.|. Asrun Dream .|.

Note dell’ autore: La trama s’infittisce…

Capitolo 4

~

“Noi due abbiamo cosa?”

“Un appuntamento.”

“Un *cosa*?”

“Un appuntamento.”

Come?”

Glorfindel fece roteare gli occhi.

“Erestor, lo so che ci senti benissimo. Sei un Elfo.” Emise un sospiro. Si protese attraverso la scrivania fino ad essere naso-a-naso con l’altro Elfo, e iniziò a scandire le parole come se parlasse ad un bimbo particolarmente denso.

“Io_e_te_abbiamo_un’_AP-PUN-TA-MEN-TO. Appuntamento.”

“Questo l’avevo capito!” Erestor esalò rumorosamente. Si era alzato di scatto dalla sedia, sbattendo le mani sulla scrivania, causando un tremolio e un tintinnio nei vari calamai e portapenne posti in equilibrio sul pianale. Inutile dirlo, Glorfindel aveva specchiato perfettamente ciò che aveva fatto, così che i due si fissavano ancora con le punte del naso che si sfioravano un metro sopra la scrivania.

Erestor chiuse gli occhi e si costrinse a calmarsi. Respirò a fondo. Tornò a sedersi lentamente. Poi ci ripensò, scattò in piedi e andò a versarsi un bicchiere di miruvor.

 “Ne hai avute di idee stupide, malsane, folli, idiote e assolutamente prive di senso, Glorfindel, ma questa le batte di gran lunga tutte!”

“Aw, grazie! Era un complimento, quello che è appena uscito dalle tue adorabili labbra?”

“E smettila di fare lo sciocco!” come resistette all’impulso di vuotargli in testa la caraffa di liquore, Erestor non lo seppe mai. Si toccò la tempia con la punta delle dita.

“Come ti è venuto in mente, come hai potuto, no! come hai *osato* fare una cosa simile?” La sua voce, solitamente così pacata, raggiunse una tremula nota acuta sull’ultima parola. Glorfindel mise il broncio.

“E cos’altro potevo fare? Credi forse che Estel mi avrebbe dato retta, così, senza chiedere nulla, se gli avessi detto di invitare fuori un perfetto sconosciuto, portarlo in uno dei posti più romantici della Valle, provare a sedurlo, e possibilmente riuscirci…  quando manca meno di una settimana al suo matrimonio segreto??” Incrociò le braccia. Alzò il mento per guardare l’altro Elfo dall’alto in basso, pieno di finta vanagloria. “Senza una scusa plausibile, come avrei potuto convincerlo?”

“E la tua scusa plausibile,” la voce di Erestor stillava sarcasmo come un favo stillerebbe miele. “La tua scusa *plausibile* è che *tu*” -lo additò- “volevi uscire con *me*,” –si puntò l’indice al petto- “ma ti vergognavi troppo a venire da solo?”

“Esatto.”

“E perché mai??”

“Ma perché sono timido!”

“Volevo dire, perché diamine ti sei inventato una simile *baggianata*!” tirò indietro il bel labbro superiore, scoprendo i denti serrati. Era un ringhio quello che gli salì dalla gola?

“Stammi bene a sentire Glorfindel, perché non lo ripeterò. Mi rifiuto, mi rifiuto categoricamente di essere considerato una delle tue infinite conquiste! Io non sono uno di quegli Elfi che si lasciano andare a promesse di stupido piacere fisico. Non sono uno di quegli Elfi senza cervello che si rifiutano di capire l’importanza di un simile atto. Non sono uno di quegli Elfi che puoi…” si costrinse a chiudere la bocca. Una parte di lui si rendeva conto che non poteva, non aveva diritto, di scaricare su Glorfindel la sua malsana gelosia.

Glorfindel non era suo.

Sentì un lampo doloroso trapassargli le tempie. Chiuse gli occhi per nascondere la luce dorata che li aveva colmati, e che ora stava stampando a fuoco sulle sue palpebre abbassate scene di un passato

(baci carezze il suono di un flauto d’argento che echeggia nel chiaro di luna capelli d’oro ti amo pelle di pesca ti amo la risata argentina di un bimbo e poi le fiamme fiamme che s’alzano rosse affamate odore di carne bruciata capelli sferzanti tra le scintille di fuoco)

che Erestor aveva rinnegato.

“Ora tu esci di qui, vai di filata da Estel e gli spieghi che il tuo era tutto uno scherzo! Subito!”

“Ma… Erestor! Questo rovinerebbe tutto!”

“Rovinerebbe cosa? Cos’altro c’è da rovinare oltre la mia povera reputazione? Eh? Eh?lasciò scivolare le palpebre all’insù, e fu felice di constatare che la sua vista era tornata normale. Resistette all’impulso di specchiarsi e vedere il colore che i suoi occhi avevano assunto. Guardò Glorfindel, e s’accigliò nel vedere l’espressione compiaciuta che portava in viso.

“Come *cosa*? Il primo appuntamento di Legolas ed Estel!” Glorfindel era il ritratto dell’orgoglio. Si dondolava avanti ed indietro sui tacchi, e con aria fintamente assorta iniziò a lucidarsi le unghie sulla tunica. “Le mie spie m’informano di averli colti in atteggiamento sconveniente ieri, prima di cena, e che al termine del loro amoreggiamento si sono divisi con la promessa di cavalcare insieme, questa mattina, assieme a noi.”

Erestor lo fissò senza parlare finché Glorfindel non cominciò a sentirsi a disagio. Si allentò nervosamente il colletto.

Uuuh…Fa caldo qui, eh?

“Tu hai delle *spie*?”

“Beh…”

“Hai *di nuovo* origliato alla porta dei gemelli, non è così?”

“Io non lo chiamerei proprio ‘origliare’.”

Erestor emise un suono che poteva essere una risatina, o uno sbuffo.

“No, infatti. Appoggiare un bicchiere sul muro e ascoltare cosa capita aldilà lo descrive meglio.”

Glorfindel gli prese il calice dalle mani, e lo alzò come per brindare a qualcosa.

“Esatto,” disse. Rovesciò la testa all’indietro e ingoiò il liquore tutto d’un fiato.

 

* * * * *

 

Estel passò un tempo maniacale a preparasi, quella mattina. Sebbene, in caso qualcuno gliel’avesse chiesto, lui avrebbe negato fermamente ogni cosa. Nossignore, non è affatto così. Non mi sono fatto bello per Legolas. Affatto. Ovviamente ragazzo. E’ normale, quindi, che tu abbia fatto un bagno profumato ed abbia rubato i vestiti di Elrohir? Sicuro: normale come il sole nel cielo.

Con un brontolio Estel si strappò di dosso l’ennesima tunica e la tirò nel mucchio ben assortito che si alzava alle sue spalle. Un’accozzaglia di verde edera, giallo pallido, rosso foglia autunnale, fior di ciliegio, azzurro oltremare, grigio fumo, bianco perla. Nella scelta del guardaroba, non si poteva dire che Elrohir non fosse vario. Vesti di lucida seta, ampi pantaloni da cerimonia, tuniche da caccia strette fino a togliere il respiro, stivali di cuoio lavorato, manti di velluto e bracciali da arciere erano impilati ordinatamente nell’armadio a parete della sua stanza, divisi per armonie di colore. O meglio: lo erano stati fino a quando Estel non si era intrufolato in cerca di qualcosa di adatto, con la pelle ancora arrossata per il bagno, ed i ricci umidi che esalavano dolci effluvi di vaniglia e cannella. Adesso quei vestiti si trovavano sparsi in varie pose di abbandono per tutta la stanza. Una camicia di seta bianca di Lothlórien pendeva a braccia in giù dal lampadario, come se il fumo delle torce lì appese si fosse magicamente   tramutato in una lastra di lucido ghiaccio.

Estel rovistò ancora un attimo sul fondo dell’armadio, poi si rialzò. La sua immagine riflessa lo fissava accigliato dal fondo della camera. Era a torso nudo, le gambe fasciate strette in un paio di comodi calzoni da notte a vita bassa, e un leggero velo di traspirazione faceva scintillare la pelle abbronzata. Estel guardò la sua immagine passarsi la lingua sopra il labbro e catturare il sapore metallico del sudore. Aveva un’espressione contrariata in volto, che Estel ben comprendeva. Di questo passo, la mossa successiva sarebbe stata quella di mettersi a fare le capriole all’indietro, pur di compiacere Legolas.

No, rifletté, non posso comportarmi così. Non è… appropriato. Proprio no. Devo smetterla, prima che qualcuno inizi a pensare male.

Scambiandosi un cenno d’assenso col suo riflesso, Estel si ritirò nella sua stanza, e proibendosi di ripensarci s’infilò una semplice veste da caccia nero fumo, un pò lucida sui gomiti, ma perfetta per cavalcare.

Si rivelò la scelta più felice che avesse mai fatto.

Quando qualche ora dopo si presentò alla porta di Legolas per scortarlo alle scuderie, Estel fu lieto di vedere che l’Elfo aveva indossato un completo in semplici toni di grigio e azzurro, fatto di un tessuto morbido, e leggermente opacizzato dal tempo. Come lui, Legolas aveva preferito la comodità all’eleganza, e se proprio bisognava dirla tutta, sembrava che i due si fossero attardati fino a notte fonda a scegliere i loro vestiti, in modo da apparire perfetti uno accanto all’altro: uno splendido contrasto di forza e leggiadria, eleganza e praticità, chiaro e scuro.

Legolas lo accolse sulla porta con un sorriso raggiante. Aveva i capelli sciolti che gli ricadevano mollemente su una spalla. In mano teneva una spazzola d’argento. Estel non provò mai tanto bisogno di fare qualcosa come in quel momento lo provò di toccare i capelli di Legolas.

“Estel! Non ti aspettavo così presto!” mentre parlava, lanciò la spazzola sul letto e con dita agili e precise iniziò ad intrecciarsi i capelli come si conveniva ad un Principe Elfico.

“Hai… fatto colazione?”

Legolas rispose con un sorriso. Scosse la testa, ed i lunghi capelli gli ondeggiarono contro le guance. Poi chiuse gli occhi, e sporgendosi lentamente verso Estel, avvicinò il viso all’incavo morbido che si disegnava tra la sua spalla e il collo. Inalò a fondo, e poi rilasciò un sospiro.

“Odori di vaniglia… è il mio profumo preferito.”*

“E cannella,” ansimò Estel. Legolas rise, un aleggiare del suo respiro sulla pelle.

“E cannella, si. I miei preferiti.” Indietreggiò, e scrutò Estel a lungo negli occhi. Gli sfiorò la guancia, prima di stamparvi sopra, leggero, un piccolo bacio.

“Andiamo!” disse, e ridendo corse via. Estel si sfiorò il punto dove ancora sentiva le labbra di Legolas indugiare sulla pelle, e rimase così per un attimo, prima di partire all’inseguimento.

 

* * * * *

 

Trovarono Glorfindel ed Erestor ad attenderli all’inizio del sentiero che fiancheggiava il Giardino delle Fontane**. Glorfindel era in piedi vicino al suo stallone bardato di campanelli, Asfaloth. Gli carezzava lievemente il muso con una mano, mentre l’altra gli offriva qualcosa da mangiare. Erestor, seduto regalmente in groppa alla sua puledra nera, Tindómerel***, lo guardava divertito.

Anche loro, come Estel e Legolas, si presentavano alla vista come una coppia magnificamente assortita. Glorfindel, coi suoi vestiti chiari e lucidi, ed i capelli abilmente intrecciati, ed Erestor, vestito di color fumo, coi capelli tirati indietro in una piccola treccia e lasciati sciolti. Due ciocche di capelli gli spiovevano attorno al viso come luminose strisce di seta. Il suo viso pareva una perla adagiata in un astuccio scuro.

Legolas sorrise nel vederli, ed agitò la mano, privatamente emozionato nel vederli finalmente insieme. Non era riuscito a credere completamente ad Estel quando questi gli aveva detto chi sarebbero stati i loro compagni in questa passeggiata, e perché. Ma vederli lì davanti a lui con i suoi stessi occhi lo colmò di una gioia trepidante.

“E’ vero!” bisbigliò urgentemente ad Estel, chinandosi verso il suo orecchio. “Non ci posso credere! Sono anni… secoli che aspetto di vederli insieme!”

Estel ridacchiò a quell’eccitazione infantile. Si sporse a sua volta verso di lui con fare cospiratorio.

“Te l’avevo detto, no?”

“Oh, Estel! Non è bellissimo?” chiese. Si era allontanato di un passo, ora, e la luce aureolava la sua figura agile. Una brezza birichina gli agitava i capelli. La gioia gli aveva spruzzato gli alti zigomi di rosso, e gli occhi di stelle.

“Bellissimo,” concordò Estel in un sussurro. Inconsciamente, la sua mano s’alzò a sfiorare il gioiello che portava al collo. Si ritrasse con uno scatto: era caldo.

 

 

-TBC (?)

 

 

*eh eh… lo so che l’ha già detto qualcun altro… la cosa in realtà è collegata, e se mai mi verrà lo schiribizzo approfondirò la faccenda…

** Diciamo che, per comodità, d’ora in poi ogni giardino, aula, o padiglione a Granburrone avrà un nome specifico. =)

*** Tindómerel: “Figlia del Crepuscolo”