.|. Amore Eterno .|.

Capitolo 3

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Il sole della sera illuminava dolcemente la tranquilla camera della Casa di Guarigione a Gondor. Qui un piccolo gruppetto di persone era riunito in silenzio attorno a un letto, su cui giaceva immobile un’esile figura, quasi un ombra nella debole luce che filtrava dalla finestra aperta. La pelle candida, i lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino, le labbra atteggiate in un morbido sorriso, Legolas Verdefoglia dormiva, inconsapevole del dolore che regnava nella stanza. Era ormai passato un mese dalla sconfitta di Sauron, da quando l’unico anello era stato distrutto e Aragorn era stato incoronato re di Gondor. Ed era un mese che tutte le sere, quella che un tempo era stata la compagnia dell’anello si recava alle case di Guarigione a visitare il loro amico, caduto davanti ai Cancelli di Mordor. Per tutto quel tempo, Legolas aveva continuato a dormire: la ferita era lentamente guarita ma l’elfo non si era risvegliato dal suo sonno. E ormai la speranza aveva lasciato il posto all’angoscia.

Quando Aragorn lo aveva osservato lanciarsi verso di lui, proteggendolo dall’attacco del troll aveva capito: alla vista dell’elfo che correva, i vestiti laceri e sporchi di sangue, una profonda ferita che squarciava il suo fianco destro, i capelli mossi dal vento che incorniciavano un viso pallido e  disperato; alla vista del suo migliore amico che gettava via i pugnali inutili mentre si frapponeva fra lui e quella lama mortale, aveva finalmente realizzato che il suo legame con Legolas era molto più profondo di una semplice amicizia. Erano passati così tanti anni dal loro primo incontro a Rivendell, quando, allora ragazzo, si era ritrovato davanti al principe; Legolas lo aveva affascinato fin da quel primo istante: agile come un gatto ma forte al tempo stesso, l’elfo era un guerriero insuperabile, eppure il suo corpo esile e sottile tradiva la grazia e la gentilezza dei suoi modi. Da allora Legolas lo aveva accompagnato nei suoi viaggi, presenza silenziosa e rassicurante; mai aveva discusso le sue decisione, limitandosi, se interpellato, a fornire preziosi consigli; e quand’anche si fossero dimostrate sbagliate non aveva mai esitato ad aiutarlo e proteggerlo, anche a costo della propria incolumità. Piano era diventato un compagno fidato, un amico insostituibile, un confidente: era a lui che Aragorn aveva confidato di amare Arwen e a lui si era rivolto quando la paura del suo retaggio di sangue era diventata insopportabile; e sempre Legolas lo aveva consolato, mostrandogli il giusto cammino da seguire, offrendogli il suo appoggio incondizionato. Mentre lui cosa aveva fatto per l’amico? Niente! Non era stato un confidente, mai una parola di aiuto aveva sfiorato le sue labbra, mai si era soffermato a pensare cosa tormentasse quegli occhi celesti come il mare ma colmi di tristezza. Era sempre stato troppo preso dalle sue paure, dai suoi dubbi per accorgersi che qualcosa addolorava il suo migliore amico, l’unico che gli era stato accanto nonostante le sue mancanze e i suoi sbagli, senza mai rimproverarlo. L’unico che aveva sempre pensato prima a lui piuttosto che a se stesso. Aveva sempre pensato che Legolas avesse deciso di unirsi alla compagnia solo perché lui sarebbe partito e quando in una notte di luna piena, in piedi, illuminato dalla luce delle stelle, il viso rivolto al cielo notturno, lo aveva sentito pregare per lui, aveva compreso che aveva avuto ragione: Legolas non era partito per la Terra di Mezzo, per Frodo, per il suo popolo, ma per lui. E si era sentito in colpa, tremendamente in colpa per tutto quello che non aveva mai fatto per l’amico; nel tentativo di rimediare alle sue mancanze, in quei mesi, aveva tentato di conoscerlo meglio, di dimostrarsi un amico migliore di quello che era stato nel passato. E allora aveva scoperto un lato di Legolas che forse nessuno aveva mai visto: lo aveva osservato, di nascosto, piangere all’ombra del suo giaciglio, soffocare i singhiozzi notte dopo notte, quando l’oscurità inghiotte ogni luce e i nostri più terribili incubi ci appaiono più chiari e vicini. Per tutte quelle notti aveva ascoltato in silenzio il suo dolore, senza mai osare avvicinarsi, levare una mano per consolarlo. Immobile, paralizzato da quello a cui stava assistendo, si era limitato ad aspettare l’alba, insultandosi per la sua debolezza ma incapace di agire diversamente. Quando finirà questa guerra, allora potrò dedicarmi a lui, a cercare di capire cosa lo affligge, questo si era detto per quelle ore interminabili. Ma poi tutto era finito. E quando lo aveva visto cadere fra le sue braccia, straziato da quell’arma impietosa, quando aveva sentito il suo volto percorso da una dolce carezza, quando aveva osservato i suoi occhi colmi di un sentimento così profondo da non avere bisogno di parole, allora aveva finalmente capito cosa lo aveva frenato per tutte quelle notti: la paura, la semplice paura di venire respinto da quello che lui riteneva il suo amico più caro ma che in cuor suo amava immensamente da moltissimi anni. Né il trascorrere del tempo, né la sua relazione con Arwen, avevano intaccato i suoi sentimenti per Legolas, celati nei recessi più reconditi del suo cuore. Lo amava e quasi lo aveva perso per sempre. Ma adesso non avrebbe più sbagliato, ecco perché era lì, a vegliare il suo sonno, semplicemente attendendo il suo risveglio così come l’elfo aveva atteso per anni il suo amore. E mentre le ombre della sera calavano nella stanza e lentamente i suoi amici si ritiravano, lui continuava ad aspettare, seduto su quelle lenzuola candide, una mano fra i biondi capelli e l’altra a stringere delicatamente quella pallida dell’amato.

“Non puoi lasciarmi ora, Legolas, ora che finalmente ho capito” sussurrò nell’aria immota della sera.

“Ora che non c’è più ragione di disperare, ora che le lacrime non devono più scorrere, adesso non puoi continuare a dormire. Svegliati, Legolas,  perché ti sto aspettando.”

Piano i suoi occhi cominciarono a tremare, la bocca leggermente dischiusa in un respiro più profondo: poi le palpebre si dischiusero, le iridi diamantine illuminate da nuova luce.

Legolas Verdefoglia era tornato alla vita.