.|. Angeli Maledetti .|.

Capitolo 5

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Affacciato al balcone, le braccia conserte, Elrond guardava Glorfindel che si stava allontanando in sella al suo cavallo bianco. Andava incontro ad Aragorn, che sarebbe tornato uno dei giorni successivi, per avvertirlo che alcuni sentieri non erano più sicuri, ormai.

 

Glorfindel. Quanti anni erano trascorsi dal loro primo incontro? Più di duemila, ormai. Quante cose erano cambiate da allora. Glorfindel, signore della Casata del Fiore d’Oro, suddito di re Turgon, sovrano dell’antica e segreta Gondolin.

Turgon aveva costruito il suo regno in una valle nascosta tra i Monti Cerchianti, i sentieri per raggiungerlo erano pochissimi e nascosti, solo i suoi abitanti li conoscevano. Nessuno sapeva dell’esistenza di questo luogo, che viveva in pace, lontano da ogni sorta di male e guerra. Neppure Morgoth, ne era al corrente. Chiunque per caso arrivasse alla valle, poteva scegliere se stabilirvisi per sempre o essere condannato a morte. Solo in questo modo Gondolin sarebbe sempre stata segreta. E sicura.

Pochissimi avevano potuto fare ritorno a casa, dopo averla vista. Elrond era uno di questi. Aveva la completa fiducia di re Turgon e si era recato più volte in visita alla sua città. Aveva conosciuto presto Glorfindel, che era uno dei guardiani della valle. Era molto giovane all’epoca, un guerriero coraggioso e spavaldo, estremamente leale e sincero. Lo aveva colpito subito con il suo sguardo fiero e sorridente, il volto bello e luminoso. Il tono di voce alto e sicuro.

 

Ma un giorno Gondolin venne tradita da uno dei suoi abitanti e l’esercito delle forze oscure marciò verso la valle. Gli elfi si difesero eroicamente, ma erano in numero inferiore rispetto ai nemici, e vennero presto travolti. Non si potevano aspettare aiuto dai regni vicini, che non sapevano neppure della loro esistenza. Soltanto Elrond accorse, appena venne informato dell’accaduto. Partì immediatamente con i suoi guerrieri, ma arrivò troppo tardi: Gondolin era ormai assediata e quasi completamente distrutta, i pochi superstiti si stavano disperdendo tra le montagne.

Fu mentre osservava l’orribile spettacolo che aveva di fronte, chiedendosi come intervenire, che si era accorto del balrog, l’enorme mostro di fuoco che volava incendiando tutto ciò che trovava, alberi, abitazioni, elfi. Poi aveva visto Glorfindel, che tendeva il suo grande arco per colpirlo ed attirare la sua attenzione, facendosi inseguire allontanandolo dai superstiti in fuga. Sapeva che non avrebbe avuto scampo, ma aveva affrontato lo stesso quell’enorme mostro. Era un guerriero, ed il suo primo dovere era proteggere il suo popolo. Per quello era sempre vissuto, e per quello ora andava a morire.

Si era fatto rincorrere fino alla montagna, sul ciglio del burrone e sguainata la spada, si era difeso dagli attacchi del balrog, ferendolo alle ali, impedendogli di volare. E durante la lotta, la parete rocciosa si era sgretolata, facendoli cadere entrambi nell’abisso. Elrond aveva assistito impotente alla scena. Non aveva mai potuto dimenticare quell’immagine, il suo grido di dolore, mentre precipitava nel vuoto, come un angelo di fuoco acceso dall’ultimo fiato del balrog morente.

 

Glorfindel era morto in quel modo. Per permettere a ciò che restava del suo popolo di fuggire.

I Valar lo avevano osservato dall’alto del cielo, ed erano stati fortemente colpiti dall’accaduto. L’amore per il suo popolo, che lo aveva portato senza esitazioni a quell’estremo sacrificio, li aveva commossi. Discussero a lungo tra loro della questione, e infine decisero di donargli una nuova vita. E così Glorfindel aveva aperto gli occhi di nuovo, e si era ritrovato disteso sull’erba, sulla riva di un torrente, con la sua spada accanto. Nel frattempo però, erano trascorsi più di mille anni.

Era tornato nella valle segreta, ma aveva trovato solo i resti della sua antica città. Ancora non sapeva che era stata completamente distrutta lo stesso giorno della sua morte. Si era trovato solo, in un mondo che non conosceva più, in un tempo che non era più il suo.

E così aveva vagato per giorni e giorni, senza una meta, senza nessuno, fino a quando non aveva incontrato Gandalf il Grigio, che lo aveva portato ad Imladris.

Elrond aveva avuto un tuffo al cuore, quando lo aveva rivisto. Era una notte di pioggia e di vento, quella in cui lui e Gandalf erano arrivati, avvolti nei loro mantelli. Aveva aperto lui stesso la porta del palazzo, riconoscendo l’amico stregone. Glorfindel lo aveva guardato in silenzio, quasi timidamente, i capelli fradici che spuntavano dal cappuccio. Finalmente incontrava un volto conosciuto.

In quel momento, gli era apparso così diverso da come lo ricordava. L’espressione del suo viso era cambiata, quasi smarrita, lo sguardo velato di una profonda solitudine. Li aveva fatti sedere entrambi accanto al camino acceso, chiedendo ai servitori di portare loro qualcosa di caldo. Glorfindel si era guardato attorno lentamente, sorseggiando la bevanda che gli era stata data, finendo poi per fissare il fuoco con uno sguardo indecifrabile, quasi sofferente. E nostalgico.

“Puoi rimanere qui per tutto il tempo che vuoi. Anche per sempre, se lo desideri” gli aveva detto Elrond. Allora Glorfindel aveva finalmente sorriso. “Grazie” aveva risposto, ed aveva abbassato in fretta lo sguardo, nel vano tentativo di nascondere le lacrime che gli inumidivano occhi.

 

Da quel giorno era passato al suo servizio, giurando fedeltà a lui ed al suo regno. Aveva trascorso intere settimane nel bosco, per imparare ogni percorso e sentiero che portasse a Imladris e ne era diventato uno dei custodi. Tutt’ora uno dei suoi compiti principali era sorvegliare le strade, scovando possibili intrusi o nemici.

Non potendo più difendere il suo popolo, si era dedicato a proteggere quello di Imladris. Questo fatto aveva commosso infinitamente Elrond. Per Glorfindel era stata una scelta spontanea, dettata dalla voglia di continuare a vivere, onorando ciò che gli era stato concesso, e dalla sua straordinaria capacità di amare, senza esitazioni, remore o condizioni.

La sera stessa in cui era arrivato, Glorfindel aveva conosciuto Erestor, il primo consigliere del re.

 

 

Elrond sciolse le braccia e le appoggiò al parapetto del balcone. Non poteva fare a meno di sorridere ripensando al volto di Erestor, l’espressione di meraviglia nei suoi occhi neri, quando avevano incrociato quelli verde smeraldo del nuovo arrivato. Gli doveva essere piaciuto subito, in qualche modo.

 

 

Erestor era un elfo taciturno, riservato e solitario. Oltre che suo consigliere era un fedele e profondo amico, un valido sostegno in ogni situazione. Era stato soprattutto lui a prendersi cura di Glorfindel. Pur con discrezione, gli era stato vicino, in quel primo periodo della sua nuova vita, così vuoto e difficile. Gli abitanti di Gondolin parlavano la stessa lingua di quelli di Imladris, ma usavano caratteri diversi per scrivere, così quando Glorfindel si era recato nella grande biblioteca per cercare notizie sulla sorte del suo popolo, si era trovato davanti ad una montagna di testi indecifrabili. Era stato Erestor ad insegnargli a leggere, ed aveva trascorso giornate intere assieme a lui, aiutandolo a ricostruire i mille anni di avvenimenti svoltisi in sua assenza.

Elrond era molto preoccupato per lui, inizialmente, temeva non riuscisse ad ambientarsi del tutto, ma pian piano lo aveva visto riconquistare la sua sicurezza e un po’ di serenità.

 

Glorfindel trascorreva gran parte del suo tempo libero assieme ad Erestor, nella biblioteca, uscendo per lunghe cavalcate, oppure passeggiando nel giardino. A volte si intrattenevano fino a notte fonda a parlare di chissà cosa sul balcone, guardando le stelle. E una sera Elrond li aveva visti passeggiare al chiaro di luna, tenendosi per mano. Si erano fermati vicino alla fontana, dicendosi qualcosa, prima di scambiarsi un lungo bacio. Il re elfo non si era troppo sorpreso di quella scena, e ne era stato immensamente felice, perché sapeva più di ogni altra cosa, nella sua nuova vita, Glorfindel aveva bisogno d’amore.

 

 

***

 

 

 

Accampati tra le rocce, Aragorn e Gandalf stavano finendo la loro cena frugale. Erano di ritorno dal Reame Boscoso, dove avevano lasciato Gollum nelle mani degli elfi silvani, perché lo rinchiudessero nelle loro prigioni.

“Domani mattina ci salutiamo, amico mio” disse lo stregone “Vado ad avvisare Frodo del pericolo che corre, poi devo parlare con Saruman, assolutamente. Tra una quindicina di giorni mi dovrei ritrovare con Frodo a Brea, alla Locanda del Puledro Impennato. Vorrei che ci fossi anche tu. Se per qualche motivo non dovessi arrivare, vorrei tu portassi Frodo fino a Granburrone. Puoi farmi questo favore?”

Il ramingo annuì. “Posso accompagnarti per tutto il viaggio, se preferisci”.

“No, non preoccuparti. Anzi, muovendomi da solo darò meno nell’occhio. Dobbiamo fare attenzione. Adesso riposati, faccio io il primo turno di guardia”.

Aragorn annuì di nuovo e si distese, avvolgendosi nel suo mantello. Chiuse gli occhi con l’intenzione di dormire un poco, ma troppo pensieri affollavano la sua mente. Ormai Gandalf era quasi sicuro che quello in possesso di Frodo fosse l’Unico Anello. Questo significava per lui dover incominciare a fare i conti con il proprio destino: Sauron stava per tornare e lui doveva farsi trovare in prima fila ad attenderlo, e prendere quel posto che gli spettava per diritto. E per dovere.

E poi… c’era Arwen. Dopo la guerra, finalmente avrebbe potuto sposarla. E in quel modo l’avrebbe legata a sé per sempre, decretando la sua fine come essere immortale. Poteva davvero fare una cosa simile?

 

Gandalf lo sentì sospirare.

“Ci stai ancora pensando, eh?” gli chiese.

“Non riesco a farmene una ragione” rispose il ramingo e si strinse un po’ di più nel mantello.

“È una scelta che spetta a lei” disse lo stregone.

“Lo so, ma è così difficile accettarlo”

“Quando giungerai ad Imladris vi rincontrerete e trascorrerete qualche giorno assieme. Allora vedrai che riuscirai a pensare più serenamente a tutto questo.”

“Me lo auguro” rispose Aragorn. Richiuse gli occhi e cercò di fare apparire la sua immagine, desiderava così tanto vederla. Avrebbe potuto vivere senza di lei? Forse si. Ma avrebbe sofferto, ogni giorno della sua vita, sentendo la sua mancanza. Era a questo che l’avrebbe condannata rifiutandola, a vivere per l’eternità piangendo per lui. Anche questo era crudele, dopotutto.

Presto si sarebbero visti, e ne avrebbero parlato ancora. Forse Gandalf aveva ragione, una volta finita la caccia a Gollum, avrebbe potuto permettersi di trascorrere qualche giorno ad Imladris. Allora, vivendo assieme a lei, rimanendo qualche giorno lontano dai suoi viaggi, i combattimenti, il pensiero della guerra, avrebbe saputo prendere la giusta decisione.

 

 

 

***

 

 

 

Legolas socchiuse un attimo gli occhi, cercando di riprendere fiato.

“Haldir…” sussurrò e si abbandonò sopra di lui. Il viso appoggiato sulla sua spalla, una mano che stringeva ancora il suo braccio. I corpi ancora tremanti per l’atto appena consumato, la pelle leggermente sudata. Il cuore di entrambi batteva così forte.

La pallida luce azzurrata della luna illuminava debolmente la stanza, disegnando i loro profili distesi, giocando con i riflessi dei loro capelli sparsi sulle lenzuola, come fili di biondo oro e grigio argento di un prezioso ricamo.

 

 

Dopo averlo accolto sulla riva del ruscello, Haldir lo aveva condotto verso la città. Avevano camminato lentamente, parlando di molte cose. Legolas aveva cercato di spiegargli ciò che provava, il vuoto che sentiva attorno a sé, dopo tutto quello che era successo. Il guardiano lo aveva ascoltato in silenzio, comprendendo che il suo bisogno di parlare era come uno sfogo, poi gli aveva rivolto parole di conforto, anche se sapeva di non poter dire nulla che lo avrebbe davvero consolato. Avevano passato momenti durissimi assieme, si conoscevano così a fondo ormai.

 

Era giunto a Caras Galadhon poco prima del tramonto, ed era stato accolto con calore da Celeborn e Galadriel, che già lo attendevano. Aveva consumato assieme a loro una cena leggera, parlando di molte cose, tra cui gli accordi per i quali suo padre lo aveva mandato. Poi il discorso si era spostato su sua madre, che era a loro molto cara, e sul rapimento di Celebrian. Legolas non aveva mai visto un’angoscia tale sul volto di Galadriel, sconvolta dalla sorte della figlia, e in quel momento più che mai aveva sentito il desiderio di andare in aiuto ai gemelli, la necessità di fare qualcosa per riportare a casa la loro madre.

 

Dopo essersi congedato era uscito all’aperto e si era diretto dove sapeva che avrebbe rincontrato Haldir. Lo aveva trovato nel cuore del giardino assieme Rumil ed Orophin, i suoi fratelli. Era una delle zone più nascoste del giardino del palazzo, con al centro un delizioso laghetto circondato dagli alberi. Si era seduto tra loro, sull’erba morbida e fresca, come aveva fatto tante altre volte e assieme avevano parlato di molte cose. I tre guardiani lo avevano informato della situazione: avvistavano spesso gruppi di orchetti attraversare le pianure circostanti, ormai erano certi che si stesse preparando qualcosa di grosso. Legolas aveva fatto molte domande, voleva essere al corrente di tutto ciò che accadeva, anche se si stava trasferendo ad Imladris e non sapeva quanto ci sarebbe rimasto. Per quel motivo si sarebbe trattenuto un altro giorno a Lothlorien, un messaggero avrebbe portato a suo padre la risposta di Celeborn, ma voleva conoscere per filo e per segno ogni decisione del re, prima di partire.

Si sarebbero trovati di nuovo in guerra. Molto presto.

 

Poi Legolas ed Haldir erano rimasti soli, a contemplare il riflesso del cielo notturno sull’acqua del lago, seduti tra le radici di un albero, la schiena appoggiata al tronco dietro di loro. Allora i discorsi avevano preso di nuovo un colore più personale, e Legolas gli aveva parlato della sua intenzione di andare in aiuto ai gemelli.

“Vorrei che almeno Dama Celebrian si salvasse” aveva detto.

Haldir gli aveva passato un braccio attorno alle spalle, attirandolo dolcemente verso di sé, e lui si era lasciato stringere, appoggiando la testa sulla sua spalla. Aveva chiuso gli occhi per un momento, respirando l’odore della sua pelle, il profumo della resina e della corteccia degli alberi.

“Lo avevo immaginato” la sua voce gli arrivava in un sussurro, anche se erano così vicini.

Aveva scosso la testa. “Ormai non c’è più niente da dire, devo farmene una ragione. Lei non tornerà mai più. Ma non voglio che accada anche a loro”.

Erano rimasti ancora a lungo seduti sulla riva del laghetto, in silenzio.

 

Avevano passato momenti durissimi assieme, intrisi nel male, nel dolore e nel sangue. Si erano avvicinati per quello, forse. Per cercare un conforto nella paura, nella disperazione. O forse in quelle circostanze avevano avuto modo di conoscersi a fondo. Legolas gli era molto legato. Non poteva dire di amarlo. Non si era mai preoccupato dell’amore, dopotutto. Ma gli piaceva. E semplicemente, lo voleva. Lo voleva ogni volta che ne aveva occasione.

E anche adesso, quando erano arrivati davanti alla porta dei suoi appartamenti lo aveva preso per mano.

“Vuoi restare con me questa notte?” gli aveva chiesto sottovoce.

Il guardiano aveva sorriso, ed annuito.

Erano usciti sul balcone della sua stanza, ed erano rimasti ancora un poco a guardare le stelle, scambiandosi qualche parola. Poi Haldir lo aveva guardato negli occhi, per un momento, ed aveva appoggiato le labbra sulle sue, cercando i lacci della tunica. Si erano spogliati a vicenda, senza fretta, lasciando scivolare gli abiti a terra. Avevano entrambi bisogno di lasciarsi andare, lontano da tutto. Dal dolore, la sofferenza, l’ombra della guerra che incombeva di nuovo su di loro.

Legolas lo aveva spinto sul letto, lasciandosi cadere sopra di lui. Era stato subito travolto dall’eccitazione data dal contatto con la sua pelle, lo aveva baciato con passione, e a lungo. Quasi violentemente. E quasi violentemente lo aveva preso, strappandogli subito i primi gremiti di piacere, ed aveva continuato a spingersi dentro di lui fino a che la passione non li aveva consumati entrambi, lasciandoli senza fiato.

 

 

 

Un piccolo brivido dato da un soffio di vento. La mano di Haldir si mosse leggera sulla sua schiena, il petto che si alzava ed abbassava lentamente sotto di lui. Poi lo sentì muoversi, fece per alzarsi ma il guardiano lo fermò.

“Rimani così” gli disse, stendendosi sulla sua schiena.

“Non sei ancora stanco?” sussurrò Legolas sorridendo.

“Di te, mai” rispose il guardiano mordicchiandogli la base del collo.

Legolas chiuse gli occhi, assaporando la sensazione dei suoi denti che premevano leggermente sulla pelle, il caldo tocco delle labbra che scivolavano lungo le spalle, e la schiena. Piccoli brividi attraversavano il suo corpo. Lo sentì giocare sulla sua schiena per un tempo lunghissimo, baciandola, leccandola, mordicchiandola risvegliando lentamente la sua eccitazione.

“Ti prego…” sussurrò mentre allargava lentamente le gambe. Lo voleva, dentro di lui.

Haldir sorrise ancora, gli piaceva torturarlo dolcemente, e non rispose subito a quell’invito. Raggiunse con le labbra sulla base del collo, e risalì lentamente fino alle orecchie, mordicchiandone le punte. Solo quando lo sentì ansimare, stringendo le dita sulle lenzuola, affondò dentro di lui. Incominciò a muoversi con un ritmo continuo e pacato, procurando ad entrambi un piacere immenso. Ma quando sentì che Legolas rispondeva a sua volta ai movimenti del suo bacino, gli strinse le mani sulle anche, impedendogli di muoversi. Voleva condurre lui il gioco, adesso. Continuò ad entrare ed uscire da lui con una lentezza esasperante, fermandosi ogni volta che sentiva il compagno avvicinarsi al limite.

“Non fermarti…” quella di Legolas sembrava quasi una supplica, sussurrata con la voce spezzata dal piacere; stava perdendo la ragione, amava quella piacevole tortura, ma non riusciva ad ignorare le richieste del suo corpo, cercava di muoversi contro di lui ma non ci riusciva.

Era questo che voleva, annegare nel piacere fisico. Non pensare, non pensare a niente.

“Ti prego…”

Ma ormai anche Haldir aveva raggiunto il suo limite. Lasciò la presa sui suoi fianchi e fece scivolare le braccia in avanti. Cercò le sue mani tra le lenzuola per poi intrecciare le dita con le sue, stringendole fino quasi a fargli male, dando con il bacino spinte sempre più forti, fino a raggiungere il culmine del piacere. Si lasciarono andare entrambi, soffocando i gemiti tra le lenzuola, i corpi scossi dall’orgasmo che li investiva come un’ondata improvvisa.

 

“Mi sei mancato, sai?” sussurrò poco dopo il guardiano, stringendosi sopra di lui.

 

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Note

 

In questa storia diamo per scontato che i due Glorfindel presenti nel mondo di Tolkien siano la stessa persona. Gondolin è caduta nel 510 della Prima Era, Elrond in realtà era nato qualche anno dopo… diciamo che in questo caso abbiamo anticipato di un poco la sua nascita per permettergli di conoscere Glorfindel nella prima vita… ^_^;

 

Anche la cattura di Gollum è stata spostata di un poco di tempo.

Eh, vabbè… tutto il resto è stato inventato, ovviamente ^_-