.|. Angeli Maledetti .|.

Capitolo 9

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Trascorse una settimana prima che Elladan si svegliasse di nuovo e fosse considerato fuori pericolo. In quei giorni accaddero molte cose, ma Elrohir sembrava non accorgersene. Passava ore seduto accanto al fratello, tenendogli la mano, parlandogli sottovoce. Poche altre volte si era vista una simile angoscia dipinta sul suo viso. Giungevano continuamente notizie inquietanti di creature malvagie avvistate sempre più spesso nelle terre vicine, cavalieri neri senza volto di cui pochi avevano il coraggio di pronunciare il nome. Si mormorava che le forze oscure stessero preparando un grande esercito, reclutando guerrieri dalle Terre Selvagge del Sud. Tutto ciò arrivava alle orecchie del giovane senza turbarlo, come non lo riguardasse, come vivesse in un mondo parallelo, nel quale esisteva solo la necessità di vegliare il fratello, immergendosi nella sua mente per vegliare la sua lotta con la morte. Ormai aveva imparato a distinguere il freddo della forza del veleno dal debole calore della vita di Elladan che cercava di resistergli; si sedeva sul bordo del letto e stava a guardare quella dura battaglia. Non poteva fare nulla per aiutarlo, solo fargli sentire la sua presenza accanto a lui, sperando se ne sentisse rassicurato.

 

 

 

Un giorno arrivò Gandalf, da solo e malconcio e chiese di parlare urgentemente con il re. Quando lo venne a sapere, Elrohir si chiese come mai Estel non fosse assieme a lui, e la paura di perdere quello che considerava un altro suo fratello, lo scosse un poco dal suo stato di torpore. Poche ore dopo Elrond lo fece chiamare assieme a Legolas. Quando giunsero nella sala del consiglio vi trovarono anche Erestor, come Primo Consigliere del re, e Glorfindel.

 

“Dov’è Estel?” chiese immediatamente a Gandalf.

 

Lo stregone, senza rivelargli altri particolari, gli spiegò che un contrattempo gli aveva impedito di raggiungere Aragorn a Brea, e che egli si trovava da solo ad accompagnare due mezzi uomini fino ad Imladris, mentre nove ombre gli stavano dando la caccia.

 

“Non possiamo lasciarlo solo!” disse Elrohir dopo un momento di silenzio “Andiamogli incontro, avrà certamente bisogno di noi.”

 

“Si. Verrò anch’io con voi” incalzò subito Legolas.

 

“No.”

 

La voce di Glorfindel, dura e decisa, vibrò nell’aria come una lama tagliente. Una leggera eco la seguì perdendosi lentamente nella sala.

“Vado io. E da solo.”

I due giovani non fecero in tempo a ribattere.

“Troppe creature maligne si aggirano per i boschi ormai, in tre daremmo troppo nell’occhio, e non possiamo permetterci combattimenti. Da solo riuscirò a raggiungerli senza farmi notare e portarli in salvo.” Aveva parlato con volto serio e un tono deciso che non ammetteva repliche.

Elrond annuì semplicemente. I due giovani compresero che non vi era modo di controbattere quella decisione.

 

 

 

***

 

 

 

“Sono disperato, Legolas. Non riesco più a sentirlo. Prima lo sentivo lottare, ora…”

Elrohir era seduto sul bordo del letto, aveva appena lasciato la mano del fratello.

 

“Sei esausto. Dovresti riposare.”

 

“No, non è la stanchezza. È cambiato qualcosa…”

Legolas si inginocchiò sul pavimento, avvicinandosi a lui il più possibile per abbracciarlo. Elrohir si lasciò stringere tra le braccia, nascondendo il volto tra i suoi capelli.

“Non sopporterei la sua morte” sussurrò.

 

“Non devi perdere le speranze” rispose l’altro “devi essere forte per lui”.

 

 

Com’era difficile riemergere da quel mare freddo che tentava di trascinarlo via. Elladan strinse i denti e socchiuse gli occhi a fatica, cercando di riabituarli alla luce. Qualcuno era seduto sul suo letto, accanto a lui. Una persona di spalle, dai lunghi capelli castano scuro. Elrohir.

Chi era la figura bionda che lo stringeva tra le braccia? Glorfindel? Si sforzò di mettere a fuoco la vista. No, era Legolas, constatò con una punta di gelosia. Aprire gli occhi era stato un grande sforzo, senza nemmeno accorgersene aveva stretto le dita sulle lenzuola. Elrohir sentì quel movimento, si girò di scatto e si chinò su di lui.

“Fratello..” non riuscì a dire altro, un nodo in gola gli impediva di parlare.

Elladan lo fissò un momento negli occhi, poi con il braccio sano lo attirò a sé, allontanando del tutto dall’altro elfo. Lo sforzo lo fece impallidire, ma non si fermò, gli passò la mano dietro alla testa e lo costrinse a chinarsi su di lui, premendo le labbra contro le sue.

 

Tu sei mio.

 

Elrohir lo lasciò fare, troppo commosso dal vederlo risvegliarsi per reagire.

 

Non cambierai mai. Gli disse mentalmente, rimase chino su di lui e lo baciò ancora. Poi si rialzò voltandosi verso Legolas che era rimasto a guardarli a bocca aperta.

 

“Scusaci…” disse arrossendo un poco.

 

“No, dovrei scusarmi io…” sorrise imbarazzato l’altro, come riprendendosi in quel momento “Non riuscivo a staccare gli occhi da voi. Siete la cosa più bella che io abbia mai visto. L’immagine stessa dell’amore.”

 

Vide gli occhi di Elladan inumidirsi, e gli posò delicatamente le mani sul braccio ferito.

 

“Adesso vi lascio soli” sussurrò. “Sono davvero felice di vederti sveglio”.

 

Elladan sorrise, avrebbe voluto ringraziarlo, ma non aveva più forza per parlare. Legolas rispose al sorriso, si alzò ed uscì dalla stanza. I due gemelli rimasero soli, a guardarsi negli occhi in silenzio.

 

“Per un momento non ti avevo più sentito lottare…” sussurrò Elrohir con la voce rotta dai singhiozzi di felicità e commozione. Il fratello sorrise, non riusciva ancora a parlare.

 

È solo grazie a te che ho vinto il veleno. Mi sentivo perduto, in qualcosa di immenso, buio e freddo. Ma sentivo la tua presenza, il tuo calore mi ha aiutato a trovare la strada.

 

Elrohir si chinò ancora su di lui “Ho avuto paura” sussurrò baciandogli il viso, mentre le lacrime gli uscivano prepotenti dagli occhi. “Temevo non ti saresti più svegliato”.

 

Mi hai vegliato per giorni e giorni, facendomi forza. E io appena ho aperto gli occhi sono stato geloso di chi ti dava conforto… non so cosa mi sia preso… perdonami.

 

Il fratello sorrise scuotendo un poco la testa, non riusciva ad essere arrabbiato in quel momento. Continuava ad accarezzargli il viso e a guardarlo, come cercasse di convincersi che quello che vedeva era vero. Elladan con il braccio sano scostò leggermente le coperte.

 

Stenditi vicino a me, amore mio.

 

Elrohir si infilò sotto la coperta accanto a lui abbracciandolo e posando la testa sulla sua spalla. Elladan cercò di muovere il braccio ferito per stringerlo, il dolore lo fece tremare per un momento.

 

“Non devi muoverlo…”

 

Voglio tenerti stretto a me.

 

“Puoi farlo anche con un braccio solo. Guarda che non scappo via.”

 

A quelle parole Elladan sorrise. Entrambi sorrisero, e si guardarono ancora negli occhi. Ripensarono a ciò che era accaduto soltanto pochi giorni prima, quando avevano parlato sinceramente di loro sentimenti, si erano chiariti, e avevano fatto l’amore per la prima volta, su quello stesso letto. Si strinsero ancora di più l’uno all’altro, assaporando il ricordo di quei momenti accompagnato da diverse emozioni, dolcezza, paura, e un brivido di eccitazione. Rimasero così ancora per un poco, scambiandosi carezze e piccoli baci, poi si lasciarono scivolare nel sonno, avvolti dal calore di quell’abbraccio dolce e finalmente sereno. La morte non era riuscita a dividerli.

 

 

 

***

 

 

 

“È una cosa che non so descrivere. Quando ho aperto gli occhi l’ho visto stretto a Legolas, non sono riuscito a non provare gelosia. Soffriva, era in pena per me, Legolas stava solo cercando di dargli coraggio, e io lo sapevo. Non era un sentimento cattivo, solo… avrei voluto che fosse tra le mie braccia e non tra le sue. Forse più che gelosia era frustrazione”.

Elladan sorrise ironicamente, facendo una pausa. Poi sospirò e riprese.

“Quando si è accorto che mi ero svegliato si è voltato subito verso di me, e mi ha guardato. Aveva il viso stravolto dalla stanchezza, e gli occhi arrossati di chi ha pianto per ore. Sorrideva mentre le lacrime gli scendevano sul viso. In quel momento, nei suoi occhi, ho letto tutto il suo amore; era qualcosa di immenso, infinitamente dolce. Era lo stesso che sentivo, quando mi vegliava nei giorni precedenti, lo stesso calore che mi aveva raggiunto quando ero in bilico tra vita e morte ed al quale mi ero aggrappato per tornare indietro. Un amore così grande e puro… e io… non ho potuto fare a meno di vergognarmi della mia gelosia. Non se la merita.”

 

Lindir sorrise, era seduto sul letto accanto a lui, accarezzandogli distrattamente il braccio ancora dolorante.

“È normale un po’ di gelosia in amore.” gli rispose.

 

“Forse.  Ma sai, ho sempre vissuto nel terrore che qualcuno me lo portasse via. Non so immaginare cosa avrei fatto se avessi scoperto che lui non ricambiava il mio amore. Non potrei sopportare di vederlo assieme ad un altro, neanche se lui ne fosse felice.”

 

“Amare significa desiderare il meglio per la persona amata, no? Forse, se fossi convinto che lui starebbe meglio con qualcun altro, le cose sarebbero diverse. In ogni caso, lui ama te, e non devi preoccuparti.”

 

Elladan rimase un momento in silenzio, fissando un punto lontano fuori dalla finestra.

“Non riuscirei comunque ad accettare di vederlo felice assieme ad un altro. Io non sono come te, non riuscirei a rinunciare a qualcuno che desidero. Sono… fondamentalmente egoista.” Si fermò, rendendosi improvvisamente conto di aver toccato un tasto troppo delicato.

 

Lindir vide il suo imbarazzo e sorrise con dolcezza, rassicurandolo; mosse quasi impercettibilmente la mano, le dita scivolarono un poco lungo il braccio, accarezzandolo.

“Come sai bene. Ho desiderato Glorfindel dal primo momento in cui l’ho visto, la notte in cui è arrivato ad Imladris. Non nego di aver sofferto quando mi sono accorto del suo amore per Erestor, e non nego di aver sperato a lungo che non fosse ricambiato. Ma poi… quando li ho visti assieme, ho capito che con lui era felice. Io non posso che essere contento di questo. Non avrei mai detto di essere in grado di provare qualcosa del genere, ma poi quando mi sono trovato in questa situazione… mi è venuto spontaneo. Quindi non dire che non ne saresti capace; non puoi saperlo.” Si chinò su di lui, accarezzandoli i capelli con la punta delle dita. “Ma Elrohir ti ama più di quanto ami se stesso, non si allontanerà mai da te.”

 

Elladan annuì e sorrise, aveva lo sguardo sereno ma terribilmente stanco.

 

“Ora devi solo pensare a rimetterti in piedi. Sei ancora molto pallido ed hai gli occhi segnati, riesci a riposare?”

 

Il giovane scosse la testa.

“Non quanto vorrei. Ho ancora molti dolori al braccio. Dormo poco perché fatico ad addormentarmi.”

 

“Allora ti canterò qualcosa per aiutarti. Chiudi gli occhi.”

 

Elladan obbedì e accomodò meglio la testa sul cuscino. Lindir iniziò a cantare. Aveva qualche strana magia nella voce, o forse semplicemente possedeva una voce talmente bella da sembrare magica. Intonò una melodia lenta e dolce, un canto soffice e lieve che si dipanava come un velo impalpabile e luccicante, avvolgendo completamente la stanza. Per un attimo, ad Elladan parve di essere tornato bambino, quando alla sera Lindir cantava per farli dormire, lui ed il fratello. Si stendevano nei loro lettini e chiudevano gli occhi, lasciando che la sua voce li portasse lontano, attraverso mondi perfetti e incantati, prima di lasciarli addormentare.

 

 

 

***

 

 

 

I giorni seguenti sembrarono lunghissimi, nell’attesa del ritorno di Glorfindel. Si poteva solo attendere e sperare. Dama Celebrian stava lentamente guarendo dalle ferite, ma rimaneva chiusa nella sua stanza, rifiutando di vedere chiunque, eccetto i familiari. Elladan invece si stava rimettendo molto velocemente, ma non aveva ancora avuto il permesso di lasciare il palazzo, così Legolas accompagnava Elrohir nelle ricognizioni, cercando di tenere la mente occupata. Il pensiero di entrambi tornava continuamente ad Aragorn, e più di una volta si erano ritrovati a scrutare l’orizzonte sperando di avvistarlo, o di vedere qualche segno che annunciasse il ritorno suo e di Glorfindel. Ma gli alberi ed i profili delle montagne rimanevano immobili, senza mostrare nulla che rispondesse alle loro domande. I due giovani allora ritornavano alle loro perlustrazioni, ed in silenzio pregavano che tornassero entrambi sani e salvi, immergendosi in un’altra giornata, piena di ansia e di angoscia. E frustrazione.

 

 

 

Arwen si divideva tra le visite alla madre e al fratello, e trascorreva il resto del tempo chiusa nella sua stanza, chiedendo spesso alle ancelle di lasciarla sola perché aveva bisogno di pensare.

Qualcosa era cambiato, dentro di lei. Improvvisamente aveva paura.

La morte si era avvicinata al mondo dorato nel quale era sempre vissuta. Per la prima volta aveva davvero pensato a cosa significasse perdere qualcuno; aveva solo immaginato di poter perdere la madre e un fratello, e già quello l’aveva portata alla disperazione. Aveva visto Elladan disteso sul letto immobile per giorni, aveva tenuto stretta la sua mano, che diveniva sempre più fredda. E quando aveva capito che poteva essere costretto a rinunciare la sua luce immortale, si era resa conto che la mortalità non era molto diversa dalla morte stessa. Era una morte lenta, in qualche modo poteva essere bella, serena, ma era comunque morte.

Era quello a cui sarebbe andata incontro legandosi ad Aragorn.

Quando aveva comunicato a suo padre quella decisione, egli vi si era opposto. Nei suoi occhi non aveva letto ira, bensì dolore, paura. Ora cominciava a comprendere cosa doveva aver provato davanti ad una notizia del genere. Capiva cosa cercava di dirle quando le ripeteva di riflettere ancora sulla sua scelta. La sua vita da mortale sarebbe durata solo alcune decine di anni, forse anche un centinaio, chissà. Ma poi, lentamente si sarebbe spenta. Sarebbe stata avvolta dal freddo che aveva cercato di portare via Elladan, solo qualche giorno prima. Quel freddo che aveva sentito chiaramente mentre gli stringeva la mano, mentre cercava di chiamarlo e lui pareva allontanarsi per sempre.

Rabbrividì.

Aveva sempre pensato che vivere accanto ad Aragorn sarebbe stato bellissimo, sarebbe stata felice accanto a lui, fino alla fine dei suoi giorni. Ma ora, per la prima volta, questo le faceva paura.

 

 

 

***

 

 

 

All’alba del quarto giorno Glorfindel tornò ad Imladris, portava con sé un bambino gravemente ferito. Ordinò che quattro guerrieri andassero incontro ad Aragorn che stava risalendo la riva del fiume con tre compagni, Legolas ottenne il permesso di andare con loro.

Partirono immediatamente, e dopo qualche ora di galoppo finalmente li raggiunsero.

Quando vide spuntare l’uomo da dietro agli alberi, Legolas si sentì infinitamente più leggero. Rimase ad osservarlo mentre si avvicinava, camminando al centro del sentiero, assieme a quelli che parevano essere tre bambini. Per un elfo, che dietro ad un volto giovane nasconde facilmente migliaia di anni di vita, non era difficile capire che non si trattava di bambini, ma di uomini in miniatura. I mezzi uomini ai quali aveva accennato Gandalf. Erano carini e buffi, con i loro visetti paffutelli e quei grandi piedi pelosi. Probabilmente anche quello che aveva portato Glorfindel ad Imladris la mattina stessa, non era un bambino ma un mezz’uomo.

I tre piccoli uomini erano visibilmente spaventati, si lasciarono prendere in braccio e caricare sui cavalli dai guerrieri, continuavano a guardarsi tra loro con aria preoccupata. Legolas sorrise intenerito, pensando che dovessero sentirsi piuttosto a disagio tra esseri così alti. Tese una mano ad Aragorn per aiutarlo a salire in sella dietro a lui.

 

Fece uno strano effetto sentirlo appoggiare il petto contro la sua schiena e stringere le braccia attorno ai suoi fianchi. Il suo respiro vicino all’orecchio, le cosce strette appena dietro le sue. Gesti normali, ma che in quel momento, richiamavano qualcosa di intimo e complice. Un lieve brivido gli percorse rapidamente la schiena, un’emozione sconosciuta lo invase all’improvviso. Per un momento si sentì insicuro, come imbarazzato da qualcosa che non riusciva a percepire completamente. Cercando di allontanare quelle sensazioni incerte, spronò il cavallo al galoppo, sentendo le braccia dell’uomo che si stringevano ancora di più attorno ai suoi fianchi.

Galopparono costeggiando il fiume per parecchi minuti, poi risalirono i sentieri quasi invisibili che si avvicinavano alla Valle tenendo un’andatura più lenta. Percorsero alcuni tratti a passo d’uomo, dovendo attraversare passaggi angusti e tortuosi. In uno di quei momenti Legolas posò una mano su quella di Aragorn, stretta attorno ai suoi fianchi. Lo sentì rispondere a quella dolce stretta intrecciando le dita con le sue, e si ritrovò a sorridere tra sé.

 

Arrivarono ad Imladris assieme al tramonto.

Aragorn balzò agilmente dalla sella, e aspettò che Legolas facesse altrettanto. Mentre i servitori portavano via i cavalli si incamminarono entrambi verso il palazzo. Si avviarono per i sentieri secondari del giardino, con l’intenzione di evitare il solito via vai di persone dei percorsi principali.

Il ramingo chiese informazioni sulla salute di Dama Celebrian, l’elfo rispose che non si era ancora ripresa del tutto, e lo informò della ferita di Elladan. A quella notizia Aragorn impallidì improvvisamente. Aveva lasciato Imladris la mattina dopo il loro ritorno con Dama Celebrian, e non era al corrente della cosa.

 

Si fermò in mezzo al sentiero deserto e scosse la testa. “Ha rischiato di morire, ed io non sapevo niente…”

 

Legolas gli posò una mano sulla spalla.

“Ora sta bene. Ha rischiato molto, ma è fuori pericolo” gli disse sottovoce.

 

Aragorn annuì lentamente. I loro sguardi si incontrarono ancora, rimasero a fissarsi per un lungo momento. In silenzio. Erano così belli gli occhi di Legolas, grandi, di un tono di blu così profondo e raro, ombreggiati da ciglia nere lunghissime. Rimase incantato a guardarli, lasciandosi rapire completamente.

 

L’elfo riprese a parlare, con la voce bassa come un sussurro, mentre lasciava scivolare la mano dalla spalla al braccio, fino alla mano.

“Anche noi siamo stati in pena per te, quando Gandalf è arrivato da solo…”

 

“Sto bene” lo interruppe Aragorn, e strinse dolcemente le dita attorno alle sue, accarezzandole.

 

 

Avevano cavalcato per ore, quel giorno, stretti in sella allo stesso cavallo. Si erano fermati diverse volte, discutendo con gli altri guerrieri, per decidere il percorso da seguire, cercando i segnali lasciati da Glorfindel. Aragorn conosceva meglio di Legolas quei luoghi e più di una volta gli aveva dato indicazioni. Allora si era stretto ancora di più a lui, parlandogli vicinissimo all’orecchio, appoggiando la testa alla sua, e maledicendo mentalmente la faretra che l’elfo portava sulle spalle, che gli impediva di abbracciarlo più stretto.

E più di una volta aveva preso lui le briglie, facendo scivolare le mani lungo le sue. Si era reso conto di aver bisogno di stringersi a lui il più possibile, di abbracciarlo, toccarlo. Non poteva farne a meno. Legolas gli piaceva. Gli piaceva il suo volto, che finalmente aveva rivisto dopo troppi giorni. Gli piaceva il profumo della sua pelle, dolce e delicatamente intenso, così simile a quello del bosco. Gli piaceva stringere le braccia attorno al suo corpo, immaginandone le forme nascoste dagli abiti.

Durante una delle brevissime soste, l’elfo aveva appoggiato una mano sulla sua, accarezzandola distrattamente. Istintivamente aveva intrecciato le dita con le sue, rispondendo alla sua stretta. E in quel momento aveva pensato che forse anche l’elfo provava gli stessi sentimenti. Lo aveva pensato, e si era ritrovato a sperarlo ardentemente.

 

 

Ora finalmente si ritrovavano da soli e il desiderio di toccarlo era tornato prepotente. Strinse ancora le dita e allungò l’altra mano fino a sfiorare il suo viso, accarezzando la pelle della guancia, così liscia e morbida. Legolas sorrise, continuando a guardarlo intensamente, poi, come aveva fatto qualche giorno prima, si avvicinò a lui lentamente, fino a baciarlo.

Aragorn chiuse gli occhi, assaporando le labbra dell’elfo che toccavano sue. Vi si appoggiavano premendo con dolcezza, e lentamente si staccavano. Poi vi si appoggiavano ancora, dischiudendosi leggermente. Sentì la lingua sfiorarle, istintivamente aprì la bocca per accoglierla. Si lasciò spingere contro il tronco di un albero, mentre le due lingue si incontravano, giocando, rincorrendosi, accarezzandosi reciprocamente.

Un brivido di eccitazione percorse il corpo di entrambi mentre quel bacio diventava sempre più avido e appassionato. Si abbracciarono, stringendosi l’uno contro l’altro, si accorsero di tremare, mentre le braccia scivolavano lungo la schiena ed il respiro diventava sempre più affannato, quasi convulso.

 

Dei passi leggeri si avvicinarono svelti. I due fecero appena in tempo a staccarsi l’uno dall’altro quando Elrohir sbucò da dietro l’angolo.

 

“Estel!” esclamò, mentre si avvicinava ad abbracciarlo. “Ero così in pena per te!”

 

Aragorn sorrise, cercando di calmarsi e controllare il respiro. Si sentiva accaldato, ed il cuore batteva talmente forte che pareva impazzito. Rispose all’abbraccio del fratello adottivo, rispondendo come poteva al fiume di domande che gli rivolse.

Tutti e tre assieme si incamminarono verso il palazzo. Quando passarono sotto il balcone della stanza di Elladan, istintivamente alzarono la testa guardando verso l’altro. Lo videro appoggiato al parapetto, mentre discuteva animatamente con i guaritori. Quando si accorse di loro, sorrise raggiante e agitò la mano in segno di saluto. Aragorn corse verso il portone, per salire in camera sua, gli altri lo seguirono camminando più lentamente.

 

“Non sopporta più i guaritori. Non fanno altro che ripetergli le stesse cose.” Elrohir parlava sorridendo, dai suoi occhi grigi sembravano risplendere bagliori d’argento, accesi dagli ultimi raggi di sole di quella giornata.

 

Legolas rispose al sorriso “Probabilmente vostro padre li ha ricoperti di raccomandazioni. Conoscendolo li avrà terrorizzati.”

 

L’altro sorrise ancora. “Già. Aveva paura che Elladan non ce la facesse, che morisse o comunque perdesse la sua mortalità. E in quel caso…”

 

“…Sapeva che l’avresti seguito, vero?”

 

Elrohir annuì. “Si. Lo sapeva e questo lo terrorizzava. Già è molto preoccupato per Arwen… per un momento avrà temuto di poter perdere tutti e tre i figli.”

 

“Arwen?” chiese Legolas stupito.

 

“Ah, tu probabilmente non lo sai.” Rispose Elrohir “Arwen tempo fa gli ha detto di voler scegliere una vita mortale, per legarsi ad Estel. Sono molto innamorati.”

 

Mentre parlava si voltò per levare ancora lo sguardo verso il balcone della stanza del fratello, e non si accorse che Legolas aveva sgranato gli occhi ed era improvvisamente impallidito.