.|. Asrun Dream .|.

Note dell’ autore:  Sempre più Ara/Lego, e meno Ery/Glory. Hmmm. Deformazione professionale? Tranquilli, ogni coppia avrà il suo spazio…

Capitolo 3

~

Per un momento, quando Elrond uscì dall’ampio portone centrale, la scena si presentò ai suoi occhi identica a come l’aveva vista quasi mille anni prima.

Erestor era in piedi a mani conserte, vicino ad un destriero bardato coi finimenti d’oro e verdi di Bosco Atro. Indossava un manto di pesante tessuto scuro e orlato di candida pelliccia, che ben complimentava la carnagione di ghiaccio e i capelli corvini. Accanto a lui, un bimbetto dai lunghi capelli color dell’oro, una bambolina di porcellana coi lineamenti squisitamente definiti, che con la testa  piegata verso il cielo tentava di catturare i fiocchi di neve con la punta della lingua. Uno dei suoi piccoli pugni era chiuso nelle pieghe del mantello di Erestor, mentre l’altra pendeva morbida lungo un fianco. Poi Glorfindel, che se ne stava inginocchiato come un Cavalier Servente dinanzi al piccolo, disse qualcosa che lo fece ridere arricciando il naso.

Thranduil, aveva pensato Elrond. Poi, subito dopo, capì: Legolas.

Nonostante lo stupore, nonostante fosse contrariato che Erestor li avesse abbandonati tutti per diventare il tutore di quel piccolo sconosciuto, nonostante non sopportasse l’idea che Legolas

(il figlio di Thranduil)

si trovasse ora nella sua valle, Elrond aveva soppresso ogni rumore, ogni singolo urlo che minacciava di sfuggirgli dalla bocca, e si era girato per allontanarsi. Eppure, mentre gli occhi di Elrond ancora indugiavano sulla sua figuretta, Legolas

(Thranduil)

si era girato, gli aveva sorriso, i grandi occhi blu colmi di risa, e allora Elrond non s’era potuto più trattenere, e avanzandogli minacciosamente contro gli aveva urlato che non poteva restare

(Thrnaduil non poteva restare)

nella sua valle, no, assolutamente, non l’avrebbe permesso, mai, e allora Legolas l’aveva guardato

(Thranduil l’aveva guardato)

con gli occhi in tempesta, non spaventati, no, ma colmi di sorpresa, disappunto, accusa, ed Elrond aveva alzato una mano, e l’aveva lasciata ricadere, veloce, verso di lui, verso quel piccolo viso,

(il viso di Thranduil)

e l’aveva colpito.

Con sua grande sorpresa però, qualcosa, qualcosa, si era frapposto tra lui ed il piccolo; una forza invisibile che gli aveva impedito di fargli male, e che lo spinse indietro, facendolo quasi ruzzolare nella neve. Registrò appena, come distrattamente, l’orribile guizzo fiammeggiante che animava gli occhi di Erestor, pozze di una luce indistinta che colmava completamente le orbite, eclissandole. Glorfindel l’aveva aiutato ad alzarsi, con in volto un misto di pietà e accusa.

“E’ solo un bambino,” aveva detto.

“Non è Thranduil,” aveva aggiunto Erestor, che aveva preso Legolas in braccio, sotto il mantello. Gli occhi del bambino scintillavano quieti nella penombra. I suoi capelli, tempestati di minuscoli fiocchi di neve, luccicavano umidi, mischiandosi a quelli di Erestor in un contrasto splendido. C’era qualcosa di tremendo nel suo volto perfetto, nelle lunghe ciglia color inchiostro, nelle labbra come petali. Sembrava innocente nel suo pallore, e regale. Eppure racchiudeva una tale promessa di sensualità nel suo silenzioso distacco, da lasciare storditi: impossibile negare di chi fosse figlio.

 

Scuotendo la testa, Elrond si risvegliò alla realtà. Erestor era davvero in piedi vicino al cavallo bardato, e Glorfindel stava ancora inginocchiato dinanzi a quella magnifica creatura, ora più grande, matura, sbocciata completamente nella sua sensualità. La nota stonata, ciò che aizzò il suo furore, fu la vista di Estel che baciava la sua mano, Estel che tentava di attirare Legolas a sé, e Legolas che, con un sorriso, si avviava docilmente verso quell’abbraccio.

Scese gli scalini a perdifiato, dimentico del suo ruolo e posizione, e urlando si accanì sul giovane Principe, che d’istinto si fece vicino ad Erestor.

“Tu! Ti avevo proibito di avvicinarti ancora a questa valle!” si udì dire quando la sua mente si snebbiò. Vagamente ricordò di aver allontanato lui ed Estel con uno strattone. Chiuse la bocca con uno scatto secco, e rimase a fissare astioso il Principe splendente e il suo antico maestro. La testa gli pulsava: era un mezz’elfo, e come tale, le sue passioni si riflettevano dolorosamente nel suo corpo. Vi era, in lui, quanto di meglio si trovasse nelle due specie, ma anche tutti i difetti: il trasporto con cui viveva i suoi sentimenti, l’irrazionalità, il dolore - il dolore fisico che gli annebbiava la mente. Si portò una mano alla fronte: era fredda e madida di sudore.

“Non esiste Elfo che non possa entrare nell’Ultima Casa Accogliente,” disse Erestor. Il suo tono sembrava il ruggito quieto di un grosso felino. “E Legolas è mio ospite.” Un guizzo passò nei suoi occhi. Legolas gli posò una mano rabbonitrice sul braccio.

“So di non essere gradito qui, ma-”

“Allora vattene!” Lo zittì Elrond. “Non vogliamo traditori qui! Bugiardi! Spergiuri! Quelli della tua razza non saranno mai bene accolti qui.”

“Sire Elrond-”

“Taci! Taci! Non voglio ascoltare la tua maledetta voce!” Legolas indietreggiò di un passo, ferito. Sempre, sempre, per tutta la vita, Elrond l’aveva trattato in quel modo astioso, come fosse un’animale, o peggio, un demone osceno che minacciasse la loro vita con la sua sola presenza blasfema. Una creatura che non aveva diritto di esistere: ecco come lo definiva Elrond. Un abominio, feccia.

Per lungo tempo Legolas, ancora fanciullo, aveva creduto che Elrond, nella sua infinita saggezza, avesse visto nel suo futuro, e perciò sapesse che Legolas era una creatura detestabile, che non meritava altro che scorno e disprezzo. Poi, una notte in cui la luna splendeva luminosissima in cielo, grande come non mai, Erestor era andato da lui, gli aveva preso il viso tra le mani e, toccandogli la fronte con la sua gli aveva mostrato il suo futuro. Legolas fu imbarazzato di vedere se stesso come un Principe bellissimo, valoroso, forte, che di fianco al suo amato fronteggiava la tenebra che s’alzava dalle Terre di Mordor. Da quel momento, la sua stima di sé aumentò, ma la soggezione per Elrond rimase, così come il dolore per il suo immotivato rifiuto.

“Io…”

“Ora basta.” Tutti i presenti trasalirono, voltandosi verso Estel. La voce che era uscita dalle sue labbra non apparteneva al giovane orfano cresciuto dagli Elfi. No: era una voce roboante e regale, quieta, ma impossibile da ignorare. La voce di un Re. Legolas provò un fremito lungo la schiena, e lo guardò col respiro leggermente accelerato.

“Padre,” continuò Estel. “Perché mai vi comportate così? Legolas è un’ospite, e come tale, è sacro.”

“Nessun figlio di Thranduil sarà mai benaccetto qui.” Estel si accigliò. C’era nel suo aspetto, ora, un elemento nuovo, dignitoso e perfino imponente, che invitava ad ascoltarlo e ad assecondarlo.

“I figli portano dunque le stesse colpe dei Padri? Questo fa di me un malvagio, un debole come Isildur? Indegno di fiducia, di comprensione, di affetto? No- non dite nulla Padre. Non giustificatevi. Per anni vi ho sentito lamentarvi del tradimento di Isildur, e ripetermi allo stesso tempo che ero un figlio adorabile. Mi avete consolato, nelle lunghe notti che seguirono la scoperta della mia identità, dicendomi che io ero io, e non Isildur. E che perciò io non avevo colpe. Io non dovevo essere odiato.

“E ora vi comportate così? Non posso crederci. Padre! Non so cosa vi ha fatto Thranduil, né m’interessa saperlo, se parlarne vi addolora – ma Legolas non ha colpa.” Elrond ingoiò a stento. Voleva dire ad Estel che non era la stessa cosa, affatto, ma sapeva che aveva ragione.

“Tu hai provato te stesso, Estel. Legolas…” guardò il principe con lo sguardo colmo derisione. Legolas voltò il viso.

“Non ne ha mai avuto la possibilità.” Estel si avvicinò al Principe, e gli chiuse la mano su un polso.

“Principe, venite. Vi mostrerò le vostre stanze.” Guardò Erestor, che gli fece un cenno col capo, poi Elrond. “Quelle riservate agli ospiti di riguardo.” Detto questo, si allontanò a testa alta verso la magione*, trascinando via Legolas con impeto.

Quando anche il rumore dei suoi passi echeggianti sul marmo scomparve, Erestor voltò il capo verso Elrond.

“Dovreste imparare da lui.” Poi, con voce quieta, aggiunse: “lasciate andare il passato. Legolas non ha colpa, e dentro di voi sapete che nemmeno Thranduil ne ha.” Elrond gli scoccò un’occhiata furibonda, ma Erestor già si allontanava verso le ombre che infestavano l’entrata svettante.

Glorfindel scrollò le spalle.

“Irritante il fatto che abbia sempre ragione, vero?” Stizzito, Elrond si ritirò pestando i piedi. I giardini deserti, forse, avrebbero potuto aiutarlo a calmarsi.

 

 

* * * * *

 

Estel trascinò Legolas attraverso un dedalo di corridoi, su e giù per scale infinite, sotto file di portici e attraverso aule e giardini (cambiando direzione più volte), senza curarsi né di Legolas che incespicava dietro di lui, né degli sguardi curiosi e divertiti degli Elfi che incrociavano (e a cui Legolas gridava di volta in volta le loro scuse per averli spaventati, interrotti o urtati). Raggiunta un zona particolarmente sfarzosa, Estel s’intrufolò di scatto in un piccolo corridoio ombroso, con alte pareti impreziosite di splendide pitture. Lo percorse quasi in tutta la sua interezza, fino ad una porta di scuro legno cesellato con scene di ampi boschi, fiori, frutta e laghi tranquilli. Si fermò di scatto, e di scattò di voltò. Legolas non fece in tempo a fermarsi, e si ritrovò tra le braccia di Estel, i loro corpi premuti uno contro l’altro in modo intimo e conturbante. Estel lo guardò con la schiena al muro. Le sue braccia si strinsero un po’ più forte attorno a quella creatura meravigliosa che cingevano.

“Io… mi dispiace.”

Legolas gli rivolse un sorriso.

“Gli incidenti capitano.”

Il giovane scosse la testa.

“No: mi dispiace per ciò che è successo prima. Sire Elrond è come un Padre per me, ed il fatto che si sia comportato così…” lasciò che la sua voce si spense in un silenzio dubbioso. Rimase un momento assorto, poi scosse ancora la testa. “Non capisco. Scusami.”

“Non importa. Non sei tu a doverti scusare.”

“Non è giusto… non è giusto che ti abbia trattato in quel modo! Avrei voluto poter fare qualcosa.”

“L’hai fatto. E per me ha significato molto,” disse Legolas in un fiato. Dalla sua voce traspariva sentimento. Troppo. E troppo profondo. Tentando di ricomporsi, si lasciò sfuggire apposta una risata, ed Estel la sentì carezzargli le labbra.

“Ti ringrazio, mio coraggioso Eroe.”

Estel lo fissò per un momento. Pian piano, un sorriso gli si disegnò sul volto.

“Non so se sentirmi lusingato od offeso. Vi state burlando di me, Giovane Altezza?” di nuovo, mentre parlavano, i loro volti si erano avvicinati. Quando Legolas scosse la testa, le sue lunghe ciglia sfiorarono le guance di Estel, che fu stordito ed eccitato dal profumo che s’avvolgeva attorno a lui, lento e sensuale.

“Non mi permetterei mai…” Legolas rise ancora, ma in modo più debole. Una strana turba di sensazioni animavano il suo corpo, varie e prepotenti. Si sentiva bruciare, come una foglia lambita dall’incendio che piano piano consuma tutto il bosco, la valle, il mondo intero, pur di raggiungerla e avvilupparla nelle sue spire.

Gli elfi erano creature spirituali, non carnali. Eppure il dolce richiamo sognante del suo cuore, che anelava a quello del giovane mortale, era eclissato dal bisogno primitivo ed infiammante che il suo corpo aveva di quello di Estel. Rabbrividì ancora. In quel momento, preda della sua passione, si sentì umano più che mai. Si chiese se Estel conoscesse quelle emozioni, e se le stava provando in quel momento: gli Elfi non potevano sentirsi così, era contro la loro natura!

Estel vide il cambiamento nei suoi occhi, scuriti dal sentimento. Il respiro accelerato dell’Elfo era in concerto col suo, corto e flebile.

“Legolas…” iniziò a dire, ma si avvide che le parole gli sfuggivano. Si limitò a stringere Legolas un po’ più vicino, un po’ più forte.

Legolas non poté trattenersi. Alzò una mano e la passò, languida, sul braccio di Estel. Sentì i muscoli tesi e guizzanti sotto la lucida seta. Arrivò alla spalla, ed affondò le dita negli esotici riccioli scuri. Gli sfiorò la nuca con la punta delle dita, poi le fece scivolare giù per il mento, affascinato dalla rada barba che lo punteggiava, corta e ispida. Lasciò che quella mano scivolasse, giù, e giù ancora, finché sentì premere contro il palmo il gioiello che Estel portava sotto la tunica. Legolas ne disegnò il contorno con un dito, che danzò lungo la catenina fino al punto in cui sgusciava fuori dal colletto. Fece come per estrarre il gioiello, gli occhi fissi in quelli di Estel, ma il giovane glielo impedì. Posò una mano sulla sua e la spinse via, dolcemente ma con fermezza. Sul viso di Legolas si dipinse un’espressione di disappunto, e forse, un po’ ferita. Si apprestò a lasciare l’abbraccio di Estel, ma la sua voce lo fermò:

“Bellissimo.” Legolas sbatté le palpebre.

“Bellissimo,” ripeté Estel. “Non mi stancherei mai di ripetertelo. Una cosa così semplice, eppure così vera. Per tutta l’infanzia Erestor mi ha parlato di te, colmando i miei sogni con la tua immagine. Ti descriveva coma una creatura affascinante, esotica, usando mille e mille attributi, metafore deliziose e strofe sempre più nuove e più complesse. Declamava la tua perfezione con la tenerezza di un padre, ed io me ne stupivo. Quando ti ho visto,” Estel gli sfiorò una guancia. “Quando finalmente ti ho visto per la prima volta, ho pensato al tempo stesso che avesse ragione, e che niente di ciò che aveva detto fosse stato abbastanza. Sei… troppo bello, per le mere parole. Bellissimo.”

Legolas si sciolse, letteralmente, tra le sue braccia.

“Estel…” sussurrò. Il suo respirò gli solleticava la bocca. “Io…”

“Legolas…” Era senza fiato.

“LEGOLAS!” due voci gemelle urlarono dall’imboccatura del corridoio. Estel e Legolas si allontanarono di scatto, come scottati. Rimasero a guardarsi, uno premuto con le spalle alla porta, l’altro in una posa identica, premuto il più lontano possibile contro la parete opposta. Gli era impossibile nascondere il loro turbamento.

Dalla luce che filtrava dall’imboccatura del corridoio si fecero avanti, coi vestiti da caccia inzaccherati di fango e sangue nero e coi capelli smossi come dopo un forte vento, Elladan ed Elrohir.

“Legolas!” ripeté Elladan. “Quanto tempo!”

Catturò Legolas in un abbraccio, premendosi contro il suo fianco destro mentre Elrohir si premeva sul sinistro, come rampicanti gemelli che s’abbarbicano s’una colonna d’alabastro. Due paia di identiche braccia gli passarono attorno al collo, e due paia di identiche labbra si posarono sulle sue guance. Legolas si inchinò in un saluto formale, poggiandosi una mano sul petto. I gemelli indietreggiarono. Elladan stava ritto, con le braccia conserte sul petto. Sfoggiava un ghigno a metà tra il malizioso e il canzonatorio. Elrohir gli si era drappeggiato addosso, un braccio posato casualmente attorno al collo, la guancia su una spalla.

“Guarda guarda cosa abbiamo qui! Il bel principino di Bosco Atro!”

Elrohir scosse la testa con divertita rassegnazione quando Elladan si esibì in un inchino esagerato, toccandosi quasi le cosce con la fronte. Quand’ebbe finito, Elrohir si risistemò addosso al fratello in una posa di pacato languore. Legolas restituì il loro sorriso con squisita genuinità.

Secondo lui, i gemelli erano le creature più affascinanti di tutta Arda. Aperti ed onesti con le loro emozioni, ne vivevano fino in fondo ogni sfumatura, portandola all’estremo, come corde tirate di uno strumento dalla rara musicalità. La loro lealtà verso gli amici era totale, fino alla fine, fino alla morte. Il loro astio era letale più dei fuochi del Fato. La loro indole, comunque, era a dir poco amabile: non c’era creatura che non amassero alla follia (Orchetti esclusi, ovvio) e a cui non si appiccicassero come ombre (beh, agli Orchetti che si aggiravano nel nord i due si appiccicavano come ombre, ma con modi ed intenzioni ben diverse). La loro voglia di divertirsi e le loro burle di proporzioni cosmiche erano famose in tutti i regni – sebbene la loro età li catalogasse già da un pezzo tra gli Elfi adulti.

“Sono onorato! I Giovani Signori di Granburrone sono venuti personalmente a salutarmi?” Legolas si finse commosso.

“Salutarti?” cinguettò inorridito Elladan, “giammai! Siamo venuti a salvarti, piuttosto.” Voltandosi, iniziò a dare, veloci, fastidiosissimi colpetti sul petto di Estel con due dita protese. “Estel! Malandrino! Che ci fai col nostro Principino davanti alla tua camera? Eh? Che piani indecorosi avevi per questa sera?” Estel avvampò. Legolas si fece di due tonalità più pallido.

“… la… tua…?” boccheggiò. Estel indicò con uno scatto del braccio la porta qualche metro più giù,  l’indice proteso e tremante.

“E’ quella!” guaì, molto poco regalmente. I gemelli se la ridevano sotto i baffi, deliziati. Estel gli scoccò un’occhiata da sotto le ciglia, uno sguardo che avrebbe potuto uccidere. “Questa è la zona più confortevole di tutta la casa! Ho pensato che fosse la più adatta! E poi, la porta subito adiacente alla mia è la vostra!” Elladan roteò gli occhi.

“Come se questo fosse sconveniente.” Eladan lo colpì un’altra volta con le dita.

“Confessa piuttosto! Cosa avevi in mente? E… ci avresti fatto partecipare?”

“Elladan!” Il fratello gli schiaffeggiò la spalla. Elladan pretese di essere in preda ad un dolore mortale.

“Oh! Persino tu, fratello mio…” fece una piroetta su un piede, una mano posta tragicamente sulla fronte. Quando il fratello gli si fece vicino, una mano protesa con affettuosa preoccupazione, Elladan gli balzò prontamente addosso, l’afferrò e lo fece girare. Elrohir gli passo le braccia attorno al collo e rise.

“Io… vorrei… ritirarmi, se non vi dispiace. Sono un po’ stanco.” Il volto di Legolas era passato dal bianco cenere ad una tenue sfumatura rossa. Estel si schiarì nervosamente la voce. Elladan smise di girare in tondo, ma non lasciò andare Elrohir. Entrambi i loro volti si contorsero in sorrisi maliziosi.

“Ritirarti? Niente affatto! Tu vieni con noi ora, e ci racconti cosa ti ha trattenuto lontano da qui per tutti questi anni!” Disse Elladan. Ancora steso nell’abbraccio del fratello, Elrohir protese le braccia e le fece girare attorno al collo di Legolas.

“Per me?”

“E va bene, va bene!” rise Legolas. Elrohir si lasciò scivolare a terra, e prese Legolas per una mano mentre Elladan lo prendeva per l’altra. I due iniziarono a trascinarlo via ridendo.

“Oh, devi dirci assolutamente di…”

“No, no, prima devi…”

“Affatto! Voglio sapere…”

“Oh, e perché non chiedergli…”

“Legolas?”

Il trio si fermò. Legolas ruotò di scatto sui tacchi.

“Si?” La sua voce era trepidante. Elladan ed Elrohir si lanciarono un’occhiata d’intesa.

“Ecco io… Legolas io…” Era affascinante vedere Estel nei suoi momenti di nervosismo, poiché sembravano un’insieme di quelli dei suoi tutori. Si toccava i capelli, come Erestor; muoveva il piede per terra, come Glorfindel; si schiariva la gola, come Elrond.

In tutta onestà, aveva adorato il modo in cui Legolas si era lasciato condurre, affidandosi completamente a lui, mentre s’addentravano tra i corridoi. Sentirlo così vicino, nelle ombre, aveva acceso in lui uno strano orgoglio, che ora gli rendeva odioso vedere i suoi fratelli condurlo via. Si sentì arrossire. Accidenti! Che altro sarebbe venuto poi? Avrebbe cominciato a truccarsi — come Elrohir faceva a volte per Elladan — solo per apparire il più carino agli occhi di Legolas? Ridicolo! Arrossì.

“Io…”

“Si?” Legolas si avvicinò di un passo.

“Io…”

“Si?” Un altro passo. Erano abbastanza vicini da toccarsi, ora. Non lo fecero. Non sarebbe stato saggio. Non in quel momento, con tutti quei sentimenti confusi che gli turbinavano dentro.

“Domani… io… noi… abbiamo organizzato… andremo a cavalcare, e poi pranzeremo sulla riva del fiume. Mi chiedevo… insomma… vorresti…?”

“Si!” I suoi occhi scintillavano. “Con piacere,” aggiunse con voce più soffice. Estel aveva un sorriso largo da orecchio a orecchio. Sembrava un bambino a cui hanno comprato un dolce.

“Bene!”

“Bene.”

“A… domani.”

Legolas ridacchiò: “A stasera,” lo corresse. “O forse non hai intenzione di cenare?”

 

Elladan ed Elrohir, ritti in pose speculari, le braccia conserte, il capo piegato da un lato, un piede che batteva a terra, e con le spalla di uno che toccava la spalla opposta dell’altro, li guardavano divertiti.

“Tu dici che Estel ce la fa?”

“A fare cosa?”

“A mantenersi puro fino al matrimonio.”

“Beh…”

 

 

-TBC (?)

 

* “Castello”, o “Palazzo” mi suonava male… allora ho scelto magione. ^^