.|. Tourniquet .|.

4. Aryante (Colui che Porta il Giorno)

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“Anduril! Anduril scende in battaglia!”

La leggenda vuole che Colui che porta il giorno, Aryante, il bianco, versi il suo sangue per amore e per la salvezza degli Uomini. Nessuno sa chi egli veramente sia, né di quali armi egli disponga, né quanta luce brilli nei suoi occhi. Ma tutti sanno che arriverà.

E quando anche il Re sarà allo stremo..

..sorgerà un nuovo giorno.

E come poteva sorgere un nuovo giorno? Come lontanamente si poteva pensare al sole e alla freschezza del mattino in una notte simile? L’orda di Huruk e Orchi era arrivata come un morbo che cammina, grezza, sporca e affamata di membra e sangue. Battevano le lance spuntate e contorte su scudi di ferro ancora bollente di fabbricazione, allargando le atroci bocche irte di denti ingialliti ed emettendo verso che nemmeno il demonio stesso avrebbe potuto ripetere. Al Fosso era arrivato l’inferno. Orchi gibbuti dai nasi adunchi come vecchie pipe da tabacco, mani nodose e scarne, lunghi artigli e spade sbeccate. I loro occhietti piccoli rilucevano come vetro dietro le fessure degli elmi spaiati. Anche il cielo era terrorizzato dal loro arrivo e mandava tuoni e lampi, piovendo a dirotto. Ad ogni scarica di luce la mano bianca e spettrale di Saruman riluceva sulle armature di ferro grezzo e duro. Gli Huruk-hai percuotevano il petto possente con le mani a pugno, guantate di ferro e cuoio e tenevano le gole vibranti delle loro urla, bevendo pioggia e desiderando sangue.

L’attacco fu veloce come non mai, quasi un’onda nera che si abbatteva contro le mura del fosso e poi si ritirava, impaurita e ferita dalla grandine di frecce e pietre che piovevano dalle mura del torrione. Ogni uomo in grado di tirare con l’arco era stato posto in prima fila a fare del proprio meglio, mentre i guerrieri a piedi erano stati disposti dietro le mura, in attesa di ordini. Gli uomini tiravano con disperazione, senza mirare, pregando solo di poter prendere qualcosa che palpitava in quella mischia orrenda sotto i loro piedi. Gli elfi tiravano con maestria, mirando alla gola e alle braccia, sotto l’ordine d’Aragorn ed il consiglio di Legolas. Ogni creatura colpita non aveva il tempo di lanciare un gemito strozzato che gia si trovava a terra, stecchita o agonizzante allo stremo. Gli orchetti si raggruppavano sotto le mura, poi si disperdevano e rompevano le righe, quando ancora ritornavano alla carica. Le frecce degli Elfi avevano mietuto molte vittime, ma ora toccava alla spada degli uomini. Una carica urlante ed agguerrita uscì dalle mura capitanata da Aragorn, che brandiva Anduril nelle mani, lucente come ghiaccio sotto la luna. Nelle braccia la stessa forza di un esercito, nel cuore la rabbia della giustizia ferita. Come lo videro, alcuni orchetti si dettero alla fuga, ma Anduril aveva sete di sangue e bevve dal ventre di molti, ancora avida di morte. Ogni uomo rigettava su una vittima con la forza della disperazione, che molto spesso supera qualsiasi potenza. Pugnali e spade saettavano, avari di vittoria e di salvezza. Un gruppo di Huruk tentava di sprangare il portone di legno massiccio con un ariete, fu decimato dalle frecce degli abili tiratori Elfici. Legolas non era più sulle mura, ma scoccava le sue frecce in campo aperto, circondato da uomini ed Orchi. Quando la sua faretra fu vuota, non v’era tempo per cercare frecce abbandonate o sfilarle dai corpi delle vittime, perciò mise l’arco alla spalla e tirò fuori i due arcuati pugnali elfici, infierendo mortali ferite ad ogni nemico che gli passasse accanto. Come in ogni battaglia, il suo corpo non aveva bisogno di comandi precisi, poiché sapeva benissimo dove l’arma doveva andare a parare e con quanta forza colpire. Uno degli Huruk gli si avventò addosso, sbilanciandolo verso il basso e cercando di trafiggerlo con una lunga lancia. Legolas reagì con violenza, scaraventandolo via con la forza dei calci e strappandogli la lancia dalle mani, infilzandolo nel petto con forza mirabile. Prese un’altra lancia da terra e le fece roteare ambedue oltre la sua testa , facendosi largo tra la folla. Gettò una lancia come giavellotto contro un orco, che cadde a terra con un gridolino sordo. Aragorn vibrava Anduril poco lontano da lui. Legolas ebbe un attimo d’incertezza e volentieri si sarebbe fermato ad osservarlo… Un Orco lo assalì alle spalle e si ritrovò con un pugnale nello stomaco.

La battaglia continuò a lungo sotto la pioggia, come se il cielo volesse schiacciare con le sue lacrime d’acqua quell’orrore che brulicava al Fosso. Purtroppo, gli Huruk riuscirono a perforare le mura possenti a protezione del trombatorrione ed avvicinarsi ulteriormente ad esso e.. alle caverne dove donne e bambini stavano nascosti. Re Theoden mandò subito la disposizione che una guarda andasse ad avvertire gli occupanti delle caverne, perché si dirigessero oltre gli Anorien al fine di trovare rifugio.

Aragorn raduno una carica di uomini pronti e attaccarono gli Orchi penetrati nelle mura. Quando l’uomo si voltò,accanto a sé scorse il viso deciso dell’Elfo.

Quella muta presenza al suo fianco lo rincuorò non poco, e con nuovo vigore vibrò la spada mollando fendenti a destra e a manca. Purtroppo, sulle mura la situazione era pericolosa ed il gruppo di guerrieri capitanati da Haldir si trovava in serie difficoltà. I cavalieri guidati da Theoden raggiunsero il gruppo di Aragorn e, in mezzo al frastuono, si udirono i corni d’ebano dei Rohaniani.

-ALLA FORTEZZA!

Le grida ed i corni ripetevano.

-ALLA FORTEZZA! PROTEGGETE IL TROMBATORRIONE!

Aragorn salì di corsa le scale per arrivare in cima alle mura e mandò una voce ad Haldir, che si voltò verso di lui ed annuì. Iniziò anch’egli a gridare le istruzioni al proprio esercito. Volle il fato che un Huruk, non capendo l’elfico del guerriero, gli si avventò contro come sotto minaccia. Haldir sguainò la spada d’argento e lo colpì con tutte le sue forze. Alle sue spalle arrivò un altro Huruk, che mise mano alla propria spranga di ferro, colpendo con violenza la schiena dell’Elfo. Quello si piegò all’indietro lanciando un urlo, cercò di mettere mano alla spada di nuovo, ma annaspò perdendo l’equilibrio, schiacciato dal cadavere dell’Huruk precedente. Quello che gli stava alle spalle ne approfittò e premette la spranga nel collo dell’elfo, facendola penetrare lungo tutta la schiena. Haldir spalancò gli occhi in un brivido di dolore, che fu l’ultima sensazione percepita dal suo corpo. Aragorn vide tutta la scena e si avventò furente contro l’assassino dell’amico, trinciandogli la testa dal collo taurino d’un colpo solo.

Solamente il senso del dovere lo trattenne dal provocare una strage per vendetta, perciò, menando fendenti a chi gli sbarrava la strada, ritornò addolorato al Trombatorrione. Incontrò per sbaglio lo sguardo di Legolas e non riuscì a non far trasparire il dolore nei propri occhi. L’Elfo comprese ed abbassò il capo.

Dentro il trombatorrione, Re Theoden annunciò sconsolato:

-Hanno preso le mura esteriori. Tra poco saranno qui. Helm è preso.

-NO!

Gridò Aragorn per tutta risposta. La sua furia si era concentrata sull’obbiettivo di salvare quella gente e non avrebbe lasciato andare tutto a monte a quella maniera.

-Hai ancora uomini valorosi pronti a combattere per te… Non puoi lasciare che tutto si concluda così!

-Theoden, non Aragorn, governa Rohan!

Tuonò il Re, offeso per l’insolenza.

-Ed è per questo che tutta questa gente è con te! Per questo abbiamo a lungo vibrato le nostre spade! Per questo molti del tuo popolo giaggiolo sotto al pioggia in un mare di sangue!

Rispose Aragorn con la voce forte di chi sa come far valere le proprie ragioni. Quelle sue parole erano un credo , una convinzione nella forza di un popolo, una preghiera. Una vittoria.

Theoden chinò la testa.

-Cavalca, mio signore! Ed io mi unirò a te… tutta questa gente lo farà! Sguaina la spada contro quell’orda! Possiamo sconfiggerla!

Rinvigoriti dalle parole di Aragorn, tutti i guerrieri lanciarono sonore urla di approvazione, di una potenza tale da far tremare le mura di solidi mattoni. Theoden rialzò il capo,il fuoco della fierezza e dell’orgoglio nello sguardo. Si rivolse marzialmente al suo consigliere.

-Hama, portami il cavallo. Si scende in campo.

Dal canto suo, Aragorn si fece largo a gomitate tra la folla, cercando Legolas. Lo trovò in un angolo, mentre raggruppava alcune frecce dall’anima di legno insanguinata e le piume spettinate, preparandosi alla battaglia.

-Legolas…

L’Elfo lo guardò fisso con orgoglio. Era davvero orgoglioso di lui e le sue parole lo avevano incoraggiato.

Aragorn gli si avvicinò, sia per il desiderio di sentire nuovamente il suo calore, sia per mantenere tra di loro la conversazione, lontani da orecchie indiscrete.

-Resta qui. Non uscire in campo…

gli sussurrò. L’Elfo strabuzzo gli occhi.

-Cosa?

-Ti prego. Lo so che sembro pazzo, ma… Ho già perso Haldir, mio grande amico e non voglio perdere anche te…

Legolas gli posò una mano sulla spalla e l’uomo fremette a quel contatto.

-Io ti seguirò. Ho fatto un grande sbaglio e so che tu ne sei a conoscenza. Perciò non posso lasciarti andare.

-No. Resta, Non venire, è un ordine.

Legolas sorrise e lanciò un’occhiata di sfida ad Aragorn.

-Le regole sono fatte per essere infrante e gli ordini per non essere eseguiti. Me l’ ha insegnato qualcuno.

Aragorn lo guardò con fermezza.

Mi hai tradito ma non ti do colpa. Mi ami e non ti do fiducia… sono io meritevole della tua attenzione? Sei troppo prezioso…

-Sei troppo prezioso per me, e non permetterò che qualcuno ti…

-Non ti fidi di me?

Lo ammonì l’Elfo. L’uomo aprì la bocca per replicare, ma si fermò sentendo una mano di Legolas sulla guancia.

-Sai che verrò. E che ti sarò al fianco.

Voleva baciarlo. Lo voleva da morire, voleva stringerlo per ringraziarlo di questa partecipazione. Non era la rabbia ad infondergli coraggio, era lui. Lui era la fonte di ogni suo sentimento e se solo qualcuno avesse osato torcergli un capello, lui…

- ARAGORN !

Theoden lo chiamò a gran voce. In sella al suo cavallo, il re aveva indossato l’elmo ed impugnato la lunga spada di ferro. Aragorn lasciò Legolas,esitante, e montò sul cavallo che gli veniva portato, sempre lo sguardo verso l’Elfo, che aveva impugnato saldamente l’arco e si apprestava a seguirlo.

Fuori albeggiava. Il cielo si stava schiarendo lentamente, come se si fosse bagnato con tutta la pioggia che aveva fatto ed ora la sua stoffa blu scura si stesse lentamente stingendo. Gli Huruk battevano i pugni sui toraci ricoperti di ferro e gli Orchetti cercavano di sprangare le porte, quando vennero letteralmente sommersi dall’ondata di guerrieri che ruppe gli argini del Trombatorrione. Subito qualcuno cadde vittima delle temibili frecce degli Elfi e della lunga spada di Aragorn, che falciò e sfrondò, affondò e squarciò con macabro piacere. Aragorn era ansioso e vigile come non mai: teneva un occhio alla battaglia e l’altro fisso su Legolas, che però sembrava cavarsela benissimo e si sentiva,in quel mare di Orchi e creature bestiali, come un delfino in un banco di aringhe. Aragorn sembrò tranquillizzarsi e prese a lottare con foga maggiore, cercando di sfoltire con la lama l’orda di nefande creature che si erano radunate attorno al suo cavallo. Riuscirono a disarcionare il Re dalla lunga spada riforgiata , ma questi si ribellò alle loro mani con scatti di ferro, falciandoli di sorpresa.

Continuò a combattere coi piedi ben saldi a terra, quando il grido di Legolas lo colse alla sprovvista. Si girò appena in tempo per vedere un Orco con la lama sguainata gettarglisi contro e non ebbe neppure il tempo di reagire che quello stramazzò al suolo con una lunga freccia infilzata nella schiena. Tirò un sospiro di sollievo: il grido dell’Elfo non era una richiesta di aiuto, quanto più un avvertimento. Gli aveva salvato la vita. Mollò per un poco la tensione quando accadde ciò ch’egli temeva di più. Un Huruk con un grosso pezzo di ferro sbeccato si gettò contro Legolas, che ora guardava verso l’uomo. Aragorn gli gridò di voltarsi e l’Elfo compì un quarto di giro…

L’Huruk affondò senza pietà la lama nel costato del principe, trafiggendolo da parte a parte nel fianco sinistro. Sotto il cuore. Legolas sbottò un fiotto di sangue, piegandosi in avanti mentre la bestia ritirava la lama. La mano dell’Elfo tremò e non riuscì ad afferrare il proprio pugnale attaccato alla cintola. Le ginocchia gli cedettero per un attimo, ma quello testardo volle tenersi in piedi. L’Huruk affondò ancora il ferro nel ventre dell’Elfo, oramai inerme, ma non riuscì a trapassarlo perché un’altra lama lo bloccò, con così tanta forza da scaraventarlo via.

Anduril.

Legolas portò le mani allo stomaco, stringendole intorno al pezzo di ferro, ma il corpo non resistette e si ritrovò a cadere all’indietro.

Aragorn lo prese al volo, rallentandogli la caduta e s’inginocchiò a terra per farlo stendere, poggiandogli la testa sulle proprie gambe. La battaglia sembrò svanire intorno a loro, come confusa tra le lacrime.

Legolas allungò una mano verso il viso dell’uomo, asciugandogli una lacrima che scivolava giù per la guancia. Il cuore di Aragorn era davvero spezzato nel suo petto e faceva male come se fosse uno specchio rotto che trafigge la carne coi suoi frammenti appuntiti. Non ci poteva credere. Gli sembrava tutto così surreale… non poteva.. tenerlo tra le braccia, cercando col proprio calore di strapparlo ad una morte oramai certa.

Il viso dell’Elfo sembrava disteso, eppure dietro quegli occhi di zaffiro si manifestava l’ombra del dolore e dell’agonia.

-Aragorn…

mormorò in un fil di voce

-.. sfila.. la lama…

lo pregò. L’uomo obbedì ed avvolse le dita intorno al ferro rotto, ferendosi a sua volta, ma senza badarvi. Tirò piano, cercando di non infliggere altro dolore al compagno. Questi venne comunque scosso da un brivido e gemette con quella poca voce che gli rimaneva in gola. Aragorn gettò la lama lontano e lo prese tra le braccia. Ambedue avevano gli occhi velati di lacrime.

-I uume hanya ta llen na-e ve si. (Non pensavo sarebbe stato così.)

mormorò con un mezzo sorriso.

-Cosa, Legolas? Così cosa?

La voce gli tremava. L’Elfo contrasse silenziosamente il viso e poi si rilassò, distogliendo lo sguardo dal viso dell’uomo per guardare in alto dove il cielo, annacquato, si rischiarava sempre di più.

-… morire…

rispose in un sussurro. Aragorn cadde nella voragine dello sconforto.Sentiva qualcosa morderlo e strattonarlo in ogni dove, facendogli male più di un coltello. Non poteva succedere davvero.. era solo un incubo e presto si sarebbe svegliato.  Ma lo sguardo di Legolas era penetrante e vero. Non era un sogno.

-No.. non Legolas.. non puoi lasciarmi.. Non lo permetterò, io…

L’Elfo sorrise. Un sorriso dolce, che sembrava quasi prenderlo in giro per tutto quello sconforto.

-E cosa farai, mio eroe? Mi verrai a riprendere..?

scherzò, ma la sua espressione in quel momento faceva venire tutt’altro che una risata. Il suo viso dalla pelle normalmente chiara era diventato di un pallore atavico e preoccupante, mentre il suo calore stava iniziando lentamente ad andarsene.

E quando un Elfo perde calore, allora la sua stella è prossima a spegnersi.

-Ho.. le mani fredde…

sussurrò. Aragorn sorrise dentro di sé. Legolas non aveva mai avuto le mani fredde in tutta la sua vita. Gli Elfi non le hanno mai nemmeno se fossero immersi in una tempesta di neve. L’uomo gli prese le mani tra le sue e cercò di scaldargliele. L’Elfo sorrise e lo ringraziò con un cenno del capo.

-Vieni, ti porto dentro. Ti porto via da qui.

Gli annunciò Aragorn cercando di prenderlo in braccio. Al primo tentativo si sentiva abbastanza sicuro, ma vedendo quanto dolore affiorava al viso dell’Elfo ogni sua certezza traballò come una torre di carte da gioco.

-Lasciami qui… oramai… I voite wanya… (Devo andare)

Aragorn tremò di paura a quelle parole. Come poteva l’Elfo essere così tranquillo? Certo. Per gli Eldar la morte non è che uno sciocco passaggio, in cui si va da un luogo all’altro, per sempre immortali. Per gli uomini no. Affrontare la morte è la loro più grande paura. Morire significa smettere di esistere, significa non poter fare più le cose che si facevano prima. Dimenticarsi addirittura di sé stessi.

A pensarci è atroce. Atroce il fatto che…non sai mai come sarà. Se rinascerai, se poi ritornerai o ti troverai veramente in un luogo diverso. Batte forte il cuore a pensare a questo, vero? Un attimo prima vedi il mondo intorno a te e poi pian piano tutto diventa un’ombra sfocata. Poi non puoi più descrivere nulla, non respiri, non senti… non esisti. Rimani un nome, un’icona, un eroe.. o un nulla. E nel tuo nulla vieni dimenticato. E non sai di esserlo.

Legolas fremette ancora, gemendo piano.

-Legolas… voglio venire con te.

Mormorò Aragorn stringendoselo al petto. Le sue mani erano umide ed intrise di rosso, come la casacca dell’Elfo. Anche le sue mani erano sporche di sudore e sangue, ma lui sembrava non badarci.

-No… resta qui…

Aragorn singhiozzò. Legolas gli cadde a peso morto tra le braccia e su per la gola dell’uomo arrivò il sapore aspro del terrore. Ma quella stella lontana non si era ancora spenta. L’Elfo lasciò ciondolare la testa leggermente all’indietro, chiudendo gli occhi.

Li riaprì d’improvviso, trattenendo il fiato. Aragorn lo strinse a sé ancora, piegandosi su di lui come un mantello nero e caldo.

-Li vedi… Aragorn?

Chiese l’Elfo, probabilmente delirante.

-Man kenih? (Cosa vedi?)

Legolas trasse un lungo sospiro e sorrise, lo sguardo fisso verso l’alto. Spostò i suoi occhi azzurri sul viso dell’uomo e sorrise ancora. Sembrava che vedesse qualcosa, in quella sua cecità momentanea.

-Loro… llen yello-n-In… (mi chiamano…)

E sorrise ancora, con l’ultima luce del cuore che gli restava. Sembrava… felice. Aragorn gli baciò la fronte, poi i loro sguardi s’incontrarono e Legolas strinse le proprie mani intorno al braccio dell’uomo. Poggiò delicatamente le proprie labbra sulle sue, con rispetto, quasi con paura. Sentiva il sapore salato delle proprie lacrime, mischiato al dolce delle labbra dell’Elfo.

-Sono contento sia stato con te…

mormorò Legolas, poi chiuse gli occhi e trasse il suo ultimo, lungo respiro.

Aragorn sentì perfettamente ogni lacrima proveniente dal suo corpo gocciolare giù fino al suo mento ed un fremito che veniva da dentro lo scosse con violenza.

Non gridò, non imprecò, non incolpò nessuno, non ragionò, non emise un suono. Pianse e basta.

E quando anche il Re sarà allo stremo..

..sorgerà un nuovo giorno.

Fu l’alba.

Arrivò quatta con passo silenzioso, insinuandosi tra le cime delle montagne che racchiudevano il Fosso come mani poste a coppa. Il cielo luccicò, si schiarì e si tinse di bianco, sfumando poi di rosa tenue quando il sole allargò le braccia di luce, stiracchiandosi all’orizzonte e gettando via dal letto di nuvole la coperta di stelle. Come una benedizione arrivò chiarore in ogni parte della terra, ad illuminare ogni angolo. Magicamente, quella luce accecò un poco anche gli Huruk e gli Orchi rimasti, che esitarono alla vista del sole e poterono essere colti alla sprovvista dai guerrieri oramai disperati ma orgogliosi di essere arrivati fino al giorno dopo. E col chiarore della luce arrivò anche un candore diverso, magico davvero, questa volta.

Gandalf era finalmente giunto, alle sue spalle i valorosi Rohirrim che era riuscito a trovare, erranti per le terre del Mark orientale. Essi attaccarono con l’impeto del tifone e la precisione del vento invernale, travolgendo gli sparuti mostri rimasti come birilli e schiacciandoli sotto la loro vigorosa carica. Gli occhi grigi di Gandalf cercarono subito il Re portatore di Anduril e si stupirono di vederlo accucciato a terra in quel modo. Avvicinandosi in groppa ad Ombromanto, lo stregone notò che l’uomo stava reggendo qualcosa, o meglio qualcuno. Anche il grigio pellegrino sembrò uscire dal contesto della battaglia, per andare a posare la propria mano nodosa sulla spalla dell’uomo. Questi baciò nuovamente la fronde dell’amore perduto e lo stese compostamente a terra, poggiando le mani sulle ferite come per dire che Avrei potuto evitarlo.

Avrei potuto trattenerti ed evitare che tutto ciò succedesse. Avrei potuto tenerti al mio fianco, ma ti ho lasciato andare e non basteranno quattro pensieri a riportarti da me. Avrei potuto avventarmi contro il tuo assassino, ma sono rimasto fermo come il granito più freddo, mentre tu venivi trafitto…

Ed ora ciò ch’è sbagliato si è compiuto. Dovrei essere io quello steso ed inerme sulla terra macchiata del mio sangue… non tu.

-Ti sbagli, Aragorn. Sei tu quello che deve continuare. Hai un regno che ti attende.

Gandalf doveva avergli letto nel pensiero. Ma quelle parole non rassicurarono affatto l’uomo, anzi,lo fecero montare su tutte le furie. Questi si alzò iracondo, rivoltandosi come una serpe contro il mago.

-E lui no? Non aveva Bosco Atro a cui tornare? E comunque nessuna eredità può giustificare una morte! Nulla può giustificare la morte di un innocente! Le tue parole sono più assassine del veleno!

Gandalf s’indispettì non poco, mostrandosi in tutto il suo accecante potere, ma l’uomo non ne fu impaurito e brandì Anduril contro di lui. Lo avrebbe colpito nonostante egli fosse saggio consigliere e amico fidato.

-Come osi brandire quel tuo ferro verso di me! Ferma l’orgoglio e pensa, per una volta!

Lo ammonì il mago, ma Aragorn si arrabbiò ancora di più. Sentiva uno strano vigore nelle braccia, una forza che lo avrebbe spinto a fare qualsiasi cosa. Persino uccidere.

-Userò la tua veste bianca per pulire la lama della mia spada dal tuo sangue!

Ed alzò Anduril al cielo, la lama splendette assassina nell’aria fredda del mattino e stava per calare sul mago quando…

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Aragorn si svegliò di soprassalto, madido di sudore con la camiciola attaccata alla pelle. Il letto era del tutto sconquassato e lui stesso aveva l’aspetto di un Troll dopo pranzo. I capelli scombinati gli stavano attaccati al collo e gli occhi spalancati non contribuivano certo a migliorare il suo aspetto.  Ansimò con forza un paio di volte per riprendere la calma e si guardò intorno. Poi, come per un riflesso condizionato, si guardò le mani, esaminandone palmi e dorso. Pulite. Niente sangue o ferite. Attorno a lui non v’era nessuno, solo una grande stanza vuota ed una finestra, che dava sul monotono paesaggio di Edoras e la sua stepposa pianura. Rimase seduto sul letto, interrogandosi del perché e del percome si fosse risvegliato lì. E poi perché non nel suo giaciglio? Ah, sì.. ora ricordava. Essendo stato proclamato a gran voce dal Re Theoden “Eroe della giornata” gli era stato concesso un comfort in più. Eppure tutto quel sogno gli era sembrato così reale… sembrava ancora che sentisse, nelle sue orecchie, il trambusto diffuso della battaglia e le sue mani intrise e sporche di sangue. E Legolas? Il cuore gli accellerò nel petto. La morte di Legolas era stata un sogno.. o era vera? Quella disperazione di fondo era concreta o solo una sensazione troppo statica ed opprimente?

Gli doleva la testa in una maniera incredibile. Voltò ancora il capo qua e là e notò sul comodino di legno un grosso boccale. Scivolò lentamente verso di esso e notò ch’era ancora pieno.

Che furbo che sono… Mi sono pure ubriacato, che figura… l’ Eroe del boccale, altro che storie!

Lasciò il vino al suo posto e si distese un poco, poggiando la parte alta della schiena sul cuscino e la nuca contro la testata del letto. Fissò senza voglia il soffitto, attendendo il sonno che non venne. Ma venne qualcun altro.

-Aragorn!

Legolas comparve sulla soglia col pugnale nella mano destra, scalzo e apparentemente col fiatone. Il cuore dell’uomo accellerò i battiti dalla gioia.

-Ti ho sentito gridare…e…

ma non finì la frase che si ritrovò le braccia dell’uomo intorno al collo e quello singhiozzava di gioia, stringendolo forte. Gli cadde il pugnale di mano per la sorpresa e poggiò le mani sulla schiena dell’altro. Aragorn sciolse l’abbraccio prendendogli il viso tra le mani, con un sorriso umido di pianto.

-Sei vivo!

Legolas strabuzzò gli occhi.

-S…sì?

Balbettò senza sapere se provare gioia o offesa. Aragorn lo trascinò fino al bordo del letto e lo fece sedere, abbracciandolo ancora e lanciando gridolini sommessi di gioia.

-Ma… Aragorn.. certo che sono vivo… sono stato io a trascinarti qui insieme con Eomer… dev’essere la sbronza…

Aragorn scosse vivamente la testa e prese la mani dell’Elfo tra le sue.

-No… sembrava tutto vero, Legolas.. guarda!

E gli mostrò le proprie mani. L’Elfo non capì. Fece una faccia strana.

-Queste mani erano sporche del tuo sangue, Legolas… e ti avevano colpito per colpa mia… e…

Abbassò lo sguardo verso il pavimento, poi di botto si gettò addosso all’Elfo nell’ennesimo abbraccio, che gli fece perdere l’equilibrio e lo rovesciò sul letto, le gambe penzoloni.

-Non ti voglio perdere mai più… non mi devi lasciare… mai più… mai…

Legolas strinse Aragorn e gli baciò i capelli di sbieco. Non pensava che gli umani potessero essere talmente condizionati dagli incubi.

Pensavo di approfittarne per dirtelo… ma queste tue parole mi lasciano senza coraggio… e non ho il cuore di dirti …

-Legolas…

Aragorn era sopra di lui e l’Elfo fremette imbarazzato, voltando il capo di lato. Aragorn gli mise due dita sotto il mento, voltandolo nuovamente perché si guardassero l’un l’altro.

-Sei imbarazzato..?

Legolas annuì.

-Eppure… siamo già stati così…

la mano di Aragorn gli carezzò i fianchi, per poi scivolare sotto la casacca argentata alla cerca della sua pelle calda. Abbassò lo sguardo sul petto dell’Elfo e s’irrigidì di scatto.

-Cos’è ? Oh, Legolas!

E subito lo fece sedere sul letto. La macchia rossa sulla casacca non era fresca e non era nemmeno di vino. Gli slacciò velocemente i bottoni e lo spogliò, mentre quello si faceva usare senza opporre resistenza, come una splendida bambola di pezza.

Sul petto aveva un graffio leggero, ma non era molto profondo. Una striscia sottile di rosso cremisi che spiccava sulla pelle quasi bianca di Legolas.

-Chi te l’ ha fatto?

Chiese Aragorn allarmato, ma l’Elfo sorrise.

-E’ solo un graffio. La giacca verde ha attutito il colpo. Non è niente…

-Ma è sul cuore.

Aragorn gli poggiò una mano sul petto.

-Con cosa ti hanno ferito?

-Un.. pezzo di ferro sbeccato. Ma non è nulla, davvero…

l’uomo rimase silenzioso. Anche nel suo sogno Legolas veniva colpito da un pezzo di ferro qualsiasi, magari il frontalino di un’armatura rotta. L’Elfo distese le gambe sul letto e portò le mani all’indietro, centrando tutto il peso sulle braccia. Aragorn gli rimase accanto.

-I uume hanya ya… (Non capisco perché..)

ma le sue parole diventarono un gemito, sentendo le labbra calde del ramingo sul suo petto, baciarlo in ogni dove, salendo su per il suo collo e poi chinarsi ancora sul ventre, le mani che gli carezzavano le cosce. Aragorn rialzò il capo ed intrappolò tra le proprie ginocchia le gambe di Legolas, prendendogli il viso ed avvicinandolo in un bacio. Legolas quasi svenne,abbandonandosi completamente alle sue braccia e lasciando che la lingua di Aragorn inseguisse la sua, caldo, voglioso e deciso. L’uomo gli prese i polsi con ambedue le mani e gli allargò le braccia, stendendolo sul letto scombinato. Poi fece scivolare le proprie dita lungo le braccia tese dell’Elfo, giù fino ai fianchi, afferrandogli il bacino e tirandolo a sé, baciandolo ancora.

Legolas girò il viso dall’altra parte, incrociando le braccia sul petto.

-Non ne hai voglia?

Chiese l’uomo. Legolas scivolò via dalla sua presa.

-Mi sento così… un traditore…

Aragorn lo guardò bene. Se stava parlando di Laurel allora quello era il momento giusto per dirgli che non gl’importava nulla e che lo amava troppo per punirlo. Aveva sentito esattamente come sarebbe stato il perderlo e non voleva assolutamente lasciarlo. Legolas chiuse gli occhi.

-.. verso di lei…

-Lei chi?

Un sussurro. Aragorn si stese accanto all’Elfo, su un fianco, per guardarlo bene, restando con una mano sopra i suoi polsi incrociati.

-Arwen…

“Era quel giorno, quando il mio amore mi disse che sarebbe dovuto partire e mio padre mi obbligò a rompere il mio amore per lui come un foglio di carta. Cos’altro avrei dovuto fare se non disobbedire? Come posso smettere di amarlo? Cos’avrei potuto dirgli eccetto “ti amo” e “Ho dato la mia vita per te” ? So che sono io quella fortunata ad avere te, lo so benissimo, perciò non posso lasciarti solo, amore mio. Ricordo quando restavi con me, la mattina presto e ti addormentavi.. ed io ti chiedevo se tu fossi sveglio.. e tu mugolavi e facevi le fusa come un gatto… e mi dicevi che avevi freddo…

E’ tempo di affrontare le tue scelte. Ringrazio i Valar per avermi dato te. Lo so, lo so benissimo che è tempo di farti capire quale sia la tua via giusta, è tempo i farti capire che sono io quella fortunata ad avere avuto te, e che con te passerò il resto dei miei giorni. Nonostante tutto quello che succederà, ogni cosa che accadrà. Perché io e te siamo i fortunati. Perché stiamo insieme.”

La luna era appena sorta, ad Imaldris e lambiva con dita curiose le copertine dei libri della grande biblioteca. Era buio ovunque eccetto ad una scrivania semisommersa da vecchie pergamene e libri impilati.

-Padre…

una voce sottile, immagine confusa in quella foschia della sera. L’Elfo alza il capo e sorride, ma subito cambia espressione perché la figlia è in lacrime.

-Non voglio partire.

Si avvicina, così sottile dentro sé stessa. Lui l’abbraccia.

-Lo amo…

 

-Arwen? Cosa c’entra lei, ora..?

Legolas dischiuse le labbra in un sospiro.

-Quando siamo partiti da Imaldris… lei.. mi aveva chiesto di proteggerti. Ed io le avevo giurato che saresti rimasto suo per sempre… ma…

e qui si girò verso Aragorn, guardandolo con un mezzo sorriso sulle labbra sottili.

-.. ma mi sono innamorato di te. Ed ora la sento piangere.

Aragorn si stese a pancia insù, incrociando le mani dietro la nuca.

-Mi aveva detto che si fidava di me.

Lo informò l’uomo. Legolas annuì.

-Ed io non mi sento in colpa. Perché… me lo ha detto lei che l’amore non è un difetto.

L’Elfo chiuse gli occhi ed espirò lentamente. Aveva un grosso peso sul petto, che gli impediva di respirare e restare tranquillo. Con Aragorn accanto, poi, tutto sembrava amplificato e forte. Anche l’angoscia.

-Mi dispiace.

Sussurrò. Aragorn scosse il capo.

-No.. dispiace a me. Io credo di averti… fatto del male.

Legolas aprì gli occhi guardando verso il soffitto, con un’espressione vitrea. Il suo profilo sembrava scolpito nel marmo.

-Se c’è qualcuno che deve sentirsi dispiaciuto quello sono io. Ti ho tradito e tu lo sai… e non ti ho ancora chiesto scusa.

-Come fai a…?

-A sapere che ci hai visti? Te lo leggo negli occhi. Te lo sento sulle labbra.

Che bello. No, non l’essere stato tradito, ma il poter ascoltare quelle parole. Ad Aragorn non era mai capitato che qualcuno gli avesse detto che avvertiva i suoi sentimenti sul suo corpo. Ciò significava che era tutto così forte, così vero…

-Non m’importa se lo hai fatto. Non posso perderti per una cosa così sciocca.

-Negromanzia.

Concluse l’Elfo. Aragorn rimase stupito. Cosa c’entrava adesso quella parola?

-Laurel usava la stregoneria. Un’arte particolare che si apprende con anni di pratica. L’incanto delle parole.

Aragorn gli si strinse accanto.

-Anche tu m’incanti.

Gli confessò in un sussurro. L’Elfo si voltò verso di lui. Il viso splendido in penombra era sfocato alla luce della luna.

-E Arwen?

“Non importa quello che voglio, non importa quello di cui ho bisogno. Non importa se piango o prego. Ti sei messo in viaggio, non so dive andrai o dove rimarrai. Se sei deciso ad andare neanche la luna potrebbe trattenerti. Sei stato la mia essenza, ed io ho aperto la bottiglia per lasciarti volare via col vento. Non importa quello che voglio, non importa quello di cui ho bisogno. Non importa se piango o prego. Sento il sale delle lacrime, scendere per questo viso che hai amato per anni.”

-Non ho smesso di amarla. Ma il mio amore per lei non è come quello per te. Io.. le voglio bene, mi è cara. Invece…

e si voltò verso l’Elfo, carezzandogli le braccia e baciandogli una spalla.

-Invece io desidero te. E senza la tua presenza manca l’aria.

-Non è corretto…. Non credi?

Aragorn annuì. Legolas sciolse le braccia da sopra il suo petto e si tirò su a sedere, per l’ennesima volta. Piegò le gambe ed abbracciò le proprie ginocchia, poggiandovi sopra il mento. Aragorn gattonò dietro di lui per poggiargli le mani sulle spalle.

-Non lo so. Forse….

-Ti amerò per sempre. Sei stata la prima persona ch’io abbia mai amato davvero.

Concluse l’Elfo. Una frase quasi fuori contesto, che invece delineava il filo e la fine del discorso. Per il bene verso Arwen, rinunciava a quell’uomo che tanto l’aveva scosso. La prima persona che avesse veramente amato in vita sua, senza bugie, incanti. Amato davvero. Aragorn capì quella fine così brusca e si strinse addosso all’Elfo, come un mantello. Avrebbe avuto freddo, senza di lui.

Immaginati di chiudere una porta e di lasciarci un pezzo di cuore, dietro. Immagina di chiuderla a chiave e di donare i lucchetto alla persona verso la quale sarai fedele  per il resto dei tuoi giorni. Ripetiti più volte di non andare mai più ad armeggiare con la serratura cercando di riaprirla. Conforta il tuo cuore dicendo che continuerà a battere anche senza quella fetta che gli manca. E trascorri la tua esistenza così. Col segreto di quella porta.

-Legolas… prima di… chiudere a chiave…

gli scostò lentamente una ciocca di capelli dal collo e gli sussurrò all’orecchio

-Voglio fare l’amore… l’ultima volta…

Le mani dell’uomo gli strinsero le spalle. Legolas fremette. Girò il viso di lato incontrando le labbra dell’uomo.Gli dischiuse la bocca succhiandogli la lingua, poi girò tutto il corpo, slacciandogli i bottoni della camicia.

-Non voglio dimenticarlo…

mormorò.

Aragorn si scostò un poco e afferrò il boccale ancora pieno. Legolas lo guardò un po’ storto. Non amava bere (al contrario di suo padre…).

-Non abbiamo mai brindato insieme.

Si scusò Aragorn con un sorriso. Legolas ridacchiò di gusto.

-Come faremo a bere dallo stesso calice in due direzioni diverse?

Aragorn alzò un sopracciglio a mò di presa in giro. Avvicinò il boccale alle labbra e ne tirò un sorso.

-Io la mia sbronza l’ho già avuta. Ora tocca a te…

Legolas rise ancora e catturò nella risata anche l’uomo, che rischiò seriamente di versare il vino sulle lenzuola, fatto che ampliò le risate. L’Elfo prese il boccale con due mani e se lo portò alle labbra. Fece una faccia stranissima nel sentire l’odore forte del vino e lo respinse per un attimo.

-Non ci riesco! Sono astemio…

-Buttalo giù tutto o son guai….

Lo minacciò il ramingo. Tanto doveva essere solo un gioco… Legolas gettò al testa all’indietro, bevendo avidamente, concitato da Aragorn che gli teneva la schiena perché non si rovesciasse. Il boccale rotolò via, vuoto, mentre i due erano avvinghiati in un bacio.

-Buono?

Chiese l’uomo. Legolas lo baciò ancora, cadendo letteralmente sul materasso e trascinando l’amante con sé.

-Oh, sì!

Rise. Risero ancora per molto. L’Elfo gli prese le mani e se le portò sull’allacciatura dei calzoni, senza cintura. La sua casacca era scivolata giù dal letto, accompagnata dalla camicia di Aragorn. L’uomo gli aprì i calzoni e lui lo baciò ancora, gettandogli le braccia intorno al collo e tirandolo su di sé. Lasciò che le mani gli scorressero sulla sua schiena e lo spogliassero a sua volta. Le labbra di Aragorn tracciarono un percorso lungo il petto dell’Elfo, giungendo ad un punto in cui Legolas gemette con forza,premendo le mani sulla testa del ramingo e pregandolo di andare più a fondo. Gridò e gemette ancora, agitandosi dal piacere,la fronte imperlata di sudore. Si aggrappò alle lenzuola, per non essere trascinato nel baratro del piacere che lo stava sopraffacendo.

-Le hosse…! (Sei pazzo!)

gli gridò quando l’uomo fu sopra di lui. Aragorn sollevò un angolo della bocca. Prese l’Elfo per il bacino e lo spinse contro di sé, gemendo improvvisamente come colto alla sprovvista. L’Elfo riuscì a scansarsi e prendere possesso di lui, rigirandogli alcune ciocche di capelli bruni dietro le orecchie. Avvicinò le labbra al collo dell’uomo e questi fremette nel sentire la sua lingua tracciare una linea sottile lungo lo zigomo, su, fino all’orecchio destro.

-I merne le…tuupae ne lis… (Ti voglio.. coperto di miele..)

ridacchiò mordicchiandogli l’orecchio. Aragorn gli prese il viso tra le mani e lo guardò. Il viso chiaro dell’Elfo era colorito e sulle guance era apparsa un’ombra rossastra.

-Sei ubriaco!

Rise. Quello sembrò offendersi e si mise a sedere, dandogli le spalle ed incrociando le braccia sul petto. L’uomo gli si avvicinò e lo strinse, massaggiandogli piano le spalle. Legolas mugolò qualcosa e si lasciò andare.

-No.. ho solo… fame del mio uomo.

Aggiunse. Aragorn lo prese per le spalle e lo voltò, baciandolo con forza. L’Elfo affondò su di lui, staccando le labbra e poi riavvicinandole velocemente in un gioco malizioso.

-Sono il tuo uomo?

Chiese Aragorn. L’Elfo lo spinse all’indietro e lo stese, ponendosi a cavalcioni su di lui.

-Sei un uomo…

disse facendo scorrere un dito sul ventre del ramingo, poi unì l’altra mano e lo fece gemere di piacere. Aragorn si contorse, chiudendo gli occhi e dischiudendo le labbra in mugolii strozzati e concitati.

-… e sei mio.

Concluse l’Elfo abbassando il capo e poggiandolo sul petto dell’uomo. Aragorn rimase per un poco a boccheggiare e poi si sollevò, con un mugolio di disapprovazione da parte di Legolas. L’uomo prese un capo del lenzuolo ed afferrò di scatto i polsi dell’Elfo, legandoli nel lenzuolo. Il principe gemette con forza.

-Odi essere legato, vero?

-Slegami… dai…!

Ma non protestò più sentendo le mani di Aragorn sulle proprie gambe. Fremette nel sentirsele allargare dall’uomo, che lo sormontò con vigore, premendo il proprio bacino contro l’amante.

Ansimarono ambedue, Aragorn chinò il capo sulla spalla di Legolas, ancora coi polsi legati. L’uomo premette ancora, trascinando Legolas verso i basso.

-Slegami…

e lo disse in un tono così sensuale e torbido che Aragorn non poté fare altro che obbedire. Finalmente libero, l’Elfo gli poggiò le mani sui fianchi,premendolo contro di sé a proprio piacere.

-En tulka.. Legolas.. (Più forte, Legolas)

gemette ad alta voce. L’Elfo gli tappò le labbra con due dita. Aragorn si stese e chiamò Legolas su di sé. Il principe lo intrappolò in un bacio, fermandogli i polsi e allargandogli le braccia, per fare perno sulle mani,movendosi piano e con decisione.

-Uume sinome naa miru? (Niente più vino?)

ridacchiò. Aragorn rimase a labbra spalancate senza ribattere.

Vennero travolti dal piacere inaspettatamente, con violenza, l’uno avvinghiato alle spalle dell’altro. Non era mai stato così bello. L’uomo si stese comodamente sotto il lenzuolo spiegazzato e guardò Legolas rannicchiato accanto a sé, la fronte imperlata di sudore ed il bel corpo appagato.

-Cosa dirai domani.. in scusante a questo letto così malridotto? Incubi notturni?

Scherzò l’Elfo.

-No. Dirò semplicemente che ho fatto l’amore col mio uomo. E che mi è piaciuto.

Legolas rise sommessamente e Aragorn lo guardò perplesso.

-Perché ridi? Ne ho tutta l’intenzione.

Legolas poggiò la testa contro il muro e guardò in alto. I capelli biondi gli ricadevano sulle spalle come un vestito sottile.

-Vorrei proprio vedere la faccia di Eowyn se tu dicessi una cosa simile.

-L’unico viso che voglio vedere ora è il tuo.

E così dicendo si alzò verso di lui, chiudendo le proprie labbra sulle sue. Si ricomposero e si guardarono fissi negli occhi. Scoppiarono a ridere e l’uomo abbracciò il principe, che aveva volto lo sguardo fuori dalla finestra.

-Che osservi, nobile principe?

-Osservo… l’alba. Sta spuntando il sole.

Era vero. Il disco d’oro sorgeva ancora una volta, solcando la pianura stepposa e brulla della regione, ridando nuovo vigore alle nere montagne che sembravano sciolte sotto la pioggia della sera prima.

-Facciamo così. Quest’alba è solo per noi. Il sole è nostro stamattina. E se mai ci troveremo ad osservare l’alba, in futuro.. quello sarà il nostro angolino. Solo nostro.

Legolas sorrise e si voltò verso Aragorn, accoccolando la testa sulla sua spalla.

-Va bene. La nostra alba.

E’ l’appartenenza a tenere un qualcosa unito a qualcosa d’altro. E’ l’appartenenza ed il ricordo. E quando si ricorda qualcosa di piacevole si pensa sempre ad una persona. Ancora di più alla persona che si ama. Ed è bello ricordare qualcosa o qualcuno attraverso i raggi del sole. Significa che è un ricordo felice. E i ricordi felici rallegrano l’anima.

-Me ne devo andare… devo tornare nell’altra stanza…

piagnucolò Legolas. Aragorn lo fermò prendendolo per un braccio.

-Non voglio separarmi da te. Non durante la nostra alba.

E così dicendo si alzò anche lui, rivestendosi e chiedendosi dove diavolo fossero la palandrana e le armi.

-Se è alla tua bardatura che pensi,è nel dormitorio comune. L’ho tenuta io, casomai qualcuno volesse tenersi un “ricordo del condottiero”.

Risolse Legolas. Si avviarono tutti e due verso il dormitorio, Legolas zampettando in punta di piedi per via del pavimento freddo. Si rimise gli stivali appena arrivato, scavalcando un Gimli addormentato che russava come un orco dieci volte più grosso di lui.

-Come faranno questi uomini a dormire con Gimli nella stessa stanza?

Sussurrò e trattenne una risatina convulsa. Uscirono dalle pesanti porte del Trombatorrione e scesero sul campo di battaglia della notte scorsa. Una scena veramente macabra a vedersi, ma con un suo fascino arcano, il fascino della vittoria. Si arrampicarono ambedue sulle mura per osservare tutto dall’alto.

-E’ da qui che ti ho visto arrivare.

Gli raccontò Legolas riferendosi al ritorno di Aragorn dopo che tutti lo avevano creduto morto.

-Cos’hai provato quando hai saputo che ero caduto?

Chiese l’uomo, lo sguardo fisso accanto a sé ed i capelli scompigliati dalla brezza frizzante del mattino.

-Vuoto.

Ricordò Legolas con un sorriso triste sulle labbra.

-Mi sono sentito svuotato tutto d’un tratto. Come ho guardato giù dal precipizio io.. ho sentito il desiderio di raggiungerti.

Aragorn strabuzzò gli occhi, allarmato e grato allo stesso tempo perché il principe non avesse seguito il suo primo desiderio.

-Poi, però, qualcosa mi ha trattenuto, ed ho capito che saresti tornato.

Aragorn gli si avvicinò, abbracciandolo e guardandolo negli occhi.

-E’ancora la nostra alba, Aryante

Ed avvicinò le proprie labbra a quelle dell’Elfo, lambendole un paio di volte per poi avvicinarsi definitivamente e baciarlo, dolcemente, inseguendo la sua lingua ed incontrandola piacevolmente.Rimasero ad osservare la loro alba a lungo, fino a quando il sole non fu completamente sorto e varcò maestosamente le cime delle montagne.

-Mi piace pensare che presto sarai come lui.

Sospirò Legolas.

-Lui chi?

Chiese Aragorn. L’Elfo sorrise guardando il cielo.

-Come il sole. Sarai il Re. Quando sorgerai tu, il tuo popolo s’illuminerà e quando tramonterai arriverà il buio. La gente ti guarderà e seguirà le tue falcate nel cielo e comporrà canti, lodi e ti riconoscerà ovunque andrai…

-Hai una bella idea dell’essere Re.

- Un’idea destinata a rimanere tale. Purtroppo non sarò io a salire sullo scranno di mio padre.

Si voltò con un radioso sorriso in viso, il suo solito, luminoso sorriso.

-Ciò significa che potrò essere eternamente al tuo servizio, Elessar!

Aragorn lo strinse forte in un abbraccio.

-Non permetterei mai nemmeno a me stesso di mandarti a combattere. Avrei troppa paura per te. Sono troppo apprensivo.

-Ti amo.

Arrivò un altro bacio, il tipico bacio del “il momento era troppo bello per non farlo”, uno di quei baci dolcissimi che si danno raramente.

-Non è più la nostra alba…

- Finché sarai al mio fianco sarà sempre l’alba…

Gli uomini di Gondor iniziavano a svegliarsi or ora ed era giunto il tempo per Aragorn e Legolas di ricominciare la mascherata. Era doloroso nascondere quei sentimenti così belli, puri nella loro stranezza, eppure ogni sguardo, ogni gesto ed ogni parola erano pieni d’intesa, di complicità soffocata.

 

-Arwen… tollen i le, chair gwannar na Valannor, si bado, no cirar… (Arwen.. alzati, Le navi stanno salpando per Valinor. Vai,prima che sia troppo tardi..)

L’Elfa scosse la testa lentamente e restò stesa.

-Allora sei decisa?

Chiese il padre a voce bassa, rimanendo fermo sull’uscio della stanza. Teneva le mani incrociate e guardava la figlia.

-Ho scelto. Seguirò quello che il cuore mi dice. Non lo lascerò solo.

Elrond scosse il capo. Lui aveva visto.

-Sarà difficile, figlia mia.

-Mai più difficile del non averlo qui con me.

Si alzò a sedere, osservando al di là delle sottili tende trasparenti. Fuori, la luce dell’alba illuminava gli alberi, agitati dal vento.

“A lungo ho vissuto nell’ombra, dimenticandomi della luce del sole. Mi ci ero abituata, ma poi è successo… Mi sono ritrovata immersa nella luce ed ho capito che eri stato tu. Sono sotto il tuo incantesimo. Posso essere quello che desidero, basta che sia tua. Vedo tutto intorno a me, scosso dal vento. Prima avevo freddo, ma tu mi hai donato il tuo mantello caldo che ancora conservo negli anni. La luna controlla la marea, tu controlli il mio cuore e la mia anima. Mi fai sentire completa. Seduta ad aspettarti sotto il mio salice piangente.”

E’ la distanza a ravvicinare i cuori. Davvero? Questo non l’ho mai creduto. Cuore lontano, pensiero lontano, a meno che non si tratti di un debito. La lontananza fa dimenticare. Perché dopo un poco non ricordi più il viso di quella persona e finisci col ritrovarti a fissare un altro viso, magari più bello del primo. E che ti è vicino.

“Imaldris-Edoras” sono mesi di viaggio. Mesi in cui è possibile che accada di tutto.

Anduril scenderà in battaglia di nuovo, fieramente. Città si coalizzeranno, persone ritroveranno la perduta fiducia, le alleanze si riuniranno e i destini di una terra intera verranno decisi nel sangue di un'unica stirpe. Gli uomini.

-E’ negli Uomini che dobbiamo riporre la nostra fiducia.

-Uomini? Io ho visto la volontà degli uomini cadere. Io ero là, quando Isildur cedette al potere dell’Anello. Gli uomini sono deboli.

-Aragorn?

L’uomo alzò il capo. Legolas si sedette accanto a lui sulla terra secca. Erano giunti agli estremi del Fosso di Helm, tanto per

Camminare un po’. Aragorn era sempre rimasto silenzioso.

-Secondo te la mia stirpe è debole?

Una domanda improvvisa. Legolas si ritrovò colto alla sprovvista.

-Non posso risponderti. Non conosco la tua stirpe. Ma perché mi chiedi questo?

-E’ questo.. vuoto che c’è qui davanti. Mi fa sentire striminzito…

Legolas guardò avanti a sé: una piana sconfinata dell’Ovestemnet. Da quel punto si poteva scorrere la spaccatura nel terreno che era l’Acquaneve. La steppa bruciata arrivava sin là, al Fosso, col suo manto chiazzato di giallo e sabbia.

-Parlami del tuo regno, Aragorn. Hai visto Gondor, tempo fa, vero?

Chiese l’Elfo accoccolandosi accanto a lui. L’uomo gli cinse le spalle con un braccio.

-Sì. E’ sempre rimasta qui, accanto a te.

E così dicendo prese una mano di Legolas e se la posò sul cuore. L’Elfo lo guardò sorridente.

-E’ meravigliosa. Immaginati una specie di.. armatura. Esatto, una fantastica armatura bianca addossata al suo guerriero, il monte Mindolluin. Bianca come la neve ed il marmo, luccica sotto il sole del mattino e si tinge di porpora al tramonto. La bandiera garrisce al vento dalla cima del palazzo della Cittadella e le case sono ricavate nella roccia viva. E’ una città forte ed elegante. Maestosa. Solo una volta ho potuto camminare lungo lo sperone di roccia più alta, quello che sta in fronte al palazzo bianco dei Re. Da lì puoi vedere tutta la piana del Pelennor. In verità…. Da lì puoi vedere ogni cosa. E ti sembra di poter toccare il cielo.

Il viso di Aragorn sembrava trasformato. I suoi occhi persi nel vuoto accanto a sé sembravano vedere davvero le bianche mura della sua città. E quel trasporto nel raccontare.. praticamente una vita, coinvolse Legolas fino infondo. Aragorn si voltò improvvisamente verso di lui. Si sorrisero e Legolas ebbe l’ardimento di chiedere:

-Mi parli di costruzioni meravigliose, ma tutte di roccia. Ho sentito che c’è un albero bianco… ma dove può crescere?

Aragorn rise e l’Elfo si sentì un po’ sciocco per quella domanda, ma l’uomo bonariamente rispose.

-L’albero affonda le sue radici proprio nella montagna, superando ogni roccia. E’ come il Re: forte e saldo oltre tutto.

- E’ come te.

Sussurrò Legolas. Il sole già varcava il mezzogiorno, ma Aragorn si avvicinò comunque e lo baciò, assaggiando ancora quelle labbra morbide.

-Non ci riesco…

-A fare cosa?

Aragorn sorrise. Posò le mani sulle spalle dell’Elfo e una la fece scivolare lungo la fila dei bottoni della casacca.

-A smettere di volerti.

L’Elfo si avvicinò a lui e incastrò il viso lungo il collo dell’uomo, respirando piano per non fargli il solletico.

-Abbiamo ancora questa notte… prima di partire.