardò con gli
occhi umidi di nostalgia e di desiderio. Lentamente gli portò una mano
alla guancia ed il cuoio freddo fece rabbrividire Legolas. Sembrava che
tutto fosse in bilico su una corda di violino. Un solo respiro sarebbe
bastato e l’incanto si sarebbe rotto.
Legolas fece per
indietreggiare, ma Laurel fu più veloce e lo strinse in un abbraccio
quasi disperato. Legolas si sentì come morire, tra quelle braccia che
così tante volte l’avevano stretto. Si abbandonò completamente a
quell’Elfo, quasi svenendogli addosso, inebriato dal suo profumo
dolcissimo come nettare. Laurel lo strinse con tutta la forza che aveva
in corpo, immergendo il viso tra i capelli del compagno e perdendosi in
quel calore meraviglioso che il principe gli dava. Come per errore,
caddero bocconi tutti e due, ancora stretti l’uno all’altro. Eternamente
indissolubili. Fu Legolas a sciogliersi da quell’abbraccio, scivolando
dalle braccia dell’Elfo.
-Ulka-le! I nyarya
an-In a ilata keena le ! (Maledetto! Mi ero giurato che non ti avrei
mai più visto!)
gli gridò contro,
infuriato, con delle grosse lacrime agli occhi. Laurel si sporse in
avanti verso di lui, togliendosi il guantone di cuoio ed accarezzandolo,
o almeno provandoci dato che dovette combattere contro la mano di
Legolas che cercava di scacciarlo. Alla fine il principe cedette e si
lasciò prendere il viso tra le mani.
Laurel lo guardò
intensamente, fece scorrere le sue mani sul collo dell’Elfo, poi sulle
spalle ed infine gli bloccò i polsi. Con un gesto fulmineo riuscì a
fargli posare la schiena a terra e fu sopra di lui, intrappolandolo in
un bacio. Legolas cercò di divincolarsi, poi, però, tornò il ricordo di
quel sapore così dolce… Laurel gli aprì le labbra lasciandovi scivolare
la lingua in mezzo, incontrando Legolas che sembrava non avere più forza
di volontà. Anzi, sciolse i polsi e si divincolò dalla presa dell’altro,
pendendogli il viso tra le mani e tirandolo a sé con vigore, sedendosi
accanto a lui, le gambe piegate leggermente aperte. Si avvicinò
all’altro Elfo, facendo scivolare le proprie mani fino alle borchie di
ferro che tenevano il mantello fermo e le slacciò, mentre il grosso
tessuto scuro si spandeva a terra. Laurel afferrò Legolas cingendogli i
fianchi con le braccia, spingendolo verso l’alto. Si strinsero,
inginocchiati a metà, l’uno premuto contro l’altro, presi da un
desiderio incredibile. Legolas staccò le labbra da quelle dell’altro e
ne carezzò il viso con due dita, piegandolo di lato per poi baciarlo
ancora. Laurel mise le mani in avanti, premute contro il ventre di
Legolas, facendole scendere verso il basso…
Legolas si staccò dal
loro bacio, gettando al testa all’indietro, preso da un gemito convulso
di piacere e foga. Allora l’arciere ne approfittò per sbilanciarlo
all’indietro, le gambe semiaperte. Si stese sopra di lui mentre sentiva
l’armatura che si allentava dal suo corpo e sentì le mani di Legolas
armeggiare coi forti lacci di cuoio che glie la tenevano legata ai
fianchi. Ancora follemente innamorato di lui, lo baciò per la terza
volta, portò le mani dietro la sua schiena,sollevandolo un poco.
Percorse i fianchi dell’Elfo ed arrivò alle gambe strette nella
calzamaglia. Glie le divaricò ancora, ponendosi sopra di lui con forza.
Sul pavimento freddo, i capelli dei due si confondevano come luce ed
ombra mentre, ancora stretti e presi dal desiderio improvviso, i due
Elfi si baciavano.
-Ta na i Legolas I
hanya.. (questo è il Legolas che conosco…)
mormorò Laurel in un
gemito sommesso. Portò le mani al collo di Legolas, iniziando a
slacciare i bottoni della casacca e baciandone il collo disteso. L’Elfo
poggiò la mano sinistra sulla guancia di Laurel e con la destra gli
teneva fermo il capo, mentre il soffitto davanti ai suoi occhi si
confondeva in un’ombra indistinta.
-I…le… moka..
Laurel..
(Ti..odio..Laurel..)
-Man..? (Cosa?)
Laurel si alzò su
Legolas, guardandolo stupito e portandosi dietro l’orecchio una ciocca
di capelli color ebano.
-I le moka, Ulka-le!(Ti
odio, maledetto!)
sibilò ancora l’Elfo
biondo. Con gesto deciso lo spinse via e si drizzò a sedere, le gambe
incrociate come se stesse riflettendo in preghiera mentre si
riallacciava la casacca. Laurel rimase impietrito per un poco, poi gli
si avvicinò e provò ad allungare una mano verso di lui, ma l’altro lo
scacciò in malo modo e si alzò in piedi, sempre dandogli le spalle.
-Legolas…man
ta na raika? (Qualcosa che non va?)
-Aye. Le.
(Sì. Tu)
Laurel si rattristò non
poco e chinò la testa verso il basso. Legolas non si girava. Si sentì
come tagliato fuori da lui e volle provare ad avvicinarsi ancora,
alzandosi in piedi.
-I nyarya le a wanne
vahaya o-n-In ! (Ti avevo detto di andartene via da me!)
E Laurel ora capì perché
Legolas non lo guardava. La sua voce era rotta dal pianto e già le
spalle iniziavano a sussultare a causa dei singulti sommessi del
principe.
-I uume wanne vahaya
o le! I meles le! Uume le hanya ta? (Non
posso andarmene da te ! Ti amo! Perché non vuoi capirlo?)
Prese con forza Legolas
e lo fece girare. Negli occhi del principe scorse tanta disperazione
quanto rabbia. E sembrava volesse esplodere, gridare e strepitare, ma
l’unica maniera in cui riuscisse a dimostrare qualche sentimento era il
piangere. Per non dare fastidio e non disturbare. Così facendo, però,
era come se si stesse lacerando l’anima a pezzi di propria volontà. E si
sa, quando si fa una cosa del genere, si soffre più di qualunque persona
al mondo.
-Laurel… E’ finita.
Singhiozzò piano.
-No… non ti credo.
Altrimenti noi non…
-E’ FINITA! E credo di
avertelo detto già molti anni fa. Ora basta.
Laurel scosse la testa e
cerco di scuotere anche Legolas prendendolo per le spalle, come se fosse
servito a farlo rinsavire. Quando senti il bisogno di far capire
qualcosa a qualcuno saresti anche disposto a fargli male, perché credi
talmente tanto in quella tua così palese verità che soffri nel vedere
che l’altro non riesce ad accettare. Soffri e con tutta la tua forza
cerchi di piegarlo a te, di fargli capire la tua sofferenza. Spesso si
finisce col fare solo del male inutile.
L’arciere abbracciò
Legolas ancora, cercando di tenerlo fermo, come si potrebbe fare con un
malato in preda al delirio della febbre. Legolas scoppiò in un pianto a
dirotto. Non aveva mia pianto così tanto in tutta la sua vita. Forse
proprio perché si era sempre trattenuto, ora sentiva il bisogno di
sfogarsi fino in fondo, di svuotare sé stesso da tutto quel dolore che
aveva in corpo, desiderare di sentirsi meglio mediante le lacrime
proibitegli… e quale posto migliore se non le braccia di Laurel?
Per anni lui gli era
stato accanto a consolarlo, a mormorargli tra i denti di tenere duro, di
fregarsene del resto del mondo… E quando proprio il principe si trovava
al limite, le sua braccia ed il suo petto erano il posto più caldo e
tranquillo del mondo.
-Vedi? Come faresti
senza di me… piangi pure, amore mio… ci sono io…
-Le
hyarya in er… (Mi hai lasciato solo...)
Laurel strinse ancora,
portando una mano sul capo di Legolas e carezzandogli i morbidi capelli
biondi.
-Avanoote moore I
fifiira ar nalla ten ta.. (Innumerevoli notti mi sono tormentato ed
ho pianto per questo..)
-Lo so, Legolas.
-Ma adesso.. sono forte…
non ho bisogno di te!
Si staccò con una spinta
dall’abbraccio caldo dell’Elfo e lo guardò dritto negli occhi.
-Mi sono innamorato di
nuovo. Ora… il mio cuore va ad Aragorn. E noi… noi abbiamo…
ma mentre cercava di
pronunciare quella parola, gli sovvenne al corpo quel dolore di prima e
non riuscì a finire. Tacque. Laurel, dal canto suo, sorrise. Sorrise e
guardò Legolas. Chiuse gli occhi e poi abbassò il capo.
-So che sei forte. Lo
sei sempre stato. Per questo ti amo….
Mormorò. Legolas lo
guardò come se cercasse di capire cosa davvero pensava l’altro. Stava
scherzando? Oppure cercava di metterlo in imbarazzo?
-… e non smetterò mai di
farlo.
Alzò il volto con un
sorriso radioso sulle labbra. Legolas si sentì confuso. Come poteva quel
ragazzo avere così tanta gioia nell’anima dopo quello che si erano
detti, dopo quello che era successo, dopo tutti quegli anni…
-Perché.. sei felice?
Chiese. L’arciere si
guardò a fianco e poi si sedette sul giaciglio, poggiandovi una mano
sopra e battendola con un lieve “pat-pat” per invitare Legolas a sedersi
a sua volta. Ma il principe s’inginocchiò sul pavimento. Se gli fosse
andato vicino al sua confusione avrebbe preso una piega sbagliata e
loro…
-Sono felice perché ci
sei tu.
-Nonostante quello che è
successo?
-Nonostante quello.
Laurel sorrise ancora e
si slacciò l’armatura definitivamente, poggiandola poco lontano, a
distanza di un braccio. Si slacciò l’altro guantone dalla mano e rimase
così, in calzamaglia e casacca di un bel blu scuro. Ricamata sopra vi
era la stella a sette punte, simbolo di Elrond di Granburrone.
-Dimenticavo che ora i
tuoi servigi vanno ad Imaldris…
sussurrò Legolas nel
vedere lo stemma. Un sussurro nostalgico, ricordando le battaglie
affrontate insieme sotto lo stendardo di Thranduil.
-No, ti sbagli. I miei
servigi vanno solo ad una persona.
Prese dolcemente il viso
di Legolas tra le mani.
-Tu. Non ho altri
padroni.
Il principe scostò il
volto e guardò il pavimento sotto di sé. Quante volte gli aveva ripetuto
quella frase? Eppure, nonostante questo era sempre una gioia sentirla.
Aveva qualcosa, qualcuno.. di veramente proprio, ci fa esistere. Come un
nome. Senza nome le cose non possono essere indicate, non possono essere
ricordate, e quindi smettono di essere. Senza qualcosa che ci appartiene
nel profondo, dimentichiamo il nostro nome perché nulla ce lo ricorda. E
diventiamo ombre.
-Uu-le meles In?
(Perché mi ami?)
Laurel emise una risata
che parve un sbuffo. Fissò lo sguardo in un punto imprecisato sulla
giacca di Legolas e rimase fisso a quello,come se lo stare così lo
aiutasse a ricordare.
-Perché… perché con te
io posso volare. Quando mi sei accanto, la mia mente se ne va, si
allontana dal mio corpo e.. va oltre l’immaginario. Le nubi più alte, la
notte che arriva.. oltre gli astri… lascia questo nostro mondo, via dal
rimorso e dal dolore. Prende a piene mani la sua felicità e la getta in
aria come coriandoli… e dimentica tutto alle sue spalle. Ma tiene una
memoria dolce-amara nel cuore.. fino a che io e te non c’incontriamo. Ti
aspetto sempre, appollaiato sulla mia stella, il faro sulla sponda del
mare infinito… Perché voglio volare con te, non avere paura, sfruttare
il vento senza usare una lacrima… oltre la via, oltre le mani del
tempo.. La luna sorgerà ed il sole andrà a dormire.. ed io non
dimenticherò mai te, il tuo cuore, il tuo corpo… E’ una cosa che non si
può spiegare facilmente, però… c’è. Piccola ala dispersa nella tempesta,
arrivare fino a dove solo gli angeli cantano, oltre la luce dei Valar…
Sentire quella fitta al cuore.. un dolore talmente piacevole mentre ti
guardo..
Qualcuno mi ha insegnato
che questo si chiama amore.
Legolas, intanto, aveva
chiuso gli occhi. Come sempre gli succedeva quando Laurel gli narrava le
sue storie, si ritrovava in quel mondo raccontato ed ora stava sospeso
in quel mare trapunto di stelle… la luce formava arabeschi d’oro nel
cielo ed Eä sembrava una biglia di vetro… lontana…
Poteva sentire il vento.
Riaprì gli occhi quando
le parole di Laurel si affievolirono alle sue orecchie e lo guardò
sorridendo. Una storia, una fiaba, una poesia… erano sempre la cura
migliore.
Il principe si mosse a
gattoni e andò a poggiare il capo in grembo a Laurel, stendendosi
tranquillo. Non aveva paura di nulla. Perché non v’era nulla all’infuori
di loro, ora.
-Sai… Laurel… poco fa..
prima che tu arrivassi mi era venuta in mente.. la nostra favola. Quella
del Principe Angelo e Stelladoro… però…. Non ne ricordo un pezzo…
-Cos’hai dimenticato..?
Legolas chiuse gli
occhi.
-Vedi.. dopo che Laurel
se ne va a cavallo con le altre reclute.. cos’accade?
Laurel trasse un
profondo sospiro.
Da lontano, Laurel si
voltò indietro e vide il suo principe alzare una mano verso di lui in
cenno di saluto.
Ma dentro di loro,
nessuno era triste. Sapevano con certezza che si sarebbero presto
incontrati di nuovo. Bastava solo saper aspettare. Solo aspettare.
Il principe chiuse le
ali. Il primo uomo col quale aveva mai parlato in tutta la sua vita gli
era rimasto impresso addosso come un tatuaggio. Una sensazione che aveva
dell’amaro addosso, ma sotto era dolce come miele. Passeggiò
distrattamente lungo la riva del lago, specchiandosi di tanto in tanto
con rapide occhiate. Aprì e chiuse le ali un paio di volte per vederne
le penne bianche riflesse nell’acqua. Si sentì imbarazzato d’improvviso.
Chissà cos’avrà pensato il ragazzo nel vederlo? Aveva forse trovato
ridicole le ali del principe? Immerso in questi pensieri proseguì
inoltrandosi nella foresta, camminando lentamente come se nulla
gl’importasse. Il sole andò lentamente a dormire e la Luna, invece, si
svegliò dal proprio sonno di luce per tuffarsi nell’ombra della notte,
ammantata d’argento e veli di stelle. Ad un tratto e senza un perché, il
principe si ritrovò sulla strada maestra, che probabilmente doveva aver
compiuto una curva. Decise allora di camminare sulla terra battuta della
strada e proseguire senza meta. Compiuta la curva, ebbe un tuffo al
cuore nel vedere una persona stesa al lato della strada, circondata da
una chiazza di sangue ancora fresco che riluceva macabramente alla luce
della luna. Si avvicinò richiamando a sé un po’ di luce e cercò di
avvicinarsi alla figura. La veste bianca che rasentava terra si tinse di
rosso purpureo,ma all’angelo non importava. Prese tra le braccia il
corpo e lo voltò. Riconobbe il volto di Stelladoro, il “suo” Stelladoro,
svestito, ferito e derubato. Abbandonato da tutto e da tutti. Accanto al
suo corpo stava una freccia d’ebano, spezzata. Le lacrime gli bagnarono
il candido viso e strinse l’Elfo a sé, cercando di scaldarlo per tenerlo
in vita. Il respiro era flebile nel petto e la possibilità di salvezza
una sola.
Il principe angelo
aveva ricevuto dai Valar del cielo il dono di poter guarire ogni ferita
e riportare alla vita, come aveva fatto col Corvo. Ma col volatile aveva
dovuto piangere per la sua anima già volata via. Per Laurel, il piangere
sarebbe stato inutile. Doveva ridargli vigore e fare in modo che il
cuore riprendesse i battiti.
Avvicinò le labbra al
bel viso dell’Elfo, sporco di terra e sangue. Gli baciò amorevolmente la
fronte, poi scese ed appoggiò le proprie labbra alle sue, in quello che
fu il loro primo bacio. Ambedue desiderarono di non dividersi mai.
L’angelo strinse a sé
il corpo del ragazzo e lo avvolse in un lembo della lunga veste. Poi,
aprì le grandi ali alzando il viso al cielo e in un attimo si trovò a
salire i gradini d’argento del suo regno. Il falco guardiano lo salutò
aprendo le grandi ali nere e lo lasciò passare, inchinandosi al suo
principe. I cancelli d’argento si aprirono e la Luna si nascose dietro
le fronde di un albero per poter spiare il principe senza essere vista.
L’angelo posò l’Elfo
su di un letto comodo e si prese cura di lui, con unguenti ed erbe,
baciandogli ancora la fronte in benedizione.
Stelladoro si svegliò
e trovò accanto a sé il principe angelo addormentato, con la testa
poggiata sul letto, accanto alla sua mano. Il principe si svegliò al
primo respiro di Stelladoro e gli sorrise, emanando una gran luce per
tutta la stanza.
-Ben svegliato, dolce
Stelladoro…
-Qu.. quando ho
dormito, mio signore?
Chiese con la voce
ancora fioca. L’angelo gli carezzò la fronte chinandosi su di lui.
Profumava di Eternità.
-Tre volte il sole è
sorto prima che tu ti svegliassi, dolce amico. Ma ora sei qui e sei
salvo.
L’Elfo si alzò a
sedere, tirando su le lenzuola per nascondere il proprio corpo svestito.
-Ti vergogni di me?
Chiese l’angelo
sorridendo. L’Elfo arrossì ed abbassò lo sguardo sulle proprie braccia:
non v’erano neppure i segni delle ferite.
-Io… Io non sono
bello come voi…
il principe gli si
sedette accanto carezzandogli il viso. L’Elfo posò la propria mano su
quella dell’angelo.
-No.. lo sei di più…
Stelladoro fremette e
sorrise.
-Sono felice, qui.
-Questo è il mio
regno, dove ogni cosa è eterna. Con me potrai vivere per sempre… e
chiedere tutto ciò che desideri.
Così, i giorni
trascorsero nei Giardini Eterni. Il sole sorse e la luna tramontò varie
volte, mentre il principe godeva beato della compagnia dell’Elfo. Lo
curava e lo custodiva, vestendolo di sete preziose e ricamate,
adornandolo di perle e gemme brillanti; facendo con lui lunghe
passeggiate insegnandogli i nomi dei fiori e degli alberi. Lo allenò con
la spada e le frecce, meglio di qualsiasi Mektar della terra. Lo
introdusse all’arte e alla scrittura e per lui aprì le tende del cielo,
facendogli osservare quello che nessun essere vivente prima d’ora aveva
mai visto.
Il mondo, Eä, la
terra che è, vista dall’alto. Una specie di sfera vitrea coperta di
nubi, immersa in un mare denso di stelle.
Una sera, mentre la
luna brillava alta nel cielo come una spilla appuntata ad una tenda blu,
Stelladoro uscì dalla sua stanza, avvolgendosi nel mantello viola. Vide
il suo principe seduto sulla panchina di pietra del terrazzo, o meglio
accovacciato, con le ali chiuse e le braccia strette intorno alle
ginocchia.
-Mio principe? Mio
principe!
L’angelo alzò la
testa e si voltò verso Laurel, con un radioso sorriso sulle labbra.
-Oh, Stelladoro! Ogni
volta che ci sei tu la luna impallidisce…
L’Elfo si sedette
accanto al suo signore, stupendosi di trovarlo avvolto in una tunica
sottilissima, tenuta ferma da una spilla. Lui aveva così freddo…
L’angelo si mise a giocherellare con la collana di perle che gli stava
avvolta intorno al braccio sinistro. Scrollò un poco le ali.
-Quali pensieri vi
assorbono così tanto, mio signore?
-Vedi… dolce Laurel..
Sono oramai sei mesi che sei qui con me e tu.. non mi hai mai chiesto
nulla.Ti avevo detto che avresti avuto tutto ciò che volevi, ma tu non
hai chiesto mai…
-Mio signore… è
perché voi mi date tutto ciò che io posso desiderare! Vesti
meravigliose, monili preziosi, libri che non conoscevo neppure,
passeggiate splendide, conoscenze, compagnia… ed io… ho tutto.
L’angelo sorrise.
Laurel abbassò il volto e disse:
-Però.. una cosa.. ci
sarebbe… ma mi vergogno a chiedervela…
Il principe lo guardò
incuriosito. Stelladoro sembrava molto imbarazzato. Allora doveva essere
qualcosa di davvero importante!
-Dimmi pure… dolce
Laurel. Non temere!
L’Elfo si strinse
nelle spalle e si fece piccolo piccolo. Si vergognava addirittura di
aver parlato. Forse avrebbe fatto meglio a stare zitto, ma ora che aveva
fatto trenta, doveva fare anche trentuno. Trasse un lungo sospiro.
-Io vorrei… un vostro
bacio, mio signore.
-Un… mio bacio?
-Sì, ma.. non un
bacio normale…
Laurel guardò
l’angelo in volto. Era così dannatamente bello… si avvicinò a lui e
poteva toccarlo.. così vicini.. con quel profumo così dolce di fiori
d’arancio… La luna arrossì e risplendette, curiosa ed impicciona.
-… un bacio..
d’amore…
L’angelo si sporse in
avanti verso Stelladoro e prese il suo volto tra le mani, guardandolo
negli occhi, così profondi che ebbe paura di cadervi dentro, anche se
cadere sarebbe stato così dolce…
Le loro labbra si
avvicinarono, i respiri caldi.. l’angelo tirò a sé il volto dell’Elfo e
lo baciò con passione, stringendone il corpo tra le braccia. Stelladoro
alzò le mani sul collo del principe e fece scivolare la lingua tra le
sue labbra di fragola, protendendosi in avanti per possederlo tutto.
L’angelo s’irrigidì perché non aveva mai provato una sensazione simile,
ma si abituò in fretta a quel calore così dolce e prese parte al bacio
con vigore, aggrappandosi alle spalle del suo Laurel. La tunica gli
scivolò dalle spalle e finì per trovarsi seminudo tra le braccia di
colui che sempre aveva voluto. L’Elfo se ne accorse e portò le mani
sulla stoffa leggera, cercando di slacciare la spilla per spogliarlo, ma
l’angelo si staccò da lui e s’inchinò ai suoi piedi, semivestito.
-Perché v’inchinate,
mio signore?
-No, non chiamarmi
Signore, poiché ora sono io colui che è alle tue dipendenze. All’inizio
io ero il tuo signore e tu la mia compagnia, il mio valletto.. ora il
tuo corpo e la tua volontà mi hanno fatto tuo schiavo. Ed ora io
m’inchino a te,desideroso del tuo corpo come mai lo ero stato prima.. e
solo tu puoi rendermi libero…
si aggrappò
spasmodicamente al mantello dell’Elfo e chinò la testa, inginocchiato
con le ali chiuse come in adorazione.
Laurel gli prese il
viso con una mano, carezzandolo dolcemente ed ammirandone il bel viso.
-Mio angelo… io ti
desidero…
e con queste parole
sembrò sciogliere un sigillo. L’angelo si alzò in piedi, reggendo la
veste con una mano e si diresse verso la sua stanza, mentre Stelladoro
lo seguiva.
Lo splendido angelo
aprì le ali e Laurel vide la veste scivolare a terra. Fece passare le
braccia tra le ali del principe e gli cinse il corpo con le braccia…
-Basta, Laurel.. ti
prego…
Legolas poggiò due dita
sulle labbra dell’arciere. Si era messo in ginocchio avanti a lui e
stava col viso in avanti, ma chinato basso, per non guardarlo negli
occhi. Sapeva benissimo che se lo avesse fatto, ci sarebbe caduto ancora
e non voleva rischiare di.. desiderarlo di nuovo. Il suo Stelladoro.. Ma
alzò la testa di scatto sentendo le mani di Laurel sulla sua schiena,
che lo spinsero contro di sé. Si ritrovò col viso premuto contro il
petto dell’arciere.
-Senti? Lo senti come
batte il mio cuore?
-Sì.. lo sento.
Laurel fece in modo che
Legolas alzasse la testa a guardarlo. I capelli scuri dell’Elfo gli
ricadevano sulle spalle e gli incorniciavano lo splendido viso. Con una
mano sciolse anche i capelli di Legolas, sempre legati stretti dietro la
nuca. Fu come un rito magico, un essere e ritrovarsi uguali in un
sentimento così forte… L’arciere carezzò il viso di Legolas e scacciò
qualche ciocca bionda, rigirandola dietro l’orecchio a punta
dell’amante.
-Legolas… io non ti
chiedo di tornare ad amarmi come tempo fa.. anche se.. lo vorrei. Ma ora
tu hai Aragorn, mi hai detto. Io.. voglio solo che tu mi ami… per…
un’ora…
Non finì la frase che
Legolas lo baciò con dolcezza, poggiandogli le mani sul petto e
allargando le gambe sedendosi su di lui. Lo prese per il colletto della
casacca e lo tirò a sé, sentendo le mani di Laurel sulle proprie gambe.
Legolas si staccò da lui
e gli slacciò la cintura che gli teneva stretta la calzamaglia. Gli
slacciò la casacca e prese a baciargli il petto, mentre l’altro gli
sfilava i polsini di cuoio e gli toglieva la giacchetta.
Legolas lo fece alzare
con la schiena dritta e gli tolse definitivamente la casacca, per poi
sfilargli la maglia argentata di dosso. Per fare prima, si tolse la
casacca e la propria maglia e intanto Laurel gli slacciava la cintura.
Sentendo su di sé le
mani dell’amante, Legolas lo baciò ancora, succhiandone la lingua con
foga, preso dal cieco desiderio di averlo ancora.. tutte le volte che
aveva fatto l’amore con lui era stato così bello ed ora…
Abbassò le mani fino ai
polpacci dell’arciere e gli sfilò gli stivali di cuoio, poi si tolse i
suoi. Laurel si stese sul giaciglio chiamando Legolas su di sé e l’Elfo
venne, spogliandolo della calzamaglia. Gemette forte sentendo le mani di
Stelladoro su di sé, togliergli i calzoni…
Gli poggiò due dita
sulle labbra e poi abbassò la testa a baciargli il petto, allargando le
gambe ed imprigionando quelle dell’amante. Laurel gli strinse i polsi
con le mani e inarcò la schiena, gettando un gemito convulso ed
accavallato mentre Legolas chiudeva gli occhi chinando il capo e
premendo con forza contro il corpo dell’Elfo. Laurel si sedette sempre
sotto il principe e lo strinse nei fianchi, premendo ancora con maggior
vigore. Legolas piegò la schiena all’indietro, lasciando andare la presa
su Laurel che lo fece stendere sul giaciglio,per imporgli la propria
volontà. Gli alzò i polsi sopra la testa, baciandolo. Legolas lanciò una
serie di gemiti. Piegando le gambe e aggrappandosi alla schiena di
Laurel. Nonostante avesse gli occhi aperti, non vedeva nulla: ogni cosa
era indistinta al suo sguardo, tranne il viso dell’arciere moro, i suo
corpo…
-Ah… Laurel..
gridò, ma l’altro gli
tappò le labbra con un bacio, sempre tenendogli i polsi. Ad un tratto
avvicinò le labbra all’orecchio del principe.
-I uume enyala ta le
quet iire le vea… (Non ricordavo gemessi tanto quando godevi…)
Legolas lo guardò negli
occhi, ma non seppe rispondere poiché il piacere l’aveva preso
completamente e dalle sue labbra uscirono gemiti sommessi di parole
senza senso. Alzò il bacino verso l’alto, e questa volta anche Laurel
gemette di piacere.
Legolas chiuse gli
occhi, curvando la testa all’indietro ed inarcando la schiena, cercando
di liberare i polsi dalla stretta dell’arciere.
-Hyarye
in… ah… (Lasciami…)
-Ilu… I mere ilya le…
(No, ti voglio tutto)
Legolas gemette ancora,
ma strattonò con forza e si liberò, facendo scivolare le mani sulla
schiena dell’altro e premendolo contro di sé ancora, con forza, deciso,
provocando gemiti da parte di ambedue.
Aragorn si congedò da
Haldir. Praticamente gli aveva fatto tutto il resoconto militare del
viaggio Imaldris- Fosso di Helm e la cosa non era delle più felicemente
interessanti. Si decise per il cercare Legolas, Voleva chiarirsi,
chiedere scusa, capire il perché di quel comportamento. Lo cercò sulle
alte mura merlate, ma non lo trovò. In compenso, notò che l’ombra nera
all’orizzonte si era molto avvicinata e già poteva distinguere,
strizzando gli occhi, le migliaia di teste che marciavano. Si riscosse e
riprese a cercare. Provò in armeria, ma nessuno l’aveva visto. Incontrò
Gimli che si lamentava perché la maglia ferrata era troppo “stretta ai
fianchi”, ma nemmeno lui aveva visto Legolas. Ritornò dagli Elfi per
cercare bene. Con tutti quei visi magari non l’aveva scorto, ma quelli
che c’erano portavano l’armatura e Legolas non ne aveva una. Poi, però,
mentre passò davanti ad un gruppo di arcieri di precisione, non poté
fare ameno di ascoltare un pezzo del loro discorso.
-Uume le kenih
Laurel? I uu-tuuva llen… (Hai visto Laurel? Non riesco a trovarlo..)
chiese uno al compagno
che rinforzava la corda dell’arco tirandola un po’.
-Uu-minda! lle na
haryu Wenyalasse moolemelindo.. hee hee…
(E’ inutile che lo cerchi.. quello è
perennemente cotto del Principe Fogliaverde!)
-Er I
uu-tuva llen an..! “Moolemelindo”? (Ma non lo cercavo
per.. ! “Cotto”?)
-Tanka! Le uu-hanya?
(Certo! Non lo sapevi?)
-Hanya man?
(Sapere cosa?)
L’Elfo sembrava sempre
più confuso. Alla conversazione dei due se ne aggiunse un altro:
-Ta
Haryu Wenyalasse meled Laurel? Tana na I yaara nyaare!
(Che il principe Fogliaverde amava Laurel? E’ una vecchia storia!)
e lanciò una sonora
risata divertita. Aragorn, dal canto suo, si acquattò ben bene per non
essere visto e poter ascoltare indisturbato.
-Legolas a Laurel
ista-llon ho limbe luume… Inga llon ne mellon… nan ala.. iire
Ungweliante-in-dagor, Laurel serme faire. Ananata Legolas nnen o llen,
va le uu-yello Ien oonoro. Nan en moore, Laurel luhta Legolas o er i
llen nyaaree… ar llen kaima o lle… (Legolas e Laurel si conoscono
da moltissimo tempo… erano molto amici,però… durante la Battaglia
contro le Ungweliante, il cadetto di Laurel morì. Allora Legolas gli
restò vicino, avresti potuto chiamarli fratelli. Ma una notte, Laurel
incantò Legolas con una delle sue storie… e riuscì a portarselo a
letto…)
Gli Elfi ascoltavano
interessati, quando il solito che non sapeva nulla, chiese:
-Nan lle meled
Legolas? (Ma amava Legolas?)
-Aayee… tanka! Nan
lle nostare o luhta llen. (Oh, sicuro! Ma preferì stregarlo.)
-Nosse nyar o Legolas
na oolore ve Melindo, nan lle na kotya o melmeles…Er lle meles na
vorima. (Dicono che Legolas sia un amante fantastico, ma difficile
da conquistare. Però il suo amore dura per sempre. )
Un altro Elfo entrò a
far parte della conversazione, che sembrava interessare molti.
-Nan il llon meles na
vorima, man kara llon hyarye Laurel? (Ma se il suo amore dura per
sempre cosa lo ha spinto a lasciare Laurel?)
All’improvviso, l’Elfo
che dimostrava di conoscere le parti più importanti della storia, sbuffò
sonoramente e mosse una mano per allontanare i più appiccicosi che
avevano chiuso un cerchio intorno a lui.
-Aayee! Hauta! Nosse
hanya o Legolas hyarya Laurel, na I uu-nyarya o Legolas hauta meles
llen… (Oh! Basta! Sapete che Legolas ha lasciato Laurel, ma io non
ho mai detto che abbia smesso di amarlo…)
E tra gli elfi
iniziarono a spuntare risatine convulse e gomitate d’intesa. Aragorn
aveva sentito abbastanza. Sgusciò fuori dal suo nascondiglio e mise
freno alla propria ira per non farsi scoprire, altrimenti di sicuro
avrebbe difeso Legolas. Era inammissibile che un gruppo di soldati
parlasse a quel modo di uno dei loro signori! Corse verso il
trombatorrione e non vi trovò nessuno. Nemmeno Eowyn.. meglio! Almeno
non avrebbe dovuto fermarsi per forza per scambiare due noiose parole.
Si diresse verso la sua stanza sperando di trovarvi Legolas e dirgli
tutto. Mentre si avvicinava alla porta della stanza, sentì uno strano
rumore, come un ansito convulso. Sentì il sangue pulsargli nelle vene e
quasi bruciare. Gli ritornarono alle orecchie tutte le chiacchiere che
aveva ascoltato prima, che l’amore di Legolas era eterno e che Laurel
era ancora innamorato di lui… Si trovò improvvisamente davanti ad un
bivio: o negare a sé stesso di vedere la verità, di sapere a chi Legolas
dava il proprio cuore; oppure vedere tutto, soffrire, scoprire e porre
rimedio.
“Io ho fiducia in
tutte le persone che amano…”
Mosse un passo.
“Ti ho sempre detto
di agire col cuore…”
Allungò la falcata e,
lentamente sporse la testa entro la stanza.
-No… No.. Laurel… non…
non…
Legolas gemette con
forza. L’arciere lo prese tra le braccia, premendo ancora. Gli chiuse le
labbra con un bacio, tenendogli fermi i polsi con le mani. Ad un tratto
il principe, preso dalla foga, gridò un nome. Un nome convulso,
accavallato, quasi senza senso.
Però, per Aragorn che
aveva visto e sentito, significò moltissimo. Sentì il cuore battere con
furia nel petto. Legolas.. su quel giaciglio, fremente di desiderio… lo
stesso giaciglio in cui poco prima aveva rifiutato le sue attenzioni…
Definire rabbia quello
che provò nel sentirlo urlare sotto il corpo dell’altro Elfo sarebbe
usare un eufemismo. Avrebbe desiderato tanto sprofondare, ogni muscolo
del corpo era teso in uno spasimo rabbioso che sembrava incontrollabile.
L’Ira del Re, la furia
più cieca che possa prendere un uomo. Trovarsi dinnanzi ad un fatto
compiuto che va oltre ogni nostra più oscura aspettativa e dovergli
tener testa, senza piegarsi. Forti come la roccia mentre le nostre
fondamenta tremano d’incertezza e dubbio. La rabbia viene a riempire i
buchi dell’anima e come un’onda colpisce senza preavviso, scaraventando
qualsiasi cosa nel suo gorgo più folle.
Chi non resiste alla
rabbia, la trasforma in follia.
E la follia trasforma
gli uomini.
Chi resiste alla rabbia,
la trasforma in forza.
Una profonda cicatrice
dell’essere, che ancora pulsa di sangue mentre cerchiamo di stringere i
lembi della ferita perché si fermi l’emorragia. Una mancanza di volontà
e la ferita avrà il sopravvento. Inizierà ad allargarsi, ad espandersi,
lacerando ogni pensiero, mandando in frantumi i sogni, gettando all’aria
i valori e burlandosi di ciò in cui si crede.
Una furia indicibile che
sale, cresce, ribolle… Non si può reprimere.
Non gridare,non fare
nulla… non irrompere come un pazzo nella stanza, non fiatare,
controllati…
Lascia che la cosa ti
scivoli di dosso come pioggia e se rimarrai bagnato ti asciugherai. Ma
non reagire. Non ora. Aspetta…
L’uomo girò i tacchi e
fece per andarsene quando giunse alle sue orecchie ancora quel nome…
questa volta più nitido, più forte, più deciso, disperato…
-Ah… ah…
Aragorn!
Un gemito lamentoso,
carico di piacere e di repressione. L’arciere zittì subito il principe
con malgarbo e l’uomo lo sentì distintamente. Si girò ancora verso la
porta… E se anche lui gli stesse facendo male? Se solo avesse avuto il
coraggio di entrare, fermarli, prendere Legolas tra le braccia ed
allontanarlo per sempre da Laurel…
Non reagire. Non è
questa la maniera. Lascialo a strillare. L’ha voluto lui. Lui c’ è
andato a letto, no? Stai quieto e vattene. Non è il momento né il posto
per te.
Aragorn aspettò ancora
un poco, noncurante della propria coscienza. Se avesse gridato quel nome
una terza volta, allora si sarebbe deciso e sarebbe entrato.
La voce di Legolas emise
qualche altro gemito sconnesso, ma non pronunciò più nomi.
E’ tempo di
andartene. Tanto lo sapevi.
Lo sapevo?
Certo, sciocco!
Sapevi che presto l’avresti perso. In un modo o nell’altro se ne sarebbe
andato da te. E’ tutta colpa tua. L’hai voluto.. violentare a quella
maniera ed ora c’è qualcuno che lo consola. Te lo sta portando via e tu
non ci puoi fare nulla, perché è colpa tua.
Violentare? E se
Legolas stesse soffrendo anche adesso?
No.. non lo vedi
quanto ci godeva con quell’altro? Inutile fare tante storie. A lui
piace, piace da matti. Piace più di quando c’eri tu sopra di lui.
Bugiardo!
Oh, sentiti! Dai del
bugiardo a me, tu che continui ad infinocchiarti come un fesso,
immaginandoti di correre a spada sguainata a liberarlo da chissà quale
agonia tremenda! Stai zitto e continua a camminare. Lascia che arrivi il
momento giusto per sfogare la rabbia. Magari, nel tumulto della guerra
potresti assassinare Laurel e dire a tutti che è stata colpa di un
Huruk.
Non lo farei mai! Non
potrei far soffrire Legolas!
E allora perché lui
può far soffrire te? O non stai soffrendo affatto?
Io ci soffro da
schifo, ma tu.. non dicevi che era tutta colpa mia? Adesso è tutta colpa
di Legolas o sbaglio?
Cosa fai, ingenuotto?
Adesso lo difendi? Ha-ah! Vuoi scommettere che…
Che?
Avanti, a me puoi
dirlo.. ammetti a te stesso che ti piaceva vederlo così. Ti piaceva
vederlo godere sotto ad un altro… ti piaceva vederlo nudo mentre tu
stavi nascosto… ti eccitava sentirlo gemere mentre tu restavi lì a
guardare.. vero? Ammettilo…
CHE COSA DIAMINE…
Aragorn si prese la
testa tra le mani e barcollò improvvisamente, sbattendo una spalla
contro il muro. Perché pensava quelle cose? E se le pensava con sé
stesso, se davvero era capace di formulare quelle parole nella sua
testa, erano forse vere? Godeva davvero nel vedere Legolas con Laurel?
Gli piaceva? Come poteva capirlo? Non sarebbe mai venuto nessuno a
spiegarglielo. In quel momento, gli veniva così tanta voglia di
scrollarsi di dosso il mondo, stare da solo. L’ultima cosa che avrebbe
voluto affrontare era una battaglia. Singhiozzò in silenzio.
Ecco, lo sapevo! Ti
metti a piangere!
Lasciami stare, tu!
Mi fai solo del male!
Male? Io? Se ti
faccio male mostrandoti la verità allora con le menzogne come andremmo a
finire?
Io non ti ascolto
più.
Figurati! Forse è
perché ho toccato un tasto debole.. forse perché se ripetessi quella
frase sconnessa tu ti sentiresti ancora più confuso…
Quale frase
sconnessa?
“Ah…
Ah… Aragorn.. ah... ah..”
STAI ZITTO!
L’hai voluto tu.
L’ho voluto io?
Certo! Sei tu che,
sotto sotto, ci tieni al fatto che io ti ripeta quella frase.. e anche
molte altre, a dire il vero! Ti senti così colpevole e vittima allo
stesso tempo che non riesci più neanche a capire cosa vuoi o non vuoi.
Ti piace e ti fa paura. Devi prendere una decisione.
Perché parlava con sé
stesso? C’erano davvero dentro di lui due persone distinte ed in
contrasto? Aragorn ed Elessar? E allora quale delle due aveva ragione e
quale torto? Quale delle due meritava di soffrire e quale di gioire a
scapito dell’altra? Uscì di gran carriera dal portone di legno del
trombatorrione, sentendo l’aria fredda della notte colpirlo in faccia
come una frusta. Questo lo svegliò e smise di pensare. Perché nessuno in
quella fortezza pensava più.
Da lontano si vedevano
le fiaccole dell’esercito di Saruman, tremolare al forte vento che
preannunciava pioggia. Ancora un’ora e poi sarebbero stati sotto le
mura. Un’ora per prepararsi. Un’ora per preparare quella gente che poco
aveva combattuto, se non mai. Questo stava a scapito della gente di
Rohan. Perché il popolo veniva diviso: lavoratori e guerrieri. Ed i
Rohirrim, i guerrieri, appunto, ora stavano chissà dove capitanati da
Eomer, il fratello maggiore di Eowyn. Gandalf era andato a cercarli.. ma
se non fosse arrivato in tempo? E comunque chi l’assicurava che quei
cavalieri avrebbero fatto la differenza? L’uomo voltò il viso verso gli
elfi, che avevano iniziato a prepararsi tendendo le corde dei forti
archi di mogano e pioppo e lisciando le piume delle loro frecce.
Quei tre o quattro che
prima avevano parlato dell’amore del principe ora si erano divisi ed
ognuno badava alle proprie armi. Se non li avesse sentiti.. non sarebbe
venuto a conoscenza di nulla. E se non fosse venuto a conoscenza di
nulla non sarebbe stato lì a soffrire…
Provi rancore, grande
uomo?
No.
Ah, davvero? E come
mai?
Perché… lo amo. E
amandolo gli ho conferito la mia fiducia. Lui è libero di essere e se io
lo avessi incatenato a me, lui non risplenderebbe più. Se io lo avessi
legato, allora mi sarebbe sfuggito dalle mani molto prima e in una via
troppo dolorosa per tutti e due.
Ancora pensieri. Ma
questa volta era deciso. Se era Laurel che Legolas voleva, lui non
avrebbe detto nulla.
Ma che dignità hai?
Sei una mezza calzetta, una cartuccia vuota! Ecco cosa sei! Tu fossi un
vero uomo a quest’ora saresti infuriato con lui.. e invece? “Ti perdono,
amore mio perché ti amo”. Sei patetico. Mieloso. Sguaina quell’orgoglio
che tutti CREDONO tu abbia!
Aragorn si riscosse. In
un certo senso era vero. Che dignità dimostrava mettendosi da parte? Che
carattere scopriva di sé stesso lasciando il proprio amore ad un altro?
Va bene il perdono, va bene l’accettazione, la rassegnazione e la
benevolenza, ma non bisogna mai abbassare la testa quando si vuole
qualcosa, quando la si desidera VERAMENTE. Non dico che non si debba
guardare in faccia a nessuno, andare avanti travolgendo ogni cosa e
restare sordi a ciò che ci accade intorno, ma… se è vero che l’uomo è
fatto per il sacrificio, che l’uomo “è” perché vuole… allora come si può
sempre scansarsi e lasciar passare gli altri? Fino ad un certo punto
essere “gentili” va bene. Ma quando vanno tirate fuori le unghie,
bisogna farle risplendere.
E ciò avrebbe fatto. Le
urla sorde e rauche degli Huruk si avvicinavano sempre di più, come
suoni molesti e grida di corvi
Laurel si stese accanto
al suo principe, carezzandogli il ventre con una mano. Avvicinò il viso
al suo, respirando profondamente il suo profumo.
-Legolas…
mormorò. L’altro non
rispose. Teneva gli occhi socchiusi e respirava piano. Stava cercando di
ricordarsi dov’era. Perché quando stava con Laurel, in certi momenti,
tutto il mondo intorno non era che polvere inutile da spazzare via.
Stranamente dopo le sue storie si sentiva sempre così. Erano come un
sedativo. Lo facevano stare calmo e l’arciere sembrava sempre così…
invitante… Gli piacevano le sue storie perché quelle parole, quelle
frasi… davano tutto. Quelle parole erano vere, poetiche, sagge,
passionali, forti, costruite mattone dopo mattone, minuziose, accurate,
ricercate. Quelle parole erano verità, bugia, inconscio, credibili e
non, misteriose, affabili. E ogni racconto ne pullulava, vivo e pulsante
di parole, di sensazioni che carezzavano delicatamente la pelle
dell’Elfo, mentre le ascoltava.
Sembravano fatte per
lui. Alcune persone gli avevano detto che per ogni creatura, c’era una
cosa fatta proprio per essa, che le stava a pennello addosso e la
completava nei pezzi mancanti e nelle ferite. Quella “cosa” non è
proprio una persona. Le persone riempiono la metà corporea e anche
quella spirituale, certo, ma quella “cosa”, l’unica che davvero ti
spetta ti riempie dentro, in un modo che non è semplice descrivere a
parole. Quella cosa sei tu e lei è te. Una specie di “altro sé” in forma
diversa. Un qualcosa che parla a tutti, ma solo a te sussurra la verità
nell’orecchio, dolcemente, piano…
Laurel comprese al volo
che il principe era in attesa.
Ora puoi. Non lo
vedi? Lui è tuo.. non vuoi farlo andare via, no? Prima, quando gemeva il
nome di quell’umano.. tu cos’ hai provato? Faceva male, vero? Beh, non
vuoi certo provarlo ancora, no? Adesso hai la possibilità di stregarlo a
tuo piacimento. Puoi rivoltarglielo contro solo con le tue parole.
Vedrai come sarà dolce riuscire a riportartelo a casa con te.. di nuovo
follemente innamorato.. basterà un’altra storiella ogni tanto e lui
tornerà ad essere completamente tuo… avanti! Racconta…
Laurel osservò Legolas
ancora un po’. Bevve quell’immagine preziosa dell’amante, come si
potrebbe fare con un vino speziato e dolcissimo. Gli accarezzala morbida
curva del collo. Sì, doveva averlo. E quell’Aragorn non avrebbe potuto
fare più nulla contro di lui…
-Mio principe…?
Stelladoro si era
svegliato ed ora guardava l’angelo addormentato accanto a lui.
Abbandonato tra le lenzuola, la testa bionda giaceva sul cuscino con un
lieve sorriso sulle labbra, mentre le ali chiuse gli disegnavano il
profilo dei fianchi. Le mani affusolate erano poggiate sul petto e una
di queste stringeva il lenzuolo.
Laurel si fermò ad
osservarlo ancora, seguendone il respiro e carezzandogli il volto. A
quelle carezze, l’angelo aprì gli occhi. E fu come l’alba che rischiara
il cielo nero mentre il sole sorge. Il momento più bello della giornata.
Altri giorni
passarono nei giardini dell’Eterno e spesso Laurel si avvicinava al
proprio signore senza timore, per baciarlo. Ovunque egli fosse. Tanto,
non vi era nessuno pronto a contrastare il loro amore…
Così l’Elfo credeva,
ma così non fu. Purtroppo, in un giorno di pioggia, qualcuno bussò ai
cancelli d’argento ed il principe scese incuriosito ad aprire egli
stesso al nuovo arrivato. Questi era un uomo, in sella ad un cavallo
nero come la notte. L’uomo stesso era la notte, figlio di essa e di essa
messaggero. Era giunto ai cancelli dell’Eternità col proposito di
chiedere al regnate angelo di apprendere di più sul mondo e sull’antica
saggezza. L’angelo l’accolse caldamente, come si conviene fare con gli
ospiti più illustri, ma dopo pochi giorni di permanenza, l’uomo mostrava
già altri interessi. E Stelladoro l’aveva notato.
Gli occhi dell’uomo
non stavano quasi mai bassi sui libri, ma seguivano il principe ovunque
egli andasse, ne studiavano i morbidi movimenti e morbosamente lo
bramavano. Stelladoro cercò di avvertire il suo signore, ma la
goffaggine delle sue parole ebbe effetto contrario a quello sperato.
-Stelladoro, mio
caro.. non leggo forse nella tua voce un’ombra d’invidia? Sai bene che
il mio cuore ora è tuo e nulla potrà mai dividerci… perché sei così
restio ad accogliere il prossimo? Dovrei essere io a scansare la gente,
avendo passato gran parte della mia lunga esistenza in solitudine ed
invece sei tu quello che si allontana. Ora, ti prego… abbandona questi
tristi propositi e stai tranquillo per me..
Laurel chinò la testa
in segno di scusa, con l’amaro in bocca.
-E.. per favore,
Stelladoro.. potresti andare in biblioteca? Non sono sicuro di aver dato
tutti i libri al nostro ospite.. Così facendo magari cambierai idea su
di lui.
Gli sorrise il
principe. L’Elfo obbedì, lasciando di gran carriera il giardino per
precipitarsi in biblioteca. Come entrò fu estremamente sorpreso di non
trovare l’uomo seduto ad uno dei lunghi tavoli coperti di libri.. e nel
suo cuore s’annidò il sospetto.
Faceva bene
Stelladoro a sospettare, perché come l’Elfo si fu allontanato dal suo
signore, l’uomo si fece avanti. Era rimasto acquattato dietro un albero,
ad ascoltare le parole del principe. Uscì dal suo nascondiglio con passo
silenzioso, nella mano stretto un fazzoletto intriso di un liquido
inodore. L’angelo avvertì il rumore dell’uomo, che si schiarì la gola
per farsi notare.
-Oh, avevo appenda
mandato Laurel per…
iniziò l’angelo, ma
si bloccò trovandosi così vicino all’uomo.. Questi aveva un forte
profumo di bacche selvatiche, una fragranza pesante che il principe non
aveva mai sentito prima. L’uomo gli portò una mano al viso e poi la fece
scorrere sulla spalla dell’angelo, guardandolo con due occhi color
ghiaccio.
-Non è la vostra
sapienza che voglio…
mormorò con il suo
tono basso e rauco. L’angelo rabbrividì. Allora Stelladoro aveva
ragione… L’uomo lo strinse a sé, cacciando il naso sul collo del
principe ed inspirando quel profumo dolcissimo.
-Lasciatemi…
gli ordinò l’angelo,
ma quello lo prese per la vita, trascinandolo nella foresta più fitta.
Lì gli premette le proprie labbra sulle sue, baciandolo avidamente
mentre il principe cercava di liberarsi. Trovando resistenza, l’uomo gli
premette il fazzoletto sulle labbra e sul naso e l’angelo cadde drogato
ai suoi piedi. Con gesto rapido e crudele, l’uomo sguainò la spada e gli
tarpò le ali, ferendolo alla schiena. Così non sarebbe mai più tornato
indietro…
Lo avvolse in un
mantello nero e fischiò per chiamare il proprio destriero che arrivò su
zoccoli d’ombra. Attraversò il giardino aggirando la veranda e passando
per vie trovate di notte e segnate con rapidi gesti di ferro. Come fu ai
cancelli d’argento, sentì alle sue spalle il sibilo di una freccia mal
mirata che lo mancò di molto e rise avvertendo la presenza dell’Elfo.
Fece impennare il cavallo che, con gli zoccoli, spalancò le porte del
giardino dell’Eternità e si gettò fuori in una corsa fulminea, tenendo
stretto al petto il principe addormentato.
Laurel aprì gli occhi
(perché narrava sempre le sue storie ad occhi chiusi) E vide che Legolas
si era già alzato e rivestito.
–Perché… sei già pronto?
Chiese con un certo
rammarico.
-La storia non ti è
piaciuta?
Legolas si voltò verso
di lui, l’inferno che gli brillava nello sguardo. Ora aveva capito, ora
aveva scoperto cosa lo aveva indotto a ritornare a letto con lui
nonostante il suo cuore non provasse più alcun sentimento.
-lle nyaare kara-n-In
uu tanya! Ulka-le! Ta na ya kara meles le ! lle Furue !
(Le tue storie mi hanno fatto fare questo ! Maledetto! Erano
queste che m’inducevano ad amarti! Le tue menzogne!)
Aveva rovinato sè
stesso, aveva distrutto qualcosa che sentiva dentro, ovvero l’amore per
Aragorn.. per colpa di due parole sciocche e intrise d’inganno.
Laurel non potè
ribattere nulla. La cosa migliore da fare davanti alla verità è sempre
lo stare zitti.
-Perché? Spiegati, dammi
un motivo plausibile e minimamente accettabile che mi giustifichi perché
l’hai fatto!
Laurel tacque un poco,
poi alzò lo sguardo.
-Perché ti amo.
Sussurrò sconsolato. La
faccenda aveva preso una piega troppo complicata da gestire. Le storie
cadono, come le bugie. L’importante non è mai coprire l’accaduto, quanto
non venirne travolto.
-Bel modo di
dimostrarmelo. Sciocco io che ci sono cascato.
-Legolas,
tu non sai…
-NO ! Certo ! E non
voglio nemmeno sapere! Non voglio che un’altra sola, singola, inutile
parola esca da quelle tue labbra. Negromanzia! Non avresti potuto
scegliere arte più vile!
Legolas scosse la testa
e strinse la cintura di cuoio. Buttò uno sguardo fuori dalla feritoia
che fungeva da finestra. Vide l’orda di Huruk sempre più vicina. Si
diresse a prendere l’arco e la faretra, poi uscì, lasciando Laurel
ancora intendo a rivestirsi, una lacrima sulla guancia.
La notte era calata già
da un po’ e le nuvole che promettevano pioggia erano sempre più spesse e
gravose sul cielo nero. Sotto di esse, due eserciti si schieravano.
Legolas prese posto sulle mura merlate, tra gli arcieri di precisione.
Laurel era un arciere di portata e quindi non l’avrebbe incontrato.
Aragorn passò in rassegna tutte le file ed il suo sguardo deciso
incontrò quello di Legolas. Tremarono ambedue e cercarono di
trattenersi. Non c’era assolutamente tempo per le spiegazioni, ora. Il
tempo stringeva e la pioggia iniziava a picchiettare sulle armature
lucenti. Le urla degli Huruk si facevano assordanti.
La guerra stava per
iniziare.
-Buona fortuna, Aragorn.
L’uomo sorrise a metà.
Era giunto il momento per lui di usare quella rabbia repressa. Gli Huruk
urlavano in segno di sfida. Legolas si scosse un poco sotto la pioggia e
fece qualche cenno col capo ai suoi vicini, poi guardò in avanti.
L’Huruk alzò la lancia
al cielo. |