.|. Angeli Maledetti .|.

Capitolo 7

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Quando Elrohir entrò nella stanza del fratello, la trovò inaspettatamente vuota. Rimase un momento a guardarsi attorno smarrito, poi lo intravide sul balcone; stava in piedi, leggermente chinato in avanti, le braccia appoggiate sul parapetto di pietra, lo sguardo perso nel vuoto oltre gli alberi del giardino. Conosceva quell’espressione sofferente. Elladan cercava sempre di farsi vedere forte, dagli altri. E ci riusciva sempre. Tutti lo consideravano il principe forte, coraggioso, ammiravano la sua forza d’animo, il volto fiero ed impassibile con il quale affrontava ogni situazione. Pochi sapevano leggere ciò che nascondeva dietro a quella maschera. Pochi erano in grado di guardarlo negli occhi e accorgersi di ciò che si agitava dentro di lui, la sofferenza, l’insicurezza. La fragilità.

 

Si avvicinò a lui, appoggiandogli una mano sulla spalla. Avrebbe voluto stringendolo tra le braccia, coprendogli il viso di baci per dargli conforto. Ma qualcosa lo fermò.

Elladan si era voltato leggermente verso di lui. “Ho appena visto Legolas passare qua sotto, passeggiando con Estel. Come mai non sei con lui?” gli aveva detto con un sorrisetto irritante.

“Avrei dovuto?” rispose ingenuamente Elrohir.

“Non so… semplicemente mi stupivo. Gli stai sempre appiccicato.” Disse ritornando a fissare un punto lontano, oltre gli alberi.

Elrohir percepì una punta di astio nella sua voce.

“Mi piace parlare con lui”

“Me ne sono accorto. Vi ho visti l’altra sera. Seduti sotto il portico, mentre piagnucolavi tra le sue braccia”.

Elrohir si sentì gelare da quelle parole velenose, studiate apposta per ferirlo. Incomprensione, gelosia. Come accadeva troppo spesso, ultimamente.

“È molto diverso da te” rispose, cercando di non cedere a quella provocazione.

Elladan si morse le labbra per scaricare la tensione. Si stava comportando come un ragazzino geloso, se ne rendeva conto. Ma era più forte di lui.

“Soffre quanto noi” continuò Elrohir “forse anche di più, perché non ha più speranza. Ho solo parlato un poco con lui di questo. Mi ha ascoltato. Lui si fida di me”

“Non ti è mai mancata la mia fiducia.” Sbottò il fratello, alzando la voce.

“Quando ti dico qualcosa, cerchi sempre di leggermi la conferma nella mente. Quante volte non ti sono bastate le mie parole? Se questa non è mancanza di fiducia, allora è mancanza di rispetto. Non so cosa sia peggio.”

 

Elladan non rispose. Aveva abbassato lo sguardo, continuava a fissare il vuoto.

Elrohir fece per andarsene. Non se la sentiva di litigare. Non in quel momento. Era venuto a cercarlo perché aveva bisogno di lui, di vederlo, di parlargli. Perché quello che stavano passando li stava dividendo ancora di più, invece che unirli come si sarebbe aspettato. Perché quella situazione lo faceva soffrire troppo. Ma la loro conversazione aveva preso una piega inaspettata, e si sentiva troppo fragile per affrontarla.

“Lo so che non posso pretenderti, anche se ti desidero”.

Elladan aveva parlato a voce bassa, come stesse parlando con se stesso. Quasi in un sussurro. Il fratello si fermò, sorpreso dal tono dolce della sua voce.

“È sempre stata la mia ossessione, sai? Fin da quando eravamo bambini, ho sempre avuto paura che un giorno qualcuno ti portasse via da me. Non sono mai riuscito a concepire la mia vita senza di te, non ho mai voluto farlo”.

Fece una breve pausa, continuando a fissare il vuoto.

“Ormai da molto tempo mi sento attratto da te in maniera… diversa da prima. Ed ho paura che per te non sia lo stesso. Per quello a volte cerco di leggere i tuoi pensieri, per capire se ciò che provi è lo stesso che provo io. Lo so che ti da fastidio, ma a volte… ho bisogno di sentirlo.

Quel giorno, nel bosco. La prima volta che ci siamo baciati. È stata una cosa spontanea, per entrambi. Lo è stato anche tutte le altre volte, naturale per me come per te. Però… adesso sento che vorrei… andare oltre. A volte penso che sia anche un tuo desiderio. Ma ti sei sempre tirato indietro.”

Parlando aveva intrecciato tra loro le dita, le mani appoggiate sul parapetto del balcone.

“Quando ho accompagnato Arwen a Lothlorien, siamo rimasti alcuni giorni lontani. Mi mancavi. Ti pensavo. Ti desideravo così tanto che ti ho visto da lontano, ed ero sicuro che non fosse solo un sogno. Ho sentito persino il tuo respiro sulla pelle, come fossi stato vicino a me. Qualche giorno fa ti avevo chiesto se questo è successo davvero. Ho paura che non lo sia, che sia stato un sogno mio, nato da un desiderio che c’è solo dentro di me. Non mi rispondevi, per questo ho voluto leggere a forza nella tua mente. Ho bisogno di sapere quello che provi. A volte credo che tu mi desideri quanto ti desidero io, ma poi…”

 

Elrohir gli si avvicinò ancora di più e lo abbracciò da dietro, appoggiando il petto sulla sua schiena, la guancia contro la sua. La sincerità e la sofferenza che si leggevano in quelle parole gli avevano stretto il cuore.

“Quello che hai visto quella notte non era un sogno. È successo davvero. Anche io ti ho visto, ti ho sentito. Sentivo le mie mani sul mio corpo e sognavo che fossero le tue. Poi mi è sembrato lo fossero davvero”. Esitò qualche istante, stringendo le dita attorno alle sue. “Non era la prima volta che… pensavo a te in questa maniera” continuò a voce più bassa mentre sentiva le sue guance tingersi di rosso, il cuore che iniziava a martellargli nel petto.

“Non lo era neanche per me” rispose Elladan voltandosi senza sciogliersi dall’abbraccio.“Se è un desiderio di entrambi, perché ti sei sempre tirato indietro?” gli chiese.

“Da un lato lo desidero, dall’altro ho paura. Di tante cose.” Elrohir fece una piccola pausa, come per cercare le parole adatte “Siamo fratelli, ci hai mai pensato? Il nostro amore dovrebbe essere di altra natura”.

“Forse. Ma i Valar non ci hanno dato la possibilità di scegliere chi amare e come. Se sento di amarti, credo che farlo sia un mio diritto.”

“Forse hai ragione. Ma siamo due principi e abbiamo delle responsabilità. Tu un giorno sarai re.”

“Regneremo assieme.”

“Un regno non avrà bisogno di un erede?” le parole gli uscirono dalle labbra lentamente, accompagnate da un sorriso malinconico.

Elladan scosse la testa. “Non mi importa del regno. E poi, di chi dovrebbe essere figlio questo erede? Non potrei concepire un figlio con una donna che non amo. Chiunque fosse, non potrei amarla come amo te”. Mentre parlava gli accarezzava dolcemente i capelli, lasciandoli scorrere tra le dita. “Si sta preparando una guerra. Molto più grande di quelle che abbiamo mai visto. Non possiamo nemmeno essere sicuri di sopravvivere. Hai mai pensato a questo?”

Il fratello annuì, abbassando lo sguardo. Elladan gli prese la testa fra le mani, avvicinandola ancora alla sua.

“So solo che voglio dividere con te il resto della mia vita, breve o lunga che sia. Voglio saperti sempre al mio fianco. Il resto non mi interessa.” Gli sussurrò sulle labbra prima di catturarle tra le sue. Lo circondò di nuovo con le braccia, stringendolo come fosse la cosa più preziosa che avesse.

 

Rumore di zoccoli risuonò nel giardino. Probabilmente Arwen era già arrivata. Aveva insistito per tornare a casa, ed Elrond aveva mandato un gran numero di guerrieri come scorta. Elladan trascinò il fratello all’interno della stanza, qualsiasi cosa accadesse nel giardino non lo riguardava. Dopo tanto tempo, finalmente erano riusciti a parlarsi, a chiarirsi. Voleva che quel momento fosse solo per loro, che niente e nessuno li disturbasse. Si fermò davanti al letto, si staccò dalle sue labbra solo per parlare.

“Ti amo” disse.

Elrohir sorrise. “Ti amo” rispose e riappoggiò le labbra sulle sue.

Si spogliarono a vicenda, lentamente, in un gioco interminabile di baci e carezze dolci e sempre più audaci. Elladan spinse il fratello sul letto, stendendosi su di lui, avvolgendolo tra le braccia, la bocca che cercava la pelle del collo e delle spalle. Lo sentiva tremare mentre baciava il suo corpo. Lo vide gettare la testa indietro, emettendo un gemito soffocato; cominciava a fremere, cedere alla sua dolce insistenza.

 

Una leggera pioggerellina iniziò a cadere, picchettando sulle foglie degli alberi vicini al balcone. Una dolce cantilena, una nenia solo per loro, un velo tra il mondo reale e quello fatto del calore dei loro corpi.

 

Elrohir, percepiva appena il rumore dell’acqua sulle fronde, un delicato sottofondo alla voce del fratello che gli sussurrava dolcezza nella mente, lo avvolgeva, lo inebriava nel buio degli occhi chiusi. Si sentì cedere a quel tocco lento ma insistente, si lasciò andare, dimenticando per la prima volta le paure che lo avevano fino ad ora tormentato. Si lasciò travolgere dalle sensazioni date da quel corpo bollente sopra il suo, il contatto della pelle, le mani che toccavano e scoprivano, l’eccitazione che cresceva premendo contro il ventre. Allargò leggermente le gambe, per aumentare il contatto tra i loro corpi. Senza quasi rendersene conto lasciò scivolare lungo la schiena del fratello le mani, appoggiandole sui glutei, accompagnandolo nei movimenti del bacino, rendendoli più intensi, e profondi. Rispose a quei movimenti con il suo corpo, seguendo l’istinto che ormai si era impadronito di lui, fino a quando raggiunsero entrambi il culmine del piacere, soffocando a fatica i gemiti, le dita serrate in una reciproca stretta, il loro seme che sgorgava caldo sul ventre.

 

 

 

Quando il suo respiro si fu calmato, Elladan alzò leggermente il busto, puntandosi sui gomiti. Lo guardò in volto, accarezzandogli una guancia. I loro sguardi si incontrarono.

Da tempo sognavo di vederti abbandonato al piacere che io stesso ti davo. Non sai come mi faccia sentire vederti cedere in questo modo.

Elrohir sentiva le sue parole scivolare dolcemente dentro di lui. Chiuse gli occhi, assaporandone il suono silenzioso, assieme al tocco di quella carezza sul viso.

Non fermarti, ti prego.

Elladan sentì il corpo tremare al percepire quella richiesta, indugiò qualche momento guardando ancora il suo viso, poi rincominciò a baciarlo con passione. Più affondava la lingua nella sua bocca, più sentiva di aver fame di lui. Lo voleva. Completamente. E disperatamente. Il suo sapore, il profumo della sua pelle, i movimenti lenti e quasi inconsapevoli del bacino contro il suo, lo eccitarono di nuovo, tremendamente. Lo sentì allargare ancora le gambe, piegando le ginocchia.

Ti prego…

Esitò un momento, come colto da paura, le mani che tremavano, lo sguardo per un attimo timoroso ed insicuro. Poi strinse le labbra, e si spinse dentro di lui. Sentì Elrohir irrigidirsi terribilmente, chiudere gli occhi e stringere i denti cercando di trattenere un gemito di dolore. Rimase immobile, sperando che si abituasse alla sua intrusione, cercando di reprimere il piacere dato dall’affondare nel suo corpo. Sfiorò con le labbra le sue palpebre umide, baciando le lacrime che vi affioravano.

 

Apri gli occhi. Dividilo con me. Voglio dividere ogni cosa.

 

Il fratello obbedì lentamente e lo lasciò entrare nella sua mente, a leggere il dolore che provava. Elladan lo sentì nel suo corpo, come lo stesse provando lui stesso. Continuò a fissarlo. Fece un leggero movimento del bacino, cercando di trasmettergli il piacere che ne aveva ricavato.

Elrohir per qualche momento aveva respirato a fatica, per il dolore che sembrava trapassarlo da parte a parte. Poi aveva sentito il piacere del fratello raggiungere il suo corpo, ed aveva cominciato a rilassarsi. Allacciò le gambe dietro la sua schiena per aiutarlo a spingersi più in profondità, sentì aumentare un poco il dolore, ma anche un’altra ondata del suo piacere, e qualcosa di simile che lentamente cresceva anche dentro di lui.

Continuarono a muoversi lentamente, guardandosi negli occhi per leggere ognuno le sensazioni dell’altro. Poi li chiusero, per assaporare meglio quello che le loro menti continuavano a dividere, godendo ognuno delle proprie sensazioni sovrapposte a quelle dell’altro, un miscuglio di piacere e dolore che li inebriò completamente. Si persero l’uno nell’altro, abbandonandosi ai movimenti istintivi del corpo, seguendo solo l’istinto ed il piacere che diveniva sempre più intenso, fino a che l’estasi li colse entrambi, nello stesso momento, lasciandoli senza fiato, storditi.

 

 

 

Fuori stava diventando buio, la notte stava lentamente ricoprendo il cielo con il suo manto stellato. Il tempo era passato senza che se ne accorgessero. Elrohir fu il primo a riprendersi. Accarezzò dolcemente la nuca del fratello, affondando le mani nei suoi capelli e gli sfiorò una guancia con le labbra. Tremava leggermente. Tremavano ancora entrambi. Il cuore batteva ancora forte. Sentì il corpo dell’altro scivolare di lato, tenendolo ancora tra le braccia. Si girò su un fianco per seguirlo, non voleva sciogliersi dall’abbraccio che li univa. Rimase a guardarlo ancora, dopo che aveva chiuso gli occhi. Forse si stava già addormentando.

Non aveva mai pensato di poter provare qualcosa di così immenso e completo. Stava vivendo qualcosa di meraviglioso, e solo con lui poteva accadere. Rimase sveglio a lungo, assaporando il suo calore, ascoltando il suo respiro, il battito del suo cuore. Poi si lasciò cadere lentamente nel sonno, avvolto nel calore delle sue braccia.

 

Se questo amore è un peccato, che i Valar possano perdonarmi. Non vi voglio rinunciare.

 

 

 

***

 

 

 

Alcune cose accadono all’improvviso, quando meno le si aspetta. E lasciano spiazzati, svuotati. Erano passati in quel luogo decine di volte, guardandosi sempre attorno con attenzione. Eppure non avevano visto nulla. Invece quella sera, Asfaloth, il cavallo di Glorfindel, era inciampato su qualcosa, e lui se ne era accorto subito; aveva sentito un rumore metallico, lieve ma distinto. Si era fermato osservando il terreno con aria sospettosa.

 

Quella mattina erano partiti in cinque da Imladris. Elladan, Elrohir, Legolas, Aragorn e Glorfindel. Legolas era stato molto sorpreso di vedere Aragorn assieme a loro, per quanto potesse essere valoroso, era sempre un mortale, una razza che aveva sempre ritenuto più debole. Ma l’uomo lo aveva stupito, per la sua capacità di leggere le tracce sul terreno, riconoscere i rumori, muoversi silenziosamente. Non poteva comunicare completamente con la natura attorno a sé, ma ne percepiva in parte lo spirito, per quanto gli fosse possibile fare. Era un uomo, ma assomigliava agli elfi, in molte cose.

 

Aragorn aveva fermato il suo cavallo vicino a Glorfindel.

“Cosa hai visto?” gli aveva chiesto.

E in quel momento Legolas aveva visto qualcosa scintillare sullo zoccolo di Asfaloth, e nello stesso momento se n’era accorto anche Glorfindel. Si erano trovati entrambi accovacciati accanto alla zampa dell’animale, e Legolas aveva staccato un pezzo metallico con le mani che avevano iniziato a tremare violentemente. La maglia di una catenella, di fattura rozza. Identica a quella che era rimasta impigliata allo zoccolo del suo cavallo, tempo prima. Identica. Aveva cominciato a guardarsi attorno freneticamente, poi si era inginocchiato per terra affondando le mani tra l’erba a lato del sentiero, sapeva cosa doveva cercare.

Gli altri lo guardavano sorpresi, senza capire cose significasse quella reazione.

“L’ho trovato!” gridò.

Allora gli altri compresero. Aveva trovato una sorta di botola, fatta di legno, perfettamente camuffata dall’erba che la ricopriva. Non era lontana dal sentiero ma era invisibile, solo infilando le mani nell’erba, al punto giusto, di poteva trovare.

 

Quello che era accaduto subito dopo, era solo un ricordo confuso, concitato. Una freccia gli era passata vicino, andandosi a conficcare in un tronco. Un gruppo di orchetti erano nascosti tra i cespugli a pochi metri da loro. Gli elfi avevano impugnato i loro archi e risposto, colpendo mortalmente gran parte dei nemici, alcuni però erano fuggiti. Avevano udito i loro passi agili allontanarsi nel bosco.

Erano rimasti qualche istante in silenzio, davanti a quella botola che ormai era ben visibile a tutti e cinque. Era bastato scambiarsi uno sguardo, per capire che tutti erano d’accordo nell’entrare. Si erano introdotti nel cunicolo in fila indiana, cercando di essere silenziosi. Il tunnel principale si diramava in diverse direzioni, ma era impossibile vedere cosa ci fosse in fondo a quei lunghi corridoi. Legolas aveva sentito il rumore dell’acqua provenire da uno di essi, doveva arrivare almeno fino al fiume. Era rabbrividito, pensando a quanto grande doveva essere quel mondo sotterraneo.

Poi erano stati assaliti, e si erano trovati in mezzo ad una battaglia improvvisa, feroce, disperata. Legolas si era lasciato sfuggire un grido di rabbia, mentre uccideva un’orchetto che aveva cercato di colpirlo. Mille pensieri si affollavano nella sua testa, mentre brandiva i suoi lunghi pugnali; odiava il buio e i luoghi chiusi, l’umidità ed il freddo del sottosuolo, gli davano un senso di insicurezza. I ricordi del giorno della liberazione di sua madre riaffioravano nella sua mente, più cercava di ignorarli più lo assalivano, incalzanti, e dolorosi.

Aveva paura. Dei suoi ricordi che lo investivano ad ogni passo. Temeva per Estel, sapeva che la sua vista non era come la loro, quel buio per lui doveva essere quasi completo. Temeva per i gemelli, che aveva visto infilarsi in una galleria laterale in cerca della madre, per Glorfindel che avrebbe certamente protetto la loro vita con la sua. Aveva paura. Gridava, uccideva, odiava.

Poi nella confusione aveva sentito un grido da parte di Elladan, avevano trovato Dama Celebrian. Si era voltato un momento e lo aveva visto avvicinarsi tenendola in braccio, avvolta in qualcosa che poteva essere una coperta o un mantello. Elrohir lo precedeva di pochi passi, aprendosi un varco a colpi di spada tra gli orchetti che cercavano di impedirgli il passaggio. Si ritirarono, scappando verso l’uscita, percorrendo a ritroso gli stretti cunicoli, che parevano interminabili. I passi degli orchetti pochi metri dietro a loro, i loro versi e segnali di richiamo per i compagni. Il buio, il freddo umido della terra che non aveva mai conosciuto il sole. 

 

Una volta fuori Elladan aveva consegnato la madre tra le braccia del fratello, aiutandolo a salire a cavallo. “Tu cavalchi più veloce” gli aveva detto “Portala via di qui”.

Li aveva visti mentre usciva a fatica dalla botola, e finalmente calpestava di nuovo l’erba. Appena fuori aveva percepito il suo profumo, erba verde ancora umida dalla pioggia della sera precedente. L’aria limpida del bosco. Il buio della notte gli pareva luce, in confronto a quello di prima. Aragorn e Glorfindel erano dietro di lui. Gli orchetti cercavano di seguirli, le loro grida si avvicinavano rimbombando nei corridoi. Rumori e fruscii si udivano nel bosco, ancora lontani. Erano saliti sui loro cavalli appena in tempo per scappare, altri orchetti stavano arrivando correndo tra gli alberi. Ma per quanto corressero, essendo a piedi, non erano in grado di raggiungerli.

 

Avevano corso come il vento, per tornare ad Imladris. Elrohir era giunto poco prima di loro, quando erano arrivati lo avevano visto davanti alla porta del palazzo, mentre il cavallo veniva portato via dai servitori. Una figura alta e scura era in piedi accanto a lui e gli teneva le mani. Legolas aveva riconosciuto Erestor, il primo consigliere di Elrond. Sapeva che era molto vicino ai gemelli e non si era stupito di vederlo stringere le mani di Elrohir per dargli conforto. Lo era stato un poco di più nel vedere Glorfindel avvicinarsi ed accarezzargli distrattamente i capelli. Una tenerezza inaspettata, dolce perché naturale, quasi istintiva. Poi Glorfindel era impallidito, accorgendosi che il braccio sinistro di Elladan sanguinava; per quanto la ferita non fosse grave aveva insistito per portarlo dai guaritori. Erano entrati tutti nel palazzo, dirigendosi verso i locali adibiti a ricovero per le cure. Là era stata portata anche Dama Celebrian pochi momenti prima.

 

Legolas però non li aveva seguiti. Era rimasto fuori, nel giardino, pensando che avessero bisogno di stare da soli, accanto alla loro madre. Aveva preferito allontanarsi da solo. Passeggiando era giunto presso la grande fontana e si era seduto sul largo bordo di pietra.

Si sentiva stanco, svuotato. Dama Celebrian era stata liberata, ora si trovava al sicuro, tra le braccia di Elrond e dei suoi figli. Ripensò ai gemelli, l’apprensione sui loro volti. Ora non poteva fare a meno di provare invidia per loro. Si era recato ad Imladris al solo scopo di aiutarli, e c’era riuscito. Ora avevano finalmente riabbracciato la loro madre. Avrebbe dovuto sentirsi bene, invece aveva solo voglia di piangere.

Piangere. Come aveva fatto tante volte rifugiandosi nel calore delle braccia di Enedhil, divorato dai sensi di colpa, dopo il rapimento di sua madre. Quando la cercava e non riusciva a trovarla, quando sentiva il suo dolore e non poteva fare nulla per alleviarlo. Poi lei era morta. E si era spezzato qualcosa, e questo gli aveva impedito anche di piangere. Perché ora le lacrime avevano ripreso a scendere sulle sue guance?

Dopo giorni di attività frenetica, si era ritrovato improvvisamente solo, senza nulla da fare, ed aveva avuto il tempo di pensare a sé stesso. Era bastato un momento, ed aveva riletto nel suo cuore quello che aveva trascurato, e non ascoltato per tutto quel tempo.

Si prese la testa tra le mani, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Rivide passare davanti agli occhi tutto il male che aveva visto. Quello che aveva letto negli occhi di sua madre, lo stesso che, era certo, si sarebbe letto in quelli di Dama Celebrian. Quello che aveva visto nelle caverne. Esseri mostruosi e deformi il cui unico scopo rimasto era uccidere. Alcuni erano orchi, ma altri avevano un ben diverso passato. Quanti di loro una volta erano stati elfi... Fatti prigionieri, mutilati, torturati per centinaia di anni, fino a perdere la ragione ed unirsi alle forze del male. Esseri vuoti e maledetti, riempiti dall’odio e dalla follia, assassini tanto colpevoli quanto innocenti.  Si sentiva così piccolo di fronte a tutto quel male. Piccolo ed incapace di proteggere le persone che amava.

 

Un fruscio lo distolse da quei pensieri. Alzò il viso e vide Aragorn in piedi, davanti a lui. Si ricordò delle sue lacrime, e le asciugò velocemente con le dita.

“Scusami” mormorò.

“No, scusami tu” rispose Aragorn. “Non volevo disturbarti. Ti avevo visto mentre ti allontanavi e… non volevo lasciarti solo”.

Legolas sorrise, quella frase era stata come una carezza vicino al cuore. Qualcosa di dolce, e spontaneo, in qualche modo commovente. L’uomo si sedette accanto a lui.

“Come sta Dama Celebrian?” chiese l’elfo.

Aragorn sospirò, e gli riferì cosa avevano detto i guaritori, era piuttosto grave e debilitata, ma quasi certamente sarebbe sopravvissuta. Le sue ferite più gravi erano state inflitte nell’anima e non nel corpo, la sua guarigione dipendeva soprattutto da lei. Mentre parlava, lo vide abbassare gli occhi, e stringere le labbra. I gemelli gli avevano detto che sua madre era morta poco tempo prima, nello stesso modo; vedere Celebrian in quello stato doveva avergli riportato alla mente quel momento. Istintivamente gli circondò le spalle con un braccio, quasi per proteggerlo, impedirgli di cadere in quel baratro di ricordi dolorosi.

Legolas sussultò leggermente, colpito da quel gesto che non si aspettava. Voltò la testa verso di lui, fissandolo negli occhi. L’uomo rispose al suo sguardo, perdendosi nel profondo blu dei suoi occhi.

“Mi dispiace” gli disse “Non sai quanto vorrei poter fare qualcosa”.

L’elfo sorrise ancora, cercando di asciugare con le dita quelle dannate lacrime che continuavano a scendere.

“Non trattenerle” azzardò Aragorn. Aspettò un momento, temendo di osare troppo. Poi continuò “Lo so che non siamo molto in confidenza ma… se le tieni dentro ti faranno ancora più male”.

In quel momento sentì qualcosa di strano dentro di lui, qualcosa che lo emozionava, gli faceva battere il cuore; l’elfo seduto accanto a lui lo affascinava in maniera incredibile. Solo in quel momento si rendeva conto di quanto lo attraesse il suo aspetto. Il suo viso pareva risplendere di una luce propria, qualcosa che andava oltre la semplice bellezza.

Cosa gli stava accadendo? Aveva incontrato Arwen pochi minuti prima, l’aveva stretta tra le braccia per confortarla nel suo dolore. Le aveva parlato del suo amore, le aveva detto che le sarebbe stato vicino per sempre. Ma in quel momento Arwen pareva così lontana. La sofferenza di Legolas lo aveva rapito del tutto, e istintivamente sentiva di volergli dare conforto. Ma non era solo quello. Non si trattava solo di stare vicino ad un amico, un compagno d’armi appena acquisito. L’elfo lo attraeva. Lo attraevano i suoi lineamenti delicati, le labbra sottili leggermente contratte, lo sguardo intenso ancora velato dalle lacrime. Un insolito miscuglio di tenerezza e seduzione.

Non riuscì ad impedire alla propria mano di posarsi sulla sua guancia, le dita che sfioravano il lobo dell’orecchio, il pollice che indugiava accanto al lato della bocca.

I loro volti erano così vicini, adesso. Le labbra quasi si sfioravano, ma non trovavano il coraggio di toccarsi. Rimasero in quella posizione per un lunghissimo momento, poi Legolas si avvicinò leggermente, appoggiando le labbra sulle sue, dischiudendole appena. Mantenne il contatto per un attimo soltanto, un tocco leggero e sfuggente, poi abbassò lo sguardo e rimase immobile. Aragorn lo attirò dolcemente verso di sé, facendogli posare le testa sulla sua spalla. L’elfo si lasciò guidare, e chiuse gli occhi, nascose il viso tra i suoi capelli e lasciò che le lacrime scorressero lungo le guance. Un pianto silenzioso, senza singhiozzi, senza sospiri. Un pianto sommesso, dolce, liberatorio.