.|. Loss - Neve .|.

2. Addio a Gran Burrone

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“Padre!”

Il mio grido rimbomba in tutta la Sala del Trono.

“Perché mi hai mentito?” grido ancora fuori di me.

Tutti gli astanti si girano di scatto, guardandomi sbigottiti.

I miei vestiti sono ancora bagnati, il mio volto è rigato dalle lacrime, e devo aver assunto un’espressione stravolta, visto come tutti mi stanno osservando… sento gli occhi bruciare, ma non si tratta di lacrime, è rabbia, rabbia e disperazione.

“Estel, cosa ti succede? Perché…”

“Sta lontana da me!” sibilo, voltandomi verso Arwen, una dei figli di Elrond, che si stava avvicinando preoccupata.

Le mie parole la bloccano all’istante, non deve mai avermi visto così.

Non m’importa di lei, non m’importa di tutte le persone che in quel momento sono presenti nella sala, l’unico che riesco a guardare, l’unico da cui voglio una risposta è mio padre.

“Perché?” ripeto ancora una volta, ma ora la mia voce sembra essere attraversata da un tono di rassegnazione.

Soltanto allora, come chiamato da quella invocazione, Elrond si volta verso di me, guardandomi con la sua aria severa.

Mi sembra di non intravedere nessuna emozione sul suo viso.

Perché… perché tutti gli Elfi devono essere così? Freddi e distanti, immancabilmente perfetti anche in momenti come questi?

Mi sento così piccolo e sciocco in quell’istante, ma non mi muovo di lì… voglio sapere.

“Non sei mai stato sincero con me…”

“Questo non è vero, Estel…” mi risponde il re degli Elfi, senza smettere di fissarmi.

“Non mi hai mai parlato del mio passato… della scelta di mia madre… del perché ha voluto portarmi proprio qui…”

“Se non te ne ho parlato, è perché ritenevo che non fosse ancora arrivato il tempo giusto per farlo!” conclude, voltandosi verso la grande finestra.

“Mi avresti sempre tenuto tutto nascosto, non è così?” continuo, avanzando verso di lui “Sempre nell’ombra, nell’illusione della bella storia che mia madre voleva che fossi cresciuto dagli Elfi… quale privilegio!” grido con disprezzo “E ora so anche il perché… per rendermi diverso da quello che sono in realtà…” dico, ripetendo le parole di Legolas “Per rendermi diverso da…”

“Io non ti devo spiegazioni, Estel!” m’interrompe mio padre, senza mostrare alcuna emozione.

“Tu non…? SAI SEMPRE TUTTO TU, VERO? SAI ANCHE QUELLO CHE C’E’ NEL MIO CUORE E NELLA MIA MENTE, NON E’ COSì?” grido, ormai completamente fuori di me “Come ti sbagli… tu non mi hai mai interrogato realmente, o forse… la verità è che… non t’importava niente!”

Si volta di scatto. Ora i suoi occhi hanno assunto un’espressione, ora sì… ma non mi lascio intimidire, non gli lascio il tempo di parlare…

“Isildur…” mormoro.

E in quell’istante tutta la Sala si fa spaventosamente silenziosa.

“Isildur…” ripeto “E’ da lui che volevi tenermi lontano? Da questa pesante eredità?” scuoto la testa, accennando un sorriso “O forse non riponevi abbastanza fiducia nella mia forza? Credevi che sarei diventato come lui, vero? Che avrei causato una seconda guerra e che avrei messo a rischio nuovamente la vita degli abitanti della Terra di Mezzo?”

“Forse si, Estel…” mi risponde senza batter ciglio.

Quelle parole m’infuocano ancor di più.

Credo che in tutta la mia vita non ho mai provato una sensazione di odio talmente forte come in quel momento. Si, lo stavo odiando, stavo odiando mio padre. Perché mi stava accusando di qualcosa che io non avrei mai fatto.

“Ma forse, sei tu a non aver avuto abbastanza fiducia in noi, figlio mio…” riprese, con un tono quasi dolce, ma allo stesso tempo fermo, nella voce “Noi ti avremmo rivelato tutto un giorno… tu non hai saputo attendere, ora è più doloroso, perché ora ti ha colto impreparato!”

Gli volto le spalle e raggiungo la porta.

“Non m’importa quali sarebbero state le vostre intenzioni, non m’importa più nulla di te, né del popolo degli Elfi…” spalanco l’uscio “Addio padre, vado a riprendermi la vita che mi avete tolto!”

Faccio appena in tempo a vederlo voltarsi nuovamente verso la finestra, che chiudo la porta alle mie spalle e scivolo contro di essa stancamente.

Ora sì… ora le lacrime possono scorrere finalmente libere sul mio volto e bruciare, come ha preso a bruciare il mio sangue, come ho preso a bruciare io di tutti quei sentimenti che mai avrei pensato di possedere.

“Padre!” sento gridare dentro la stanza.

“Arwen…” mormoro “Mi dispiace…”

Le volevo bene, per i Valar se gliene volevo… forse era la persona a cui tenevo di più tra quelle che avevo conosciuto a Gran Burrone, e allo stesso tempo sapevo che lei provava un affetto particolare nei miei confronti, forse molto più di una semplice amicizia.

“Padre, perché…?” la sento gridare di nuovo “Perché non lo fermi?”

“Forse è scritto nel destino… forse è così che dovevano andare le cose…” sento Elrond risponderle.

“Fermalo ti prego… noi tutti sappiamo cosa lo attende fuori da queste terre… tu puoi… tu devi!”

“Mi dispiace, figlia mia… ma io non ho più la facoltà di fare una cosa del genere…” fa una breve pausa “Ora lui è ribelle, è uno spirito indomito… e nessuno di noi può più prendere decisioni al suo posto… un ribelle… come Legolas… come Legolas…”

Le sue ultime parole mi arrivano alle orecchie come un sussurro, ma sentire quel nome tanto mi basta per darmi la forza di alzarmi da terra, asciugarmi le lacrime, e senza più indugi, mettere in atto la scelta che avevo preso.

 

Raggiungo la mia stanza, con la mente ancora confusa e il corpo intorpidito… non voglio pensare, non devo… sto per abbandonare il mondo che mi ha visto crescere, le terre dalle quali non ero mai uscito, sto per dire addio a tutto ciò che ho amato…

Ma non posso più restare… mai come ora ne ho la certezza.

Il mio posto non è più qui… rischierei di vedere solo nemici e gente che mi tiene nascoste le cose, rischierei d’impazzire…

E non voglio perdere anche quello, non voglio, se un giorno ricorderò questi sedici anni di vita, che queste memorie siano brutte e oscure.

Devo andarmene prima che tutto quanto si sgretoli fra le mie mani.

Mi sento confuso, non ho idea di ciò che sto per fare, non so quello che mi attende, ma c’è una cosa che mi sorregge e m’infonde un’infinita forza: la fiducia in me stesso.

Raccolgo le mie ultime cose, afferro il mio mantello per coprirmi dal freddo, e lascio, senza voltarmi indietro, quella che era stata la mia stanza.

Non appena esco dal palazzo di Elrond, la neve inizia a ricoprirmi la testa con i suoi candidi fiocchi, faccio per tirarmi su il cappuccio, ma mi fermo… voglio sentirla, voglio che sia la mia compagna in questo nuovo cammino.

Raggiungo una piccola radura, coperta da alti rami e da frasche di foglie sempreverdi, e mi dirigo là dentro dove trovo il mio cavallo.

E’ stato il regalo di mio padre per il mio sedicesimo compleanno.

In quell’istante mi sento in colpa nei suoi confronti, ma questo non basta per farmi cambiare idea.

Mentre carico le cose sul dorso dell’animale, inizio a pensare ad antiche leggende, alle storie che mi narravano da piccolo… storie di terre lontane e brulle… storie di gente selvaggia che allora m’incutevano paura… storie di uomini alti, e di uomini piccoli, che non raggiungevano la lunghezza di una gamba… storie di raminghi…

Raminghi…

Non so perché, ma quella parola mi fa sorridere.

D’improvviso però, tutte quelle immagini, pericolose ed eccitanti, scompaiono dalla mia mente, così come il sorriso dalle mie labbra.

Mi volto di scatto alla mia destra, e i miei occhi incrociano quelli azzurri di un elfo proprio dinanzi a me.

Legolas…

Rimaniamo a guardarci in silenzio per un lungo momento.

Il suo volto ha un’espressione strana, non so dire se sia dispiaciuta, non riesco a capirlo… ma i suoi occhi non smettono di fissarmi, tanto che mi provocano un moto d’imbarazzo.

Nessuno dei due riesce a parlare, eppure in quegli sguardi c’è molto di più di semplici parole, qualcosa di non detto forse per troppo anni, qualcosa che potrebbe essere svelato ora, ma che io… non ho più voglia di ascoltare.

Monto così a cavallo, lancio un’ultima occhiata a Legolas che si fa da parte, sprono l’animale in avanti e rapidamente m’incammino verso l’uscita.

L’elfo non mi chiama, non fa nulla per fermarmi, ma mentre mi allontano, posso sentire distintamente i suoi occhi su di me.

Spero di lasciare presto quel luogo, spero che quella sensazione scompaia, così come tante altre che mi tormentano dentro… spero che i volti a me più cari scompaiano… spero che i ricordi se ne vadano, e ritornino un giorno più avanti, quel giorno in cui sarò pronto per riviverli.

Sprono ancora una volta il cavallo, ed inizio a galoppare… gli alberi si diradano, la neve inizia a cadere libera, ricoprendomi con il suo manto vellutato… e attraverso quei fiocchi bianchi… un’immagine… i suoi occhi… azzurri… che mi guardano per l’ultima volta…

“Addio Legolas…”

E nel mormorare quelle parole, stranamente non riesco a sentirmi felice.