.|. Asrun Dream .|.

Note dell’ autore: La coppia Erestor/Glorfindel mi ha sempre affascinato da morire: i due consiglieri di Elrond, uno l’opposto dell’altro, uno il virtuale riflesso dell’altro, mi danno l’idea di essere nient’altro che le due parti di una stessa entità. Un giorno, forse, la vostra pigrissima Nemesi avrà abbastanza tempo ed ispirazione per scrivere tutta la complessa e magica saga che ha creato nella sua testolina malata per questi due Elfi; per oggi accontentatevi di questa chicca. ;o)

Nota 2: Sono una di quelle autrici che segue la ormai popolarissima corrente secondo cui il Glorfindel di Gran Burrone ed il Glorfindel di Gondolin sono lo stessa persona. Da qui il nomignolo “Signor Ammazza-Balrog” che Ery usa col suo caro biondino. ^o^

Capitolo 1

~

“Erestor… ho avuto un’idea!”

Quante altre volte era successo prima? Glorfindel entrò nel suo studio in un frullio di luce dorata e morbidi velluti, spalancando la porta al pari di un Re che ritorni a casa dopo una guerra.

Senza alcun preambolo, senza alcuna finezza. *Tipico*.

La stanza, come sempre, era immersa nella penombra fioca, e l’aria era pura e fresca, come se invisibili correnti d’acqua scivolassero senza suono lungo le pareti, dietro gli enormi scaffali colmi di antiche pergamene e libri. L’unica luce era quella del sole filtrato da dietro una cortina di foglie, verde ed estremamente soffice. Ma nel momento in cui Glorfindel si fece avanti la sua figura sembrò rimandare una chiara luminescenza, come un chiaro specchio d’acque argentee che cattura i raggi del sole.

La sua abitudine di invadere senza permesso né preavviso lo spazio del Primo Consigliere di Elrond era tale che in quattro falcate Glorfindel aveva già raggiunto la scrivania, e vi si era appollaiato sopra con la grazia di un grosso felino. I suo capelli erano lustri come fili d’ambra, gli occhi gemme del colore del mare. Sembrava un raggio di sole incarnato.

Con proverbiale meticolosità Erestor ripose la penna sul calamaio, riavvitò accuratamente il cappuccio della sua boccetta d’inchiostro e unendo le mani davanti a sé sul piano della scrivania gli lanciò un’occhiata dal basso. Il legno, di un colore scuro ed assai raro in quelle regioni, era talmente lucido che il volto pallido dell’Elfo vi si rifletteva come su un vetro. “Fanciulla delle nevi”, così l’avevano ribattezzato durante l’infanzia per quel suo pallore marmoreo, in quei tempi ormai lontani quando non osava farsi crescere i capelli perché altrimenti l’avrebbero canzonato per la sua femminilità. Ed ancora adesso la delicata sensualità del suo volto richiamava quella di una giovane - con quelle labbra morbide, gli zigomi alti e perfetti, i capelli lucidi e neri come ala di corvo, gli occhi stretti fra le frange di ciglia curve e bellissime.

Davvero, se Glorfindel era il sole, Erestor era l’oscurità vellutata della notte impreziosita dal chiaro di luna. Ma attenti a non fare mai ad Erestor di questi complimenti! Perché come della neve possiede il pallore, egli ne ha anche la freddezza.

I due rimasero a guardarsi per un momento – Glorfindel con la bocca atteggiata in un sorriso, ed Erestor con un sopracciglio arcuato.

“Non mi hai sentito?” incalzò infine Glorfindel, sfiorando col viso curioso quello spazientito dell’altro Elfo. “Ho avuto un idea.”

“Capisco che un tale evento sia sconcertante e sicuramente meriti di essere festeggiato, ma non vedo come mai tu sia venuto a dirlo a *me*,” commentò Erestor asciutto.

Glorfindel liquidò la vaga sensazione di doversi sentire offeso con una scrollata di spalle. Raccolse una delle boccette d’inchiostro ed iniziò a rigirarsela nelle mani.

“Perché devi aiutarmi a metterla in pratica,” disse, come se fosse la cosa più ovvia su tutta Arda. Erestor si alzò, e camminando intorno al tavolo si parò dinanzi lui per sfilargli la boccetta di mano e rimetterla attentamente a posto. L’imperioso sopracciglio destro si unì al suo compagno in mezzo alla liscia fronte bianca.

“Prego? Devo essermi distratto… mi è sembrato di averti sentito chiedere, no *pretendere* il mio aiuto?”

Glorfindel fece spallucce. Iniziò a frugare con fare assente fra i documenti impilati in una colonnina all’angolo del tavolo.

“Credimi, non c’è niente che non vada nel tuo udito. Ho in mente un piano, e mi serve aiuto per realizzarlo. Il tuo. E non accetterò un no come risposta.”

“Un *piano*?” fece eco Erestor, mentre riafferrava i fogli svolazzanti e li impilava accuratamente. Emise una bassa risatina sardonica, un suono come uno sbuffo graffiante. “Ti prego. Alludi forse ad una delle tue *solite* trovate senza capo né coda? E’ universalmente noto come esse portino solo disastri, Signor Ammazza-Balrog.” Erestor incrociò le braccia, chiudendo una mano su ambo i gomiti. Sul suo volto aleggiava un sorriso che per metà incredulo e per metà sarcastico.

“Devo ricordarti cosa è accaduto l’ultima volta che hai attuato uno dei tuoi cosiddetti “piani”, oppure i segni che ti ha lasciato Lindir non sono ancora spariti?” Glorfindel agguantò distratto una statuetta fermacarte della prima Era. Sembrava fatta di rugiada soffiata, tanto pareva lucida e fragile. Glorfindel la fece roteare un paio di volte in aria, riafferrandola al volo. Scrollò le spalle.

“I miei piani non riescono mai, dici? Uhm. Un motivo in più per aiutarmi.” Lanciò nuovamente la statuetta. Erestor l’afferrò ad un centimetro dal viso sorridente di Glorfindel e la rimise a posto con cura – non senza aver incenerito l’altro Elfo con uno sguardo.

“Glorfindel--” Fece appena in tempo a fermare Glorfindel prima che iniziasse a giocherellare con uno dei suoi tagliacarte di mithril. Glorfindel guardò la bianca mano con le sue dita ingannevolmente esili stretta attorno al suo polso; poi, con una smorfia maliziosa sfiorò con le labbra quella pelle di pesca. Il profumo che gli colpì le narici era di vaniglia e fresie, foglie d’estate e fresca rugiada. Erestor roteò gli occhi. Abbandonò la mano lungo il fianco, e voltandosi s’incamminò fino ad un basso stipite di legno intarsiato senza che la sua sembrasse una fuga.

“Non so nemmeno cosa tu stia macchinando. Perché dovrei aiutarti?” Disse, mentre estraeva dallo stipite una bottiglia colma quasi fino al collo di liquore trasparente. Quando Erestor la svitò un’insinuante odore fruttato sembrò spandersi attorno a lui. La luce colpiva le minuscole sfaccettature nel cristallo e scivolava al pari di acqua sulle sue dita, le mani, il collo, ogni parte della sua pelle che potesse raggiungere. Riempì due bicchieri col miruvor fragrante e volgendosi ne porse un calice scintillante a Glorfindel, che lo prese ed iniziò a sorseggiare senza una parola.

Era nella sua natura flirtare con ogni Elfo, così com’era in quella di Erestor di reagire glacialmente ad ogni sua avance. Scambi come quello appena avvenuto erano ormai una routine quotidiana per loro. Eppure, mai una volta Erestor aveva mostrato interesse, o reagito in alcun modo, quando Glorfindel l’aveva avvicinato. In molti sussurravano che Erestor, con i suoi occhi dorati ed il potere inquietante di leggere nell’animo delle persone, non provasse affatto sentimenti. Glorfindel li liquidava tutti come stolti.

Lui era uno dei pochi che avevano visto il cuore di Erestor, e sapeva quanto sensibile poteva essere quell’Elfo apparentemente di ghiaccio. Bastava guardare all’affetto con cui aveva stretto a sé i figli di Elrond quand’erano in fasce; la preoccupazione e la pietà con cui si occupava di coloro che ritornavano feriti da sortite e ispezioni nei boschi; la nuda gioia che scintillava nei suoi occhi quando era libero di vagare nei giardini lussureggianti di Gran Burrone, e gli uccelli intonavano cori estasianti attorno a lui.

Probabilmente Erestor sapeva che lui non intendeva veramente sedurlo. Le sue avanches erano solo bonarie prese in giro; per questo le ignorava. Inoltre, Erestor non era il tipo da abbandonarsi ad incontri sporadici e puramente fisici; o comunque, non con lui.

O almeno, così pensava Glorfindel. Nella testa di quel biondo rubacuori c’era un’immagine di Erestor cristallina, velata, ed inarrivabile. Come una specie di icona luminosa che lo guardava da regioni a lui precluse. Amichevole, si. Autorevole. Bello. Misterioso. Saggio. Disposto ad aiutarlo, così come a riprenderlo, sprezzante; a ferirlo, a salvarlo da situazioni in cui la sua testarda baldanza lo portava a infilarsi; a sorreggerlo, a guidarlo, a lasciarlo solo coi suoi errori, a supportarlo nelle sue convinzioni, a urlargli contro quando asseriva pareri per lui inconcepibili.

Ma sempre e comunque qualcosa che si trovava aldilà di un velo intrapassabile. Sempre presente, ma sempre distante. Cristallo, non ghiaccio. Diamante; duro e bello e prezioso, ma mai fragile.

Più volte Erestor gli aveva fatto intendere che una tale stima lo stupiva. Glorfindel soleva allora rinfacciargli senza mezzi termini che essere il Redivivo Uccisore del Balrog, Eroe di Gondolin, Signore della Casa del Fiore Dorato, mandato dai Valar per vegliare su Elrond – tutto questo, non era nulla in confronto all’essere Erestor. Non per lui. Erestor allora rideva –non la risata graffiante che usava nei concili, ma un tintinnio come acqua zampillante- e scuotendo la testa lo guardava con i scintillanti occhi del colore di un’alba autunnale, e la bella bocca imbronciata e ridente.

“Ah, ma Erestor è Erestor e nulla più!” esclamava. “Non è il tenero Lindir, o il saggio Elrond, o il valoroso Glorfindel. Solo Erestor.”

“Esattamente,” rispondeva lui. Ma l’altro scuoteva la testa, come se sapesse cose che a Glorfindel non poteva dire.

 

“Avanti,” sospirò Erestor, come per sottolineare una grande afflizione. Glorfindel quasi trasalì, risvegliandosi dalle sue contemplazioni. Guardò Erestor alzare il calice verso di lui. “Spiegami per bene cos’hai in mente. Se sei fortunato –o possiedi qualche talento nel raccontare- potrei perfino trovare il tempo di considerare la tua proposta.” Glaciale. Cinico. Il caro, vecchio Erestor. Glorfindel stirò le labbra in sorriso sornione.

“Se è così, posso permettermi di domandare al nostro illustre Primo Consigliere quali impegni ha per il prossimo plenilunio?” Erestor inarcò un sopracciglio.

“Cos’è, devo *di nuovo* compilare per te i tuoi rapporti di pattuglia? Organizzare una serata romantica per te ed il tuo ultimo, travolgente amore che durerà si e no due giorni?” Si portò il bicchiere alla bocca e sorbì un piccolo sorso. “Sai bene che passo le mie serate nel mio studio, o nei giardini. Cosa ti serve?” La risposta che ricevette rischiò di farlo strozzare col liquore.

“Ma come? Un accompagnatore per la Cerimonia di Unione del figlio di Elrond, che altro?” Erestor annaspò sorpreso, mentre Glorfindel riprendeva a sorseggiare tranquillamente il suo miruvor. “O forse non intendi partecipare? Ah, come biasimarti? Chi non preferirebbe la compagnia di grilli e falene ad una ricca festa, con cibi e vini dei più pregiati, e canti e balli fino al sorgere del sole?” Rigirò il liquore sul fondo del bicchiere. Lanciò uno sguardo ad Erestor da sotto le ciglia, cercando di non fissare la bocca schiusa e gli occhi grandi. Le guance, pallide, si tinsero sotto i suoi occhi d’una lieve sfumatura rosa.

“Uno dei gemelli si sposa? Oh, perché non ne sono stato informato?” gemette. “Non ho fatto nessuno dei preparativi necessari! Le vesti! Gli addobbi! I fiori! Non ho fatto forgiare gli anelli, né lucidare i marmi della Sala Bianca! Per i Valar, e gli invitati? Chi li ha avvertiti? Oh, non avranno mai il tempo di arrivare! E poi…” tacque nel notare lo sguardo divertito con cui Glorfindel lo fissava. Un lampo passò nei suoi occhi.

“Tu! Oh, sporco mentitore che non sei altro! I gemelli non si sposano! Non si sposano affatto!”

“Tsk-tsk, ora mi offendete mio caro consigliere,” Glorfindel agitò un dito nella sua direzione. “Chi ha mai detto che uno dei gemelli si sposa?” Erestor mise giù il calice così forte da far tintinnare il vetro. Alzò le mani al cielo in una mossa esasperata.

“Per quale *insano* motivo tu ti diverta a farmi perdere la pazienza, non lo capirò mai!” Glorfindel trotterellò verso di lui.

“E’ che sei così *carino* quando ti arrabbi!” lo canzonò, facendogli scivolare teneramente il dorso della mano sulla guancia, per poi dargli un pizzico, come a un bimbo. Erestor lo scacciò come una mosca particolarmente fastidiosa.

“E poi sono l’unico che ci riesce. Fammi godere questo mio talento.”

“Infantilismo, Glorfindel. Il termine giusto è *infantilismo*.” replicò l’altro.

“Preferisco Genio Nascosto.” Precisò. Gettò indietro la testa e svuotò suo bicchiere in un sorso. “A che ora sarai pronto? Devo venire a prenderti nelle tue stanze, o ci vedremo direttamente alla cerimonia?” Erestor fece il gesto di massaggiarsi il naso tra i due occhi.

“Oh, per favore.”

“Sul serio, manca solo una settimana, sai? Dovremmo cominciare ad organizzarci!”

“Glorfindel…”

“Cosa mi metto? Velluto o seta? Bianco? Oro? Blu? E tu? Ah, dobbiamo assolutamente indossare dei vestiti perfettamente appaiati.”

“…smettila di…”

“Se vuoi potremmo preparaci insieme... io vesto te… tu vesti me… tu mi lavi… io ti intreccio i capelli… la mia camera o la tua?”

“Io non…!! Glorfindel!”

“Beh, hai ragione. Dubito che una volta che mi avrai visto nudo vorrai ricoprir---”

“Insomma, basta!”

“—mi, ma non posso certo presentarmi nudo al matrimonio di Estel.” Terminò Glorfindel tranquillo. Erestor si bloccò. Una pietra non sarebbe potuta essere più immobile.

“…prego?”

“Estel si sposa. Questo plenilunio,” agitò le sopracciglia. “Non era ai gemelli che mi riferivo.” Erestor lo fissò. Lui lo fissava. Continuarono a fissarsi. Andò avanti così per almeno un interno minuto. Poi dalla bocca di Erestor sfuggì un suono che poteva essere definito solo come un gemito di dolore.

“Stai scherzando… vero? Dimmi che stai scherzando. Dimmelo. Ti *prego*.” Glorfindel emise un sospiro stanco. Poggiò il bicchiere e voltò il viso verso la finestra. Scosse la testa. Si voltò in tempo per vedere Erestor impallidire ancora di più. Possibile che il pensiero che Estel si sposasse fosse così devastante per lui? Glorfindel sentì qualcosa agitarglisi in petto. Di riflesso strinse i pugni. Scosse ancora la testa, ed Erestor emise un piccolo, sensualissimo, doloroso gemito.

“No, non sto affatto scherzando.”

Per un momento, Erestor si guardò attorno sperduto, poi si lasciò cadere su una sedia, una mano premuta sul petto. Prima anche solo di rendersene conto, Glorfindel si era buttato in ginocchio tra le sue gambe, e gli sfiorava le spalle con fare preoccupato.

“Erestor?”

“Estel non può sposarsi…” mormorò l’altro, col tono di qualcuno sperduto nelle ombre. Glorfindel combatté l’istinto di scuoterlo, o di trovare Estel e scuotere lui, fino a fargli *giurare* di non alzare mai nemmeno più gli occhi su Erestor. Non fosse stato così preoccupato per il suo amico, Glorfindel si sarebbe stupito di tanta aggressività.

“No, non ora… no! Sarebbe… sarebbe un disastro!” Erestor mormorò ancora. Chiuse gli occhi in quel gesto oramai così familiare, e quando li riaprì, dal colore morbido del miele si erano fatti come quelli di un gatto. Glorfindel trasse un respiro ansante, convinto che mai si sarebbe abituato ad un simile prodigio.

 “Io lo so. Io l’ho visto,” disse in tono molto ovatta­to, come se la sua stessa voce potesse ferirlo. Non poteva fare a meno di tremare. Sfiorò la guancia di Glorfindel con la punta delle dita. Quando si sporse in avanti, i capelli ricaddero in una cortina di nebbie scure attorno ai loro visi. Parlò come se stesse rivelando un segreto innominabile.

“Non puoi capire… ma io ero là… sul ciglio di un baratro a fissare le spoglie di un mondo ormai morto… il regno del silenzio incontrastato, che durava da secoli e per secoli sarebbe continuato ad esistere… l’ho visto, tra i vapori che sembravano esalare da abissi inauditi, tra la spuma di acque velenose e le figure ammantate di bianco che danzavano sugli acquitrini putrescenti e colmi di morte…” rabbrividì. “Solo distruzione, solo dolore… sangue, e tenebra. E poi… Sauron. Sauron…” non poté andare avanti. Glorfindel se lo strinse al petto, come volesse incastonarvelo. Non riusciva nemmeno a comprendere che maledizione terribile poteva essere quella di vedere il futuro. Per Elrond e per la Dama Galadriel quella facoltà sembrava un dono. Ma essi potevano vedere vari futuri, ed adoperarsi per cambiarli, e comunque sapevano richiamare a comando le loro visioni.

Erestor no.

Le visioni lo attaccavano, si accanivano sulla sua mente come belve affamate, artigliando, squartando, senza nessun preavviso, senza possibilità di controllo. Ed il dolore che portavano con sé era innominabile, e come un veleno lo ricolmava, senza lasciarlo mai veramente in pace. Glorfindel lo sapeva, sapeva quanto sofferenza causavano ad Erestor le sue visioni, avendo visto per caso una premonizione cogliere Erestor una sera che passeggiava nei boschi. L’Elfo era stato catapultato mente ed anima in un’altro universo, colmo di tenebre paurose che l’attanagliavano, divorandolo a poco a poco, ed nell’incoscienza del dolore Erestor si era stretto a lui come un bimbo, tremante e con gli occhi di un colore indefinibile e orribilmente luminoso.

Come nessun’altro avesse mai scoperto il potere di Erestor lo stupiva. Ma allo stesso tempo un intimo senso di orgoglio lo colmava al pensiero che lui -e solo lui in tutta la Terra di Mezzo- condivideva con Erestor quel segreto, quella sua unica debolezza che lo rendeva improvvisamente accessibile.

“Una sola è la persona che deve dividere il destino di Estel,” continuò Erestor, la sua voce ovatta per via della bocca premuta contro il collo di Glorfindel. “Ma Estel non sa nemmeno che lui esista. E vuole sposarsi? No, sarebbe una catastrofe. Una catastrofe.”

Passò qualche minuto di silenzio. Persino il vento, che aveva fatto agitare i rami nel giardino sottostante, s’era chetato. Poi, improvvisamente, Glorfindel emise un fischio, e fece ondeggiare le sopracciglia.

“Lui?” gracchiò, esasperando il suo stupore. Erestor quasi rise. Sbuffò. Glorfindel gli passò una mano sui capelli.

“Beh, almeno ora so che mi aiuterai nel mio piano,” disse. “Erestor, io voglio fermare questo matrimonio.”

Erestor aggrottò le sopracciglia.

“Perché?” sussurrò.

“Vedi… Rumil ha detto ad Elladan che ha detto Elrohir che a detto a Lindir che ha detto a me, raccomandandosi di non dirlo a nessuno, che Estel ha conosciuto la sua futura sposa nel Lorien,” sorrise. Erestor era ancora tra le sue braccia, e la sensazione era incredibilmente dolce, quasi nostalgica, come se in un passato assai remoto l’avesse stretto nello stesso modo.

“Ora, usando i miei metodi di persuasione -che è meglio tu non sappia, ma comunque sai- ho scoperto che tutto è stato preparato in gran segreto, perché Estel è convinto che Elrond ostacolerebbe questo matrimonio.” Erestor scosse la testa, dando l’impressione di essere un po’ perplesso.

“Come puoi essere così confuso non lo saprò mai,” commentò, toccandosi la fronte con la punta delle dita. “In sostanza, mi stai dicendo che una qualche Elfa di Lothlórien ha irretito Estel e vuole costringerlo a sposarla, ed Elrond non ne è stato informato *apposta*? E tu? Perché vuoi intrometterti?”

“Tutta questa segretezza mi ha dato da pensare. All’inizio, ho ritenuto semplicemente che Estel avesse taciuto perché, come futuro Re degli Uomini, non può sposare una comune Elfa. Poi però ho considerato un particolare che mi era sfuggito… ed ecco…” trasse un respiro. “Erestor, non escluderei che la nostra sposa misteriosa non sia altri che Arwen.”

Erestor scattò in piedi. Le mani di Glorfindel, che erano posate sulle sue spalle, si trovarono improvvisamente sui suoi fianchi, e di riflesso iniziarono a carezzarli.

“Non può essere!”

“Sai che Arwen si trovava a Lothlórien in visita, non è vero? Ebbene, temo che quando i due si sono rivisti, tra loro sia scoccata la… aaah… scintilla. So che hanno speso molto tempo insieme, passeggiando sotto gli alberi d’oro e sulle sponde del Nimrodel.”

“No…” gemette Erestor. “No, no, no, no… no! Non è così che deve andare! E’ tutto sbagliato! Una catastrofe!” Glorfindel annuì solenne, e guardò Erestor scivolare lontano da lui.

“Neanch’io vedo di buon occhio un matrimonio tra Estel ed Arwen,” esclamò quando ormai Erestor aveva segnato un solco sul tappeto a forza di fare avanti e indietro. “Nonostante l’affetto che ho per Estel, non penso che Arwen sia fatta per languire e spegnersi nell’abbraccio di un mortale.”

Lo sguardo che ricevette in risposta avrebbe incenerito in un' istante una creatura meno valente; ma Glorfindel aveva conosciuto le fiamme del Balrog, e poté resistere senza nemmeno essere scalfito alle Oh Così Terribili Fiamme dell’Ira di Erestor.

“Si, certo. Diciamo che sei geloso e vuoi Arwen per te. Quanti altri suoi pretendenti hai già così nobilmente allontanato? Eh? Eh??”

“Due o tre dozzine, che differenza fa?” Fece un gesto arioso con la mano, come a liquidare la faccenda. “Ma non mi interessa la nostra principessina, e lo sai.” Gli strizzò l’occhio. Erestor roteò gli occhi. Poi, in un lampo, Glorfindel era sopra di lui, lo cingeva per la vita. Erestor si sentì spingere all’indietro, e prima di poter comprendere si ritrovò sdraiato per metà sulla scrivania, col corpo di Glorfindel che copriva il suo come un mantello incredibilmente aderente e caldo.

“Ho già la mia bellezza pallida dalle labbra vermiglie e i capelli corvini,” gli sussurrò Glorfindel all’orecchio.

“Sicuro, come no.” Erestor lo respinse senza preamboli, premendogli i palmi della mani delicate sui pettorali possenti e lasciandolo steso con la schiena sulla scrivania mentre si allontanava di qualche passo. Cominciò ad armeggiare con le trecce ormai disfatte sulla sua nuca, sibilando un’oscenità in Nanese quando non riuscì a sistemarle a dovere. Glorfindel rimase a guardarlo con le mani seppellite tra i folti capelli, dietro il collo. Rideva.

“Mi domando a quale delle tante ti riferisci,” gli ringhiò Erestor in tono acido. Si voltò, e Glorfindel, che solo un attimo prima era lontano qualche metro, si trovava ora su di lui.

“Permetti?” disse, e senza aspettare una risposta sciolse e cominciò a re-intrecciare l’elegante acconciatura che simboleggiava la carica di Primo Consigliere. Erestor annuì, ancora senza fiato.

Gli Elfi sono, per costituzione, un popolo esile e sinuoso, ed anche assai slanciato. Glorfindel invece possedeva un corpo come quello di un Uomo mortale: alto come un giovane albero, con le spalle forti, il petto largo, le braccia tornite seppur snelle, il viso dalla mascella squadrata e le labbra sensualmente fini. Erestor si stupiva sempre, guardandolo; perché la grazia con cui si muoveva –sebbene fosse comune a tutti gli elfi- sembrava miracolosa e bellissima in un simile corpo. Spesso, anche troppo spesso, Erestor si ritrovava incantato dai suoi movimenti. Vederlo avanzare come una luce nei corridoi semi-oscuri al crepuscolo, vederlo combattere coi capelli sciolti al vento, vederlo danzare con le braccia strette attorno alla vita di qualche bella Dama, o di uno scintillante Cavaliere… erano tutte cose che incantavano Erestor quando le vedeva. Anche quando vederle gli faceva male.

“Profumi di vaniglia,” commentò improvvisamente Glorfindel, affondando il viso nella massa scintillante di capelli corvini. “E’ il mio profumo preferito.” Erestor arrossì. Glorfindel si stupì del tremore che attraversò il corpo del Primo Consigliere. Provò un moto di tenerezza quando Erestor si appoggiò a lui con la testa indietro, e resistette alla tentazione di punzecchiarlo un po’. Almeno per qualche minuto.

“Allora, Erestor,” Disse, mentre gli posava la guancia contro il viso. “Che facciamo?”

“Oh, Glorfindel… non mi era mai capitato nulla del genere prima. E’ così strano… non so cosa fare… non so cosa dire…  tu… tu hai più esperienza, vero? Dimmi. Dimmi cosa fare. Ormai io sono disposto a fare tutto… tutto quello che mi dirai di fare.”

“Mh, intendevo col matrimonio, sciocchino. Ma se davvero sei pronto al grande passo…” Erestor si girò e lo spinse via, mentre Glorfindel riprendeva a ridere.

“Era quello che intendevo anch’io! Oh, cosa ho fatto di male per meritarmi--” Glorfindel studiò l’altro per un momento, poi gli posò un dito sulle labbra.

“Shhh! Ci scopriranno. Di solito i complotti segreti per rovinare i matrimoni segreti si fanno in segreto.” Erestor unì le sopracciglia e soffiò contro quel dito impudente. Il movimento delle sue labbra sembrò così simile ad un bacio, e così sensuale, che Glorfindel sentì il cuore fargli una strana capriola in petto.

No, non era possibile. Non con Erestor… vero? Insomma… attratto da…? No, impossibile. Impossibile.

“Qual è il tuo grande piano?” Glorfindel si scosse alla voce dell’altro e gli sorrise enigmatico.

“Beh, fermare il matrimonio.”

“Intendevo *come*.” Un giornata di sole in un deserto non sarebbe stata più asciutta.

“E’ qui che entri in gioco tu!”

Erestor scosse la testa, e lo guardò come un maestro guarderebbe un discepolo particolarmente lento e dispettoso.

“Geniale. Davvero. I miei complimenti. Nemmeno uno straccio di idea?” Glorfindel si passò una mano sul collo.

“Nulla di concreto. Pensavo che se gli avessi fatto credere che qui c’è qualcuno che lo ama, sarebbe bastato. Mi sarei mosso nell’ombra per fornire ad Estel indizi fittizi su questa presunta passione nei suoi confronti; e contemporaneamente avrei portato un’ Elfo pensare lo stesso di Estel… e poi… BOOM! Estel ha i suoi dubbi, il matrimonio si cancella…” gesticolò un po’ con le mani aperte. Erestor non poté non sorridergli, la testa inclinata, i capelli che gli ricadevano su una spalla come un fiume nero e luccicante.

Le capriole nel petto di Glorfindel stavolta furono due.

“E’ talmente ridicolo che potrebbe anche funzionare. Potremmo fare leva sull’orgoglio di Estel, amato da due persone allo stesso tempo, o sul senso di colpa che proverebbe nello spezzare il cuore di un Elfo. D’accordo, ti aiuterò. Ma ho una condizione: sarò io a scegliere l’Elfo che Estel crederà innamorato di sé.” Il cuore di Glorfindel, giusto per non cadere nel monotono, invece di accelerare di nuovo si bloccò di colpo.

“Tu?” si sentì dire, ripensando suo malgrado alla disperazione di Erestor poco prima. “Quell’Elfo… sarai tu?” Erestor esplose in una risata alta e chiara.

“Io? Oh, per favore! No, intendevo qualcuno di completamente diverso, il mio opposto oserei dire.”  Chiuse gli occhi. Quando li riaprì avevano cambiato ancora colore, e sembravano gocce d’ambra. “Voltati.”

Glorfindel ubbidì, pregando e sperando e *gemendo* nella sua testa che voltandosi non avrebbe visto uno specchio. Quello che il suo sguardo incontrò non fu affatto la sua immagine riflessa, ma la finestra. Poi, tra le verdi foglie rugiadose ci fu un movimento. Si alzò il vento, e la valle si colmò di una melodia solenne di fronde smosse. Un cavallo entrò al galoppo nella luce nascente, sfolgorante come neve. Senza quasi attendere che la bestia si fermasse il suo cavaliere smontò dalla sella, leggero come un petalo nel vento, e si erse sulla via in un frullio di capelli d’oro e un lungo manto color della terra.

Quando l’elfo si girò, la luce ricadde sul suo volto, facendolo rifulgere come una fiamma argentea. Glorfindel proruppe in un esclamazione di stupore.

“Legolas?!”

  

-TBC (?)