.|. Albe .|.

by Egle

Guardando il mare Viggo ricorda i momenti più significativi trascorsi con Orlando e al modo in cui i suoi sentimenti per il giovane attore sono mutati duranti gli anni...

Sentimentale | Slash | Rating PG | One Piece

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Non conosco –purtroppo- né Orlando Bloom, né Viggo Mortensen e questa storia è frutto interamente della mia fantasia.

 

Sta albeggiando. Mi appoggio alla ringhiera del balcone, chiudendo gli occhi e inspirando l’aria di mare. Profuma di sale e di luoghi lontani. Profuma di sole e di estate. Profuma di buono. Riapro gli occhi, sfiorando con lo sguardo la superficie dell’acqua, riflettente i colori dell’alba. Una leggera brezza s’insinua dolcemente sotto la mia camicia. Questo è il momento che preferisco di più in assoluto…l’alba e l’atmosfera che porta con sé. Il silenzio statico delle città, ancora assopite. Il cielo diviso tra luce e ombra. Il tenue bagliore delle stelle che stanno per scomparire e la luna bassa sull’orizzonte. E’ il momento che ritaglio solo per me…che mi concedo per pensare, per dimenticare e per ricordare.

Per ricordarmi di lui. Del suo viso. Del suo sorriso.

Rammento ancora la prima volta che lo vidi. Un ragazzino che aveva da poco superato i vent’anni. La sua andatura spavalda, i capelli dal taglio impossibile, che lo facevano sembrare un curioso ibrido tra un punk e un marine, e gli occhi, che a dispetto della parlantina spigliata rivelavano il suo nervosismo, saettando da un punto all’altro del set.

“Orlando”. Le dita lunghe, con alcuni anelli. La stretta della sua mano sicura nella mia. Le labbra sottili ridotte a una fessura. Un libro appoggiato tra il gomito e il fianco…o meglio IL libro.

“L’hai letto?”  gli chiesi, indicando il volume con un cenno del capo.

“Certo” mi rispose. Seppi istintivamente che mentiva.

“Io l’ho comprato al duty free dell’aeroporto” gli confidai riducendo la voce a un bisbiglio. Lontano da casa, in un paese straniero per affrontare un progetto più grande, molto più grande di noi. Potevo immaginare l’agitazione di un giovane attore,appena uscito dalla scuola di recitazione. Cercavo di metterlo a suo agio e, contemporaneamente, di spezzare la tensione che da quando avevo accettato la parte aveva attanagliato il mio stomaco. Lui mi guardò per un istante non cambiando neppure espressione. Forse avevo sbagliato a voler fare il simpatico…

“Viggo, prova costumi” mi chiamò Peter, sbucando da un camerino.

“devo andare” bofonchiai, sentendomi tutt’a un tratto molto ridicolo. L’avevo superato di qualche passo, quando la sua voce mi spinse a voltarmi indietro.

“Io l’ho fregato a quello che fa Frodo”.

Gli sorrisi. Mi sorrise.

Forse iniziò tutto da lì.

O forse dalla prima volta che lo vidi in costume.  

Dalla prima volta che mi trovai in scena con lui. Il suo modo di fare, di camminare, di parlare…tutto in lui esprimeva una grande forza e al tempo stesso un’innaturale grazia. Scivolava più che correre sull’erba e se non avessi udito i suoi ansiti per la fatica, forse avrei pensato che quel ragazzo venuto da chissà dove fosse davvero un Elfo. Orlando non esisteva quando la cinepresa entrava in funzione. C’era solo Legolas. A volte rimanevo incantato a guardarlo. A volte mi dimenticavo di dover essere Aragorn e lo osservavo estasiato come un uomo che vede per la prima volta un Elfo.

Fu così anche quel pomeriggio di marzo. Ero seduto con la schiena contro a un albero e con addosso ancora il costume. Il mio diario appoggiato sulle cosce. Le pagine scritte fittamente dalla mia grafia spigolosa e irregolare, indecifrabile per chiunque a parte me. Il fruscio del vento tra le foglie. Un soffice profumo di fiori nell’aria.

“Ehi sporco Umano”. Il suo abituale saluto. Aveva la faretra agganciata alle spalle e l’arco in mano. I capelli della parrucca bionda che rilucevano sotto alla luce del sole.

Un cenno del capo e un sorriso sulle mie labbra, mentre si coricava sul prato, mollando le armi di scena senza curarsi di non danneggiarle.

Il viso rivolto verso il caldo sole pomeridiano.

“Finito di girare?”

“Credo di sì”

“come sarebbe a dire credo?”

Si strinse nelle spalle facendo una smorfia. “Peter si è intestardito con una scena di Billy e Dom. Sai com’è fatto…e io mi ero stancato di star lì ad aspettare. Se mi vogliono verranno a cercarmi”

“Almeno dovresti raccoglierti i capelli. Si sporcheranno…”

“Dai, Vig, non rompere” mi rispose, senza aprire gli occhi. Le braccia incrociate dietro alla nuca come cuscino. “che cosa stai scrivendo?” mi chiese dopo qualche minuto di silenzio.

“Parole”

“molto divertente” mi disse, sollevandosi su un gomito e guardandomi “no, dai seriamente che cosa stai scrivendo?”

“Parole”

Mi prese il diario così rapidamente che non ebbi il tempo di muovermi.

“Orlando”

Lui balzò in piedi cominciando a sfogliarlo, tentando di decifrare la mia scrittura. Non volevo che lo leggesse. Dentro quelle pagine erano racchiusi i miei pensieri, frammenti di ricordi, di sensazioni sottopelle…probabilmente non avrebbe capito nulla nemmeno se fosse riuscito a interpretare la mia scrittura, perché facevano parte di un codice così frammentario che solo io potevo comprendere, ma non volevo che lo leggesse. Non volevo e basta.

“Orlando , ridammelo”.

“C’è scritto qualcosa di sconcio?” mi chiese, continuando a rigirare il quaderno tra le mani e camminando avanti e indietro per impedirmi di recuperarlo.

“Orli, dai”

“Oh avanti, Vig! Non avrai dei segreti per il tuo vecchio amico Legolas” mi rispose, scartando di lato per non farsi prendere. Mi sentivo stupido e infantile a rincorrerlo a quel modo sul prato “Orlando” ringhiai, strappandoglielo dalle mani bruscamente. Lui mi guardò spaesato per qualche istante. Gli occhi azzurri per le lenti a contatto fissi su di me e la bocca lievemente dischiusa.

“Mi dispiace” mormorò e sapevo che era vero. “Non volevo farti infuriare”.

“non importa” risposi. Seguirono alcuni istanti di silenzio. Orlando evitava il mio sguardo e io il suo. Lui aveva agito da stupido e io avevo esagerato.

“che ne dici di una birra per rinnovare l’alleanza tra Uomini ed Elfi…anche se notoriamente la tua razza è inferiore alla mia”. La sua voce allegra, ma con un fondo di imbarazzo.

“in quanto a vanità sicuramente”.

Mi sorrise, passandomi un braccio intorno alle spalle.

“Difficile accettare la verità, Mortale, ma gli Elfi sono più belli, più saggi e sicuramente più veloci” mi disse prendendo nuovamente il mio diario e cominciando a correre. Lo seguii ridendo. S’infilò nelle cucine, fingendo di non notare il cartello che vietava l’accesso. Quando lo raggiunsi era seduto su un bancone. Il diario era ancora stretto nella sua mano, ma era chiuso. Sapevo che non si sarebbe più azzardato a leggerlo senza il mio permesso.

Scosse la testa con disappunto, guardandomi disgustato.

“Devi ammettere che presti al tuo Aragorn un corpo che sta cadendo a pezzi. Prendi questa” mi disse porgendomi una bottiglia di birra.

“se Peter ci becca a bere alcolici durante le riprese ci spella vivi” gli feci presente.

“E allora sarà meglio che non farci beccare” mi rispose ingollando una lunga sorsata di birra.

Sembrava impossibile che quel ragazzo fuori di testa interpretasse Legolas. Orlando era pazzo…infrangeva i divieti per puro divertimento e cosa ben peggiore riusciva immancabilmente a convincerci a seguirlo nelle sue pazzie. Orlando aveva il potere di attirare l’attenzione su di sé. Possedeva una luce, un’energia, un’allegria non comune. Mi chiedo se ne fosse anche minimamente consapevole, ma credo di no . Non sapeva che effetto faceva agli altri. Che effetto faceva a me.

“sei un bravo attore,Orlando” gli dissi una volta.

Lui scostò di poco il braccio che teneva sugli occhi , per potermi guardare in faccia. Era stravaccato sul divano del mio appartamento. Si era tolto la parrucca, abbandonata sul pavimento insieme alla bandana verde, che di solito portava per non rovinarla, e agli stivali del costume. “dico sul serio” proseguii, alla sua occhiata scettica.

“Beh grazie” mi disse, mettendosi seduto. I gomiti appoggiati sulle ginocchia e la testa a ciondoloni. Si sfregò gli occhi con i palmi delle mani sbadigliando. Era stanco.

“Ho avuto paura ieri pomeriggio”.

I suoi occhi fissi nei miei attraverso le dita divaricate. La mia voce rimase intrappolata nella mia gola, improvvisamente stretta e arida per quello che avevo detto.

“Quando ho visto la tua canoa che affondava…per un attimo ho temuto il peggio” mormorai.

L’abbozzo di un sorriso. Anche lui si è spaventato, ma non lo ammetterebbe mai. Nemmeno con me. Nemmeno dopo averlo sorpreso con le ginocchia contro al petto e lo sguardo perso nel vuoto, due ore dopo l’incidente. E gli occhi…i suoi occhi mi erano sembrati così indifesi per un momento. Avrei voluto abbracciarlo. Avrei voluto stringerlo a me e accarezzargli piano la schiena. Avrei voluto sentire il suo corpo che si rilassava contro il mio. La tensione che si spezzava…e invece gli ho detto semplicemente di venire al pub con gli altri.

“Ordinaria amministrazione…e poi Legolas è un supereroe e i supereroi non si fanno male… a differenza di qualcun altro”mi rispose dopo un attimo di esitazione.

Chinai il viso, sorridendo. Si riferiva a quando, tirando un calcio a un elmetto mi ero fatto male alle dita di un piede e avevo continuato a girare. Ero caduto in ginocchio davanti al cumulo di carcasse di Uruk-hai gridando per il dolore per la perdita dei due Hobbit … e per il dolore al piede.

“Eeeh stop. Buona.” La voce di Peter a interrompere la scena, ma io non mi ero rialzato.

“Vig, che c’è?” .

La voce di Orlando così preoccupata. Allarmata.

“penso di essermi rotto due dita del piede” risposi, voltandomi verso di lui.

Orlando mi osservò per una manciata di secondi, come se volesse capire se stessi scherzando. Poi si piegò sulle ginocchia e cominciò a ridere fino a farsi venire le lacrime agli occhi. E io risi con lui. A dispetto del male risi, sentendo Orlando che bofonchiava qualcosa sul fatto che non mi aveva mai visto recitare così bene.

Con Orlando era sempre così…così tutto irrazionale, quasi surreale. Così intenso. Ogni esperienza, ogni uscita con gli amici acquistava il sapore di un’avventura, di un qualcosa di imprevedibile. Orlando sapeva suscitare in me le emozioni più diverse…la follia, la paura, l’eccitazione, la protezione, l’insicurezza, la decisione…

Non sarei mai riuscito a spiegargli a voce quello che lui sapeva risvegliare dentro di me…forse perché nemmeno io lo comprendevo.

“Che cos’è?”

“Aprilo”

Un sorriso sulle sue labbra, mentre scartava il regalo del suo compleanno. Era il 13 gennaio di quattro anni fa. Gli altri avevano organizzato una festa a base di schifezze da mangiare e litri di birra…proprio come piaceva a Orlando, ma prima che ci lasciassimo rapire dalla musica, dall’alcol e da chissà che altro volevo averlo tutto per me. Volevo che guadasse il mio regalo solo con me. Probabilmente perché m’imbarazzava pensare di darglielo davanti a tutti. Perché avevo paura che gli altri potessero guardare dentro di me, come solo a lui avrei permesso. Perché racchiusa lì dentro vi era una parte così grande di me stesso da sentirmi vulnerabile agli occhi degli altri…avevo paura  che potessero scavare dentro di me, nei miei pensieri soltanto vedendo quello che gli avevo regalato.

La carta scura in cui era avvolto che cadeva a terra con un fruscio. Il respiro di Orlando che sibilava bruscamente tra le sue labbra.

“Vig…”. Poco più che un sospiro.

“Ti piace?”

“Non lo so” era stata la sua risposta.

Lo osservò a lungo, come paralizzato, poi vi si avvicinò incerto. Le dita tremavano leggermente, mentre sfiorava i colori lentamente, quasi come se il quadro emanasse calore. Le due dita seguivano le pennellate appena percettibili…il rosso intenso che sfociava in una tonalità più chiara, venata da striature di un pallido giallo. E il bianco abbagliante…il verde …il cremisi…

Emozioni, emozioni rese sulla tela con colori così contrastanti…così intensi e così tenui.

“Sembra così…irrazionale. Ma non è una cosa negativa… i colori sono tutti… confusi. Non c’è logica. Però c’è…profondità. Come se ogni sensazione scavasse un solco. Come se i colori si protendessero fuori dalla tela. Come se nemmeno loro capissero dove stanno andando…forse sto dicendo solo un mucchio di sciocchezze”. Una debole risata. Sapevo che rideva per ridurre il nervosismo o l’imbarazzo.

“No, hai ragione. Ognuno può vedere quello che vuole in un quadro, ma è questo che l’autore voleva trasmettere”

“Sei tu l’autore, Vig?”

Annuii, chiedendomi se forse non sarebbe stato meglio comprargli qualcosa di diverso per il suo compleanno, come una tavola da surf nuova. Qualcosa di meno personale. Qualcosa di meno… rischioso.

“E’ bellissimo”mormorò voltandosi verso di me.

Non lo avevo mai visto così spiazzato. Gli strinsi una spalla sorridendogli.

“Sono felice che ti piaccia” risposi, riportando l’attenzione sul quadro. Sentivo ancora gli occhi di Orlando puntati su di me. E la consistenza della sua spalla sotto la mia mano.

“Che cosa rappresenta?” mi chiese, votandosi anche lui verso il suo regalo.

“Te” risposi in un soffio. La sua testa scattò di nuovo nella mia direzione, ma non mi fece altre domande. Sapevo che dovevo proseguire. “O meglio come mi fai sentire”.

“Io ti faccio sentire irrazionale?”

“A volte” gli risposi tornando a fissarlo. Orlando si girò completamente verso di me. La sua spalla sempre sotto la mia mano.

“Io ti faccio sentire…confuso?”domandò ancora, inarcando le sopracciglia.

“Sì”. Non so perché avessimo cominciato a bisbigliare. Forse perché avevamo paura che se le parole fossero risuonate troppo forte nella stanza, ci saremmo accorti che stavamo sognando. Che niente di quello che stava accadendo era reale dacché aveva assunto i contorni onirici e sfumati del sonno.

“Ed è un male?”

“Non lo so” avevo appena sussurrato quelle parole.

Il braccio che era appoggiato sulla sua spalla si era piegato. Orlando si era avvicinato lentamente. Gli occhi incatenati ai miei. Il suo corpo che sfiorava il mio. E le sue labbra sottili, leggermente dischiuse…

Ancora oggi non so se fui io a chinarmi verso di lui o lui verso di me. Non so se fu lui a baciarmi o io a baciarlo. Non se andammo avanti per ore e ore, o solo per il battito d’ali di una libellula. Quello che ricordo con chiarezza è il calore del suo corpo. Il sapore delle sue labbra. Il suo respiro leggermente affannato.

“Orlando”

La voce di Dom.

“Dov’è il festeggiato? Karl dice che non possiamo aprire lo champagne se tu non ci sei”

La voce di Sean.

Orlando si staccò da me. Io barcollai all’indietro. Fu solo un istante, prima di ritornare perfettamente lucido.

“Sarà meglio andare prima che siano tutti così ubriachi da non riuscire a reggersi in piedi” mi disse con finta disinvoltura, precedendomi verso l’uscita. Si fermò quando aveva già una mano sulla maniglia.

“Tu non vieni?”

“Sì…” bofonchiai ancora impietrito di fronte al quadro “ora arrivo”. Mi rivolse un cenno col capo e uscì.

Non ne parlammo mai per tutto il tempo delle riprese, come se non fosse mai successo…tutto dimenticato.

Ma lo sognai.

Oh se lo sognai…ogni notte. Ogni notte Orlando mi baciava e io lasciavo la mano che gli stringeva la spalla libera di vagare sul suo petto, risalendo piano il contorno delle clavicole, il profilo del collo magro, la mascella…ogni notte le mie labbra, le mie mani si facevano più ardite sul suo corpo. Ogni notte lo avevo per me. Solo di notte. Di giorno quelli che facevo ritornavano a essere solo sogni. Di giorno i tormenti delle ore notturne perdevano significato e Orlando tornava a essere solo Orlando. Tra di noi era tutto come prima. Scherzavamo, ridevamo, facevamo surf, guadagnandoci le ire di Peter…Non un solo riferimento a quel pomeriggio di gennaio.

Almeno fino a quella sera di fine ottobre.

Ero rimasto nel mio appartamento, declinando l’invito degli altri ad andare al pub. La zanzariera bianca ondeggiava,sospinta dalla brezza, che aveva spazzato via l’afa opprimente di quei giorni. Il cielo si era rannuvolato ed era scoppiato un temporale, sicché Peter aveva sospeso le riprese un po’ prima quel pomeriggio. La pioggia scrosciava ancora, picchiettando sul balcone e sulle sedie da giardino. Ero seduto alla scrivania a scrivere, quando qualcuno bussò alla mia porta. Erano quasi le tre di notte. Andai ad aprire e me lo ritrovai di fronte con i capelli sgocciolanti di pioggia. I vestiti umidi, che gli si appiccicavano al corpo.

“Orlando” lo salutai, mentre lui entrava senza aspettare di essere invitato.

“Dormivi?”

Richiusi la porta, osservandolo curiosare per la stanza.

“Se ti dicessi di sì”

“Non è vero” rispose , dando una sbirciata distratta ai fogli sulla mia scrivania per poi cadere supino sul letto con un gemito e la braccia aperte.

“Orlando?” lo chiamai, non capendo perché avesse fatto irruzione in camera mia a quell’ora.

Lui non mi rispose, continuando a rimanere con gli occhi chiusi e le gambe a penzoloni giù dal letto. Per un istante pensai che si fosse addormentato di botto. Avanzai ancora di qualche passo, indeciso su che cosa fare quando lui cominciò a parlare, senza aprire gli occhi.

“Tu credi al destino, Vig?”

“Cosa?”

“Rispondi alla domanda” ribatté, puntellandosi sui gomiti per potermi guardare in faccia “Credi nel destino, Viggo?”

Mi appoggiai alla scrivania, incrociando le braccia sul petto. Dalla sua voce e dal colorito del suo viso non sembrava ubriaco, ma ancora non capivo dove volesse andare a parare. Non sembrava lui…

“No, immagino di no”risposi infine.

“Immagini di no o non ci credi?” puntualizzò con una marcata sfumatura di rabbia nella voce.

“Non ci credo. Orlando, si può sapere che ti prende?”

“e allora come dai una spiegazione alle cose? Come fai a vivere?”continuò lui, ignorando volutamente la mia domanda.

Era strano sentirlo parlare a quel modo. Non era da lui. Sembravano molto più discorsi da me…insomma da quel matto di Mortensen che sta sempre a guardare l’alba, che parla sempre di Essere e di Esserci…non parevano discorsi che potevano uscire dalla bocca di Orlando, la cui massima preoccupazione di solito era trovare un modo per sgattaiolare fuori dal set per andare a fare sport estremi. Io ammiravo la sua vitalità. La sua immensa voglia di vivere…non pensavo che sotto quel immancabile sorriso si nascondessero angosce e paure. Non pensavo che Orlando potesse aver paura della vita. Come me.

“Non lo so, Orlando. Nessuno ci insegna a vivere. Lo facciamo e basta” risposi dopo qualche istante di riflessione.

“ma qual è il modo giusto? Insomma come faccio a sapere che le scelte che faccio non sono sbagliate?” . Tentai di fermare quella valanga di parole, ma lui non me lo permise. “Prendiamo te, per esempio. Come facevi a sapere che accettare il ruolo di Aragorn era la scelta giusta? Come facevi a sapere che non avresti buttato via più di un anno della tua vita? Come facevi a sapere che qui…”. S’interruppe chinando lo sguardo. Si passò una mano sulla faccia, massaggiandosi piano le palpebre. Mi sedetti sul letto accanto a lui, appoggiando una mano sul suo braccio.

“Non toccarmi” sibilò, balzando in piedi e cominciando a camminare furiosamente per la camera.

“Non voglio che tu mi tocchi. Perché ogni volta che tu mi tocchi, io…”

S’interruppe di nuovo, respirando affannosamente. Abbassai la mano , ancora a mezz’aria nel tentativo di trattenerlo e la strinsi a pugno sulla mia gamba.

“Orlando” mormorai, senza sapere come proseguire. Non capivo che cosa voleva dire. Non capivo lui come non capivo me stesso.

“scusami” mi rispose con più calma.

Si passò una mano tra i capelli. Gli erano cresciuti da quando avevamo cominciato le riprese. “io non so cosa mi sia preso. Ho…ho detto cose senza senso. Perdonami”

“no” dissi, alzandomi a mia volta “hai fatto bene a venire da me…voglio dire…se avevi voglia di sfogarti. Sono contento che tu sia venuto da me. E...per quanto riguarda le tue domande…” mi voltai verso la finestra aperta, ficcandomi le mani nelle tasche dei pantaloni “Non ci sono risposte. Non voglio mentirti…io ho molti anni più di te e non ho ancora capito come va la vita. Credo che morirò senza capirlo, perché nessuno può. Perché in qualche modo è al di fuori della nostra portata. Perchè in qualche modo dobbiamo viverla senza preoccuparci troppo dei se e dei ma…”dissi , tornando a girarmi verso di lui.

Orlando rise, scuotendo la testa.

“che cosa c’è?” . Sorridevo.

“Dimenticavo una cosa importante…mai chiedere spiegazioni sulla vita a un poeta”

Risi e lui con me. “molto meglio una bottiglia di birra” proseguì, aprendo il mio frigobar ed estraendo due bottigliette da mezzo litro. Stappò entrambe e me ne porse una.

“a cosa brindiamo?” gli chiesi.

Si strinse nelle spalle. “Non ne ho idea…ma fatti venire in mente qualcosa in fretta perché sto morendo di sete”

“che ne dici di brindare alle scelte prive di senso”

“Alle scelte prive di senso” disse lui, alzando di poco la sua bottiglia.

Io feci altrettanto con la mia facendo per portarmela alle labbra, quando Orlando coprì la distanza che ci separava. Riabbassai lentamente la bottiglia, guardandolo negli occhi, improvvisamente a corto di ossigeno. Non riuscivo nemmeno a respirare. A formulare un pensiero razionale. Le sue labbra sfiorarono le mie soltanto per un istante. Solo un tocco leggero, che aveva il sapore del sale.

“alle scelte prive di senso”mormorò a fior di labbra.

Io non mi mossi. Fu solo un attimo, poi si allontanò e bevve una lunga sorsata di birra.

“hai qualcosa da magiare qui dentro?” mi chiese come se nulla fosse, aprendo uno degli armadietti.

Mi guardò aspettandosi una risposta. Io ero come inebetito. Ancora non riuscivo a capire se me lo ero solo immaginato o se era successo davvero. Se uno dei miei tanti sogni fosse sconfinato nella realtà per qualche arcano motivo, contro la mia volontà.

“devono esserci delle patatine, da qualche parte” borbottai.

Poco dopo Orlando si stravaccò sul letto con un sacco di patatine in mano e il telecomando nell’altra.

“non ti dispiace se guardo un po’ di tv?” mi chiese, cominciando a mangiare.

Orlando ha sempre posseduto la rara capacità di spiazzarmi. Il suo comportamento era a dir poco imprevedibile. Lo guardavo ingurgitare schifezze , riempiendomi il letto di briciole, dopo avermi baciato come se niente fosse. Lo guardavo ridere, giocare con gli altri attori e mi chiedevo se in un qualche modo io potessi avvicinarmi a lui. Mi chiedevo che cosa fosse quel sentimento, quel calore che sentivo dentro di me. Per molto tempo ho pensato che fossi innamorato della sua voglia di vivere, del suo ottimismo, del suo vedere le cose sempre sotto la prospettiva migliore. Per molto tempo ho pensato che volessi vegliare su di lui, come un fratello maggiore. Che volessi assicurarmi che lui stesse bene…ora so che non è così. So quella sera, dopo alcune settimane dal nostro secondo bacio, non fu il senso di protezione a spingermi a cercarlo. A stringerlo a me perché non sopportavo di vedere la sua luce essere oscurata dalla tristezza…

Avevamo organizzato una festa in riva al fiume, dove avevamo girato le scene della fine del primo film. Un falò, musica, un’incredibile quantità di roba da mangiare e da bere…Era una delle ultime occasioni che avevamo per stare insieme. Le riprese erano quasi giunte al termine e molti del cast e della troupe erano già partiti. I tecnici smontavano a poco a poco i set che non servivano più, i macchinari venivano imballati, i costumi deposti con cura nei bauli…eravamo arrivati alla fine del viaggio. Non avevo mai provato un tale senso di perdita. Un tale senso di vuoto, come un pugno all’imboccatura dello stomaco. Mi sembrava di essere trascinato dalla corrente, con i giorni che passavano inesorabilmente per condurmi verso la conclusione di una parte importante della mia vita. Anche gli altri membri della Compagnia, Sean a parte, dato che era già partito da qualche tempo, vivevano la mia stessa angoscia, mascherata dai soliti scherzi e dalle consuete bevute.

“Dov’è finito Orlando?” chiese Sean, l’interprete di Sam, spegnendo il motore della jeep. Eravamo pronti a partire per andare alla festa, ma Orli sembrava sparito. Scesi dalla macchina, appoggiandomi al finestrino del conducente.

“Vado a vedere dove si è cacciato. Voi andate pure. Vi raggiungeremo dopo”

“Dì a quell’Elfo irriconoscente che se osa piantarci in asso stasera verrà legato nudo come un verme alla fontana di Wellington” sbraitò Dom.

Gli rivolsi un cenno di assenso col capo, salutandoli con una mano, mentre uscivano dal parcheggio. C’era un gran silenzio. Tutti erano già partiti per andare alla festa. Raggiunsi la camera di Orlando e bussai. Nessuna risposta. Aprii la porta, chiamandolo. Ancora niente. L’appartamento era immerso nella semi oscurità. Stavo per andarmene, quando la sua voce mi bloccò.

“Sono qui”

Individuai con difficoltà una sagoma indistinta appoggiata alla parete, accanto alla poltrona.

“Orlando?” dissi, accendendo la luce. Lui si schermò gli occhi con una mano, facendo una smorfia. Era seduto in una pozzanghera di carte di caramelle e sacchetti di patatine vuoti.

“che stai facendo? Gli altri sono andati tutti alla…ma stai bene?” gli chiesi, osservando la sua espressione.

Lui si strinse nelle spalle,senza rispondere alla mia domanda.

Compii qualche passo verso di lui, schiacciando con il piede una barretta di cioccolato e riso soffiato. Mi avvicinai alla finestra e tirai le tende pesanti, facendo entrare nella stanza il tiepido sole del tardo pomeriggio. Poi spensi la luce e mi sedetti sul letto. Orlando non si era mosso. Non aveva neppure alzato lo sguardo.

“E’ successo qualcosa?”gli chiesi, cercando di capire quale fosse il problema.

Lui scosse il capo, non mutando espressione, come se non avesse udito davvero le mie parole. Poi cominciò a parlare fissando un punto indeterminato sul tappeto.

“Quando ho accettato il ruolo di Legolas ero spaventato. La Nuova Zelanda…è dall’altra parte del mondo, mi dicevo. Sembrava così lontana da appartenere a un altro universo. Un anno o più in Nuova Zelanda…e se non ce la faccio? Me lo ripetevo in continuazione. All’aeroporto mentre salutavo mia madre e mia sorella…sull’aereo e poi anche qui. E ora…ora…ho paura ad andarmene” disse, riducendo la voce a un sussurro.

“Anch’io ho paura” risposi, congiungendo le mani tra le ginocchia. Lui sollevò lo sguardo fino a incontrare i miei occhi con i suoi.

“Perché?”                                                  

Scrollai le spalle, alzandomi. “non lo so. Immagino perché dopo tutti questi mesi in cui abbiamo creato un equilibrio…tra di noi, spaventa l’idea di un cambiamento. E’ naturale. I cambiamenti fanno sempre paura.” risposi, porgendogli una mano. Lui la guardò un istante, prima di afferrarmi l’avambraccio e di rimettersi in piedi.

“Dici che…sì insomma finito qui…ci vedremmo ancora? Noi tutti voglio dire…”

“Ma certo. Rimarremo sempre la Compagnia dell’Anello” risposi, dandogli una pacca sulla spalla. Le sua mano era ancora sul mio braccio.

“Grazie, Vig” mormorò, facendo una leggera pressione con le dita e sorridendomi.

Stavo per voltarmi verso la porta e uscire quando Orlando improvvisamente mi abbracciò. I suoi capelli che mi solleticavano la faccia. Il suo petto contro al mio. Il suo mento appoggiato sulla mia spalla. Lentamente … molto lentamente sollevai le braccia e lo abbracciai a mia volta, sovrapponendo le mie braccia sulle sue. La mia testa accostata alla sua. I miei palmi che aderivano alla sua schiena. Il calore del suo corpo attraverso la stoffa leggera della maglietta. Avrei voluto chiudere gli occhi per abbandonarmi completamente a quel momento. Avrei voluto respirare a fondo il buon profumo dei suoi capelli. Avrei voluto cominciare ad accarezzargli piano la schiena…ma non lo feci. Semplicemente rimasi lì, immobile, mentre Orlando, alla fine, si staccava da me e mi sorrideva di quel suo sorriso dolce e sincero.

“ne avevo bisogno” mi disse, stringendomi una spalla.

Riabbassai le braccia, ancora frastornato.

“Anch’io” ammisi, sorridendogli a mia volta “E ora sarà meglio andare, prima che gli altri si diano alla pazza gioia senza di noi”

“hai ragione” mi rispose seguendomi fuori dalla camera “Quindi sarà meglio che lasci guidare me!”

“Ehi! non ho intenzione di ammazzarmi”.

“Andiamo Vig! Lo sai che guido sempre con prudenza”

Prudenza? Prudenza non rientrava nel vocabolario di Orlando Bloom.

Ricordo che alla fine lo lasciai guidare…e che me ne pentii non appena partimmo, accompagnati dallo stridio delle gomme della macchina.

Poche settimane dopo il film fu distribuito in tutto il mondo, la fama ci travolse come un’onda anomala, e io vedevo Orlando allontanarsi sempre di più da me. E’ sempre stato troppo…troppo veloce, troppo allegro, troppo irrefrenabile per me…per uno come me. Per i miei quadri. Per le mie poesie. Per le mie albe. Se io sono il romantico riverbero di una stella lontana, Orlando è il sole all’alba che emerge dall’oceano… quando è così caldo, così abbagliante da ferirmi gli occhi…eppure ero costretto a guardarlo. Come una stella lontana, consapevole di essere cancellata dal furore del sole, ma che rimane a fissarlo, come incantata. Silenziosa e pallida, affascinata dal suo splendore, pronta a dargli sostegno con la sua presenza. Ci sono sempre stato per lui. Sempre. Le sue preoccupazioni, le sue incertezze erano diventate le mie, senza che quasi me ne accorgessi.

Le sue lacrime, i suoi successi erano divenuti i miei. E sapere che stava bene…faceva in qualche modo star bene anche me.

“Vig, non crederai mai a cosa mi è successo”    

Il telefono mi aveva ridestato una notte, facendomi salire il cuore in gola. Avevo risposto e dall’altra parte c’era Orlando.

“Orli” bofonchiai, cercando di capire che ore fossero. La sveglia sul mio comodino segnava le 3:56. Accesi l’abat-jour e mi appoggiai con la schiena alla tastiera del letto.

“Indovina…no intanto non puoi indovinare, te lo dico! Ho un nuovo ingaggio per il prossimo anno! Gore Verbinski ha contattato la mia agente per…tieniti forte…un film sui pirati! Ho sempre sognato di fare il pirata! Ti rendi conto? E sai con chi reciterò? Con Johnny Depp! Capito? Johnny Depp…o almeno così sembra. Sai, sono solo i primi contatti. C’è ancora tutto da definire…non si sa di preciso nemmeno quando e dove inizieranno le riprese…” Una breve pausa, probabilmente per riprendere fiato, dato che mi aveva detto tutto così rapidamente da non staccare nemmeno le parole l’una dall’altra “Viggo, ma mi stai ascoltando?”

“Ehm sì, sì ho sentito! Sono contento per te. veramente molto contento” risposi, non riuscendo a trattenere uno sbadiglio.

“Ti ho disturbato? Stavi per caso dormendo?”

“Orlando, hai una minima idea di che ora sia qui a New York?”

“A dir la verità no”

“Non importa” dissi, scoppiando a ridere. Scostai le coperte e stavo per alzarmi quando le sue parole mi fecero venir meno le forze improvvisamente.

“Non volevo disturbarti, ma l’ho appena saputo e…ero così eccitato che volevo dirtelo subito. Non ho pensato al fuso orario. Volevo solo che fossi il primo a saperlo. Perdonami”

Rimasi in silenzio per una manciata di secondi, con lo sguardo perso nel vuoto, mentre le sue parole penetravano nel mio cervello.

“Ehi, Vig, ci sei ancora?”

“Sì, sì, sono qui”m’interruppi, ispirando a fondo “Sono contento che tu mi abbia chiamato”

Sentii una voce che lo chiamava dall’altra parte del telefono.

“Ora arrivo…senti, Vig, la prossima settimana sono a New York per un incontro con il produttore. Rimarrò in città per qualche giorno, se sei libero…”

“Sarei molto felice di vederti”

“Bene…bene…ora devo proprio andare. A presto”

Erano trascorsi quasi cinque mesi dal nostro ultimo incontro. Il mercoledì successivo alla telefonata, mi recai in un ristorante in centro, dove avevamo appuntamento. Era un locale elegante, ma sorprendentemente tranquillo. Arrivai in leggero ritardo. Orlando era già seduto al tavolo. I capelli gli sfioravano le spalle. Non appena mi vide si alzò in piedi, sorridendomi.

“Viggo” mi salutò allegro, abbracciandomi. “è bello rivederti!”

Anche per me era bello rivederlo. Molto, molto bello. Durante la cena Orlando mi stordii di parole. Aveva sempre nuove cose da raccontarmi, nuove scoperte di cui rendermi partecipe. E io lo ascoltavo, guardandolo da sopra la candela del nostro tavolo, sorseggiando piano il vino. Mi era mancato in quei mesi. Mi era mancata la sua voce. Il suo sorriso. I suoi occhi. Il modo in cui si passava le mani tra i capelli. Il modo in cui arricciava le labbra, quando rifletteva. Il modo in cui le sue dita tamburellavano sul tavolo. Non riuscivo a non guardarlo, ormai dimentico del resto del mondo. Di qualunque cosa che non fosse lui.

Finita la cena, gli proposi di fermarsi nel mio appartamento, che era solo a qualche isolato di distanza, per un drink.

“Scusa il disordine” gli dissi, non appena entrammo. Orlando emise un fischio di ammirazione, guardandosi intorno.

“Gli hai dipinti tutti tu?” mi chiese , riferendosi ai quadri appesi alle pareti.

“Sì” risposi, versando un bicchiere di vino per entrambi.

“E com’è?”

“com’è cosa?”

“guardare un’opera d’arte e dire : questa l’ho fatta io! com’è vivere in una casa tappezzata dalle tue creazioni?”

“Spaventoso”

Orlando si voltò verso di me aggrottando le sopracciglia e ingollando una lunga sorsata di vino. “è che…a volte intimorisce. È come se vivessi in una casa piena di specchi. I miei quadri riflettono me stesso. La mia verità. E…a volte fa paura guardarsi dentro. A volte fa paura pensare che qualcuno possa guardarci dentro, solo osservando i nostri quadri”

“Ha un senso” rispose, concentrandosi nuovamente sul dipinto che aveva davanti e finendo il vino che aveva nel bicchiere.

Seguirono molti bicchieri di vino, accompagnati da musica jazz in sottofondo. Seguirono molte confessioni…molte delle quali non mi ricordo affatto di aver fatto. Quello che ricordo chiaramente fu la proposta di passare la notte nel mio appartamento. Eravamo entrambi piuttosto alticci e fuori diluviava…Lui appoggiò il bicchiere sul tavolino, passandosi le mani sulla faccia.

“meglio di no” disse alla fine, guardandomi dal sotto in su. Ma i suoi occhi indugiarono nei miei per qualche frazione di secondo di troppo. Il suo tono risuonò pericolosamente triste, come se avesse dovuto declinare quell’invito per motivi…che forse entrambi preferivamo tacere perfino a noi stessi.

Lo lasciai andare, guardando, in piedi sul marciapiede, con la pioggia che picchiettava sul mio ombrello, i fari del taxi che lo portava via da me, allontanarsi nella notte.

Non lo rividi prima delle riprese aggiuntive de Le due Torri.

Ritornare in Nuova Zelanda. Ritornare a indossare i vestiti di Aragorn…noi, di nuovo tutti insieme…era come tornare indietro nel tempo. E ritrovarsi di nuovo sulla scena con lui. Saperlo accanto a me serio, concentrato. Forse Aragorn avrebbe fatto ben poco senza aver Legolas al suo fianco. Forse io sarei stato meno Aragorn senza aver Orlando al mio fianco. Potevo vederlo ogni giorno. Potevo ascoltare la sua risata, senza il filtro del telefono. Potevo imprigionare nella memoria ogni istante trascorso con lui. Ogni sfumatura dei lineamenti del suo viso. Ogni guizzo di allegria che gli faceva luccicare gli occhi. Ma le riprese terminarono in fretta. Troppo in fretta, mentre mi accorgevo che c’era qualcosa che non andava…che non avevo mai provato quelle sensazioni per un amico…che non era normale il dolore che avvertivo qui, al centro del mio petto. Che non volevo perdere Orlando. Non di nuovo. Che non volevo fingere di dimenticare. Non volevo racchiudere quello che provavo in quegli stupidi sogni. Non volevo continuare a mentire a me stesso. Non volevo amarlo. Non così profondamente. Non così disperatamente…Non lui. Non un altro uomo, anzi no…un ragazzo. Non volevo molte cose, ma alla fine non feci nulla. Lo lasciai andare. Per la seconda volta, lo vidi volgermi le spalle e sparire nella folla dell’aeroporto.

Ci incontrammo alle varie premiere in giro per il mondo,poche settimane più tardi. La gente urlava il nostro nome. Le nostre facce erano ovunque…ovunque, ma noi eravamo più o meno sempre gli stessi. Dom, Lji, Sean, Liv, Karl…era esilarante rincontrarsi sempre in posti diversi, sempre tra ali di folla strepitanti, increduli del successo che ci era piovuto addosso.

E Orlando…era esilarante vedere Orlando. Vedere il suo viso. Vedere il suo sorriso…

E fu a una di queste premiere che le cose tra di noi cambiarono…

Era il 15 dicembre e Los Angeles era esattamente come la rammentavo: caotica, frenetica, piena di luci e di musica. Ero appena rientrato in albergo, dopo una serata passata a festeggiare per il successo del secondo film, destreggiandomi tra fotografi, giornalisti e coppe di champagne. Stavo per entrare camera, quando Orlando mi raggiunse in corridoio. Aveva il respiro leggermente affannato per la corsa.

“Come mai te ne sei andato così presto?” mi chiese, respirando a fondo.

“Sono un po’ stanco. Sarà il fuso orario…” risposi.

“possiamo parlare…solo un minuto?”

“certo” dissi, aprendo la porta della stanza e facendogli cenno di precedermi.

Orlando si voltò verso di me, non appena richiusi la porta. Le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni eleganti.

“che cosa volevi dirmi?”

Lui si grattò la fronte con due dita, sorridendo e abbassando lo sguardo. Sapevo che faceva così per allentare la tensione, solo che non capivo perché dovesse essere nervoso. Eravamo solo noi. Solo io e lui. Solo due amici…solo io e Orlando.

“ah…da dove iniziare?” chiese più a sé stesso che a me. “Non è facile e…”. Mi fissò negli occhi per un lungo istante. “Io non so come dirtelo…tu non hai notato nulla?”

“notato nulla? Orlando…”

“Stasera intendo dire…tra di noi” concluse la frase in un bisbiglio.

Ero incredulo. Ero frastornato. Ero…inspiegabilmente felice. Sì, sì che avevo notato qualcosa. Sì che avevo sentito qualcosa…tra di noi. Avrei voluto dirglielo. Avrei voluto avvicinarmi a lui e abbracciarlo…e rivelargli tutto quello che avevo celato in quei mesi a lui e a me stesso, ma non lo feci.

“Non so di che cosa parli” risposi invece, odiandomi. Odiandomi per essere così debole. Per essere così … idiota.

“Io credo che invece tu lo sappia…lo sappia molto bene” ribatté lui, aggrottando appena le sopracciglia.

Rimasi immobile, mentre lui avanzava verso di me. Mentre accostava le sue labbra alle mie. Il profumo dolce del suo alito…della sua pelle era così pericolosamente sensuale. Troppo per potermi separare ancora da lui, se mi avesse baciato. Solo pochi centimetri separavano le nostre labbra…E fu allora che lo respinsi. Fu allora che appoggiai le mani sul suo torace e lo allontanai da me, con gentilezza.

“Orlando no” mormorai solo, arretrando di qualche passo.

Lui scosse la testa, prima di riportare i suoi occhi fissi nei miei.

“Dimmi che questa sera quando ho preso il tuo viso tra le mie mani” disse, sollevando le mani, come se mimasse il gesto che aveva compiuto “e ho appoggiato la fronte sulla tua…dimmi che non hai desiderato che ti baciassi. Come quella volta…il giorno del mio compleanno…o quella volta in camera tua…Dimmi che anche questa sera volevi baciarmi. Dimmelo…”

“L’ho desiderato” ammisi, sentendo la mia volontà vacillare “ma non è questo il punto. Il punto è che…non possiamo”mi affrettai ad aggiungere.

“Perché?”

“Lo sai perché…perché è sbagliato! Perché…Cristo, Orlando, sei un uomo! Che cosa dirò a Harry quando lo scoprirà? Che cosa dirò a mio figlio?”

“Gli dirai la verità…gli dirai che a un certo punto della tua vita, hai incontrato un ragazzo bellissimo e dall’enorme talento” rispose, aggrottando per una frazione di secondo le sopracciglia alla parola “bellissimo” e compiendo un passo verso di me a ogni affermazione. Sorrisi appena, per poi ritornare serio, mentre lui si avvicinava ancora. “E gli dirai che lo hai amato. Lo hai amato perché era la sola cosa giusta da fare. Lo hai amato perchè lui te lo ha chiesto. Ti ha chiesto di amarlo perché lui ti amava. E tu lo hai fatto. Tu lo hai amato. E gli dirai che speri che anche lui possa provare un giorno la stessa cosa. E gli dirai che speri che lui non scappi per tanto tempo come ha fatto suo padre. E poi gli dirai che gli vuoi bene. E gli dirai che deve essere orgoglioso di suo padre perché suo padre è una persona coraggiosa. Perché suo padre è l’unico uomo che Orlando Bloom abbia mai amato”.

Quando le sue parole si spensero nel silenzio della stanza, la distanza che separava i nostri corpi si era ridotta a qualche centimetro.

“Orlando, non funzionerà” dissi, ma perfino per me le mie parole suonavano poco convincenti.

“Una volta mi hai detto che bisogna vivere senza troppi se e troppi ma…”

“ero ubriaco” risposi.

Lui mi sorrise, avvicinando la sua bocca alla mia. “Io non credo” rispose in un soffio, mentre le nostre labbra si univano.

Lo amai. Lo amai come nessun altro in vita mia. Lo amai con ogni centimetro della mia pelle. Con ogni briciola della mia anima. Con ogni mio respiro. Con ogni palpito del mio cuore. Con ogni singola cellula del mio corpo. Lo amai come la vita stessa. Quella vita che mi aveva sempre fatto un po’ paura…

“Quel maledetto aereo era in ritardo come al solito”

Mi volto verso la porta d’ingresso, riempita interamente dalla figura alta e slanciata di Orlando. Ha un voluminoso borsone su una spalla e un enorme paio di occhiali da sole sul naso.

“sarei dovuto arrivare ore fa. Odio l’aeroporto” impreca, mollando il borsone per terra.

“sono contento che tu sia qui” dico.

Sento il profondo respiro dell’oceano alle mie spalle e il battito accelerato del mio cuore nel petto.

La leggera brezza scompiglia i capelli di Orlando, quando esce sul balcone sorridendomi.

Sono bloccato…di nuovo. Come ogni volta che lo vedo dopo un periodo di lontananza, rimango incantato a guardalo, chiedendomi come possa essere veramente qui. Come possa il sole essersi accorto della stella lontana. 

“sono contento di essere qui” mi risponde, prima di baciarmi.

 

FINE

 

Okay, è finita! Fiuuuuu!

Non credevo di poter davvero finire di scrivere la mia prima fanfic RPS!

Non so nemmeno io cosa dire, a parte che mi scuso per il titolo, che non è molto bello…ma i titoli non sono decisamente il mio forte!

Spero che la storia vi sia piaciuta. Ovviamente non ho la più pallida idea di che concezione della vita, del destino e dell’arte possano avere Viggo e Orlando e quelli riportati in queste pagine sono pensieri della sottoscritta. Ho cercato di rendere il loro carattere, le loro movenze, il loro modo di parlare simile a quello che traspare dalle interviste, ma non so se ci sono riuscita.

Dato che ogni altro commento che mi viene in mente mi sembra banale o scontato, volevo passare direttamente ai ringraziamenti!

Grazie a Leiuccia per… tutto! Per essere stata la prima a farmi conoscere le coppie Viggo/Orli e Legolas/Aragorn,  per aver scritto storie così belle e intense su loro due, per essere stata la prima a leggere la mia fanfic, per le belle cose che mi ha detto…per avermi tranquillizzato sul presunto matrimonio di Orlando…scusate! Questo non c’entra!

Grazie Ele!!!!

Egle