.|. Tourniquet .|.

3. Avaquette Nyaare, Raime Enyaliee (Storie Dimenticate, Memorie Inseguite

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Yaaresse… (C’era una volta)

I iirima haryion… (Uno splendido principe)

…che viveva pacifico nel suo reame d’alberi e foglie. Nessuno sapeva ove veramente fosse, sicché si sparse la voce che in quel regno si potesse trovare la felicità eterna. Per altri, invece, sotto le amorevoli cure del regnate si poteva guarire da ogni morbo e ferita. Le ragazze sognavano che tra le braccia di quel principe si potesse trovare l’amore eterno e l’eterna beltà.

Il regnante di quella terra meravigliosa viveva solo, e portava un nome bello quanto il suo viso: Lae-eg-ò-Lassea; il Governatore delle Foglie.

Principe dell’Eternità, egli aveva lunghi capelli biondi come l’oro, sfumati della luce delle stelle;lo sguardo fiero e forte come il mare in tempesta. Le sue labbra erano colorite del succo delle fragole e le sue guance morbide come la seta più fine. Il suo corpo perfetto era stato modellato nell’avorio più puro e la sua mente saggia godeva della benedizione di tutti gli alti Valar del cielo. Ora, starete pensando a lui come un principe bellissimo, ma normale nel suo genere umano. E invece no, poiché il figlio della luna aveva un bellissimo paio d’ali candide come i fiori d’arancio, che gli spuntavano dalle spalle e formavano su di lui uno splendido mantello piumato. Ma dietro quell’apparenza serena che molti, sulla terra, veneravano e dietro quella regale maschera di gioia, si celava invece l’ombra grigia di un dolore: la solitudine.

“Nel mio giardino i fiori sbocciano a mio comando ed ogni cosa risplende dei riflessi dorati del sole… ma non c’è nessuno all’infuori di me…”

Certe sere, quando il sole baciava rispettoso il balcone d’avorio della stanza del principe, egli si stringeva nelle ali, chiuso come in un morbido bozzolo bianco e si lasciava andare a strani pensieri, di come sarebbe stato bello se avesse potuto trovare qualcuno che gli facesse compagnia.

“Di sicuro i tramonti avrebbero nuova luce se con me ci fosse qualcuno ad ammirarli.. ed i fiori avrebbero fragranze nuove se qualcuno me li facesse riscoprire…” sospirava.

Un giorno, quando il sole sanguinava più del solito sulla scia dell’orizzonte e la luna sembrava più grande della terra stessa, il principe prese una decisione. Con la complicità del buio scese le ripide scale del suo regno e ne chiuse i cancelli d’argento, lasciando a guardia del suo mondo un falco dalle grandi ali color della pece. Fatto ciò,calò sul suo bellissimo viso un cappuccio trapunto di stelle ed aprì le ali, lasciandosi planare verso la Terra.

Quando i suoi piedi toccarono il suolo, l’alba era appena spuntata ed illuminava le fronde del bosco tutt’intorno, gettando ombre di luce sulla pelle chiara del principe. Stranamente, si sentì come a casa, circondato da grossi alberi secolari, con l’erba verde che fungeva da soffice tappeto.

Dopo circa un giorno di cammino, il principe iniziò a perdere la speranza. Sole e Luna gli avevano narrato di un mondo popoloso, dove splendide città gremite di gente s’alternavano a sconfinate campagne e boschi ombrosi. Che fosse tutta una menzogna? Mentre era assorto in quei suoi pensieri sentì un fruscio alla sua destra, proveniente dal bosco più fitto. Il suo cuore ebbe un balzo e tutto il suo essere pregò perché incontrasse una persona. Quando si voltò, non vide nulla. Strinse le ali intorno alle proprie spalle e decise di farsi largo tra le fronde ombrose e cariche di rugiada. Sguainò la spada lucente dal suo fodero d’oro e si fece largo, scostando amorevolmente i rami per non infierire ferite gli alberi. Solo i rovi non lo lasciarono passare, e le loro spine gli ferirono le belle ali bianche, ma il principe andò avanti. Poco dopo, si presentò ancora quel rumore, che nell’oscurità del sottobosco si era fatto quasi viscido, come un sibilo misto a rami spezzati e lo strisciare sopra le foglie marce che tappezzavano la terra.

Non poteva essere un umano.

Qualcosa, nella mente del principe, gli consigliò di rinfoderare la spada e prendere l’arco d’oro che teneva alla schiena. Prese una freccia d’ebano dalla faretra ed avanzò in difesa.

Il rumore si faceva forte e pulsante, come un cuore gocciolante acqua che si fosse insidiato tra gli alberi. Il principe si fermò in una piccola radura circondata e coperta da alberi dai tronchi neri. Sotto i suoi piedi la terra bagnata stagnava come un acquitrino. Abbassò l’arco.

Come ad un segnale, un gigantesco mostro si gettò su di lui dall’alto, grondante bava sanguigna e pioggia, cercando di disarmare lo splendido angelo coi suoi lunghi artigli di ferro.

Il principe si trovò sopraffatto da quell’orrida creatura e nel buio non riuscì a distinguerla. Quella lanciò un grido che risuonò terrorizzante come ferro che stride su altro ferro. L’angelo s’accorse che quegli artigli orribili gli avevano slacciato la cintura bianca dalla quale pendeva la spada e allora aprì le ali in tutta la loro ampiezza, invocando a sé tutta la luce possibile. La creatura rimase accecata ed indietreggiò urlante alla vista di quell’essere bello quanto pericoloso per lei. I loro sguardi s’incontrarono e la creatura rimase stregata da tanta maestosità, che finì con l’innamorarsi perdutamente di colui che aveva cercato di uccidere. S’ammansì come un cane quando scorge il suo padrone e lanciò qualche uggiolato in segno di scusa. L’angelo chiuse le ali e tese una mano verso l’animale. Nonostante fosse sporco di fango e bava della bestia, il suo fascino fu come la luce lontana di una stella e quella s’avvicinò. Lasciò che lui le carezzasse la grossa testa pelosa e chiuse tutti e dieci piccoli occhi di cui disponeva, ritirando le zanne dentro la propria bocca.

“Chi sei..?”

le mormorò il principe con un tono calmo e sensuale. La creatura fremette a quelle parole.

“Io non ha nome. Sono chi, che vive nell’ombra di bosco e che si nutre da luce, ma ella teme.”

Rispose con quella sua voce roca e stridula, cercando di esprimersi nella lingua dell’angelo. Il principe sorrise.

“E’ tardi, amica mia, per riprendere il mio viaggio. Potrei restare, stanotte, qui?”

la creatura annuì e subito compì un grosso balzo con le sue grosse zampe di ragno pronta a tessere un’amaca sospesa tra due rami robusti. Il principe posò le proprie armi ai piedi del grande albero e sorrise benevolmente al mostro. Dentro di sé, però, una voce gli diceva che non v’era da fidarsi tanto di una creatura del genere e prese una freccia dalla faretra, nascondendola tra le pieghe della veste.

S’abbandonò, stanco e bellissimo, sull’amaca, rivolgendo un ultimo sguardo in alto, dove  dovrebbe esserci stato il cielo e sospirò, cadendo profondamente addormentato. Le belle ali bianche formavano una coperta piumata sul suo corpo e teneva una mano poggiata sul petto, che s’alzava e s’abbassava in un respiro calmo.

Il mostro si avvicinò, sospeso su di lui e ne osservò i dolci lineamenti del viso, bevve la luce dei suoi capelli e desiderò avidamente il possedere quelle labbra di fragola e quel corpo splendido. Dentro di lei, s’annidò un’ombra di mero desiderio che la spinse ad infrangere la pace nei confronti del Principe angelo. Allungò verso di lui due lunghe zampe e gli scostò la tunica da sopra una spalla, annusando febbrilmente il profumo di quella pelle chiarissima. Il principe, nel sonno, emise un lungo gemito ed il ragno fremette. Desiderò che il principe gemesse ancora, ma quello rimase zitto e pacifico nel suo sonno angelico. Il mostro allora desiderò di tenerlo per sempre in quel sonno, così che lui potesse essere suo per tutti i suoi giorni e potesse amarla senza vederla in volto. Iniziò allora con l’avvolgerlo nella sua ragnatela bianca di bava,ma quando arrivò al petto del principe un Corvo gracchiò sonoramente.

“Cra Cra!” urlava con la sua voce roca “Cra! Sei a conoscenza dell’infausto tradimento che stai compiendo, o mostro?”

Il grosso ragno si voltò di scatto verso il corvo, con gran fiele in corpo.

“Sciocco pennuto! Gridando così finirai con lo svegliare il mio amore! Egli è mio: s’è fermato qui e qui rimarrà finché sarà mio desiderio!”

gli rispose, ma il Corvo continuò.

“Cra! Cra! Così facendo stai andando incontro alla morte! Cra! Quando egli si sveglierà ti ucciderà! Lascialo andare e ringrazialo solo di non averti ucciso al primo istante!”

Ma, purtroppo per il Corvo, quello fu il suo ultimo gracchio, poiché la bestia-ragno lo afferrò con la sua ragnatela di bava e lo strinse fino a fargli gocciolare sangue come fosse stata una spugna.

Il corpicino del pennuto cadde a terra con un tonfo sommesso. La bestia si voltò verso il principe e sentì il sangue accelerarle nelle vene, vedendo l’angelo sveglio e vigile, con uno sguardo d’accusa puntato fisso su di lei.

Il ragno lanciò un grido ed aprì le fauci, tirando fuori le zanne nere e scattando contro l’angelo con due zampe di ferro. Ma quando fu sopra di lui con l’intento d’ucciderlo, sentì una lama trafiggerle il ventre e penetrare in profondità, fino a trapassarla. Dalla ferita sgorgò sangue nero e denso come catrame, che, acido, andò a sciogliere la gabbia di ragnatela del principe, il quale si liberò spalancando le ali. Il ragno si contorse mostruosamente in uno spasimo, lanciando gemiti convulsi e striduli.

L’angelo allora levò l’indice contro di lei.

“Tu hai tradito la mia fiducia, mostro!”

la accusò e così dicendo inondò la radura di una grande luce, accecando il ragno ferito a morte per vederlo bene. Il mostro era, in tutto e per tutto, un grosso ragno peloso e nero, con otto grosse zampe di ferro ed il ventre grosso di bava.

“Non.. non ucciderme…! Non ucciderme…!”

lo implorò, vigliacca.

“Non tu ucciderò, mostro, ma la freccia che hai in corpo rimarrà per sempre e ti ferirà ancora di più ad ogni tuo respiro, senza mai ucciderti. Spenderai la tua esistenza nel dolore, pentendoti delle tue azioni. Da ora, tu sarai Ungweliante, Colei che è destinata a soffrire. Ora anche tu sei una creatura, ed hai un nome. Ritirati nella tua fetida tana e non rimettere mai più piede qui!”

le comandò. Ungweliante obbedì terrorizzata, strisciando e gemendo nella corsa verso il suo cunicolo buio. Così fatto, il principe discese dall’amaca oramai sciolta e raccolse il corpo del Corvo, al quale doveva la vita. Pianse sommessamente per la sua anima, quando un tumulto scosse il piccolo petto dell’animale che riaprì gli occhietti neri e sgranchì le ali, sbattendole lentamente e sollevandosi dalle mani misericordiose del principe.

Questi prese l’arco d’oro ed incoccò una freccia. Mirò con attenzione verso l’alto e lasciò vibrare la corda tesa.La freccia s’incastrò con precisione al centro della cupola di rami oramai morti. Al tocco della freccia, i rami si diradarono aprendosi all’alba nascente e bevendone la luce come acqua piovana. Le foglie morte ritrovarono vigore e gli alberi sentirono la linfa verde di nuovo scorrere nei loro tronchi anneriti.

Ma il Principe se n’era già andato.

Camminò ancora, ritornando alla ricerca di un’umana compagnia. Addosso a lui ancora la sozzura del sangue del ragno, e il fango e la bava viscida. Arrivato alla sponda di un lago, sorrise tra sé e sé. Appoggiò le armi lucenti sotto un albero e s’immerse con veste e tutto, sentendo la fresca beatitudine dell’acqua. Quando le vesti si furono pulite, ritornò a riva e le appoggiò su di un ramo ad asciugare, mentre la splendida spilla che le teneva unite riluceva ai raggi del sole.

Così, splendidamente svestito, ritornò alle acque del lago, immergendosi nuovamente ed aprendo le belle ali perché si pulissero dalle macchie d’ombra. Rimase lungo tempo a mollo, come un bambino che non vorrebbe più uscire dal proprio bagno. Mentre lisciava accuratamente le penne delle proprie ali, gettò uno sguardo ai propri averi, sotto l’albero e scorse un’ombra accanto a loro. Si allarmò e si alzò dalle acque, aprendo le ali per incutere una certa soggezione a chiunque si fosse avvicinato. Le piume ancora gocciolanti sparsero tutt’intorno all’angelo una pioggia di gocce che rilucerono dei colori dell’iride.

L’ombra rimase pietrificata un po’ per la paura d’esser stata scoperta, un po’ perché era stata rapita dalla magnificenza di quella visione. Il principe uscì dall’acqua, nascondendo la propria nudità con le ali bianche. L’ombra apparteneva ad un ragazzo, che indossava una giacchetta viola sopra un paio di calzoni dello stesso colore, stretti nei grossi stivali di cuoio. Teneva i lunghi capelli neri legati in una coda mentre alcune ciocche gli si arricciavano dietro le affusolate orecchie a punta.

“Chi siete voi, che vi avvicinate al mio incustodito tesoro?”

domandò il principe. L’Elfo fece un passo indietro senza parlare,le labbra sigillate dalla soggezione verso quella figura così splendida. Allora, il principe si avvicinò alla propria veste candida e finalmente asciutta e si rivestì, appuntando la spilla sulla spalla sinistra.

“Avanti, non temete. Non mangerò né voi né il vostro nome, se me lo direte!”

scherzò sorridendo affabilmente. Il ragazzo sembrò calmarsi.

“Il mio nome è Laurel, mio signore.”

Mormorò abbassando lo sguardo in un mezzo inchino.

“Stelladoro… e ditemi.. cosa v’ha spinto ad avvicinarvi?”

la domanda risultò un po’ strana alle orecchie dell’Elfo. Che intendesse far venire a galla uno sbagliato doppiosenso? Però.. quello sguardo era così dolce, il sorriso così puro… Anche se avesse risposto che era venuto per spiarlo (cosa non vera, ma che poi si era sostituita al motivo effettivo) non si sarebbe sentito così colpevole…

“Sono un guerriero.. o meglio… una s-s-semplice recluta. Mi ha attirato lo splendore delle vostre armi…”

balbettò leggermente ed avvampò in volto. L’angelo sorrise ancora. Si chinò e prese l’Arco d’oro, la faretra e la spada.

“Non pensavo che queste tre cose potessero suscitare tanto imbarazzo…”

scherzò riferendosi al rossore dell’Elfo che si sentiva esplodere dalla vergogna. Il Principe sguainò la spada sottile e poi rivolse lo sguardo al ragazzo. Uno sguardo luminoso come l’acqua sotto i raggi del sole.

“Puoi prenderle tu, se ti piacciono così tanto.”

Disse. L’Elfo spalancò i grandi occhi scuri.

“Dite sul serio? Oh.. non mi capaciterei mai di privarvene… Io…”

“Non devi preoccuparti di nulla. Tieni.”

E così dicendo rinfoderò la spada e gliela porse, insieme con l’arco e la faretra. L’Elfo sembrava sul punto di saltargli in braccio dalla gioia.

“Non.. non so come….come ripagarvi…sire..”

l’angelo lo guardò negli occhi, quasi bevendo la felicità dell’altro. Finalmente avrebbe potuto chiedere..se…

Vieni, vieni con me nel mio regno ch’è sempreverde, accompagnami fino ai cancelli d’argento e dimora con me nell’eternità… Pensò. Quando stava per chiedergli ciò, dalla strada maestra provenne un gran trambusto ed apparvero altri Elfi abbigliati come Laurel, che cavalcavano alti destrieri dal manto color corteccia. Uno di questi teneva un altro cavallo per le briglie, probabilmente quello dell’Elfo. Il principe ebbe un tuffo al cuore. Non voleva farsi vedere da troppe persone. Quella strana sensazione di sentirsi diverso l’aveva pervaso in ogni dove e provava timore nel mostrarsi a così tante persone.

“Mio signore, io…”

iniziò l’Elfo osservandolo, ma l’angelo si appiattì contro il grosso ramo chiudendo le ali intorno a sé.

“Laurel! Sbrigati che siamo in ritardo per la marcia! Poi diamo la colpa a te di fronte al Mektar!” (Il Mektar è il maestro di Spade, colui che ha il compito di allenare le giovani reclute alle arti della guerra) L’Elfo rivolse uno sguardo all’angelo, che tratteneva il respiro per non farsi vedere.

“Mio signore…?”

“Vai… Vai, dolce Laurel… io proseguirò per la mia via…”

“E’ un addio?”

chiese dolcemente l’Elfo. Ancora non conosceva bene quella creatura meravigliosa, ma sentiva dentro di sé il forte desiderio di rimanergli accanto.

“No, Laurel. Ma ora vai… e possano i Valar illuminare la tua via…”

Il ragazzo lo guardò un’ultima volta, esitante ed il cuore gli si fermò in petto quando avvertì una mano del bellissimo principe sulla guancia. Il loro fu un contraccambiarsi di sguardi che parve durare un’eternità. Stava trascorrendo uno di quei momenti in cui il mondo intorno s’annulla e le uniche due persone sulla terra sono l’una di fronte all’altra, incuranti di tutto. Perché si bastano e non v’è null’altro che li possa distrarre o dividere.

“Laurel! Allora? Guarda che scendo da cavallo! Che diamine ci fai lì? Chi c’è con te?”

insistette uno dei compagni. Il principe voltò la testa ed abbassò la mano.

“Grazie ancora, mio sire…”

mormorò l’Elfo e si decise ad andarsene. Montò a cavallo con gesto rapido, sfoggiando le belle armi d’oro. Quando il gruppetto era oramai infondo alla strada, l’angelo uscì dal suo nascondiglio per seguire con lo sguardo la prima persona con la quale aveva parlato in tutta la sua vita. Da lontano, Laurel si voltò indietro e vide il suo principe alzare una mano verso di lui in cenno di saluto.

Ma dentro di loro, nessuno era triste. Sapevano con certezza che si sarebbero presto incontrati di nuovo. Bastava solo saper aspettare. Solo aspettare.

 

Aspetta, piccolo bambino indeciso.. aspetta… vedrai che questo dolore passerà. Ogni dolore passa, anche quando è così forte. Piccolo ragazzino impaurito, aspetta.. non piangere.. non di nuovo… Chiudi gli occhi…

Legolas si strinse nelle spalle, sempre più piccolo in quell’angolo. All’orizzonte che si tingeva di rosso scuro si stagliava una strana ombra nera, brulicante e battagliera. Cos’era? Ma no, non gl’importava. Aveva un altro pensiero per la testa.

Perché? Perché questa fiaba mi è ritornata alla mente? La persona che me l’ha narrata… non.. non voglio ricordarla mai più. Mi sono giurato di non pensarci più, ma… Ma come posso dimenticare… come posso scordarmi di lui?

Il mio primo uomo. La prima persona della quale mi sono innamorato in tutta la mia esistenza… Lui…

Alzò lo sguardo ancora una volta verso l’orizzonte lontano.

Non posso scordarmi di lui, che ha plasmato il mio carattere e… il mio corpo…

Scostò un poco il polsino di cuoio dal proprio polso destro. Si guardò la mano, rigirandosela per guardare bene il palmo. Nell’angolo del polso che dava verso di sé stava un piccolo segnetto, quasi una puntura di vespa, un neo innaturale tracciato con un inchiostro strano. Rimaneva per sempre.

“L’avremo tutti e due. Io nel polso sinistro e tu in quello destro. Così nessuno lo vedrà, ma noi sapremo che ci sarà sempre. Come il nostro amore…”

Legolas aggrottò la fronte e rimise il polsino di cuoio al suo posto, quasi con cattiveria, mentre nel cuore dimorava la delusione.

“Sono sempre io quello che deve perdonare! Sempre io quello che deve capire! Quand’è che sarai tu a dover capire e perdonare me? Quando accadrà? Probabilmente sarò già nelle Terre Immortali quando TU imparerai… ed io… non voglio aspettare tutto questo tempo. Fa male. Non posso sopportare un dolore simile così a lungo. Non me ne capacito.”

Tutte quelle voci, quelle parole, improvvisamente turbinavano nella sua testa… quei momenti… Aragorn…

Quel nome apparì senza una ragione, un intruso ostinato dentro un concetto che nulla aveva a che fare con lui. O forse si?

“-Ilu! Ilu…. I kyer le! Hauta le! Ilu! En-ilu! (No.. no… ti prego fermati! No! Basta!)

-Le voite hanya! I laume hauta tenna le… (Devi capire ! Non mi fermerò mai finché tu…)”

Era finita allo stesso modo. Per un motivo o per l’altro. Forse era colpa sua? Forse era lui la causa di tutta quella sofferenza? Era lui stesso l’autore del proprio dolore? E se così fosse stato, avrebbe potuto porvi rimedio?

 

Aragorn s’allacciò la cintura di cuoio e si coprì con la palandrana nera. Gli era venuto freddo d’improvviso. Oh! Come l’avrebbero scaldato le braccia di Legolas intorno alle spalle… aveva avuto un strano atteggiamento. Che gli avesse fatto male? Forse avrebbe dovuto avere più tatto e non trascinarlo direttamente a letto.. Eppure lo voleva così tanto, e lo voleva tutt’ora. E pensare che gli sembrava gli fosse piaciuto, quando aveva urlato e gemuto così forte.. si era aggrappato a lui.. Che fosse stata la scoperta che Arwen sapeva tutto a turbarlo? Impossibile, glie ne aveva parlato solo dopo e lui già era desolato… Aprì la mano in cui stava racchiusa Evenstar. Non gli era mai parsa così opaca. Non brillava quasi più.

-Sire Aragorn.. Re Theoden vi attende…

lo avvertì Eowyn affacciandosi alla porta. In un primo momento, a causa dei capelli biondi, Aragorn l’aveva creduta Legolas e sarebbe stato certo meglio. E invece ora lo attendeva una lunga e tediosa discussione su come salvare la gente di Rohan. Più che il popolo, ad Aragorn premeva la vita di una sola persona.

Eowyn lo condusse nella Sala Grande del Trombatorrione e lì Theoden con i suoi due generali lo attendevano. Avevano tutti e tre un’aria tesa e scura, come se una nuvola stazionasse sopra le loro menti di abili strateghi militari.

-Sire Aragorn, Hama mi ha portato or ora brutte notizie…

iniziò il re e Hama si fece avanti.

-L’esercito di Huruk proveniente da Isengard si sposta velocemente verso di noi. Tra quelle che noi abbiamo stimato quattro ore, saranno qui davanti alle mura.

Aggiunse con aria greve.

-Quanti sono?

Chiese Aragorn. Tanto per far credere loro che gl’importasse qualcosa.

-Circa diecimila tra Huruk e Orchetti di sostegno.

Aragorn scosse la testa fingendo un atteggiamento preoccupato. Mille o diecimila o infiniti che fossero, nelle sue vene pulsava il dispiacere per aver ferito Legolas ed averlo privato della sua fiducia in lui. L’avrebbe mai perdonato?

-Siamo troppo pochi per affrontarli senza soccombere…

aggiunse il secondo generale, Gamling.

-Troppi o troppo pochi che siamo, dobbiamo affrontarli. Non c’è via di fuga da qui.

Sentenziò Aragorn. Aveva deciso di trasporre tutto il suo dispiacere e la sua fiele in quella battaglia e in tutte le decisioni a lei annesse. Sarebbe stato meglio che rodersi dentro a quella maniera.

-C’è un cunicolo che si snoda tra le grotte… porta esattamente oltre le montagne, al Dunclivo sud…

lo informò Hama. Aragorn scosse la testa.

-No, no! Se gli Huruk vengono da Isengard a tale velocità, allora poco impiegherebbero ad attraversare la Breccia di Rohan per andare a prendere chi passa di là ! Non possiamo lasciare nessuno allo scoperto.

Poi si rivolse con voce decisa a Theoden.

-Non vengono qui per conquistare e sottomettervi. Vengono per sterminarvi. Vogliono vedere tutta la gente di Rohan in un bagno di sangue e nient’altro. Quello che dobbiamo tentare di fare è scacciarli dalle donne e dai bambini.

Theoden annuì, poi si rivolse ai due generali.

-Così tenteremo. Andate tra i paesani e prendete con voi chiunque sia in grado di maneggiare un’arma. Le donne ed i bambini più piccoli, gli infermi e gli incapaci portateli nelle grotte sotto il Trombatorrione. Se riusciremo a non far penetrare quell’armata bestiale, allora saranno salvi.

I due generali chinarono la testa in un mezzo inchino e lasciarono la sala. Theoden guardò Aragorn con fermezza.

-Avremo tutti bisogno di te. Vai a prepararti. Confido negli Dei degli Elfi.

-Più che nei Valar, confida nella forza del tuo popolo, mio sire.

Lo incoraggiò l’uomo, che scese nelle sale dove già tutti gli uomini ed i ragazzi si raggruppavano per essere armati.

Devo essere forte per me e per loro. Devo credere in loro. Devo credere.

 

Legolas avvertì il fermento nella gente, sotto le mura e si alzò dal suo angolino: gli uomini venivano reclutati, ed insieme a loro anche i ragazzini più robusti, mentre le donne ed i bambini venivano portati dietro spesse porte di legno scuro. Gli venne in mente, invece, l’organizzazione ferrea degli Elfi. Non si usava mai mandare in guerra i giovani più piccoli: ogni uomo che si rispettasse era addestrato alla guerra e valeva quanto una macchina fatale di morte. Neanche nei casi più critici vi era il bisogno di reclutare bambini. Questi umani ricevevano armature a caso, tanto per proteggersi e le loro spade venivano prodotte quasi in serie, ognuna fatta per ferire. Ogni guerriero elfico, invece, aveva un’armatura forgiata su misura per il proprio corpo, con lo stemma del proprio signore. Le armi erano di una persona sola e potevano solo venire prestate per le gare ed i duelli, ma mai usate da altri per le battaglie. Una spada era fatta per servire il suo possessore, per mirare bene ed uccidere nel minor lasso di tempo possibile. Persino gli archi e le frecce venivano calcolati in base all’altezza del guerriero, alla forza del braccio e alla portata. Nessun arco era uguale ad un altro. Nessun guerriero era come il compagno.

E poi il rigore, la disciplina. Un Elfo non necessitava di un allenamento particolare per rispettare il Rigore Militare comune. Quando c’era da ubbidire, lo si faceva nel più assoluto silenzio. Raramente vi erano invidie e discordie in un esercito Eldar. A tutti sembrava più che inutile il discutere sul “perché ci fosse quel generale e non quell’altro”. Se era stato mandato Tizio o Caio non importava: un perché ed un percome c’erano di sicuro. La lotta era per uno scopo unico: il proteggersi ed il sopravvivere. Si poteva pensare a qualsiasi cosa: al potere, al signore della terra, alla propria patria, alla donna amata.. e si combatteva per quello. Un “mi fido di te e ti difendo” che bruciava nei cuori ardimentosi dei combattenti . La lotta era la dimostrazione del Valore, della Fiducia e dell’Onore. Niente “Potere e Potenza”, niente manie di grandezza. Solo un’esistenza dignitosa. Assorto in questi pensieri, Legolas ricordò i giorni che aveva passato al campo militare, allenato al tiro con l’arco come solo i principi potevano essere. E poi, quand’era piccolo, suo padre già gli narrava di epiche battaglie e scontri all’ultimo sangue, a volte facendolo rabbrividire e nascondere sotto le coperte del lettone; altre,invece, il piccolo Legolas si drizzava a sedere ed allungava le orecchie, attento ad ogni parola e gesto del nobile padre, imitandolo e gioendo o rattristandosi per ogni vittoria o sconfitta.

D’un tratto, un rumore fortissimo lo svegliò dai suoi ricordi di sogno. Un suono rimbombante per tutta la vallata. Poi ci fu una pausa ed il silenzio parve come una voragine di nulla. Ancora quel suono maestoso… Dal lato opposto dove era tramontato il sole, apparve un’ombra che gettò al vento ancora il suo garrito. Un corno.

-Eldar!

Gioì Legolas drizzandosi in piedi. Un ultimo raggio di sole morente si stagliò tra le montagne, andando ad illuminare di scintillii lontani le armature dorate di un piccolo esercito in fila rigorosa, capitanato da un Elfo a cavallo.

Legolas si fiondò giù per le scale ed entrò con prepotenza nel trombatorrione dove trovò Theoden ed uno dei suoi generali.

-Gli Eldar! Sire Theoden, un esercito è arrivato in nostro aiuto!

Il viso corrucciato dell’uomo si aprì in un’espressione di sorpresa. Il generale corse al piano inferiore, nell’armeria a dare la buona notizia. Tutti i capi principali dell’esercito (più il capo fabbro che non era un grande uomo di cultura, ma che voleva far valere il proprio lavoro) si ritrovarono sulla scalinata davanti alle porte delle mura ad accogliere l’esercito Elfico. Anche Aragorn. Legolas non gli rivolse lo sguardo.

Il capitano scese da cavallo e si rivelò da sotto il rosso cappuccio.

-Sire Theoden… Legolas.. Estel…

rivolse I propri saluti.

-Maegovannen, Haldir ò Lorien!  (Benvenuto, Haldir di Lorien!)

gioì Aragorn. Legolas si limitò a sorridere, ma fu uno di quei suoi sorrisi luminosi quanto l’alba primissima del giorno.

-Tempo fa tra uomini ed Elfi era stata pattuita un’alleanza. Siamo qui per conto di Elrond di Imaldris.. e per tenere fede a quel giuramento.

Si presentò gloriosamente Haldir, mentre l’esercito alle sue spalle si posizionava in segno di saluto al Re Theoden, tutti in fila ed immobili come statue di sale.

Subito, l’esercito ausiliario fu fatto entrare nelle mura ed Haldir diede disposizioni perché si sistemassero sulle mura merlate i tiratori di precisione, mentre i tiratori di maggior portata dovevano appostarsi dietro le mura. Il popolo di Rohan si stupì e mormorò esclamazioni di ammirazione nel vedere quei guerrieri perfettamente organizzati, anche nei respiri, disposti silenziosamente in file perfette, i grandi archi di legno e oro tenuti nella mano sinistra ed usati come stendardi di potere.

Legolas sorrise nostalgico ed un po’ invidioso, ricordando il suo piccolo arco che stava nella stanza di Aragorn.. così smilzo in confronto a quelli da battaglia che anche lui aveva usato contro le Ungoliante.. A proposito di arco.. se l’era scordato e voleva far vedere quanto fosse anche lui desideroso di battaglia,perciò si affrettò a tornare nel trombatorrione per riprenderlo. Entrato nella stanza di Aragorn,lo trovò appoggiato accanto al giaciglio insieme con la faretra. Prima di prenderlo, diede un’occhiata al saccone di paglia e alle lenzuola scombinate e sentì ancora su di sé quel dolore improvviso.

Con un rapido gesto della mano, scacciò da sé quel pensiero, quando sentì un fruscio sommesso dietro di sé.

-Le avaquet a panta len raamae… haryon in? (Ti sei dimenticato ti aprire le ali, mio principe?)

Il cuore di Legolas gli si fermò nel petto ed ogni cosa sembrò crollargli addosso. Quella voce.. come poteva dimenticarla? Si voltò lentamente. Un Elfo stava in piedi alle sue spalle, armato di tutto punto, con l’elmo d’oro in testa. Portò due mani guantate al viso e si sfilò l’elmo. Una cascata di capelli neri come la notte gli ricadde sulle spalle e qualche ciocca gli finì davanti al viso. Se le scostò con uno sbuffo e tornò a fissare Legolas con due occhi scuri e profondi. Sul viso ovale, le labbra sembravano dipinte in un sorriso, mentre il suo sguardo s’addolciva di una nota di nostalgia.

- Er le avaquet le mool anta.. ? (O Hai scordato il viso del tuo servitore ?)

-… Laurel…

sussurrò Legolas con voce strozzata dalla paura, ma anche dalla commozione. Il suo parve un sibilo del vento.

-Legolas…

l’Elfo lo guardò con gli occhi umidi di nostalgia e di desiderio. Lentamente gli portò una mano alla guancia ed il cuoio freddo fece rabbrividire Legolas. Sembrava che tutto fosse in bilico su una corda di violino. Un solo respiro sarebbe bastato e l’incanto si sarebbe rotto.

Legolas fece per indietreggiare, ma Laurel fu più veloce e lo strinse in un abbraccio quasi disperato. Legolas si sentì come morire, tra quelle braccia che così tante volte l’avevano stretto. Si abbandonò completamente a quell’Elfo, quasi svenendogli addosso, inebriato dal suo profumo dolcissimo come nettare. Laurel lo strinse con tutta la forza che aveva in corpo, immergendo il viso tra i capelli del compagno e perdendosi in quel calore meraviglioso che il principe gli dava. Come per errore, caddero bocconi tutti e due, ancora stretti l’uno all’altro. Eternamente indissolubili. Fu Legolas a sciogliersi da quell’abbraccio, scivolando dalle braccia dell’Elfo.

-Ulka-le! I nyarya an-In a ilata keena le ! (Maledetto! Mi ero giurato che non ti avrei mai più visto!)

gli gridò contro, infuriato, con delle grosse lacrime agli occhi. Laurel si sporse in avanti verso di lui, togliendosi il guantone di cuoio ed accarezzandolo, o almeno provandoci dato che dovette combattere contro la mano di Legolas che cercava di scacciarlo. Alla fine il principe cedette e si lasciò prendere il viso tra le mani.

Laurel lo guardò intensamente, fece scorrere le sue mani sul collo dell’Elfo, poi sulle spalle ed infine gli bloccò i polsi. Con un gesto fulmineo riuscì a fargli posare la schiena a terra e fu sopra di lui, intrappolandolo in un bacio. Legolas cercò di divincolarsi, poi, però, tornò il ricordo di quel sapore così dolce… Laurel gli aprì le labbra lasciandovi scivolare la lingua in mezzo, incontrando Legolas che sembrava non avere più forza di volontà. Anzi, sciolse i polsi e si divincolò dalla presa dell’altro, pendendogli il viso tra le mani e tirandolo a sé con vigore, sedendosi accanto a lui, le gambe piegate leggermente aperte. Si avvicinò all’altro Elfo, facendo scivolare le proprie mani fino alle borchie di ferro che tenevano il mantello fermo e le slacciò, mentre il grosso tessuto scuro si spandeva a terra. Laurel afferrò Legolas cingendogli i fianchi con le braccia, spingendolo verso l’alto. Si strinsero, inginocchiati a metà, l’uno premuto contro l’altro, presi da un desiderio incredibile. Legolas staccò le labbra da quelle dell’altro e ne carezzò il viso con due dita, piegandolo di lato per poi baciarlo ancora. Laurel mise le mani in avanti, premute contro il ventre di Legolas, facendole scendere verso il basso…

Legolas si staccò dal loro bacio, gettando al testa all’indietro, preso da un gemito convulso di piacere e foga. Allora l’arciere ne approfittò per sbilanciarlo all’indietro, le gambe semiaperte. Si stese sopra di lui mentre sentiva l’armatura che si allentava dal suo corpo e sentì le mani di Legolas armeggiare coi forti lacci di cuoio che glie la tenevano legata ai fianchi. Ancora follemente innamorato di lui, lo baciò per la terza volta, portò le mani dietro la sua schiena,sollevandolo un poco. Percorse i fianchi dell’Elfo ed arrivò alle gambe strette nella calzamaglia. Glie le divaricò ancora, ponendosi sopra di lui con forza. Sul pavimento freddo, i capelli dei due si confondevano come luce ed ombra mentre, ancora stretti e presi dal desiderio improvviso, i due Elfi si baciavano.

-Ta na i Legolas I hanya.. (questo è il Legolas che conosco…)

mormorò Laurel in un gemito sommesso. Portò le mani al collo di Legolas, iniziando a slacciare i bottoni della casacca e baciandone il collo disteso. L’Elfo poggiò la mano sinistra sulla guancia di Laurel e con la destra gli teneva fermo il capo, mentre il soffitto davanti ai suoi occhi si confondeva in un’ombra indistinta.

-I…le… moka.. Laurel.. (Ti..odio..Laurel..)

-Man..? (Cosa?)

Laurel si alzò su Legolas, guardandolo stupito e portandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli color ebano.

-I le moka, Ulka-le!(Ti odio, maledetto!)

sibilò ancora l’Elfo biondo. Con gesto deciso lo spinse via e si drizzò a sedere, le gambe incrociate come se stesse riflettendo in preghiera mentre si riallacciava la casacca. Laurel rimase impietrito per un poco, poi gli si avvicinò e provò ad allungare una mano verso di lui, ma l’altro lo scacciò in malo modo e si alzò in piedi, sempre dandogli le spalle.

-Legolas…man ta na raika? (Qualcosa che non va?)

-Aye. Le. (Sì. Tu)

Laurel si rattristò non poco e chinò la testa verso il basso. Legolas non si girava. Si sentì come tagliato fuori da lui e volle provare ad avvicinarsi ancora, alzandosi in piedi.

-I nyarya le a wanne vahaya o-n-In ! (Ti avevo detto di andartene via da me!)

E Laurel ora capì perché Legolas non lo guardava. La sua voce era rotta dal pianto e già le spalle iniziavano a sussultare a causa dei singulti sommessi del principe.

-I uume wanne vahaya o le! I meles le!  Uume le hanya ta? (Non posso andarmene da te ! Ti amo! Perché non vuoi capirlo?)

Prese con forza Legolas e lo fece girare. Negli occhi del principe scorse tanta disperazione quanto rabbia. E sembrava volesse esplodere, gridare e strepitare, ma l’unica maniera in cui riuscisse a dimostrare qualche sentimento era il piangere. Per non dare fastidio e non disturbare. Così facendo, però, era come se si stesse lacerando l’anima a pezzi di propria volontà. E si sa, quando si fa una cosa del genere, si soffre più di qualunque persona al mondo.

-Laurel… E’ finita.

Singhiozzò piano.

-No… non ti credo. Altrimenti noi non…

-E’ FINITA! E credo di avertelo detto già molti anni fa. Ora basta.

Laurel scosse la testa e cerco di scuotere anche Legolas prendendolo per le spalle, come se fosse servito a farlo rinsavire. Quando senti il bisogno di far capire qualcosa a qualcuno saresti anche disposto a fargli male, perché credi talmente tanto in quella tua così palese verità che soffri nel vedere che l’altro non riesce ad accettare. Soffri e con tutta la tua forza cerchi di piegarlo a te, di fargli capire la tua sofferenza. Spesso si finisce col fare solo del male inutile.

L’arciere abbracciò Legolas ancora, cercando di tenerlo fermo, come si potrebbe fare con un malato in preda al delirio della febbre. Legolas scoppiò in un pianto a dirotto. Non aveva mia pianto così tanto in tutta la sua vita. Forse proprio perché si era sempre trattenuto, ora sentiva il bisogno di sfogarsi fino in fondo, di svuotare sé stesso da tutto quel dolore che aveva in corpo, desiderare di sentirsi meglio mediante le lacrime proibitegli… e quale posto migliore se non le braccia di Laurel?

Per anni lui gli era stato accanto a consolarlo, a mormorargli tra i denti di tenere duro, di fregarsene del resto del mondo… E quando proprio il principe si trovava al limite, le sua braccia ed il suo petto erano il posto più caldo e tranquillo del mondo.

-Vedi? Come faresti senza di me… piangi pure, amore mio… ci sono io…

-Le hyarya in er… (Mi hai lasciato solo...)

Laurel strinse ancora, portando una mano sul capo di Legolas e carezzandogli i morbidi capelli biondi.

-Avanoote moore I fifiira ar nalla ten ta.. (Innumerevoli notti mi sono tormentato ed ho pianto per questo..)

-Lo so, Legolas.

-Ma adesso.. sono forte… non ho bisogno di te!

Si staccò con una spinta dall’abbraccio caldo dell’Elfo e lo guardò dritto negli occhi.

-Mi sono innamorato di nuovo. Ora… il mio cuore va ad Aragorn. E noi… noi abbiamo…

ma mentre cercava di pronunciare quella parola, gli sovvenne al corpo quel dolore di prima e non riuscì a finire. Tacque. Laurel, dal canto suo, sorrise. Sorrise e guardò Legolas. Chiuse gli occhi e poi abbassò il capo.

-So che sei forte. Lo sei sempre stato. Per questo ti amo….

Mormorò. Legolas lo guardò come se cercasse di capire cosa davvero pensava l’altro. Stava scherzando? Oppure cercava di metterlo in imbarazzo?

-… e non smetterò mai di farlo.

Alzò il volto con un sorriso radioso sulle labbra. Legolas si sentì confuso. Come poteva quel ragazzo avere così tanta gioia nell’anima dopo quello che si erano detti, dopo quello che era successo, dopo tutti quegli anni…

-Perché.. sei felice?

Chiese. L’arciere si guardò a fianco e poi si sedette sul giaciglio, poggiandovi una mano sopra e battendola con un lieve “pat-pat” per invitare Legolas a sedersi a sua volta. Ma il principe s’inginocchiò sul pavimento. Se gli fosse andato vicino al sua confusione avrebbe preso una piega sbagliata e loro…

-Sono felice perché ci sei tu.

-Nonostante quello che è successo?

-Nonostante quello.

Laurel sorrise ancora e si slacciò l’armatura definitivamente, poggiandola poco lontano, a distanza di un braccio. Si slacciò l’altro guantone dalla mano e rimase così, in calzamaglia e casacca di un bel blu scuro. Ricamata sopra vi era la stella a sette punte, simbolo di Elrond di Granburrone.

-Dimenticavo che ora i tuoi servigi vanno ad Imaldris…

sussurrò Legolas nel vedere lo stemma. Un sussurro nostalgico, ricordando le battaglie affrontate insieme sotto lo stendardo di Thranduil.

-No, ti sbagli. I miei servigi vanno solo ad una persona.

Prese dolcemente il viso di Legolas tra le mani.

-Tu. Non ho altri padroni.

Il principe scostò il volto e guardò il pavimento sotto di sé. Quante volte gli aveva ripetuto quella frase? Eppure, nonostante questo era sempre una gioia sentirla. Aveva qualcosa, qualcuno.. di veramente proprio, ci fa esistere. Come un nome. Senza nome le cose non possono essere indicate, non possono essere ricordate, e quindi smettono di essere. Senza qualcosa che ci appartiene nel profondo, dimentichiamo il nostro nome perché nulla ce lo ricorda. E diventiamo ombre.

-Uu-le meles In? (Perché mi ami?)

Laurel emise una risata che parve un sbuffo. Fissò lo sguardo in un punto imprecisato sulla giacca di Legolas e rimase fisso a quello,come se lo stare così lo aiutasse a ricordare.

-Perché… perché con te io posso volare. Quando mi sei accanto, la mia mente se ne va, si allontana dal mio corpo e.. va oltre l’immaginario. Le nubi più alte, la notte che arriva.. oltre gli astri… lascia questo nostro mondo, via dal rimorso e dal dolore. Prende a piene mani la sua felicità e la getta in aria come coriandoli… e dimentica tutto alle sue spalle. Ma tiene una memoria dolce-amara nel cuore.. fino a che io e te non c’incontriamo. Ti aspetto sempre, appollaiato sulla mia stella, il faro sulla sponda del mare infinito… Perché voglio volare con te, non avere paura, sfruttare il vento senza usare una lacrima… oltre la via, oltre le mani del tempo.. La luna sorgerà ed il sole andrà a dormire.. ed io non dimenticherò mai te, il tuo cuore, il tuo corpo… E’ una cosa che non si può spiegare facilmente, però… c’è. Piccola ala dispersa nella tempesta, arrivare fino a dove solo gli angeli cantano, oltre la luce dei Valar… Sentire quella fitta al cuore.. un dolore talmente piacevole mentre ti guardo..

Qualcuno mi ha insegnato che questo si chiama amore.

Legolas, intanto, aveva chiuso gli occhi. Come sempre gli succedeva quando Laurel gli narrava le sue storie, si ritrovava in quel mondo raccontato ed ora stava sospeso in quel mare trapunto di stelle… la luce formava arabeschi d’oro nel cielo ed Eä sembrava una biglia di vetro… lontana…

Poteva sentire il vento.

Riaprì gli occhi quando le parole di Laurel si affievolirono alle sue orecchie e lo guardò sorridendo. Una storia, una fiaba, una poesia… erano sempre la cura migliore.

Il principe si mosse a gattoni e andò a poggiare il capo in grembo a Laurel, stendendosi tranquillo. Non aveva paura di nulla. Perché non v’era nulla all’infuori di loro, ora.

-Sai… Laurel… poco fa.. prima che tu arrivassi mi era venuta in mente.. la nostra favola. Quella del Principe Angelo e Stelladoro… però…. Non ne ricordo un pezzo…

-Cos’hai dimenticato..?

Legolas chiuse gli occhi.

-Vedi.. dopo che Laurel se ne va a cavallo con le altre reclute.. cos’accade?

Laurel trasse un profondo sospiro.

 

Da lontano, Laurel si voltò indietro e vide il suo principe alzare una mano verso di lui in cenno di saluto.

Ma dentro di loro, nessuno era triste. Sapevano con certezza che si sarebbero presto incontrati di nuovo. Bastava solo saper aspettare. Solo aspettare.

Il principe chiuse le ali. Il primo uomo col quale aveva mai parlato in tutta la sua vita gli era rimasto impresso addosso come un tatuaggio. Una sensazione che aveva dell’amaro addosso, ma sotto era dolce come miele. Passeggiò distrattamente lungo la riva del lago, specchiandosi di tanto in tanto con rapide occhiate. Aprì e chiuse le ali un paio di volte per vederne le penne bianche riflesse nell’acqua. Si sentì imbarazzato d’improvviso. Chissà cos’avrà pensato il ragazzo nel vederlo? Aveva forse trovato ridicole le ali del principe? Immerso in questi pensieri proseguì inoltrandosi nella foresta, camminando lentamente come se nulla gl’importasse. Il sole andò lentamente a dormire e la Luna, invece, si svegliò dal proprio sonno di luce per tuffarsi nell’ombra della notte, ammantata d’argento e veli di stelle. Ad un tratto e senza un perché, il principe si ritrovò sulla strada maestra, che probabilmente doveva aver compiuto una curva. Decise allora di camminare sulla terra battuta della strada e proseguire senza meta. Compiuta la curva, ebbe un tuffo al cuore nel vedere una persona stesa al lato della strada, circondata da una chiazza di sangue ancora fresco che riluceva macabramente alla luce della luna. Si avvicinò richiamando a sé un po’ di luce e cercò di avvicinarsi alla figura. La veste bianca che rasentava terra si tinse di rosso purpureo,ma all’angelo non importava. Prese tra le braccia il corpo e lo voltò. Riconobbe il volto di Stelladoro, il “suo” Stelladoro, svestito, ferito e derubato. Abbandonato da tutto e da tutti. Accanto al suo corpo stava una freccia d’ebano, spezzata. Le lacrime gli bagnarono il candido viso e strinse l’Elfo a sé, cercando di scaldarlo per tenerlo in vita. Il respiro era flebile nel petto e la possibilità di salvezza una sola.

Il principe angelo aveva ricevuto dai Valar del cielo il dono di poter guarire ogni ferita e riportare alla vita, come aveva fatto col Corvo. Ma col volatile aveva dovuto piangere per la sua anima già volata via. Per Laurel, il piangere sarebbe stato inutile. Doveva ridargli vigore e fare in modo che il cuore riprendesse i battiti.

Avvicinò le labbra al bel viso dell’Elfo, sporco di terra e sangue. Gli baciò amorevolmente la fronte, poi scese ed appoggiò le proprie labbra alle sue, in quello che fu il loro primo bacio. Ambedue desiderarono di non dividersi mai.

L’angelo strinse a sé il corpo del ragazzo e lo avvolse in un lembo della lunga veste. Poi, aprì le grandi ali alzando il viso al cielo e in un attimo si trovò a salire i gradini d’argento del suo regno. Il falco guardiano lo salutò aprendo le grandi ali nere e lo lasciò passare, inchinandosi al suo principe. I cancelli d’argento si aprirono e la Luna si nascose dietro le fronde di un albero per poter spiare il principe senza essere vista.

L’angelo posò l’Elfo su di un letto comodo e si prese cura di lui, con unguenti ed erbe, baciandogli ancora la fronte in benedizione.

Stelladoro si svegliò e trovò accanto a sé il principe angelo addormentato, con la testa poggiata sul letto, accanto alla sua mano. Il principe si svegliò al primo respiro di Stelladoro e gli sorrise, emanando una gran luce per tutta la stanza.

-Ben svegliato, dolce Stelladoro…

-Qu.. quando ho dormito, mio signore?

Chiese con la voce ancora fioca. L’angelo gli carezzò la fronte chinandosi su di lui. Profumava di Eternità.

-Tre volte il sole è sorto prima che tu ti svegliassi, dolce amico. Ma ora sei qui e sei salvo.

L’Elfo si alzò a sedere, tirando su le lenzuola per nascondere il proprio corpo svestito.

-Ti vergogni di me?

Chiese l’angelo sorridendo. L’Elfo arrossì ed abbassò lo sguardo sulle proprie braccia: non v’erano neppure i segni delle ferite.

-Io… Io non sono bello come voi…

il principe gli si sedette accanto carezzandogli il viso. L’Elfo posò la propria mano su quella dell’angelo.

-No.. lo sei di più…

Stelladoro fremette e sorrise.

-Sono felice, qui.

-Questo è il mio regno, dove ogni cosa è eterna. Con me potrai vivere per sempre… e chiedere tutto ciò che desideri.

Così, i giorni trascorsero nei Giardini Eterni. Il sole sorse e la luna tramontò varie volte, mentre il principe godeva beato della compagnia dell’Elfo. Lo curava e lo custodiva, vestendolo di sete preziose e ricamate, adornandolo di perle e gemme brillanti; facendo con lui lunghe passeggiate insegnandogli i nomi dei fiori e degli alberi. Lo allenò con la spada e le frecce, meglio di qualsiasi Mektar della terra. Lo introdusse all’arte e alla scrittura e per lui aprì le tende del cielo, facendogli osservare quello che nessun essere vivente prima d’ora aveva mai visto.

Il mondo, Eä, la terra che è, vista dall’alto. Una specie di sfera vitrea coperta di nubi, immersa in un mare denso di stelle.

Una sera, mentre la luna brillava alta nel cielo come una spilla appuntata ad una tenda blu, Stelladoro uscì dalla sua stanza, avvolgendosi nel mantello viola. Vide il suo principe seduto sulla panchina di pietra del terrazzo, o meglio accovacciato, con le ali chiuse e le braccia strette intorno alle ginocchia.

-Mio principe? Mio principe!

L’angelo alzò la testa e si voltò verso Laurel, con un radioso sorriso sulle labbra.

-Oh, Stelladoro! Ogni volta che ci sei tu la luna impallidisce…

L’Elfo si sedette accanto al suo signore, stupendosi di trovarlo avvolto in una tunica sottilissima, tenuta ferma da una spilla. Lui aveva così freddo… L’angelo si mise a giocherellare con la collana di perle che gli stava avvolta intorno al braccio sinistro. Scrollò un poco le ali.

-Quali pensieri vi assorbono così tanto, mio signore?

-Vedi… dolce Laurel.. Sono oramai sei mesi che sei qui con me e tu.. non mi hai mai chiesto nulla.Ti avevo detto che avresti avuto tutto ciò che volevi, ma tu non hai chiesto mai…

-Mio signore… è perché voi mi date tutto ciò che io posso desiderare! Vesti meravigliose, monili preziosi, libri che non conoscevo neppure, passeggiate splendide, conoscenze, compagnia… ed io… ho tutto.

L’angelo sorrise. Laurel abbassò il volto e disse:

-Però.. una cosa.. ci sarebbe… ma mi vergogno a chiedervela…

Il principe lo guardò incuriosito. Stelladoro sembrava molto imbarazzato. Allora doveva essere qualcosa di davvero importante!

-Dimmi pure… dolce Laurel. Non temere!

L’Elfo si strinse nelle spalle e si fece piccolo piccolo. Si vergognava addirittura di aver parlato. Forse avrebbe fatto meglio a stare zitto, ma ora che aveva fatto trenta, doveva fare anche trentuno. Trasse un lungo sospiro.

-Io vorrei… un vostro bacio, mio signore.

-Un… mio bacio?

-Sì, ma.. non un bacio normale…

Laurel guardò l’angelo in volto. Era così dannatamente bello… si avvicinò a lui e poteva toccarlo.. così vicini.. con quel profumo così dolce di fiori d’arancio… La luna arrossì e risplendette, curiosa ed impicciona.

-… un bacio.. d’amore…

L’angelo si sporse in avanti verso Stelladoro e prese il suo volto tra le mani, guardandolo negli occhi, così profondi che ebbe paura di cadervi dentro, anche se cadere sarebbe stato così dolce…

Le loro labbra si avvicinarono, i respiri caldi.. l’angelo tirò a sé il volto dell’Elfo e lo baciò con passione, stringendone il corpo tra le braccia. Stelladoro alzò le mani sul collo del principe e fece scivolare la lingua tra le sue labbra di fragola, protendendosi in avanti per possederlo tutto. L’angelo s’irrigidì perché non aveva mai provato una sensazione simile, ma si abituò in fretta a quel calore così dolce e prese parte al bacio con vigore, aggrappandosi alle spalle del suo Laurel. La tunica gli scivolò dalle spalle e finì per trovarsi seminudo tra le braccia di colui che sempre aveva voluto. L’Elfo se ne accorse e portò le mani sulla stoffa leggera, cercando di slacciare la spilla per spogliarlo, ma l’angelo si staccò da lui e s’inchinò ai suoi piedi, semivestito.

-Perché v’inchinate, mio signore?

-No, non chiamarmi Signore, poiché ora sono io colui che è alle tue dipendenze. All’inizio io ero il tuo signore e tu la mia compagnia, il mio valletto.. ora il tuo corpo e la tua volontà mi hanno fatto tuo schiavo. Ed ora io m’inchino a te,desideroso del tuo corpo come mai lo ero stato prima.. e solo tu puoi rendermi libero…

si aggrappò spasmodicamente al mantello dell’Elfo e chinò la testa, inginocchiato con le ali chiuse come in adorazione.

Laurel gli prese il viso con una mano, carezzandolo dolcemente ed ammirandone il bel viso.

-Mio angelo… io ti desidero…

e con queste parole sembrò sciogliere un sigillo. L’angelo si alzò in piedi, reggendo la veste con una mano e si diresse verso la sua stanza, mentre Stelladoro lo seguiva.

Lo splendido angelo aprì le ali e Laurel vide la veste scivolare a terra. Fece passare le braccia tra le ali del principe e gli cinse il corpo con le braccia…

 

-Basta, Laurel.. ti prego…

Legolas poggiò due dita sulle labbra dell’arciere. Si era messo in ginocchio avanti a lui e stava col viso in avanti, ma chinato basso, per non guardarlo negli occhi. Sapeva benissimo che se lo avesse fatto, ci sarebbe caduto ancora e non voleva rischiare di.. desiderarlo di nuovo. Il suo Stelladoro.. Ma alzò la testa di scatto sentendo le mani di Laurel sulla sua schiena, che lo spinsero contro di sé. Si ritrovò col viso premuto contro il petto dell’arciere.

-Senti? Lo senti come batte il mio cuore?

-Sì.. lo sento.

Laurel fece in modo che Legolas alzasse la testa a guardarlo. I capelli scuri dell’Elfo gli ricadevano sulle spalle e gli incorniciavano lo splendido viso. Con una mano sciolse anche i capelli di Legolas, sempre legati stretti dietro la nuca. Fu come un rito magico, un essere e ritrovarsi uguali in un sentimento così forte… L’arciere carezzò il viso di Legolas e scacciò qualche ciocca bionda, rigirandola dietro l’orecchio a punta dell’amante.

-Legolas… io non ti chiedo di tornare ad amarmi come tempo fa.. anche se.. lo vorrei. Ma ora tu hai Aragorn, mi hai detto. Io.. voglio solo che tu mi ami… per… un’ora…

Non finì la frase che Legolas lo baciò con dolcezza, poggiandogli le mani sul petto e allargando le gambe sedendosi su di lui. Lo prese per il colletto della casacca e lo tirò a sé, sentendo le mani di Laurel sulle proprie gambe.

Legolas si staccò da lui e gli slacciò la cintura che gli teneva stretta la calzamaglia. Gli slacciò la casacca e prese a baciargli il petto, mentre l’altro gli sfilava i polsini di cuoio e gli toglieva la giacchetta.

Legolas lo fece alzare con la schiena dritta e gli tolse definitivamente la casacca, per poi sfilargli la maglia argentata di dosso. Per fare prima, si tolse la casacca e la propria maglia e intanto Laurel gli slacciava la cintura.

Sentendo su di sé le mani dell’amante, Legolas lo baciò ancora, succhiandone la lingua con foga, preso dal cieco desiderio di averlo ancora.. tutte le volte che aveva fatto l’amore con lui era stato così bello ed  ora…

Abbassò le mani fino ai polpacci dell’arciere e gli sfilò gli stivali di cuoio, poi si tolse i suoi. Laurel si stese sul giaciglio chiamando Legolas su di sé e l’Elfo venne, spogliandolo della calzamaglia. Gemette forte sentendo le mani di Stelladoro su di sé, togliergli i calzoni…

Gli poggiò due dita sulle labbra e poi abbassò la testa a baciargli il petto, allargando le gambe ed imprigionando quelle dell’amante. Laurel gli strinse i polsi con le mani e inarcò la schiena, gettando un gemito convulso ed accavallato mentre Legolas chiudeva gli occhi chinando il capo e premendo con forza contro il corpo dell’Elfo. Laurel si sedette sempre sotto il principe e lo strinse nei fianchi, premendo ancora con maggior vigore. Legolas piegò la schiena all’indietro, lasciando andare la presa su Laurel che lo fece stendere sul giaciglio,per imporgli la propria volontà. Gli alzò i polsi sopra la testa, baciandolo. Legolas lanciò una serie di gemiti. Piegando le gambe e aggrappandosi alla schiena di Laurel. Nonostante avesse gli occhi aperti, non vedeva nulla: ogni cosa era indistinta al suo sguardo, tranne il viso dell’arciere moro, i suo corpo…

-Ah… Laurel..

gridò, ma l’altro gli tappò le labbra con un bacio, sempre tenendogli i polsi. Ad un tratto avvicinò le labbra all’orecchio del principe.

-I uume enyala ta le quet iire le vea… (Non ricordavo gemessi tanto quando godevi…)

Legolas lo guardò negli occhi, ma non seppe rispondere poiché il piacere l’aveva preso completamente e dalle sue labbra uscirono gemiti sommessi di parole senza senso. Alzò il bacino verso l’alto, e questa volta anche Laurel gemette di piacere.

Legolas chiuse gli occhi, curvando la testa all’indietro ed inarcando la schiena, cercando di liberare i polsi dalla stretta dell’arciere.

-Hyarye in… ah… (Lasciami…)

-Ilu… I mere ilya le… (No, ti voglio tutto)

Legolas gemette ancora, ma strattonò con forza e si liberò, facendo scivolare le mani sulla schiena dell’altro e premendolo contro di sé ancora, con forza, deciso, provocando gemiti da parte di ambedue.

Aragorn si congedò da Haldir. Praticamente gli aveva fatto tutto il resoconto militare del viaggio Imaldris- Fosso di Helm e la cosa non era delle più felicemente interessanti. Si decise per il cercare Legolas, Voleva chiarirsi, chiedere scusa, capire il perché di quel comportamento. Lo cercò sulle alte mura merlate, ma non lo trovò. In compenso, notò che l’ombra nera all’orizzonte si era molto avvicinata e già poteva distinguere, strizzando gli occhi, le migliaia di teste che marciavano. Si riscosse e riprese a cercare. Provò in armeria, ma nessuno l’aveva visto. Incontrò Gimli che si lamentava perché la maglia ferrata era troppo “stretta ai fianchi”, ma nemmeno lui aveva visto Legolas. Ritornò dagli Elfi per cercare bene. Con tutti quei visi magari non l’aveva scorto, ma quelli che c’erano portavano l’armatura e Legolas non ne aveva una. Poi, però, mentre passò davanti ad un gruppo di arcieri di precisione, non poté fare ameno di ascoltare un pezzo del loro discorso.

-Uume le kenih Laurel? I uu-tuuva llen… (Hai visto Laurel? Non riesco a trovarlo..)

chiese uno al compagno che rinforzava la corda dell’arco tirandola un po’.

-Uu-minda! lle na haryu Wenyalasse moolemelindo.. hee hee… (E’ inutile che lo cerchi.. quello è perennemente cotto del Principe Fogliaverde!)

-Er I uu-tuva llen an..! “Moolemelindo”? (Ma non lo cercavo per.. ! “Cotto”?)

-Tanka! Le uu-hanya? (Certo! Non lo sapevi?)

-Hanya man? (Sapere cosa?)

L’Elfo sembrava sempre più confuso. Alla conversazione dei due se ne aggiunse un altro:

-Ta Haryu Wenyalasse meled Laurel? Tana na I yaara nyaare! (Che il principe Fogliaverde amava Laurel? E’ una vecchia storia!)

e lanciò una sonora risata divertita. Aragorn, dal canto suo, si acquattò ben bene per non essere visto e poter ascoltare indisturbato.

-Legolas a Laurel ista-llon ho limbe luume… Inga llon ne mellon… nan ala.. iire Ungweliante-in-dagor, Laurel serme faire. Ananata Legolas nnen o llen, va le uu-yello Ien oonoro. Nan en moore, Laurel luhta Legolas o er i llen nyaaree… ar llen kaima o lle…   (Legolas e Laurel si conoscono da moltissimo tempo…  erano molto amici,però… durante la Battaglia contro le Ungweliante, il cadetto di Laurel morì. Allora Legolas gli restò vicino, avresti potuto chiamarli fratelli. Ma una notte, Laurel incantò Legolas con una delle sue storie… e riuscì a portarselo a letto…)

Gli Elfi ascoltavano interessati, quando il solito che non sapeva nulla, chiese:

-Nan lle meled Legolas? (Ma amava Legolas?)

-Aayee… tanka! Nan lle nostare o luhta llen. (Oh, sicuro! Ma preferì stregarlo.)

-Nosse nyar o Legolas na oolore ve Melindo, nan lle na kotya o melmeles…Er lle meles na vorima. (Dicono che Legolas sia un amante fantastico, ma difficile da conquistare. Però il suo amore dura per sempre. )

Un altro Elfo entrò a far parte della conversazione, che sembrava interessare molti.

-Nan il llon meles na vorima, man kara llon hyarye Laurel? (Ma se il suo amore dura per sempre cosa lo ha spinto a lasciare Laurel?)

All’improvviso, l’Elfo che dimostrava di conoscere le parti più importanti della storia, sbuffò sonoramente e mosse una mano per allontanare i più appiccicosi che avevano chiuso un cerchio intorno a lui.

-Aayee! Hauta! Nosse hanya o Legolas hyarya Laurel, na I uu-nyarya o Legolas hauta meles llen… (Oh! Basta! Sapete che Legolas ha lasciato Laurel, ma io non ho mai detto che abbia smesso di amarlo…)

E tra gli elfi iniziarono a spuntare risatine convulse e gomitate d’intesa. Aragorn aveva sentito abbastanza. Sgusciò fuori dal suo nascondiglio e mise freno alla propria ira per non farsi scoprire, altrimenti di sicuro avrebbe difeso Legolas. Era inammissibile che un gruppo di soldati parlasse a quel modo di uno dei loro signori! Corse verso il trombatorrione e non vi trovò nessuno. Nemmeno Eowyn.. meglio! Almeno non avrebbe dovuto fermarsi per forza per scambiare due noiose parole. Si diresse verso la sua stanza sperando di trovarvi Legolas e dirgli tutto. Mentre si avvicinava alla porta della stanza, sentì uno strano rumore, come un ansito convulso. Sentì il sangue pulsargli nelle vene e quasi bruciare. Gli ritornarono alle orecchie tutte le chiacchiere che aveva ascoltato prima, che l’amore di Legolas era eterno e che Laurel era ancora innamorato di lui… Si trovò improvvisamente davanti ad un bivio: o negare a sé stesso di vedere la verità, di sapere a chi Legolas dava il proprio cuore; oppure vedere tutto, soffrire, scoprire e porre rimedio.

“Io ho fiducia in tutte le persone che amano…”

Mosse un passo.

Ti ho sempre detto di agire col cuore…”

Allungò la falcata e, lentamente sporse la testa entro la stanza.

 

-No… No.. Laurel… non… non…

Legolas gemette con forza. L’arciere lo prese tra le braccia, premendo ancora. Gli chiuse le labbra con un bacio, tenendogli fermi i polsi con le mani. Ad un tratto il principe, preso dalla foga, gridò un nome. Un nome convulso, accavallato, quasi senza senso.

Però, per Aragorn che aveva visto e sentito, significò moltissimo. Sentì il cuore battere con furia nel petto. Legolas.. su quel giaciglio, fremente di desiderio… lo stesso giaciglio in cui poco prima aveva rifiutato le sue attenzioni…

Definire rabbia quello che provò nel sentirlo urlare sotto il corpo dell’altro Elfo sarebbe usare un eufemismo. Avrebbe desiderato tanto sprofondare, ogni muscolo del corpo era teso in uno spasimo rabbioso che sembrava incontrollabile.

L’Ira del Re, la furia più cieca che possa prendere un uomo. Trovarsi dinnanzi ad un fatto compiuto che va oltre ogni nostra più oscura aspettativa e dovergli tener testa, senza piegarsi. Forti come la roccia mentre le nostre fondamenta tremano d’incertezza e dubbio. La rabbia viene a riempire i buchi dell’anima e come un’onda colpisce senza preavviso, scaraventando qualsiasi cosa nel suo gorgo più folle.

Chi non resiste alla rabbia, la trasforma in follia.

E la follia trasforma gli uomini.

Chi resiste alla rabbia, la trasforma in forza.

Una profonda cicatrice dell’essere, che ancora pulsa di sangue mentre cerchiamo di stringere i lembi della ferita perché si fermi l’emorragia. Una mancanza di volontà e la ferita avrà il sopravvento. Inizierà ad allargarsi, ad espandersi, lacerando ogni pensiero, mandando in frantumi i sogni, gettando all’aria i valori e burlandosi di ciò in cui si crede.

Una furia indicibile che sale, cresce, ribolle… Non si può reprimere.

Non gridare,non fare nulla… non irrompere come un pazzo nella stanza, non fiatare, controllati…

Lascia che la cosa ti scivoli di dosso come pioggia e se rimarrai bagnato ti asciugherai. Ma non reagire. Non ora. Aspetta…

L’uomo girò i tacchi e fece per andarsene quando giunse alle sue orecchie ancora quel nome… questa volta più nitido, più forte, più deciso, disperato…

-Ah… ah… Aragorn!

Un gemito lamentoso, carico di piacere e di repressione. L’arciere zittì subito il principe con malgarbo e l’uomo lo sentì distintamente. Si girò ancora verso la porta… E se anche lui gli stesse facendo male? Se solo avesse avuto il coraggio di entrare, fermarli, prendere Legolas tra le braccia ed allontanarlo per sempre da Laurel…

Non reagire. Non è questa la maniera. Lascialo a strillare. L’ha voluto lui. Lui c’ è andato a letto, no? Stai quieto e vattene. Non è il momento né il posto per te.

Aragorn aspettò ancora un poco, noncurante della propria coscienza. Se avesse gridato quel nome una terza volta, allora si sarebbe deciso e sarebbe entrato.

La voce di Legolas emise qualche altro gemito sconnesso, ma non pronunciò più nomi.

E’ tempo di andartene. Tanto lo sapevi.

Lo sapevo?

Certo, sciocco! Sapevi che presto l’avresti perso. In un modo o nell’altro se ne sarebbe andato da te. E’ tutta colpa tua. L’hai voluto.. violentare a quella maniera ed ora c’è qualcuno che lo consola. Te lo sta portando via e tu non ci puoi fare nulla, perché è colpa tua.

Violentare? E se Legolas stesse soffrendo anche adesso?

No.. non lo vedi quanto ci godeva con quell’altro? Inutile fare tante storie. A lui piace, piace da matti. Piace più di quando c’eri tu sopra di lui.

Bugiardo!

Oh, sentiti! Dai del bugiardo a me, tu che continui ad infinocchiarti come un fesso, immaginandoti di correre a spada sguainata a liberarlo da chissà quale agonia tremenda! Stai zitto e continua a camminare. Lascia che arrivi il momento giusto per sfogare la rabbia. Magari, nel tumulto della guerra potresti assassinare Laurel e dire a tutti che è stata colpa di un Huruk.

Non lo farei mai! Non potrei far soffrire Legolas!

E allora perché lui può far soffrire te? O non stai soffrendo affatto?

Io ci soffro da schifo, ma tu.. non dicevi che era tutta colpa mia? Adesso è tutta colpa di Legolas o sbaglio?

Cosa fai, ingenuotto? Adesso lo difendi? Ha-ah! Vuoi scommettere che…

Che?

Avanti, a me puoi dirlo.. ammetti a te stesso che ti piaceva vederlo così. Ti piaceva vederlo godere sotto ad un altro… ti piaceva vederlo nudo mentre tu stavi nascosto… ti eccitava sentirlo gemere mentre tu restavi lì a guardare.. vero? Ammettilo…

CHE COSA DIAMINE…

Aragorn si prese la testa tra le mani e barcollò improvvisamente, sbattendo una spalla contro il muro. Perché pensava quelle cose? E se le pensava con sé stesso, se davvero era capace di formulare quelle parole nella sua testa, erano forse vere? Godeva davvero nel vedere Legolas con Laurel? Gli piaceva? Come poteva capirlo? Non sarebbe mai venuto nessuno a spiegarglielo. In quel momento, gli veniva così tanta voglia di scrollarsi di dosso il mondo, stare da solo. L’ultima cosa che avrebbe voluto affrontare era una battaglia. Singhiozzò in silenzio.

Ecco, lo sapevo! Ti metti a piangere!

Lasciami stare, tu! Mi fai solo del male!

Male? Io? Se ti faccio male mostrandoti la verità allora con le menzogne come andremmo a finire?

Io non ti ascolto più.

Figurati! Forse è perché ho toccato un tasto debole.. forse perché se ripetessi quella frase sconnessa tu ti sentiresti ancora più confuso…

Quale frase sconnessa?

“Ah… Ah… Aragorn.. ah... ah..”

STAI ZITTO!

L’hai voluto tu.

L’ho voluto io?

Certo! Sei tu che, sotto sotto, ci tieni al fatto che io ti ripeta quella frase.. e anche molte altre, a dire il vero! Ti senti così colpevole e vittima allo stesso tempo che non riesci più neanche a capire cosa vuoi o non vuoi. Ti piace e ti fa paura. Devi prendere una decisione.

Perché parlava con sé stesso? C’erano davvero dentro di lui due persone distinte ed in contrasto? Aragorn ed Elessar? E allora quale delle due aveva ragione e quale torto? Quale delle due meritava di soffrire e quale di gioire a scapito dell’altra? Uscì di gran carriera dal portone di legno del trombatorrione, sentendo l’aria fredda della notte colpirlo in faccia come una frusta. Questo lo svegliò e smise di pensare. Perché nessuno in quella fortezza pensava più.

Da lontano si vedevano le fiaccole dell’esercito di Saruman, tremolare al forte vento che preannunciava pioggia. Ancora un’ora e poi sarebbero stati sotto le mura. Un’ora per prepararsi. Un’ora per preparare quella gente che poco aveva combattuto, se non mai. Questo stava a scapito della gente di Rohan. Perché il popolo veniva diviso: lavoratori e guerrieri. Ed i Rohirrim, i guerrieri, appunto, ora stavano chissà dove capitanati da Eomer, il fratello maggiore di Eowyn. Gandalf era andato a cercarli.. ma se non fosse arrivato in tempo? E comunque chi l’assicurava che quei cavalieri avrebbero fatto la differenza? L’uomo voltò il viso verso gli elfi, che avevano iniziato a prepararsi tendendo le corde dei forti archi di mogano e pioppo e lisciando le piume delle loro frecce.

Quei tre o quattro che prima avevano parlato dell’amore del principe ora si erano divisi ed ognuno badava alle proprie armi. Se non li avesse sentiti.. non sarebbe venuto a conoscenza di nulla. E se non fosse venuto a conoscenza di nulla non sarebbe stato lì a soffrire…

Provi rancore, grande uomo?

No.

Ah, davvero? E come mai?

Perché… lo amo. E amandolo gli ho conferito la mia fiducia. Lui è libero di essere e se io lo avessi incatenato a me, lui non risplenderebbe più. Se io lo avessi legato, allora mi sarebbe sfuggito dalle mani molto prima e in una via troppo dolorosa per tutti e due. 

Ancora pensieri. Ma questa volta era deciso. Se era Laurel che Legolas voleva, lui non avrebbe detto nulla.

Ma che dignità hai? Sei una mezza calzetta, una cartuccia vuota! Ecco cosa sei! Tu fossi un vero uomo a quest’ora saresti infuriato con lui.. e invece? “Ti perdono, amore mio perché ti amo”. Sei patetico. Mieloso. Sguaina quell’orgoglio che tutti CREDONO tu abbia!

Aragorn si riscosse. In un certo senso era vero. Che dignità dimostrava mettendosi da parte? Che carattere scopriva di sé stesso lasciando il proprio amore ad un altro? Va bene il perdono, va bene l’accettazione, la rassegnazione e la benevolenza, ma non bisogna mai abbassare la testa quando si vuole qualcosa, quando la si desidera VERAMENTE. Non dico che non si debba guardare in faccia a nessuno, andare avanti travolgendo ogni cosa e restare sordi a ciò che ci accade intorno, ma… se è vero che l’uomo è fatto per il sacrificio, che l’uomo “è” perché vuole… allora come si può sempre scansarsi e lasciar passare gli altri? Fino ad un certo punto essere “gentili” va bene. Ma quando vanno tirate fuori le unghie, bisogna farle risplendere.

E ciò avrebbe fatto. Le urla sorde e rauche degli Huruk si avvicinavano sempre di più, come suoni molesti e grida di corvi

 

Laurel si stese accanto al suo principe, carezzandogli il ventre con una mano. Avvicinò il viso al suo, respirando profondamente il suo profumo.

-Legolas…

mormorò. L’altro non rispose. Teneva gli occhi socchiusi e respirava piano. Stava cercando di ricordarsi dov’era. Perché quando stava con Laurel, in certi momenti, tutto il mondo intorno non era che polvere inutile da spazzare via. Stranamente dopo le sue storie si sentiva sempre così. Erano come un sedativo. Lo facevano stare calmo e l’arciere sembrava sempre così… invitante… Gli piacevano le sue storie perché quelle parole, quelle frasi… davano tutto. Quelle parole erano vere, poetiche, sagge, passionali, forti, costruite mattone dopo mattone, minuziose, accurate, ricercate. Quelle parole erano verità, bugia, inconscio, credibili e non, misteriose, affabili. E ogni racconto ne pullulava, vivo e pulsante di parole, di sensazioni che carezzavano delicatamente la pelle dell’Elfo, mentre le ascoltava.

Sembravano fatte per lui. Alcune persone gli avevano detto che per ogni creatura, c’era una cosa fatta proprio per essa, che le stava a pennello addosso e la completava nei pezzi mancanti e nelle ferite. Quella “cosa” non è proprio una persona. Le persone riempiono la metà corporea e anche quella spirituale, certo, ma quella “cosa”, l’unica che davvero ti spetta ti riempie dentro, in un modo che non è semplice descrivere a parole. Quella cosa sei tu e lei è te. Una specie di “altro sé” in forma diversa. Un qualcosa che parla a tutti, ma solo a te sussurra la verità nell’orecchio, dolcemente, piano…

Laurel comprese al volo che il principe era in attesa.

Ora puoi. Non lo vedi? Lui è tuo.. non vuoi farlo andare via, no? Prima, quando gemeva il nome di quell’umano.. tu cos’ hai provato? Faceva male, vero?  Beh, non vuoi certo provarlo ancora, no? Adesso hai la possibilità di stregarlo a tuo piacimento. Puoi rivoltarglielo contro solo con le tue parole. Vedrai come sarà dolce riuscire a riportartelo a casa con te.. di nuovo follemente innamorato.. basterà un’altra storiella ogni tanto e lui tornerà ad essere completamente tuo… avanti! Racconta…

Laurel osservò Legolas ancora un po’. Bevve quell’immagine preziosa dell’amante, come si potrebbe fare con un vino speziato e dolcissimo. Gli accarezzala morbida curva del collo. Sì, doveva averlo. E quell’Aragorn non avrebbe potuto fare più nulla contro di lui…

 

-Mio principe…?

Stelladoro si era svegliato ed ora guardava l’angelo addormentato accanto a lui. Abbandonato tra le lenzuola, la testa bionda giaceva sul cuscino con un lieve sorriso sulle labbra, mentre le ali chiuse gli disegnavano il profilo dei fianchi. Le mani affusolate erano poggiate sul petto e una di queste stringeva il lenzuolo.

Laurel si fermò ad osservarlo ancora, seguendone il respiro e carezzandogli il volto. A quelle carezze, l’angelo aprì gli occhi. E fu come l’alba che rischiara il cielo nero mentre il sole sorge. Il momento più bello della giornata.

Altri giorni passarono nei giardini dell’Eterno e spesso Laurel si avvicinava al proprio signore senza timore, per baciarlo. Ovunque egli fosse. Tanto, non vi era nessuno pronto a contrastare il loro amore…

Così l’Elfo credeva, ma così non fu. Purtroppo, in un giorno di pioggia, qualcuno bussò ai cancelli d’argento ed il principe scese incuriosito ad aprire egli stesso al nuovo arrivato. Questi era un uomo, in sella ad un cavallo nero come la notte. L’uomo stesso era la notte, figlio di essa e di essa messaggero. Era giunto ai cancelli dell’Eternità col proposito di chiedere al regnate angelo di apprendere di più sul mondo e sull’antica saggezza. L’angelo l’accolse caldamente, come si conviene fare con gli ospiti più illustri, ma dopo pochi giorni di permanenza, l’uomo mostrava già altri interessi. E Stelladoro l’aveva notato.

Gli occhi dell’uomo non stavano quasi mai bassi sui libri, ma seguivano il principe ovunque egli andasse, ne studiavano i morbidi movimenti e morbosamente lo bramavano. Stelladoro cercò di avvertire il suo signore, ma la goffaggine delle sue parole ebbe effetto contrario a quello sperato.

-Stelladoro, mio caro.. non leggo forse nella tua voce un’ombra d’invidia? Sai bene che il mio cuore ora è tuo e nulla potrà mai dividerci… perché sei così restio ad accogliere il prossimo? Dovrei essere io a scansare la gente, avendo passato gran parte della mia lunga esistenza in solitudine ed invece sei tu quello che si allontana. Ora, ti prego… abbandona questi tristi propositi e stai tranquillo per me..

Laurel chinò la testa in segno di scusa, con l’amaro in bocca.

-E.. per favore, Stelladoro.. potresti andare in biblioteca? Non sono sicuro di aver dato tutti i libri al nostro ospite.. Così facendo magari cambierai idea su di lui.

Gli sorrise il principe. L’Elfo obbedì, lasciando di gran carriera il giardino per precipitarsi in biblioteca. Come entrò fu estremamente sorpreso di non trovare l’uomo seduto ad uno dei lunghi tavoli coperti di libri.. e nel suo cuore s’annidò il sospetto.

Faceva bene Stelladoro a sospettare, perché come l’Elfo si fu allontanato dal suo signore, l’uomo si fece avanti. Era rimasto acquattato dietro un albero, ad ascoltare le parole del principe. Uscì dal suo nascondiglio con passo silenzioso, nella mano stretto un fazzoletto intriso di un liquido inodore. L’angelo avvertì il rumore dell’uomo, che si schiarì la gola per farsi notare.

-Oh, avevo appenda mandato Laurel per…

iniziò l’angelo, ma si bloccò trovandosi così vicino all’uomo.. Questi aveva un forte profumo di bacche selvatiche, una fragranza pesante che il principe non aveva mai sentito prima. L’uomo gli portò una mano al viso e poi la fece scorrere sulla spalla dell’angelo, guardandolo con due occhi color ghiaccio.

-Non è la vostra sapienza che voglio…

mormorò con il suo tono basso e rauco. L’angelo rabbrividì. Allora Stelladoro aveva ragione… L’uomo lo strinse a sé, cacciando il naso sul collo del principe ed inspirando quel profumo dolcissimo.

-Lasciatemi…

gli ordinò l’angelo, ma quello lo prese per la vita, trascinandolo nella foresta più fitta. Lì gli premette le proprie labbra sulle sue, baciandolo avidamente mentre il principe cercava di liberarsi. Trovando resistenza, l’uomo gli premette il fazzoletto sulle labbra e sul naso e l’angelo cadde drogato ai suoi piedi. Con gesto rapido e crudele, l’uomo sguainò la spada e gli tarpò le ali, ferendolo alla schiena. Così non sarebbe mai più tornato indietro…

Lo avvolse in un mantello nero e fischiò per chiamare il proprio destriero che arrivò su zoccoli d’ombra. Attraversò il giardino aggirando la veranda e passando per vie trovate di notte e segnate con rapidi gesti di ferro. Come fu ai cancelli d’argento, sentì alle sue spalle il sibilo di una freccia mal mirata che lo mancò di molto e rise avvertendo la presenza dell’Elfo. Fece impennare il cavallo che, con gli zoccoli, spalancò le porte del giardino dell’Eternità e si gettò fuori in una corsa fulminea, tenendo stretto al petto il principe addormentato.

 

Laurel aprì gli occhi (perché narrava sempre le sue storie ad occhi chiusi) E vide che Legolas si era già alzato e rivestito.

–Perché… sei già pronto?

Chiese con un certo rammarico.

-La storia non ti è piaciuta?

Legolas si voltò verso di lui, l’inferno che gli brillava nello sguardo. Ora aveva capito, ora aveva scoperto cosa lo aveva indotto a ritornare a letto con lui nonostante il suo cuore non provasse più alcun sentimento.

-lle nyaare kara-n-In uu tanya! Ulka-le! Ta na ya kara meles le ! lle Furue ! (Le tue storie mi hanno fatto fare questo ! Maledetto! Erano queste che m’inducevano ad amarti! Le tue menzogne!)

Aveva rovinato sè stesso, aveva distrutto qualcosa che sentiva dentro, ovvero l’amore per Aragorn.. per colpa di due parole sciocche e intrise d’inganno.

Laurel non potè ribattere nulla. La cosa migliore da fare davanti alla verità è sempre lo stare zitti.

-Perché? Spiegati, dammi un motivo plausibile e minimamente accettabile che mi giustifichi perché l’hai fatto!

Laurel tacque un poco, poi alzò lo sguardo.

-Perché ti amo.

Sussurrò sconsolato. La faccenda aveva preso una piega troppo complicata da gestire. Le storie cadono, come le bugie. L’importante non è mai coprire l’accaduto, quanto non venirne travolto.

-Bel modo di dimostrarmelo. Sciocco io che ci sono cascato.

-Legolas, tu non sai…

-NO ! Certo ! E non voglio nemmeno sapere! Non voglio che un’altra sola, singola, inutile parola esca da quelle tue labbra. Negromanzia! Non avresti potuto scegliere arte più vile!

Legolas scosse la testa e strinse la cintura di cuoio. Buttò uno sguardo fuori dalla feritoia che fungeva da finestra. Vide l’orda di Huruk sempre più vicina. Si diresse a prendere l’arco e la faretra, poi uscì, lasciando Laurel ancora intendo a rivestirsi, una lacrima sulla guancia.

La notte era calata già da un po’ e le nuvole che promettevano pioggia erano sempre più spesse e gravose sul cielo nero. Sotto di esse, due eserciti si schieravano. Legolas prese posto sulle mura merlate, tra gli arcieri di precisione. Laurel era un arciere di portata e quindi non l’avrebbe incontrato. Aragorn passò in rassegna tutte le file ed il suo sguardo deciso incontrò quello di Legolas. Tremarono ambedue e cercarono di trattenersi. Non c’era assolutamente tempo per le spiegazioni, ora.  Il tempo stringeva e la pioggia iniziava a picchiettare sulle armature lucenti. Le urla degli Huruk si facevano assordanti.

La guerra stava per iniziare.

-Buona fortuna, Aragorn.

L’uomo sorrise a metà. Era giunto il momento per lui di usare quella rabbia repressa. Gli Huruk urlavano in segno di sfida. Legolas si scosse un poco sotto la pioggia e fece qualche cenno col capo ai suoi vicini, poi guardò in avanti.

L’Huruk alzò la lancia al cielo.