.|. Angeli Maledetti .|.

Disclaimer: I personaggi di questa storia non ci appartengono, sono ispirati a quelli creati da Tolkien, ma le loro azioni, i loro pensieri, il loro carattere, sono stati modificati da noi rispetto agli originali. Sono talmente diversi dagli originali... che se Tolkien li vedesse in questo stato, sarebbe sicuramente colto da un grande mal di testa...

N.B.: La storia si svolge nel periodo abbracciato da "Il Signore degli Anelli", ci saranno sia l'anello, sia la grande guerra, ma il resto dei fatti ed i rapporti tra i personaggi saranno in gran parte puramente inventati da noi, e spesso avvenimenti narrati nel libro avranno un ordine cronologico totalmente sfasato. Diciamo che la Terra di Mezzo ci serve solo da sfondo. ^_^

 

Capitolo 1

~

I lampi squarciavano il cielo gonfio di nuvole grigie, il vento urlava prepotente scuotendo le fronde degli alberi. Attorno solo grida di morte e terrore. L’enorme orco brandiva la sua spada senza pietà, e lei gridava, mentre cadeva a terra, colpita al fianco. I suoi occhi sbarrati mentre la trascinavano via, la mano tesa in una muta richiesta di aiuto.

 

Correva e non riusciva a raggiungerla. E poi il buio, la pioggia che cadeva su di lui, steso nel fango tra l’erba bagnata.

 

Una grotta, umida e buia. Le sue lacrime, le sue grida. Disperate.

 

Legolas aprì gli occhi, mettendosi a sedere di scatto sul letto.

Si guardò attorno: era nella sua stanza. Era stato un altro incubo. Si era svegliato di soprassalto, con il cuore in gola, la fronte madida di sudore. Forse aveva gridato. Si alzò in piedi, la mente ancora annebbiata dallo stato confusionale del sogno, ed uscì sul balcone, quasi barcollando. Fuori pioveva ancora, forse non aveva mai smesso da quel giorno. Quel maledetto giorno. La testa cominciò a girare violentemente, si accasciò sul balcone, le mani e la fronte appoggiate alla balaustra di pietra scolpita. Gli occhi chiusi, mentre le gelide gocce della pioggia gli scendevano tra i capelli.

 

Perché non era riuscito ad impedirlo? Eppure era un guerriero.

Non se ne era accorto.

Cavalcava a fianco della madre, circondato dal seguito e dai guerrieri di scorta. Failariel, la sua sorellina, li precedeva di pochi passi, orgogliosa del suo pony. La pioggia cadeva fitta ed insistente su di loro.

Non si era accorto dell’imboscata.

Li avevano colti alla sprovvista, sbucando da dietro agli alberi, i cespugli, correndo giù per i sentieri laterali, brandendo le loro rozze armi. In breve avevano ferito e disperso gran parte del gruppo, anche lui era stato travolto e trascinato giù dal cavallo.

Non erano solo orchi, c’erano anche degli strani esseri che non aveva mai visto prima, molto più alti, massicci, mostruosi. Avevano spesse armature metalliche, il loro corpo era vulnerabile solo in pochi punti. Si erano trovati circondati, ed il gruppo era sprofondato nella confusione. I guerrieri avevano impugnato archi e spade, cercando di difendersi, ma erano in numero inferiore ed erano stati sconfitti in breve tempo.

 

Aveva combattuto con tutta la sua forza, contro quegli esseri più forti di lui, cercando di resistere ai loro colpi, inciampando sui corpi dei compagni caduti, scivolando sull’erba bagnata. Erano troppi.

I ricordi di quei momenti erano ancora confusi.

Si era guardato attorno, aveva visto la sorellina correre in preda al panico, piangendo e cercando di nascondersi dietro agli alberi, uno dei guerrieri elfi morire falciato da un colpo di ascia cercando di proteggerla. Era riuscito a raggiungerla, a prenderla in braccio, mentre con lo sguardo cercava sua madre. Si era voltato di scatto, sentendo un grido.

Aveva visto la madre cadere a terra, colpita al fianco da un colpo di spada. E gli orchi che si gettavano su di lei, prendendola per le braccia e per i capelli.

Aveva fatto in tempo solo ad issare Failariel su un cavallo per farla scappare, che si era trovato circondato di nuovo dagli orchi. Con le sue frecce aveva trafitto chiunque cercasse di fermare la sorella, ma era stato sopraffatto, un forte colpo sulla testa lo aveva stordito, ed era caduto a terra, mentre tutto cominciava a girare vorticosamente attorno a lui. Gli orchi con un grido di vittoria si allontanavano correndo, e portando con loro sua madre.

Si era rialzato facendo capo a tutta la sua forza di volontà, cercando di rincorrerli. Li aveva inseguiti, almeno per un poco, ne era sicuro.

Le ultime immagini dei suoi ricordi erano lente e sfuocate, i suoni lontani ed ovattati. Poi il buio ed il freddo della terra bagnata sul viso, mente qualcosa lo trascinava via lentamente.

 

 

Strinse i pugni contro la balaustra. Com’era potuto accadere? Era stato mandato per scortare sua madre nel suo viaggio di ritorno a casa, e non era stato in grado di proteggerla. L’avevano portata via, sotto i suoi occhi. Non era stato capace di fermarli.

 

“Legolas..”

 

Due braccia forti lo sollevarono da terra, riportandolo nella stanza e distendendolo sul letto. Si lasciò prendere in braccio, incapace di reagire.

“Enedhil…” riuscì solo a sussurrare, guardando il volto del fratello maggiore.

“Ti ho sentito gridare. Lo hai sognato ancora, vero?”

“Dobbiamo trovarla Enedhil, è ancora viva. Lo sento”

“Legolas…”

“Ho sentito ancora le sue grida” disse il giovane elfo mettendosi a sedere “ La tengono da qualche parte, sotto terra. La stanno torturando. La stanno…” le parole gli morirono in gola, non riusciva più a trattenere le lacrime.

Il fratello lo circondò con le braccia.

“La troveremo, vedrai” gli rispose.

“È stata colpa mia, solo colpa mia” continuò Legolas singhiozzando.

“No, non è stata colpa tua. Non potevi fare niente. È già un miracolo che tu sia vivo.” gli sussurrò stringendolo a sé, accarezzandogli i capelli, cercando di calmarlo.

 

Era davvero un miracolo che fosse vivo.

 

Quando aveva visto Failariel arrivare a palazzo da sola, sconvolta, si era sentito morire. La bambina era talmente spaventata che non riusciva quasi a parlare, aveva gli occhi gonfi dalle lacrime, ma non era nemmeno in grado di piangere. Era riuscita a spiegare l’accaduto solo in maniera confusa. Era terrorizzata.

Enedhil era partito assieme a dei compagni, cavalcando come il vento, sperando di arrivare in tempo, trovare qualcuno vivo. Giunto sul posto, si era trovato ad affrontare uno spettacolo che non avrebbe mai dimenticato: i corpi massacrati di orchi ed elfi mescolati tra loro, gli uomini della scorta, le damigelle della madre, servitori, i guerrieri. Il sangue sparso sull’erba, circondato da un silenzio innaturale.

Si era guardato attorno in maniera frenetica, cercando tra i corpi quelli del fratello e della madre, senza trovarli.

E poi, un rumore tra gli alberi. Il cavallo bianco di Legolas era apparso da dietro i cespugli, avanzando lentamente, trascinandolo dietro di lui in una scia di sangue. Chissà come, l’animale aveva impigliato le briglie sciolte in uno degli stivali del padrone, e lo stava portando via, come avesse capito che doveva allontanarlo da là.

Il volto pallidissimo, il sangue che usciva dalla ferita alla testa. Per un attimo lo aveva creduto morto.

 

Poi il viaggio di ritorno a casa, conteso tra il cavalcare più velocemente che poteva, per arrivare prima al palazzo, e l’andare lentamente evitando di dargli scossoni che potessero aggravare il suo stato. Il cuore che batteva fino quasi a fargli male, la paura che non si salvasse.

 

 

“Le ferite non sono gravi, sono state fatte con lame avvelenate, ma gli abbiamo già somministrato l’antidoto: non corre alcun rischio, per questo. Ha preso però un gran colpo sulla testa, bastava fosse un poco più forte e gli avrebbe sfondato il cranio. Ha bisogno di assoluto riposo per qualche settimana” con queste parole i guaritori gli avevano spiegato la situazione, e lo avevano lasciato entrare nella sua camera, raccomandandogli di lasciarlo riposare.

Era entrato nella stanza immersa nella penombra delle tende tirate per filtrare la luce e lo aveva guardato a lungo, in silenzio. Legolas era disteso sul letto, con gli occhi chiusi sul volto pallido, la testa fasciata. Si era lasciato cadere in ginocchio ed aveva chiuso gli occhi, lasciando che le lacrime gli scorressero lungo le guance. Non era stato capace di fare altro, nemmeno quando aveva sentito il padre ed il fratello maggiore entrare nella stanza ed avvicinarsi a lui.

 

 

 

Era trascorso poco più di un mese, ora. Legolas si era ripreso, almeno fisicamente. Ma continuava a colpevolizzarsi per l’accaduto, non riusciva a darsi pace. Ormai era quasi normale sentirlo gridare nel cuore della notte, in preda agli incubi nei quali riviveva il rapimento della madre, oppure la vedeva, prigioniera degli orchetti. Diceva di sentire le sue grida, la sua paura, rinchiusa nella sua prigione sotterranea in balia di quegli esseri mostruosi. Enedhil si era sempre chiesto se le potesse sentire davvero, le sue grida, o se fossero invece allucinazioni date dal suo tormento.

 

Uscivano a cavallo quasi ogni giorno, assieme ad Aldyion, il loro fratello maggiore; rastrellavano il bosco, fino ai piedi delle montagne. Cercavano le tracce lasciate dagli orchi, per giungere alle loro tane, nella speranza di trovare la madre ancora viva.

Re Thranduil, loro padre, aveva ordinato ai migliori guerrieri di seguirli nelle loro ricognizioni, e spesso li accompagnava anche lui. Cavalcavano per ore senza dire una parola, alla disperata ricerca di ogni più piccola traccia sul terreno, ogni minimo rumore. Ma ogni volta che credevano di aver trovato una pista da seguire, si rendevano conto di essere in errore. E più il tempo passava, più le speranze svanivano.

 

 

Enedhil sentì che il fratello si era abbandonato tra le sue braccia, sfinito, la fronte appoggiata sulla sua spalla. Da troppo tempo non dormiva un sonno tranquillo. Lo stese sul letto, e si distese accanto a lui. Lo osservò per qualche momento; era scivolato in una sorta di dormiveglia, gli occhi socchiusi pieni di lacrime, le labbra che tremavano. Il respiro ancora interrotto di tanto in tanto dai singhiozzi.

“La troveremo” gli sussurrò stringendolo di nuovo a sé.

 

 

***

 

Era il rumore della pioggia a rendere tutto più irreale, lontano, ovattato. Il suo ticchettare senza sosta sulla superfcie delle foglie e dell’erba, il gocciolare dai rami sulla terra. E la nebbiolina che si formava tutto intorno, avvolgeva il bosco in un velo delicato, rendendolo simile ad un sogno confuso, ricordato a fatica.

 

I due gemelli stavano in piedi, in silenzio, immobili, in mezzo agli alberi. I loro abiti dal colore chiaro così simile a quello del muschio sulla corteccia.

Abbassarono entrambi il cappuccio del mantello, rivelando i loro volti identici, incorniciati dai lunghi capelli castano scuro. Rimasero ancora immobili, le orecchie tese a catturare i rumori, poi si scambiarono un rapido sguardo, parlandosi con la voce della mente.

 

Era solo il rumore del vento. Non c’è nessuno.

 

Torniamo a casa.

 

Raggiunsero rapidamente i loro cavalli e partirono al galoppo. Attraversarono velocemente il resto del bosco, seguendo gli stretti sentieri che serpeggiavano nel fitto degli alberi. Ormai era quasi buio, mancava poco per arrivare a casa.

Un tintinnio di campanellini poco lontano; istintivamente si voltarono entrambi in quella direzione. Un cavaliere si avvicinava a loro facendo un cenno di saluto con la mano, i suoi lunghi capelli dorati sembravano quasi risplendere sotto gli ultimi raggi di luce che filtravano debolmente tra le foglie. Era Glorfindel, che tornava dalla sua ricognizione. I due fratelli sorrisero, capitava spesso che si incontrassero prima di raggiungere la strada che portava alla valle. Era bello tornare assieme.

I tre elfi imboccarono lo stretto sentiero in discesa, inoltrandosi nella parte più fitta del bosco, dove le montagne si stringevano in una gola.

Era buio quando sbucarono nella valle, accolti dal rumore del torrente che si stava ingrossando per la pioggia, sotto il cielo nuvoloso. Le luci del palazzo di Imladris brillavano poco lontano.

 

 

 

La regina elfa uscì sul balcone, sentendo il rumore degli zoccoli dei cavalli che si avvicinavano: i suoi due figli erano tornati. Scese il lungo scalone per raggiungere la porta ed uscì nel giardino.

“Elladan, Elrohir. Siete tornati così tardi! Ero in pensiero” li rimproverò dolcemente mentre li baciava sulla fronte entrambi. Salutò poi Glorfindel che si inchinava sorridente.

“Ci siamo attardati nel bosco, non volevamo farti stare in pena” rispose Elrohir “E abbiamo incontrato Glorfindel poco prima di entrare nella valle.”

L’elfa sorrise “Andate a riposare adesso. Soprattutto tu Elladan, visto che domani mattina devi partire” disse loro. Li seguì con lo sguardo mentre si dirigevano verso le scuderie per consegnare i cavalli ai servitori che stavano già prontamente andando loro incontro.

 

Elrond la guardava appoggiato allo stipite della porta. “Celebrian… i nostri figli hanno quasi tremila anni e li tratti ancora come due bambini” le disse con dolcezza.

Lei sorrise e si avvicinò ad abbracciarlo. “Sono sempre i nostri piccoli” gli rispose. “E poi lo sai che non sono capace di andare a dormire se non so che sono tornati.”

“Si, lo so. Non ne sono capace nemmeno io” le sussurrò sull’orecchio.

 

 

 

Lasciati i cavalli nelle scuderie, i due gemelli si avviarono verso la fonte termale, attraversando il lungo porticato. Camminavano a fianco a fianco, seguendo il percorso illuminato dalle torce appese alla parete, ascoltando il rumore della pioggia che continuava a cadere senza sosta.

Elrohir si fermò accanto ad una colonna, guardando in alto, osservando i pochi lembi di cielo visibili tra le fronde fitte degli alberi.

“Temo che pioverà tutta la notte” disse.

Sentì il fratello avvicinarsi e stringergli la mano. Si voltò lentamente verso di lui offrendogli le labbra per un bacio. Chiuse gli occhi, assaporando il calore delle labbra umide sulle sue, mentre lo sfioravano e si dischiudevano leggermente. Il cuore gli batteva così forte che lo sentiva quasi in gola. Quando Elladan si staccò da lui, abbassò il viso, evitando il suo sguardo.

“Andiamo” sussurrò dirigendosi verso la fonte, senza lasciare la sua mano.

 

Negli appartamenti del palazzo reale, vi erano ampie e comode stanze da bagno, ma i guerrieri e gli esploratori, al ritorno dalle loro ricognizioni, amavano rilassarsi tutti assieme nelle acque della fonte termale, dopo essersi lavati sotto le sue piccole cascate.

I due fratelli si lasciarono la mano poco prima di raggiungere la fonte, non amavano mostrare in pubblico le loro tenerezze.

C’erano poche persone, quella sera. Salutarono i loro compagni guerrieri, e si immersero nell’acqua, sedendosi sul fondo roccioso della vasca, scambiando qualche parola con loro, informandosi a vicenda dei risultati delle loro perlustrazioni. Pochi minuti dopo arrivò anche Glorfindel e si unì a loro. I compagni lo accolsero con un sorriso e lo invitarono a sedersi accanto a loro. Glorfindel riscuoteva molto successo presso i compagni, forse per la sua delicata bellezza, forse per il suo carattere riservato ed un po’ schivo che gli dava un’aria leggermente misteriosa. Era cordiale e sempre cortese, sapeva essere di compagnia, ma non amava parlare molto di sé. Di lui, infatti, non si sapeva molto, e forse quella sottile aura di mistero contribuiva a renderlo più affascinante.

 

Elrohir sedeva accanto al fratello, con la schiena appoggiata al bordo della vasca, ascoltando i discorsi degli altri senza partecipare se non per rispondere alle domande che gli venivano rivolte.

Era molto stanco, ma soprattutto inquieto. Il giorno successivo Elladan sarebbe partito per accompagnare Arwen, la loro sorella minore, a Lothlorien. Succedeva di rado che si separassero, e lui ne soffriva sempre moltissimo.

Ad un tratto sentì il fratello prendergli la mano, sotto il livello dell’acqua, intrecciando le dita con le sue, accarezzandole delicatamente. Nessuno se ne accorse, erano seduti sul fondo della vasca ed in quel punto l’acqua arrivava quasi all’altezza delle loro spalle. Quella dolce stretta lo fece sussultare leggermente, era una sensazione così piacevole e dolce.

 

Il loro rapporto negli ultimi tempi stava radicalmente cambiando. Si stava accorgendo di quanto fosse forte il loro legame, e quanto fosse diverso da quello che di solito c’è tra due fratelli. Ma per loro, forse era sempre stato così. Erano vissuti sempre insieme, separandosi solo per brevissimi periodi.

Per gli elfi era normale leggere nella mente, ma la loro telepatia era superiore a quella di qualsiasi altro. Erano in grado di comunicarsi parole, pensieri e sensazioni semplicemente guardandosi negli occhi. Anche per questo, Elrond li mandava sempre assieme nei pattugliamenti nel bosco e lungo il confine; potevano usufruire l’uno dei sensi dell’altro, e questo potere, assieme al loro completo affiatamento, li aveva resi due guerrieri quasi invincibili. Ma questo stesso potere li aveva avvicinati così tanto, dal punto di vista emotivo, in una maniera profonda e per certi versi pericolosa.

 

Forse era anche per lo stretto legame che avevano avuto fin dalla nascita, o soltanto perché erano sempre vissuti assieme. Forse perché aveva avuto con lui i primi contatti fisici, quando si tenevano le manine, nella culla, e si divertivano a mostrarsi immagini e sensazioni belle nelle loro menti. A lui aveva dato le prime carezze, giocando e i primi pugni, nelle loro liti infantili. Non poteva concepire la sua vita senza di lui.

 

Qualche giorno prima, era successa una cosa che lo aveva profondamente turbato. Era successo all’improvviso. Erano nel bosco, da soli. Non avevano trovato orchetti nella zona e si accingevano a raggiungere i cavalli per tornare a casa. Si erano fermati un momento a parlare, guardandosi negli occhi, e avevano letto qualcosa di nuovo l’uno nello sguardo dell’altro, una luce strana, un desiderio sussurrato in un angolo della mente. Elladan gli aveva posato una mano sulla guancia, e lo aveva attirato leggermente a sé, circondandolo con le braccia, posando delicatamente le labbra sulle sue.

Erano rimasti così, per un lungo momento, con gli occhi chiusi. Poi aveva sentito la lingua del fratello premere contro le sue labbra, e le aveva dischiuse per accoglierla. Era rimasto in balia di quelle sensazioni calde ed avvolgenti, date dalle due lingue che si sfioravano, un contatto tra i loro corpi che non era mai stato così profondo, il cuore che batteva mentre la sua mente si cullava in un mare di dolcezza. Sentiva che anche il fratello si stava perdendo nelle stesse sensazioni, in qualcosa di bellissimo che li univa.

 

Poi all’improvviso qualcosa di freddo e appuntito aveva toccato la sua guancia, e poi quella di Elladan. Avevano aperto entrambi gli occhi spaventati, sciogliendosi dall’abbraccio.

Glorfindel, vicinissimo a loro teneva la spada sguainata, puntata contro i loro volti.

 

“E se io fossi stato un nemico?” aveva detto con tono severo, gli occhi ardenti dall’ira.

 

Lo avevano guardato sconvolti e smarriti. Non lo avevano nemmeno sentito arrivare. Come avevano fatto a farsi cogliere di sorpresa in quel modo?

Glorfindel non aveva aggiunto altro. Sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno, i due giovani si erano resi conto da soli che quella debolezza avrebbe potuto costargli la vita. Distrarsi, abbassare la guardia in mezzo al bosco. Come avevano potuto?

Erano montati in sella senza dire una parola, e non avevano aperto bocca fino a casa.

 

Alla sera avevano cercato il coraggio di parlare tra loro dell’accaduto. Ma quello che era successo era qualcosa che nasceva da sentimenti che entrambi sentivano incerti e confusi, e non erano riusciti a dirsi quasi niente, se non il rammaricarsi di essersi distratti in quel modo in mezzo al bosco, in un luogo così poco sicuro, mettendo in pericolo la vita di entrambi. Si erano giurati di non fare più una cosa del genere durante un’uscita.

Da quel giorno entrambi avevano pensato spesso a quel momento, ed avevano cercato ancora la dolcezza di quel bacio, appena ne avevano avuto l’occasione, quando si trovavano da soli in un angolo del giardino del palazzo, o nelle loro stanze, stringendosi l’uno nelle braccia dell’altro, perdendo la percezione della realtà circostante, scivolando in un mondo parallelo, fatto di dolcezza e calore, che apparteneva solo a loro due.

 

Elrohir però non riusciva a vivere serenamente questo cambiamento nel loro rapporto, anzi ne era quasi spaventato. Da un lato sentiva crescere di giorno in giorno l’attrazione per il fratello, dall’altra non riusciva a non provare paura davanti a quello che stava accadendo, paura di sbagliare, e di perdere qualcosa. Non si erano mai nascosti niente prima di allora, e adesso si trovava a non avere il coraggio di parlare con lui per chiarire quello che provava; si erano avvicinati dal punto di vista fisico, ma aveva la sensazione di sentirlo più lontano.

 

 

 

Era ormai notte fonda quando i guerrieri elfi lasciarono la fonte per ritirarsi nei loro appartamenti, i due gemelli si incamminarono verso le loro stanze. Giunti davanti alla porta di quella di Elrohir si fermarono.

“Buonanotte, Elladan” disse questi, dopo un breve ed imbarazzato silenzio.

“Buonanotte” rispose il fratello accarezzandogli una guancia ed attirandolo a sé per baciarlo.

Elrohir si lasciò andare, stringendolo tra le braccia, sentì che Elladan ricambiava la sua stretta, spingendolo leggermente contro la porta mentre affondava la lingua nella sua bocca. Sentì le sue mani scivolare lungo la schiena, mentre si appoggiava a lui, ed iniziava a baciargli lentamente le guancia, scendendo verso il collo. Si accorse di tremare.

Si divincolò dolcemente ma con decisione.

“Adesso è meglio andare a dormire. Domani devi partire” gli sussurrò.

Elladan annuì, lo guardò un momento negli occhi, leggendo il suo disagio. Gli prese una mano e ne baciò il palmo.

“Buonanotte” disse.

Elrohir aprì la porta ed entrò nella sua stanza richiudendola dietro di sé, e vi si appoggiò con la schiena.

Lo aveva sentito, quando lo stringeva a sé, quando lo baciava. Aveva sentito che a suo fratello quel bacio non bastava. Non bastava più. L’appoggiarsi su di lui, spingerlo leggermente contro la porta, era stato come una supplica, silenziosa, di qualcosa che andasse oltre. Perché tutto questo lo spaventava?

 

 

Elladan, rimase qualche momento nel corridoio, si avvicinò alla porta, appoggiando le mani e la fronte sul legno, chiudendo gli occhi. Aveva sentito il suo turbamento, lo aveva letto nel suo sguardo. Da tempo ormai, lo desiderava così tanto… Ma sembrava che per Elrohir non fosse così. D’altra parte erano fratelli. Forse aveva ragione a respingerlo, forse i loro sentimenti erano del tutto sbagliati. Eppure…

Sospirò, si staccò dalla porta e si avviò verso la sua camera.

 

Ti amo fratello mio, come forse non dovrei.