.|. Asrun Dream .|.

Note dell’ autore: Love is in the air…il rating si è alzato di parecchio: questo capitolo è un NC-17, sia per la prima parte (eros) che per la seconda (horror)

Capitolo 5

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Estel, che viveva in una valle incantata assieme alle creature più leggiadre di Arda, era cresciuto con il preconcetto che la bellezza -fosse essa di un dipinto, di una statua, o semplicemente di un panorama particolarmente emozionante- tende, dopo un po’, a mutare agli occhi delle persone, a diventare familiare, in un certo senso, e quindi smetta inesorabilmente di stupire.

Con sua grande gioia, quel giorno Estel scoprì che lo stesso non valeva per la bellezza di un viso. Ogni espressione di Legolas, ogni minimo movimento (l’arcuarsi di un sopracciglio quando era confuso; gli occhi che si stringevano in due fessure luminose quand’era assorto; la bocca che si curvava appena, giusto un angolo, quand’era divertito e non voleva darlo a vedere), ogni cosa, di quel viso, gli appariva sempre nuova, ed indescrivibilmente bella. Sapeva che avrebbe potuto guardarlo per tutta la vita, senza mai stancarsi.

Legolas, che si trovava a piedi nudi nell’acqua ghiacciata del lago a ridere di come Glorfindel correva dietro ai pesci, si voltò improvvisamente verso di lui. Quando i loro sguardi si incontrarono, il sorriso di Legolas svanì, lentamente, come la fiammella di una candela che pian piano tremola e si spegne, stemperandosi in un’espressione assorta. Estel sussultò quando sentì vampate di calore dilagare pulsando dalla collana che portava sul petto. Era un calore stranamente eccitante, che avvolse le sue membra dolcemente, cullandolo. Estel sentì il suo corpo rispondere a quel calore, risvegliarsi come un fiore al sole del mattino, e bruscamente distolse lo sguardo. Ansimava.

Seduto poco distante, Erestor lo fissò, gli occhi colmi di luce. Le sue labbra erano piegate in un sorriso enigmatico.

 

Usciti dalla valle, i quattro si erano avviati lentamente sul sentiero, lasciandolo presto per inoltrarsi nel fitto della boscaglia. Glorfindel conduceva la spedizione, con Erestor subito dietro. Estel e Legolas procedevano affiancati, sporgendosi dai rispettivi destrieri quasi fino a perdere l’equilibrio, pur di scambiarsi qualche commento soffocato sui loro compagni di viaggio. Un paio di volte, Glorfindel aveva provato ad affiancarsi ad Erestor e chinarsi su di lui per baciarlo e tastarlo in posti sconvenienti. Entrambe le volte si era ritrovato con un cavallo imbizzarrito ed uno schiaffo, menato dalla mano invisibile del potere di Erestor, stampato sul volto.

Tra risa e borbottii erano proseguiti tra la vegetazione che andava infittendosi, seguendo ciecamente Glorfindel, che prometteva di portarli nel luogo più incantevole di tutta Granburrone. Procedettero al passo per quasi mezz’ora, finché sgusciarono improvvisamente fuori dal bosco in una distesa di erba viscida, alta fino alle ginocchia, che declinava dolcemente fino ad un fiumiciattolo schiumoso. Glorfindel vi fece gettare il cavallo; non per passare il guado, ma per seguire la corrente per un lungo tratto verso est. Quando giunsero più o meno al centro della catena montuosa il torrente si unì ad un altro in uno scalpitante fiume bruno. Lì lasciarono l’acqua e proseguirono in direzione sud, ricominciando a salire sensibilmente verso l’alto, tra le rocce scintillanti di quarzo, fino ad attraversare una nuvola bassa ed umida. Il progressivo avvicinarsi dei due fianchi della montagna li portò infine in un crepaccio all’apparenza lunghissimo. Il cielo terso si apriva sopra di loro come una cicatrice d’azzurro.

Alla fine del passaggio, si trovarono la strada sbarrata da una parete a picco. Si fermarono dubbiosi, scambiandosi occhiate preoccupate. Glorfindel scrollò le spalle, e fece lanciare il cavallo sull’ostacolo, che si rivelò essere una spessa parete di foglie morbide e rampicanti umidi. Aldilà si apriva una radura posto sul fondo di una parete di roccia ripidissima, praticamente orizzontale sul terreno; l’erba declinava dolcemente in un grande lago azzurro. Qualche metro alla loro sinistra, la radura terminava bruscamente in un salto chilometrico, da cui si gettavano scroscianti una serie di cascatelle cristalline. Scendevano a balzi lungo la parete a scalini, fino a ricongiungersi col fiume, parecchio più giù nella valle.

Gli Elfi si erano guardati attorno, estasiati da quella vista. Estel, invece, aveva continuato a fissare Legolas con aria sognante: il Principe era sceso da cavallo come una piuma, aveva gettato indietro la testa e allargato leggermente le braccia, come ad assorbire quella vista meravigliosa, tutto quel verde mozzafiato. Cascate di luce scintillante si riversavano dai banchi nuvole alti sopra le loro teste, trasformando i capelli di Legolas in puro oro, e sprizzando le sue vesti di una polvere d’argento. Legolas sorrideva, con le guance che si coloravano a quel contatto intimo, segreto, che solo gli Elfi dei boschi possono avere con ciò che è verde. Un’estasi sognante parve coglierlo, ed Estel seppe, con una consapevolezza che era in parte gelosia ed in parte meraviglia, che Legolas stava permettendo allo spirito di quel luogo di entrare dentro di lui, di possederlo, di sgusciare lentamente fino ai recessi più segreti del suo corpo, facendolo fremere e ansimare.

Sembrava un tremulo filo d’erba smosso dolcemente dal vento, una creatura estremamente reale, ma per nulla umana.

Dal quel momento, Estel non era più riuscito a respirare normalmente.

Stava tentando di controllarsi, davvero. Una simile attrazione era sconveniente, se non inopportuna. Eppure… quell’espressione sul viso di Legolas… quell’ombra di vago e incontenibile piacere… oh, se fossero stati soli…

Estel scosse la testa come per snebbiarla.

“Legolas è molto bello, non trovi?”

Sussultò. Erestor si stava mettendo a sedere accanto a lui, le gambe ripiegate mollemente sotto il corpo, la mani chiuse in grembo. Aveva parlato con tono tranquillo, né più né meno che se avesse commentato il bel tempo.

“Molto.” Non riuscì a resistere, e aggiunse: “Più di quanto mi raccontavi.”

Erestor annuì con noncuranza.

“E’ anche molto sensuale, non è così? Molto… conturbante. Fisico.”

Estel deglutì a vuoto.

“Non capisco a cosa tu…”

“Oh, sciocchezze!” Erestor agitò una mano. Si portò vicino all’orecchio di Estel, allo stesso tempo voltandogli il capo dolcemente verso Legolas. La sua voce era cadenzata e ipnotica, lenta come denso miele colante, dolce e dorata.

“Guarda il suo corpo. Guarda il modo in cui si muove, alzando spruzzi nell’acqua come schegge di cristallo. Guardalo. Guarda quella veste, bagnata e trasparente. Guardala scivolargli sulle pelle, abbracciargli il petto, carezzargli appena le gambe. Non vedi attraverso di essa la pelle nuda? Si? Si?

“Guarda attentamente. Guarda il sole riverberare sui capelli, guardali scendergli sul petto, guarda come le punte umide si incollano, lì, proprio lì, lo vedi? dove l’ombra velata del capezzolo traspare appena sotto la stoffa. E le mani… guarda quelle dita, lunghe e gocciolanti… guarda come se le porta alle labbra, si, quelle belle labbra, e ne beve, lasciando intravedere le lingua…”

Estel bruciava. Guardava ansimando la visione descritta da Erestor nei minimi particolari e bruciava. Sentì la bocca umida. Gli occhi lucidi non ce la facevano a staccarsi da quel corpo, quel corpo, quel corpo…il calore pulsante era tornato, concentrandosi tra le gambe, palpitando al ritmo del suo cuore ammaliato, che correva sempre più veloce.

Erestor, con lentezza esasperante, alzò una mano a sfiorargli le tempie. La mente di Estel fu invasa da un caleidoscopio di immagini, troppo veloci, troppo varie, per potersi soffermare su una o sull’altra, ma ognuna, ogni singola immagine, portava con sé una sensazione ben definita.

Desiderio.

Eccitazione.

Voglia…

Le schegge impazzite si fermarono, riunendosi in un’unica immagine brulicante che si mise a fuoco pian piano, come se emergesse da profondità, in lui, che Estel non sapeva nemmeno di avere.

Oh…

Oh.

Si. Ora Estel poteva vederlo. Si. Poteva vedere Legolas, che si muoveva sinuoso, nel cerchio di luce magica creato da mille candele tremolanti, steso nel riverbero diafano delle lenzuola di seta, si, coi capelli umidi di sudore attaccati al corpo, si, e le belle labbra gonfie, torturate dai denti candidi che Legolas vi affondava, per trattenere i gemiti, e poi, si, oh, si…

Estel poteva sentirlo.

Lo sentiva; sentiva la setosità dei capelli sotto le dita, la bocca dolce contro la sua, il sapore di sudore, di lacrime, la pelle liscia che scivolava contro il petto e l’addome mentre Estel si spingeva avanti, e indietro, e avanti, in un lento ritmo cadenzato vecchio come il mondo, e quel calore, quel calore che l’avviluppava, quel piacere intimo, sublime, supremo…

Si muovevano in  concerto, fremendo, minuscole gocce di sudore che scendevano lungo i corpi, scivolavano rotolando giù per i piani turgidi dei muscoli, sulla pelle bollente, le labbra che si fondevano in mille e uno baci, le lingue che giocavano tra le bocche ardenti…

Poi, improvvisa, la vampa di calore che cresceva, la marea che l’inghiottiva. Sotto di lui, Legolas schiuse le labbra. Lo cercò con le braccia, lo strinse. I suoi occhi si spalancarono, e poi richiusero, molli, mentre arcuava la schiena, abbandonandosi al piacere che lo travolgeva onda dopo onda…

 

Estel scattò in piedi. Un attimo ancora, e si sarebbe abbandonato completamente a quella fantasia. Si voltò furibondo verso Erestor

(è stato lui)

mentre serrava le mani a pugno, forte abbastanza da stillare sangue.

“Che cos’era? Cosa diavolo era? Io devo--!” riuscì a fermare in tempo le parole, maledicendosi per quelle che si era lasciato sfuggire. Erestor però le avvertì comunque, le avvertì nella testa, un pensiero di forza inaudita

(osservare la mia purificazione fino al plenilunio)

che lo fece accigliare

(osservare la purificazione)

colmandolo di stupore.

(il rito di purificazione)

 

Proprio in quel momento, Glorfindel emerse ridendo dal lago in una fontana di spruzzi. Reggeva sopra la testa un pesce di dimensioni enormi, che si dibatteva scintillando nella stretta delle sue mani. Legolas applaudì, le mani dinanzi al viso come un bimbo che, dopo aver atteso per tutto il giorno che il padre tornasse dalla caccia, lo vedeva ora fargli cenno con la mano, carico di doni, appena visibile al limitare del bosco.

Estel sorrise suo malgrado, mentre quell’immagine innocente si sovrapponeva, oscurandola, a quella voluttuosa che ancora gli echeggiava debolmente nella testa. Si avviò verso di loro, incitando Glorfindel a gran voce. Erestor distolse lo sguardo, ferito, suo malgrado, dai ricordi antichi che quella scena evocava, e si concentrò invece sul pensiero che aveva captato da Estel.

Non gli accadeva spesso. Solo qualche volta, e solo con pensieri particolarmente intensi. Quello di Estel era stato intenso come una fiammata. Un misto di odio, rabbia, eccitazione, tristezza, sdegno, che si era lanciato a velocità assurda dalla sua mente e si era conficcato in quella di Erestor, come una freccia di cristallo.

L’Elfo si toccò la fronte, leggermente dolorante, mentre un cipiglio preoccupato si faceva strada sul suo volto cinereo.

Le cerimonie nuziali degli Elfi erano molteplici*, e quasi tutte consentivano agli sposi di separarsi, se lo desideravano, quando il loro amore fosse venuto meno. Eppure ce n’era una… una cerimonia antica ed inviolabile, che avrebbe unito gli sposi non solo nel cuore, ma nell’anima; non solo dinanzi ai Figli di Ilúvatar**, ma anche ai Valar; non solo nelle Terre mortali, ma in quella aldilà.

Un legame inscindibile, un rito arcano che si celebrava solo nelle rare occasioni in cui due metà della stessa anima, due Elfi predestinati, si fossero ritrovati da questa parte del Grande Mare, e che garantiva loro la certezza di non separarsi mai più, in questo Mondo come nell’Altro.

La cerimonia prevedeva che gli sposi prestassero il loro giuramento d’amore in una notte di plenilunio, dinanzi a due officianti, un Uomo e una Donna, che avrebbero bagnato i loro capelli, e baciato le loro fronti. Ma il rito avrebbe garantito loro un’unione così profonda, un’intimità così totale, che poteva essere officiato solo al termine di una settimana spesa in lunghe ore di meditazione, e durante la quale gli sposi non avevano assaporato il piacere fisico, non avevano ingerito carni, bevuto liquori fermentati o versato sangue, così da purificarsi, nel corpo e nell’anima.

 

Estel si sarebbe sposato la notte del plenilunio.

E stava, segretamente, partecipando al rito della purificazione.

Erestor soffocò a stento un grido.

No! NO! Se sposava Arwen con quel rito, allora non avrebbe mai potuto lasciarla per unirsi a Legolas! Non avrebbe mai potuto amarlo mentre era sotto il giogo di quell’antico incantesimo, non col corpo, e forse nemmeno col cuore, che avrebbe provato spasmi di bianco dolore accecante al pensiero di tradire la sua legittima compagna!

Per un attimo, Erestor fu sopraffatto da una visione, orribile nella sua intensità. Si trovava in cima ad un promontorio solitario, un nudo dito di roccia che franava incessantemente tutt’attorno, divenendo sempre più piccolo. Frammenti di roccia color ruggine cadevano incessantemente nel turbolento mare sottostante, ma la distanza era tale da inghiottire qualsiasi rumore potessero provocare schiantandosi sulla superficie di quel mare ribollente.

Si stendeva a perdita d’occhio in tutte le direzioni, puzzolente come una pozza di fetido catrame, oleoso e viscido. S’agitava come una cosa viva ed affamata, che stendesse le molteplici braccia, alzandole  in forma di onde dalla luminescenza verdognola. Nelle sue profondità Erestor intravedeva, nei rari attimi in cui tra un onda e l’altra regnava la quiete, le rovine putride e stillanti di tutto ciò che conosceva ed aveva amato.

Le statue viventi*** di Granburrone, gli intrichi sospesi nel vuoto ondeggiante di Lothlórien, i bassi archi di berillio scintillante di Mirkwood, e poi, oscenamente ricoperta di licheni ed alghe, ridotta a poco più di un ammasso di macerie farinose e resti bruciacchiati, c’era lei, la Bellissima, l’Unica, la sua Città Natale.

Con sgomento misto ad orrore, Erestor vide forme bianche e gonfie fluttuare con grazia malsana nelle strade sommerse. Corpi putridi e grigiastri che gli sorridevano sdentanti, ammiccando invitanti coi loro visi grigiastri, appena visibili dietro la cortina fluttuante dei capelli. Poi, subito sotto di loro, si aprì una porta.

Un bimbetto biondo l’attraversò, stringendo al petto una bambola a forma di piccolo elfo-cavaliere. Aveva le gote lucide e tonde, appena accese di un delicato colore rosa. Gli occhioni azzurri fissavano qualunque cosa con pacata curiosità. Si scostò una ciocca di capelli biondi dalla fronte, e senza accorgersi s’avvicinò al punto in cui uno di quei cadaveri immondi aspettava oscenamente acquattato.

Erestor provò ad urlare, ma sentì che non ci riusciva.

No!

Il bambino saltellava, la sua sagoma distorta nell’ondeggiare improvviso del mare.

Non andare!

Le scarpine ticchettavano quiete sul pavimento lastricato di marmo. La sua risata era un trillo deliziato. Raggiunse il crocevia d’ombra.

Và via di lì! Lassë! Và via di lì!

Il bimbo avanzò ancora di un passo, e la creatura demoniaca l’afferrò. Le sue mani artigliate si trasformarono in guizzi di fiamma, il viso putrefatto si contorse in una maschera d’indicibile malizia. La bambola cadde e si spezzò con un rumore simile a vetro. Il piccolo iniziò ad urlare, contorcendosi mentre le fiamme l’avviluppavano, divampando, e la città improvvisamente non era più una reliquia morta, ma una pira funeraria in cui correvano, sgomenti, centinaia, migliaia di Elfi urlanti.

 

Erestor provò a cacciare un urlo, e lo trovò soffocato nella lucida tunica di Glorfindel. Sentiva le sue dita scorrergli veloci tra i capelli. Le labbra, premute fermamente sulla sua fronte gelata mormoravano senza sosta il suo nome. Erestor ebbe un singulto, e si abbandonò all’indietro, come se quel contatto confortevole gli avesse provocato un dolore tremendo. Tremava. I suoi occhi erano immensi nell’ovale bianco del viso.

“Erestor! Erestor! Calmati! E’ tutto finito! Tutto finito…” ripeté Glorfindel, e con un moto di cieca preoccupazione se lo strinse al petto, cullandolo. Lentamente, sentì il corpo di Erestor perdere quella rigidità di ghiaccio, sentì le mani inerti curvarsi mollemente attorno alle sue braccia, sentì la pelle, fredda come quella di un morto, tornare pian piano alla vita.

Erestor si spinse contro di lui, lasciando scivolare in su la testa fino ad incontrare, oltre la spalla di Glorfindel, la visione stranamente tranquillizzante di Estel e Legolas, immersi nell’acqua fino alle caviglie nude, le spalle che si sfioravano appena. Non stavano facendo nulla, o almeno, nulla che Erestor potesse vedere. Erano fermi, ignari, con lo sguardo perso nei loro riflessi tremolanti.

Le loro mani, che in realtà ricadevano mollemente lungo i loro fianchi, erano intrecciate saldamente in quel riflesso incerto, e scintillavano fioche. Quella visione s’intrufolò nel cuore di Erestor, e lo fece vibrare come la corda di un’arpa. Lo pervase un sottile senso di pace.

“Hai visto il futuro, Erestor? L’hai visto ancora?”

“No,” mormorò lui, abbandonandosi con la guancia contro il corpo caldo di Glorfindel. “Era il passato. A volte succede. Solo il passato…”

Chiuse gli occhi. Nella sua testa vorticava ancora, come preda d’un vento impazzito, la vocina urlante di quel bimbo tanto amato.

Di nuovo, come spesso era accaduto nel corso della sua lunga vita, Erestor sperò di addormentarsi, come solo i mortali potevano, e non svegliarsi mai più.

 

 

-TBC (?)

 

 

*Bugia! bugia! ^^;; Eeeeehhh… in realtà, da quel che dice il Maestro, non c’è nemmeno un rito ben definito… da come l’ho sempre capita io, bastava anche solo che due Elfi facessero l’amore, perché fossero considerati sposati. Ora, questo andava contro i miei interessi, e perciò ho “dinamicizzato” un poco la cosa, inventando l’esistenza di più riti matrimoniali…

** Gli Elfi e gli Uomini

*** Definite così in una delle guide del film de La Compagnia