.|. Angeli Maledetti .|.

Capitolo 6

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Cinque giorni di ricerche sotto la pioggia battente avevano sfinito i tre giovani elfi. Cacciare orchetti poteva essere una cosa esasperante, soprattutto se non li si poteva uccidere subito. Il loro scopo non era eliminarli, come al solito, ma scovare le loro tane, sperando di raggiungere il luogo dove era tenuta prigioniera Celebrian. Avevano seguito le tracce sul terreno, i rami spezzati dal loro passaggio. Erano stati acquattatati tra i cespugli per ore, immobili, in silenzio, le gocce d’acqua che ricadevano su di loro incessantemente, gli arti che tendevano ad indolenzirsi. Poi finalmente si erano avvicinato degli orchetti, avanzavano veloci, quasi di corsa, il rumore sordo delle loro rozze calzature sul terreno bagnato. Li avevano seguiti strisciando silenziosi tra l’erba ed il fango, senza farsi vedere.

 

Elrond aveva imposto ai due figli di non rimanere fuori per più di cinque o sei giorni di seguito. Aveva sempre avuto fiducia nelle loro capacità, ma si rendeva conto di trovarsi in una situazione delicata, dove i sentimenti potevano facilmente prendere il sopravvento sulla ragione. Aveva paura a lasciarli lontani troppo tempo, sapeva che si sarebbero distrutti pur di riportare a casa la madre.

Legolas aveva ascoltato questi ordini, prima di partire assieme a loro. Elrond si comportava esattamente come aveva fatto suo padre, sconvolto dal rapimento della moglie e terrorizzato dall’idea di perdere anche i suoi figli.

Era giunto ad Imladris da poche ore, quando aveva visto che i gemelli che si preparavano per partire. Aveva deciso di seguirli subito, non voleva lasciarli ancora soli, in quella disperata ricerca. Per quel poco che potesse servire, voleva essere accanto a loro.

 

Ora, dopo cinque giorni di sorveglianza, passati senza quasi mangiare o dormire, finalmente avevano incontrato un gruppo di orchetti, ed erano più che mai decisi a pedinarli fino alla loro tana. Li avevano seguiti per ore, nella loro marcia attraverso il bosco, verso i piedi delle montagne, mimetizzati tra i cespugli e gli alberi, coperti dal rumore della pioggia. Alla fine il gruppo si era fermato in una piccola radura, davanti ad una bassa apertura nella roccia. Uno degli orchetti vi era entrato, accucciandosi agilmente, e ne era uscito poco dopo. Quella doveva essere l’entrata di uno dei loro rifugi.

I due fratelli si guardarono per un momento negli occhi parlandosi con la voce della mente, poi con un cenno comunicarono le loro intenzioni a Legolas, il quale annuì. Non erano molto distanti dall’entrata, ma erano ben nascosti, in alto, in cima ad una salita. Valeva la pena di attaccare, avrebbero sterminato facilmente il gruppo, ed eventuali orchi che si fossero precipitati fuori. Impugnati i loro archi, scoccarono una raffica di frecce verso il centro del gruppo, la loro mira era infallibile, ed ogni colpo andò mortalmente a segno. Alcuni orchetti cercarono di fuggire risalendo lateralmente il pendio, i tre elfi si gettarono su di loro in una breve lotta corpo a corpo.

 

I tre guerrieri andavano a caccia assieme per la prima volta. I due gemelli si erano trovati bene con Legolas; si era ben inserito nel trio, affiatandosi completamente. Si muoveva nel bosco rapido e silenzioso come loro, ed aveva la loro stessa resistenza, ma combatteva in maniera diversa. Non aveva una spada, e nella faretra portava due lunghi pugnali affilati. Si avvicinava agli orchetti saltando fuori dal nulla, con un balzo, o a volte strisciando fino all’ultimo momento senza farsi sentire. Li avvicinava quasi cercando il contatto fisico, e affondava le due lame dei suoi pugnali, con un gesto rapido e secco, incurante degli schizzi di sangue che inevitabilmente lo investivano. Aveva una luce terribile negli occhi, in quei momenti. Fredda e selvaggia. Assassina. Per un attimo fissava i nemici negli occhi con uno sguardo feroce, crudele, come volesse scrutare nella loro mente, farli completamente suoi, possederli nel momento in cui li consegnava alla morte. Soprattutto Elrohir, che combatteva più vicino a lui, si era accorto di questo. In quegli attimi, nel suo sguardo leggeva un odio infinito e quasi tangibile, rabbia repressa che gridava di essere sfogata, figlia di un enorme dolore.

 

Quando nulla attorno a loro si muoveva più, si fermarono, guardandosi attorno con attenzione. Contarono i corpi senza vita dei nemici, c’erano tutti. Ma dall’apertura nella roccia non era uscito nessuno. I tre elfi si guardarono ed avanzarono cauti, quando furono abbastanza vicini da vedere all’interno di resero conto di trovarsi davanti ad una piccola grotta vuota senza altre uscite. Non era un ingresso ai loro rifugi, anche questa volta non avevano trovato niente.

Niente di niente.

Elladan sfogò la sua ira calciando lontano l’elmo di uno degli orchetti morti, poi senza dire una parola si voltò e si mise in cammino per tornare al luogo dove avevano lasciato i cavalli. Elrohir sentì le gambe cedere, e cadde in ginocchio, le braccia abbandonate lungo i fianchi, mentre lacrime di rabbia e frustrazione gli offuscavano la vista. Aveva sperato di trovare la loro tana. E sua madre. L’aveva sentita così vicina, questa volta. Invece no, ancora niente. Un’altra ricerca inutile.

 

Ad un tratto si accorse che un braccio gli aveva cinto le spalle. Era Legolas, che gli si era inginocchiato accanto.

“Coraggio” gli disse con una voce inaspettatamente dolce “Lo so che è dura, ma non devi perdere le speranze”. Elrohir lo guardò quasi stupito, accorgendosi di tremare. Aveva visto suo fratello andarsene, credeva che anche lui avesse fatto lo stesso. Invece era rimasto là, ora gli sorrideva incoraggiante con un’infinita dolcezza sul volto. Gli pareva quasi impossibile si trattasse della stessa persona che poco prima combatteva vicino a lui, che sembrava quasi provare gusto dal massacrare orchetti. Ma in fondo sapeva di non doversene stupire. Il dolore portava spesso all’estremo, e Legolas era l’estremo di molte cose.

 

 

I tre principi raggiunsero i cavalli ed avanzarono a piedi, trascinandoli fuori dal tratto di bosco più fitto, prima di spronarli al galoppo verso Imladris. Se Elrond non li avesse visti tornare entro sera, avrebbe mandato loro dei rinforzi, e la situazione certo non lo richiedeva. Dovevano quindi tornare prima del tramonto. Mentre uscivano dal bosco, Elrohir si guardò attorno ancora, forse dentro di sé sperava ancora di avere una possibilità durante quella giornata. Elladan avanzava davanti a lui, il viso serio, composto. Non aveva più detto una parola da quando erano partiti, solo la stretta innaturale delle mani sulle redini tradiva la sua rabbia.

 

Il giorno del rapimento si erano quasi sentiti impazzire, avevano corso lungo i sentieri in direzione di Lothlorien, fino a che non avevano trovato il luogo dove era avvenuta l’imboscata. I corpi degli elfi al seguito della regina giacevano ancora a terra, in un orribile spettacolo di sangue e morte. Avevano cominciato a seguire le tracce confuse che si perdevano nel bosco, le avevano perse ed avanzavano alla cieca, senza sapere dove stavano andando. Era stato Glorfindel a fermarli, li aveva raggiunti con i suoi uomini ed una volta resosi conto che non erano rimaste tracce da seguire, gli aveva fatto capire quanto fosse inutile e pericoloso trattenersi in quel luogo, in quel momento. Ma quando Elrohir aveva accettato di tornare, Elladan si era rifiutato. Non voleva muoversi senza aver ritrovato la madre. Aveva fatto a pugni con Glorfindel che cercava di farlo ragionare, lo aveva insultato con parole violente, rinfacciandogli la loro differenza di rango, secondo la quale non era tenuto ad obbedirgli. Gli aveva gridato cose che non avrebbe mai creduto nemmeno di poter pensare.

“È ad un ordine di tuo Padre e Re, a cui stai disobbedendo” aveva risposto il guerriero, con la una voce tagliente. In quel momento Elladan si era fermato, si era guardato attorno come chiedendosi cosa stesse facendo. Era rimasto per qualche momento in silenzio, poi aveva scosso la testa mordendosi le labbra, gli occhi bassi fissi su un posto lontano, poi era salito sul suo cavallo ed era partito al galoppo verso casa. Elrohir era rimasto a guardarlo in silenzio, mentre si allontanava inghiottito dal buio della notte.

La notizia del rapimento della madre li aveva colti nel mezzo di una lite. Da quel momento non ne avevano più parlato. Non avevano più parlato di niente. Si erano immersi nelle ricerche, mettendo da parte il resto della loro vita. Si stavano tenendo lontani a vicenda, trascurandosi proprio nel momento in cui avevano più bisogno l’uno dell’altro.

 

 

 

***

 

 

 

Dopo il tramonto aveva smesso di piovere, anche se il cielo era rimasto nuvoloso. Come d’abitudine, dopo la cena, tutti erano usciti a passeggiare nel grande giardino, respirando l’aria fresca della sera. Elrond si era fermato a pochi metri dall’ingresso discutendo di qualcosa con i suoi consiglieri, i gemelli ascoltavano in piedi accanto a lui. Legolas si era allontanato da solo, e raggiunto un luogo solitario, si era seduto per terra, con la schiena appoggiata ad una colonna dell’ampio portico, avvolto dalla penombra. Com’era tutto diverso dalle sue visite precedenti. Da quando Lady Celebrian era scomparsa, nessuno aveva voglia di esibirsi nei canti che abitualmente accompagnavano le sere d’estate. Tutto era silenzioso, cupo. Sui volti di tutti si leggevano paura e angoscia per la sorte della loro amata regina. Era lo stesso clima sconsolato che si respirava a casa sua.

 

Erano tornati ad Imladris appena prima del tramonto, tutti e tre assieme. I cinque giorni di caccia li avevano stremati, si sarebbero trattenuti a casa per almeno due giorni, prima di uscire di nuovo. Ordini di Elrond che cercava in tutti i modi di obbligarli a riposarsi almeno il minimo necessario. Sorrise tra sé; anche se in molte cose non andavano d’accordo, Elrond e suo padre erano molto simili. O molto più probabilmente, davanti all’amore per i figli, tutti gli elfi diventavano uguali.

 

“Posso sedermi vicino a te?”

Legolas trasalì, non si era accorto di Elrohir che stava in piedi a pochi passi da lui.

“Si. Vieni” gli disse sorridendo.

Elrohir si avvicinò ancora e si sedette tra le sue gambe. Lo guardò negli occhi per qualche momento, poi si raggomitolò su di lui, appoggiando la testa alla sua spalla. Istintivamente Legolas lo circondò con le braccia, posandogli una carezza sui capelli. Al tocco di quella mano Elrohir chiuse gli occhi, rimase così per un momento, poi si scostò leggermente e si accorse che Legolas aveva la tunica leggermente aperta, che lasciava intravedere una sottile catena d’argento appesa al collo. Posò le dita sulla catena all’altezza della base del collo e la seguì fino a dove scompariva sotto la stoffa. Aprì lentamente alcuni bottoni della tunica fino a scoprire il pendente.

“Era… suo?” chiese poco dopo, quasi timidamente.

“Si. Lo porto sempre con me”

Percorse lentamente il profilo del pendente con la punta delle dita come avesse voluto impararne a memoria le forme.

“Tu… la sentivi, da lontano?” chiese poi, quasi in un sussurro, senza staccare le dita dal pendente.

“Si. Sentivo la sua disperazione, la sua… paura” rispose Legolas, sentendo una leggera fitta al cuore, mentre gli tornavano in mente gli incubi che lo avevano tormentato quasi ogni notte, dopo il rapimento di sua madre.

“A volte sento una morsa gelida che mi prende dentro e non mi lascia quasi respirare. È l’angoscia che prova lei, lo so” disse Elrohir dopo una breve pausa.

L’elfo biondo lo strinse un po’ di più a sé, baciandogli i capelli. Vedere in lui il suo stesso dolore, era qualcosa di straziante. Chiuse gli occhi, e per un attimo gli parve di sentire il calore delle braccia di Enedhil. Il suo amato fratello che gli era sempre stato vicino, quando aveva bisogno di lui. Gli mancava terribilmente.

“La salveremo” disse, facendo scivolare ancora le mani sui lunghi capelli scuri “La troveremo prima che sia troppo tardi”.

“Anche se la troveremo viva, ormai è già troppo tardi” rispose l’altro con un filo di voce.

Quanta verità in quelle parole…

“Quando sarà di nuovo con voi, con il vostro amore supererà ogni cosa”.

Elrohir annuì lentamente, abbassando di poco il viso. Legolas percepì il caldo contatto delle sue labbra sul petto, mentre baciava il pendente; per un attimo trattenne il respiro, colpito da quel gesto. Poi lo sentì appoggiare di nuovo la fronte sulla sua spalla, abbandonandosi nel suo abbraccio, le labbra che si muovevano appena per parlare.

 

“Grazie di essere venuto ad aiutarci.”

 

 

 

***

 

 

 

Il primo chiarore dell’alba riempì lentamente la stanza, disegnando le prime ombre degli alberi contro le pareti della stanza. La tenue luce rosata scivolava sui contorni degli oggetti, facendoli emergere in parte dal buio.

Legolas aprì lentamente gli occhi. Era disteso supino, con il viso rivolto verso il balcone oltre il quale il cielo si stava lentamente tingendo di rosa. Sentì la mano di Elrohir muoversi quasi impercettibilmente contro la sua spalla, era dolce svegliarsi così, e sentire il calore del suo corpo steso sopra il suo, il respiro regolare contro il suo collo, il leggero battito del suo cuore contro il petto.

Gli baciò piano la fronte, cercando di non svegliarlo. Sapeva che Elrohir in quel momento dormiva. Dormiva davvero, con gli occhi completamente chiusi, avvolto da un sonno fiducioso, profondo e tranquillo come non gli accadeva più da giorni, ormai.

Elladan sentì Legolas muoversi, gli sfiorò il lobo dell’orecchio con le labbra, mentre con una mano scivolava lungo il suo braccio fino ad intrecciare le dita con le sue, indugiando con il pollice sulla schiena nuda del fratello.

Ormai stava quasi diventando un’abitudine, svegliarsi in quel modo. Era incominciato tutto due giorni prima, quando Legolas ed Elrohir erano andati in camera sua, preoccupati di averlo visto ritirarsi subito dopo la cena.

Si erano sdraiati tutti e tre sul suo letto ed avevano iniziato a parlare; nonostante la stanchezza accumulata negli ultimi giorni, non avevano voglia di dormire. Era stato allora, che per la prima volta da quando era arrivato, aveva sentito Legolas parlare un poco di sé stesso, di come si era sentito, nel periodo in cui cercava sua madre, quando era ancora convinto di poterla salvare. Di come si fosse sentito inutile, di quando avesse sofferto, e di quanto fosse stato importante per lui la vicinanza del fratello.

Era riuscito a parlare un poco anche con Elrohir. Finalmente. L’ultima volta che lo aveva fatto, erano giunti ad una lite, erano stati interrotti e non avevano più provato a tornare sul discorso. Non se la sentiva di affrontare adesso un argomento delicato come quello, ma aveva bisogno di sentirlo vicino.

Quando aveva sentito la mano del fratello spostarsi sul lenzuolo per cercare la sua e stringerla leggermente, aveva capito che anche per lui era la stessa cosa. Non era in grado di affrontare quella barriera che in quei giorni si era alzata tra di loro, e ne soffriva. Aveva intrecciato le dita con le sue, per fare più intima quella stretta, poi lo aveva attirato più a sé, per abbracciarlo, ed aveva avvolto nell’abbraccio anche Legolas, in mezzo a loro. Perché anche lui soffriva, e per di più in quel momento era solo, lontano dalla sua casa e dai suoi affetti.

Così si erano stretti assieme tutti e tre, nascosti nel buio della notte senza luna, dove esistevano soltanto le loro voci, le ferite dei loro cuori, il bisogno di conforto. Parlarono ancora, raccontando loro stessi, in una miscela di rassegnazione e sincerità. Volevano consolarsi, cercando le parole che potessero dare sollievo alla loro sofferenza. E poi le parole di conforto erano diventate il calore dello stringersi fra le braccia, sussurri sulla pelle, teneri baci sulle tempie, sugli occhi umidi o sulle labbra socchiuse, che non chiedevano altro che dolcezza e consolazione.

Si erano sempre addormentati così, in quelle due notti. Legolas in mezzo, che abbracciava Elrohir per metà sopra di lui, ed Elladan steso di fianco, che li abbracciava entrambi. Scivolavano nel sonno quasi senza accorgersene, cullandosi nel reciproco calore.

 

 

I primi raggi di sole entrarono prepotenti nella stanza, anche Elrohir si svegliò. Rimase disteso ancora per qualche momento, assaporando dolce il calore del corpo dei due elfi stretti a lui, poi si alzò sciogliendosi dal loro abbraccio, e si avvicinò al balcone. Scostò i capelli che gli ricadevano sulla fronte tirandoli indietro con entrambe le mani. Alzò il viso offrendolo al sole del mattino che scivolava dolce sulla sua pelle, accarezzando il suo corpo candido, ridisegnandolo con le pacate tonalità dei colori dell’alba. Elladan lo guardava, osservando il contorno morbido delle spalle, il chiaroscuro sui muscoli delle braccia, sui fianchi cinti dei lunghi pantaloni grigi.

“Ah, c’è Glorfindel in giardino!” esclamò Elrohir, mentre raccoglieva parte dei capelli alla sommità del capo con una treccia. “Deve essere rientrato questa notte. Allora c’è anche Estel.”

“Estel?” chiese Legolas corrugando la fronte.

“Il nostro fratellino, te lo ricordi?”

L’elfo silvano sorrise, si ricordava di quel bambino. Quanto tempo era passato? Ormai doveva essere molto avanti con l’età. Era un mortale, la loro vita era così breve.

“Me lo ricordo” rispose “ma non credo che lo riconoscerei. Deve essere notevolmente cambiato da allora.”

“È mortale, ma ricorda che è un Dùnedain” intervenne Elladan “è ancora giovane, anche se dall’aspetto sembra più vecchio di noi”.

Elrohir raccolse la sua tunica che era finita da qualche parte sul pavimento.

“Lindir mi aspetta” disse abbottonandosi “Ci vediamo dopo”.

“Lindir? Per fare cosa?” chiese ancora Legolas.

“Mi sta insegnando a suonare l’arpa” rispose Elrohir.

“Ma… a quest’ora?”

“Si, oggi è molto impegnato e abbiamo deciso di fare la lezione di primo mattino”

“Bravo, così sveglierai tutto il palazzo strimpellando…” intervenne Elladan con un sorriso canzonatorio.

Il fratello gli lanciò con forza un cuscino che lo colpì in pieno viso.

“Zitto tu!” gli disse.

Si avvicinò al letto, si chinò e baciò delicatamente sulle labbra tutti e due.

“Potreste anche alzarvi, eh?” disse sorridendo ed uscì dalla stanza, richiudendo la porta alle sue spalle.

 

Legolas sorrise malinconicamente. Per un momento erano tornati i due fratelli allegri che avevano sempre voglia di scherzare e prendersi in giro. Era così che li aveva sempre conosciuti. E così erano stati, fino ad allora.

Poco dopo sentì il suono lontano dell’arpa entrare dalle finestre aperte. Elladan era rimasto disteso accanto a lui, in silenzio.

“Non sapevo che tuo fratello si dedicasse alla musica” disse per spezzare il silenzio.

“Ha cominciato da pochi giorni. Suona solo l’arpa, comunque.”

 

L’arpa che suonava sempre sua madre.

 

Sentì che voleva dirgli qualcos’altro, anche se non si decideva a parlare.

“Cosa c’è?”

L’altro rimase in silenzio, ma si irrigidì leggermente.

“Elladan, cosa c’è?” chiese ancora, voltandosi del tutto verso di lui.

“Niente… è solo che… mi da fastidio.”

“Cosa?”

“Tante cose. Come vederlo abbracciarti, baciarti così spesso.”

Legolas sorrise. Lo aveva immaginato.

“In queste notti ho baciato anche te, allo stesso modo” Rispose.

“Vi ho visti, l’atra sera. Mentre eravate seduti sotto il portico” disse Elladan dopo un lungo silenzio.

“Era solo un gesto di affetto. Io… non ho nessuna intenzione di mettermi in mezzo tra voi due.”

“È diverso" Sospirò Elladan dopo un’altra lunga pausa “Tu gli piaci”.

Legolas scosse la testa.

“Lui ti ama” disse “Glielo si legge negli occhi.”

“Si, forse. Ma non quanto vorrei io.” Elladan aveva risposto a bassa voce, distogliendo gli occhi dai suoi, fissando un punto indefinito del lenzuolo.

“Dagli tempo” disse Legolas, e gli sfiorò una guancia con una carezza.

 

 

 

***

 

 

Mancava poco all’ora di pranzo, quando Elladan e Legolas scesero a passeggiare in giardino. Incontrano Glorfindel ed Aragorn, seduti sul bordo della fontana.

“Eh, si. Elrohir aveva ragione, è arrivato anche Estel.”

A quelle parole Legolas iniziò ad osservare attentamente l’uomo accanto a Glorfindel. Si era alzato, e di stava avvicinando ad Elladan per abbracciarlo.

Era davvero Estel? Quello che si ricordava era un bambino, e si aspettava di vedere un vecchio. Ma quello che stava davanti a lui era un uomo ancora piuttosto giovane, i capelli castano chiaro lunghi fino quasi alle spalle, e una barba appena accennata. Gli occhi grigi avevano un’espressione malinconica, quieta, ma avevano qualcosa di magnetico che lo colpì immediatamente, in profondità. Qualcosa di delicato ed improvviso, come un soffio di vento, che gli avesse accarezzato il cuore.

Aragorn si inchinò e lo salutò formalmente; si ricordava di lui. Lo aveva visto quando era bambino, una volta in cui si era trattenuto alcuni giorni in visita ad Imladris. Il principe che abitava lontano, con i capelli d’oro come Glorfindel. Pochi giorni, poi non lo aveva più rivisto.

Ora era davvero sorpreso di vederlo, e lo trovava più bello e luminoso di quanto si ricordasse.

 

Si avviarono tutti assieme verso la sala da pranzo, Legolas ed Aragorn camminavano vicini, scambiandosi qualche parola di circostanza. A tavola si sedettero abbastanza distanti, e ognuno venne assorbito dai discorsi dei vicini ma spesso si ritrovavano a guardare l’uno in direzione dell’altro. I loro occhi si incontravano continuamente.

 

Note

 

Tutti: Oh, finalmente si sono incontrati!

WhiteFairy: Rileggendo mi rendo conto che questa storia è piena di sbaciucchiamenti e abbracci... probabilmente avrò qualche carenza affettiva che si riflette nei miei racconti? O_0

VanityAngel: Beh…. Meglio così! ^__-