.|. Asrun Dream .|.

Note dell’ autore: Eccoci giunti all’inevitabile capitolo “di transizione”, dove solo poche cose accadono.

       … non uccidetemi se mi fermo, tra l’altro, in un punto “critico”…

 

Capitolo 14

~

Quando Erestor entrò nella grande Sala da pranzo, si rincuorò nel vedere che non era affatto l’ultimo arrivato. Molti Elfi mancavano, ed altri erano assiepati in piedi qui e lì a parlare eccitati, incuranti delle portate che già venivano servite su lunghi vassoi d’argento, tutti intenti a gesticolare e canticchiare sommessi strofe di una canzone appena coniata:

 

O mor henion i dhu:

Ely siriar, el sila

Ai! Anirón Lómelindë

 

Tiro! El eria e mor

I 'lir en el luitha 'uren.

Ai! Anirón… *

 

Erestor abbandonò il corridoio quieto e s’addentrò — lento, come un estraneo in terra straniera —nella luce. I posti di Elladan ed Elrohir erano ancora vacanti, lì in cima al tavolo, al fianco del trono di Elrond, ed anche la sedia (di legno bianco intarsiato e dallo schienale di seta ricamata) destinata ad Arwen era vuota. Legolas mancava, ordine probabilmente dei curatori. Persino Glorfindel doveva ancora sedersi, trattenuto in un angolo da un cerchio di Elfi che erano certamente — dovevano esserlo — suoi ammiratori.

Erestor soppresse per qualche miracolo lo strano, fastidiosissimo sentimento che gli fluttuò proprio lì, nel petto

(gelosia)

e si avviò a testa alta verso la sua sedia, ignaro dell’azzurro sguardo adorante che lo seguì dal centro della cerchia di Elfi schiamazzanti.

Non appena Erestor si fu seduto, gettando indietro i capelli elegantemente con una mano, Glorfindel si scusò educatamente e si affrettò ad occupare la sedia ancora vacante al suo fianco. Erestor, naturalmente, gli scoccò un’occhiata ben poco cortese, una di quelle che sottintendono una certa scarsezza intellettuale del ricevente. Aveva gli occhi stretti — due fessure di gelida fiamma luccicante sotto le sopracciglia corrugate, mentre le labbra si erano strette in una linea. Ma ahime! l’effetto intimidatorio fu perso dalla mente di Glorfindel nell’ondeggiare dei suoi capelli luccicanti, nel profumo dolce che essi spansero nell’aria, nel serico pallore delle sue guance glabre.

“Che cosa stai facendo?! Quello non è il tuo posto,” sibilò Erestor sottovoce, guardandosi attorno come per accertarsi che nessuno l’avesse visto.

“Se quello è il tuo, lirimaer,” rispose pacatamente Glorfindel, riempiendosi il bicchiere come per stabilire il suo possesso su quella sedia, “allora d’ora in poi questo sarà il mio posto. Alla salute!” disse, e bevve.

Erestor si massaggiò la tempia.

“Visto che chiederti di comportarti in modo razionale sarebbe troppo, potresti almeno evitare di chiamarmi in quel modo in pubblico?”

“Perché? E’ carino!”

“Non lo è affatto! E’… è… è…”

“E’?”

Intimo.

“Intimo?”

Erestor annuì.

“Proprio ciò che ho detto: intimo.” Glorfindel rigirò il vino rimasto in fondo al bicchiere con fare pensoso.

“Per ‘intimo’ intendi che è una cosa troppo personale, e che devo limitarmi ad usarla con te nella camera da letto?”

“Sii-NO!” Erestor digrignò i denti in un modo ben poco appropriato a un Elfo nobile, ma che Glorfindel trovò comunque irresistibile. A dimostrazione di ciò gli toccò premurosamente la mano, sfoderando un sorriso da conquistatore del Mondo.

“D’accordo, lirimaer. Se proprio vuoi, d’ora in poi ti chiamerò ‘lirimaer’, soltanto quando saremo insieme in un letto. O – per estensione, ogni qualvolta staremo facendo ciò che di solito si fa in un letto. In una radura, per esempio, magari in un profumato meriggio di Primavera, potrei chiamarti ‘lirimaer’ molto volentieri. Oppure che ne diresti, se te lo dicessi mentre siamo immersi nelle chiare acque di un lago scintillante, sotto la luna d’Estate? O perché, no? Su un tappeto davanti ad un camino scoppiettante, nelle freddi notti d’Inverno. E già che ci siamo, ti confesso che non mi dispiacerebbe chiamarti ‘lirimaer’, magari nei dolci profumi dell’Autunno, lì, sopra quel bel tavolo, sai: quello di legno scuro che tieni nel tuo studio, quello così lucido da potersi specchiare. E ci pensi? Ci sarebbero due Erestor, tutti per me, tu ed il tuo riflesso fremente, come una stella nello scuro della notte…

“…così saresti soddisfatto, lirimaer?!

Disse tutto questo Glorfindel, tutto in un fiato, con voce abbastanza leggera perché solo pochi lo udissero, ma abbastanza forte perché quei pochi che dovevano farlo sentissero e si voltassero, e capissero che Erestor era suo. Disse tutto questo, con  occhi scintillanti e le sopracciglia ondeggianti maliziosamente, punteggiando ogni frase con un bacio sulla mano di Erestor, calda, così calda, anche se sembrava fatta di freddo marmo…

Erestor non resistette: rise. Rise di cuore, rise come pioggia che cade in un bosco, come campanelli d’argento, come cascate di luce, rise, senza fiato, senza prendere respiro, rise finché una tenue sfumatura di rosso non gli sbocciò sul viso, rise, stringendo la mano che ancora teneva la sua. Molti lo fissarono, sorpresi di quel suono giubilante, e soffermarono lo sguardo interrogativo sulle sue dita intrecciate a quelle del Guerriero biondo.

“Oh, Glorfindel! Ma ti ascolti quando parli? Tu sei… sei pazzo!” disse Erestor in soffio.

“Si,” ammise Glorfindel senza vergogna. “Ma di te.”

 

* * * * *

 

Estel fissò quello strano comportamento non senza una punta di gelosia. Era felice per loro, e tanto. Eppure, come desiderava avere quella stessa libertà! Scherzare serenamente col suo Amore sotto gli occhi di suo Padre, giocare, e poi toccarsi, baciarsi, stringersi, imboccandosi l’un l’altro e ridendo sempre, così felici che…

Poi accadde tutto assieme.

Elladan, Elrohir ed Arwen fecero la loro entrata nella Sala. Silenziosi, come neve che cade, ma belli, troppo belli, bellissimi, per essere ignorati; e così tutti si girarono a fissarli, quasi li avessero percepiti, percepiti dentro, e ammirarono con orgoglio i loro Giovani Signori, ammantati di sete e velluti cangianti ed aureolati di luce.

Erestor, come una persona che si svegli improvvisamente da un sogno ritrasse la mano da quella di Glorfindel, e lo fissò per un attimo come un cervo osserva il cacciatore — occhi spauriti, sperduti, grandi come non mai nell’ovale pallido del volto. Poi si scosse e abbassò violentemente la testa, così che i suoi capelli caddero a barriera tra lui e Glorfindel, celandoli l’uno allo sguardo dell’altro. Glorfindel si corrucciò, non un broncio petulante, simpatico, come suo solito, bensì una smorfia di vero dolore che gli ingrigì il viso. Afferrò il bicchiere ed ingollò il resto del vino, ignaro che Erestor ancora lo fissava, obliquamente, da dietro il velo che li separava.

Quindi dalle porte spalancate su un fiotto di luce entrò Gandalf, che si fermò appena oltre soglia. Fissava Erestor e Glorfindel con uno sguardo strano, attento e quasi arrabbiato. Sembrava studiarli come per capire cosa pensassero, eppure dietro il suo sorriso lieve si nascondeva un potenziale di minaccia. Erestor lo percepì, percepì quell’animosità celata, quell’avvertimento severo, e capì che era un messaggio diretto a lui. Capì che Gandalf sapeva. Sentì l’impulso di nascondersi, e fu grato quando Glorfindel si chinò sul tavolo e lo coprì alla vista.

“Gandalf sa cosa vogliamo fare,” disse Glorfindel in un sussurro appena pronunciato. Trovò la sua mano sotto la tovaglia e la strinse. “Ed è contro di noi.”

Erestor annuì, ma non disse altro. Pensò invece a come tutte le volte che riusciva a distanziarsi da Glorfindel, a fingere che non provava niente, un imprevisto, un’occasione fortuita — qualcosa — li costringeva di nuovo vicini.

 

Non era forse stato lo stesso anche a Gondolin? pensò tristemente. Quando tutto e tutti ostacolavano il loro amore, non accadeva sempre, ogni volta, che qualcosa, qualcosa più grande di tutti loro, più grande di Glorfindel, di Erestor, di suo Padre e tutti i suoi Consiglieri, spianava la strada ai due amanti?

Una volta il Padre di Erestor aveva preteso da Glorfindel una rarissima Pietra di Luna come pedaggio per partecipare al compleanno di suo figlio — una Pietra di Luna, gemma fantastica, creduta irreale, e che Glorfindel aveva trovato, così, per caso, giusto fuori dalla porta, in uno dei rivi che solcava la città, e che gli aveva donato incastonata in un diadema di inestimabile bellezza.

E che dire delle volte in cui, sgattaiolando nel buio verso la Casa del suo amato, Erestor trovava i guardiani posti da suo Padre davanti alle porte addormentati riversi contro il muro, uno per uno, decine e centinaia di loro, Elfi grandi ed Elfi piccoli, armati o solo astuti, guerrieri e spie, che al mattino non ricordavano nulla di strano?

Erestor aveva mille di questi esempi ad affollargli la mente.

C’era la scaglia di Drago D’Oro che suo Padre aveva richiesto, e che Glorfindel gli aveva offerto in poche ore, chiusa in un astuccio di legno intagliato che — a detta sua — gli era stato consegnato dalle Aquile. C’era la volta in cui suo Padre, schiumante di rabbia, aveva detto che solo se avesse nevicato, ora, in quell’istante, nel cuore dell’Estate, lui avrebbe permesso a Glorfindel di portare suo figlio a cavalcare. E proprio allora, in quell’istante, nel cuore dell’Estate, aveva iniziato a nevicare, dolcemente, fiocchi come ballerini candidi che si scioglievano sui marmi delle strade in pozze luminescenti…

Maranwë.**

Destino come un vento che gonfia le vele di una nave. Destino come una mano che guida nelle tenebre. Destino come un Amore impossibile, che dall’impossibile viene aiutato a crescere.

Eppure Erestor pensò che per quanto ora sembrasse il contrario, Maranwë non aveva in serbo nulla di buono per loro, come non l’aveva avuto allora.

Li stava costringendo di nuovo insieme, si, l’aveva sempre fatto, disegnando per loro lisce strade dorate che li conducevano inevitabilmente uno nella braccia dell’altro — oltre l’opinione della gente, oltre i legami di sangue, oltre le leggi del Re — ed ora, nuovamente, oltre le fiamme, l’oblio, la morte.

Ma alla fine dei conti, non era poi stato tutto invano? Un gioco prepotente che li aveva uniti, solo per separarli nel più crudele dei modi — col tradimento, l’odio e l’assassinio?

E poi, come smacco supremo, accadde tutto proprio in quel giorno…

Erestor, in un disperato tentativo di dimenticare ciò che non poteva, liberò la mano da quella di Glorfindel, si portò il calice alle labbra, e bevve.

 

* * * * *

 

Elladan ed Elrohir si sedettero al fianco di Estel, uno per parte, ma Arwen lo superò quasi senza vederlo, concedendogli solo una distratta carezza sulle spalle mentre passava. Si diresse a passo svelto verso suo padre, col vestito che frusciava dolce come brezza attorno alle caviglie, e si abbassò a baciargli il viso. Elrond accettò il saluto con grazia formale, ma s’incupì quando ella si chinò ancora di più e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Le mani del Sire di Imladris si fecero bianche attorno al bicchiere. Strinse le labbra, evidentemente contrariato, ma annuì comunque. Arwen, giubilante, sbatté insieme i palmi, come una bimba, e fece segno ad un paio di servitori di seguirla.

In men che non si dica il suo piatto e quello di Legolas erano stati caricati, assieme ad alcune vettovaglie, frutta e due caraffe di acqua limpida, su due vassoi. Canticchiando lei scomparve, allegra come un’allodola, giù per i corridoi da cui era giunta, seguita dai due servitori che trasportavano il cibo.

Estel la osservò sparire nelle ombre, ignaro della rabbia gelosa che traspariva da suo viso.

“Pranzerà assieme a Legolas?” mormorò. Elladan ed Elrohir annuirono sornioni.

“Soli.”

“Insieme.”

In camera da letto!”

Estel digrignò i denti a quel coretto smielato.

“Oh fratello, ma che strana nota di divertimento sento nella tua voce! Vergognati! Non vedi che la loro condotta è assolutamente logica? Arwen è preoccupata per lui, e non si fiderà a lasciarlo finché non sarà certa che sta bene.” Disse Elrohir.

“D’altronde, hanno passato una notte così stancante…” cinguettò Elladan, ed il suo tono era tutto malizia ed allusione. “Ha detto che lui non l’ha lasciata dormire un attimo…l’ha sfinita, poverina… Lei non è abituata a simili sforzi…”

“Oh, ma come puoi dare la colpa a Legolas! Stava così male, e pensa, aveva talmente caldo, una cosa così inusuale per gli Elfi, che Arwen l’ha dovuto spogliare…” rincarò distrattamente l’altro.

“E poi stringerselo nudo al petto quando lui cominciava a fremere dal freddo…”

“Nuda anche lei magari, beh, sai: per non macchiare la seta di Lórien del suo abito…”

 

Se Estel avesse stretto un’altro po’ il suo calice, l’avrebbe rotto. Poteva sperare di strangolare i gemelli davanti a tutti quei testimoni e farla franca? Ne dubitava. Eppure era seriamente tentato a provare…

Disserrò le mascelle. Aveva stretto i denti così rabbiosamente che i lati della faccia gli dolevano. Sentiva le tempie pulsare. Immaginò quei due, Arwen e Legolas, Legolas e Arwen, inestinguibili nel riverbero accecante della loro bellezza, stretti assieme e nudi, splendidamente nudi. Immaginò i loro corpi cercarsi e fondersi come morbide lingue di fiamma. Li immaginò toccarsi. Li immaginò amarsi, e ciò che vide fu pura luce, bianca e insopportabile per i suoi occhi mortali.

Chiuse il pugno con tanta forza da spezzare il calice. Sentì le schegge insinuarsi sotto la pelle e stillargli sangue. Chissà perché, si ritrovò a pensare che quel dolore non era nulla, se paragonato a quello che sentiva in petto.

Scoccò un’occhiata a Sire Elrond, e vide che stillava anche lui la stessa furia silenziosa, mentre guardava accigliato il corridoio dove sua figlia era sparita, diretta alle stanze di quel… bugiardo, come lo chiamava lui, quella creatura ignobile, in cui non aveva fiducia alcuna.

Elrond ingoiò quasi rabbiosamente il contenuto del suo bicchiere. Tentò di riempirlo ancora, ma trovò la sua caraffa — la lunga caraffa panciuta riservata esclusivamente a lui, e a lui consegnata all’inizio del pasto—già vuota. Fece schioccare le dita, stranamente brusco, e un servitore attento gli consegnò subito un’altra caraffa di miruvor. Senza nemmeno guardare il bicchiere, Elrond lo riempì, e bevve ancora.

 

* * * * *

 

I primi commensali stavano abbandonando la tavola. Estel, con un inchino brusco e frettoloso, fuggì come un daino dalle allusioni dolorose dei suoi fratelli. Non sapeva se voleva urlare, se voleva fare loro del male, fuggire, o catapultarsi in camera di Legolas per accertarsi coi suoi occhi che nulla, nulla, nulla, di ciò che i gemelli avevano insinuato stesse accadendo realmente.

Elladan ed Elrohir, pulendosi le labbra con l’angolo del fazzoletto in un gesto ipnoticamente simultaneo, si scusarono giusto qualche minuto più tardi, e lo seguirono silenziosi.

Gandalf, che pareva non troppo preoccupato del cibo, si alzò presto ed andò a fumare in giardino, assorto da chissà quale dilemma interiore.

Erestor… oh, Erestor era fuggito da tempo da quel luogo così soffocantemente luminoso, per rifugiarsi invece nella fresca solitudine delle sue stanze, ridondante di ombre amichevoli e dolci.

Glorfindel, con un ultimo cenno al suo distratto Signore, si alzò per ultimo, spingendo lontano da sé il piatto ancora pieno, e seguì Erestor a distanza. Una sensazione strana gli rendeva la testa leggera, lo faceva avanzare come in sogno — una sensazione che accoglieva con nostalgia dalle nebbie di un tempo remoto, e che ora, di nuovo, dopo tanti secoli, dopo un’intera vita, lo empiva di raffinata agonia. Ma poi, cos’è che era? Come poteva chiamarla quell’Antica Regina? Dolcezza? Voluttà? …riprovazione di sé?

Dietro di lui, gli Elfi continuarono a salmodiare melodicamente quella strana, struggente fiaba a lui sconosciuta.

Ai! Anirón…

 

* * * * *

 

In definitiva, tutto accadde com’era scritto.

Estel, guidato da chissà quale forza, si ritrovò in camera di Legolas, e la trovò vuota.

Elladan ed Elrohir, seguito Estel, lo portarono via dalla stanza, staccando a forza i suoi occhi dal letto sfatto, dai vestiti, di lui e di lei, gettati qua e là, senza vita, senza scopo.

Glorfindel raggiunse Erestor, e per la prima volta nei secoli dei secoli, le stanze adiacenti alle sue, il corridoio, il cortile sottostante —l’ala stessa della Casa, forse— erano vuoti, così che loro due rimasero soli e lontani dal resto del mondo.

 

Maranwë.

 

 

 

 

 

 

-TBC (?)

 

 

 

 

 

* Approssimativamente:

 

Dall’oscurità arrivo a comprendere la notte

I sogni scorrono, una stella splende,

Ah! Desidero quest’Usignolo…

 

Guarda! Una stella s’alza dal buio

La canzone di questa stella m’incanta il cuore.

Ah! Come desidero…

 

** Maranwë = Destino.