.|. Sei La Mia Speranza .|.
4. Acqua e Fuoco
~
Erano trascorse
oltre due settimane da quando Legolas era giunto su Ambalmíre, e dal
momento in cui aveva incontrato per la prima volta il suo enigmatico e
malinconico abitante, Aragorn. C’era stata qualche difficoltà iniziale
tra i due, causata soprattutto del carattere introverso dell’uomo,
rimasto isolato sul piccolo lembo di terra per venti, lunghi anni, ma
lentamente la diffidenza e l’astio del padrone dell’isola nei confronti
di Legolas si erano attenuati, fino a scomparire, in poco tempo, del
tutto.
I quattro
hobbit avevano assistito al cambiamento di Aragorn praticamente
increduli, faticando a credere che colui che una volta nemmeno si
fermava a salutarli, o a guardarli in faccia quando dava degli ordini,
adesso arrivava addirittura a conversare con loro. Era puntuale ad ogni
pasto, aveva appetito, ma ciò che più del loro padrone aveva sorpreso
Merry, Pipino, Sam e Frodo era stata la sua improvvisa decisione a
riaprire le moltissime sale del castello che, anni prima, aveva ordinato
di chiudere a chiave. Troppo ariose e illuminate, aveva mormorato piano
a Frodo una mattina. Ed inutili. L’hobbit dai grandi occhi blu aveva
inoltre notato che aveva smesso di tenere le tende della sua stanza
tirate, come aveva sempre fatto durante i periodi peggiori, quando
nemmeno curare le piante dell’isola era capace rasserenarlo, almeno di
poco.
Frodo ricordava
bene quei momenti. Almeno una volta alla settimana, Aragorn si
rinchiudeva nella propria, monumentale camera da letto del primo piano,
all’improvviso, senza che nessuno di loro potesse fare nulla per
fermarlo, o per capire cosa fosse successo. Rimaneva lì per ore, giorni.
Impedendo anche ad un solo un filo di luce di entrare per illuminare
l’oscurità della camera e quella, ancora più nera, della sua mente.
Adesso, però,
ogni cosa sembrava diversa. La stessa atmosfera che si respirava
sull’isola lo era. L’aria pareva infinitamente più profumata, il cielo
di una luminosità accecante, e gli occhi di Aragorn meno tristi.
Erano due laghi
limpidi ora, accarezzati soltanto da una lieve brezza. E ancora più
belli, ogni volta che si posavano su Legolas.
Frodo scosse la
testa con un lieve sorriso. Salì il basso gradino del pozzo, che si
ergeva a pochi passi dal muro orientale del castello (dove c’è
Samarez… :PP ndA_a_WGMailingList), poi iniziò a girare con energia
la piccola carrucola che portava il secchio di legno in superficie.
Ascoltava soddisfatto la voce cristallina di Legolas mescolarsi con il
respiro del vento, mentre quella più bassa ma calda di Aragorn, poco
dopo, li seguiva entrambi. Non era ormai più cosa rara, per l’hobbit,
vedere i due passeggiare ogni mattina per l’isola, fianco a fianco. Non
parlavano molto, è vero, ma ridevano. Ridevano spesso. E forse era
meglio così.
Frodo sorrise
ancora anche se, questa volta, la linea delle labbra del piccolo uomo fu
accompagnata da un’ombra di buia, triste malinconia. Prese il recipiente
pieno d’acqua con entrambe le mani, poi rimase a fissarlo,
soprappensiero.
“Allora, ci
sei?”.
Fermo da
qualche minuto ad aspettare l’amico pochi passi più indietro, Samvise
abbandonò spazientito il proprio secchio sull’erba. Si avvicinò a Frodo.
“Se aspettiamo
ancora un po’ non riusciremo a pulire tutti i pavimenti che ci mancano
entro stasera, e lo sai che Merry e Pip di certo non ci aiuter… ehi, ma
mi stai ascoltando?”.
L’altro volse
lentamente le iridi blu sul viso dell’hobbit dai capelli più chiari.
Sospirò, ma prima di sollevare il secchio lanciò un’ultima occhiata a
Legolas e Aragorn, fermi accanto alla corteccia candida di Nimloth. Le
loro voci gli arrivavano ancora, insieme al vento che, leggero, gli
sollevò per un attimo i riccioli castani dalla fronte alta.
“Certo. Hai
ragione, è meglio andare”.
Legolas
appoggiò una spalla contro il tronco dell’Albero Bianco, ma l’altro,
fermo davanti a lui, roteò gli occhi verso l’alto, ridendo.
“Ti ripeto che
non ho alcuna intenzione di arrampicarmi…”. Aragorn incrociò le braccia
al petto, poi fissò negli occhi il ragazzo che, speranzoso, continuava a
supplicarlo. “… soprattutto sui rami intricati di Nimloth… quindi non
insistere… ”.
Trattenne a
stento una piccola risata, sollevando le sopracciglia e sillabando le
ultime parole per sottolineare il concetto a Legolas, che però sembrava
non accettare l’idea di doversi arrendere.
“Avanti… ti
assicuro che è divertente!”.
“Oh, certo. Non
ne dubito, ma l’idea di rompermi il collo non mi alletta molto. Uhm, mi
sembra che un po’ di tempo fa, se non ci fossi stato io, probabilmente
sarebbe successo a qualcuno di mia conoscenza…”.
“Mhh, adesso
esageri. Quella volta è stato un caso… ”.
“Vuoi dirmi che
non ti è mai capitato di perdere l’equilibrio, prima?”.
“Esattamente”.
Aragorn sorrise
un’altra volta. Fece per ribattere, ma tornando ad osservare il ragazzo
notò che aveva abbassato gli occhi.
Legolas si
staccò dall’albero, facendo qualche passo sotto i rami spogli di
Nimloth, che si allargavano nel cielo libero sopra il prato. L’uomo lo
raggiunse subito, preoccupato.
“Forse… ho
detto qualcosa che… “.
“No. Tu… non
c’entri”.
Il giovane si
fermò. Quel mattino indossava solamente una tunica candida sopra ad un
paio di aderenti pantaloni color antracite, ed accostato all’Albero
Bianco pareva brillare come un cristallo trasparente attraversato dai
raggi del sole. Aragorn socchiuse gli occhi, come abbagliato da quella
luce, ma non disse nulla. Si limitò ad aspettare che fosse Legolas a
parlare. Distolse lo sguardo dal profilo dell’amico, tornando invece a
fissare Nimloth.
Più tentava di
evitare di ripensare a ciò che il proprio corpo aveva provato nel
sentire il ragazzo sopra di sé, quel giorno, e più desiderava follemente
respirare nuovamente il profumo della sua pelle. Percepire il calore del
suo respiro, il desiderio dei propri sensi, e i battiti di entrambi
accelerare all’unisono…
Mi basta solo
guardarti, e i miei pensieri perdono il controllo…
Chiuse gli
occhi, stringendoli quasi con disperazione. Com’era… com’era possibile
rimanere indifferenti a Legolas? Non voleva assolutamente reprimere ciò
che sentiva, ed in ogni caso non ci sarebbe comunque riuscito. Ma non
poteva negare di avere paura. Aveva paura da giorni, settimane… quando
tutto aveva iniziato ad andare bene, forse troppo. Era terrorizzato
dall’idea di perdere Legolas con un passo falso, una parola azzardata.
Terrorizzato all’idea di perderlo quando non sarebbe più riuscito a
nascondere la propria disperata, esasperata attrazione. Il desiderio,
che provava nei suoi confronti.
E sebbene fosse
certo, ormai, che quello che sentiva era pienamente ricambiato anche da
Legolas, la netta sensazione che tutto ciò che avrebbe potuto nascere da
una loro relazione sarebbe risultato completamente sbagliato non lo
lasciava nemmeno per un istante.
Si, aveva
paura. Del futuro, ma non solo.
Anche di se
stesso.
Lo spaventava
il ritorno improvviso del vecchio Aragorn. Ciò che… avrebbe potuto fare
a Legolas.
Perché non
sarebbe stato in grado di fermarlo.
Serrò i pugni,
poi spostò la testa, tornando a guardare il ragazzo. Fece un profondo
respiro.
Come se non
bastasse, adesso, c’erano anche questi momenti. Quelli dove Legolas,
improvvisamente, smetteva di ridere.
Non voglio
rivedere un altro me stesso.
Non voglio che
le ombre calino anche su di te…
Si schiarì la
voce, facendo un enorme sforzo per nascondere, ancora una volta, i
propri pensieri all’amico.
“Legolas…?”.
Lo chiamò,
dolcemente. Lui si girò.
“Non so come
curarlo. Nimloth… non so cosa fare”, mormorò allora, piano, il ragazzo.
“Ero venuto qui per questo. E ho… ho fallito”.
La voce gli
tremava.
“So solo
arrampicarmi sugli alberi. Non so guarirli”.
Sorrise
tristemente, ma Aragorn scosse il capo. Allungò una mano, prendendo
quelle di Legolas fra le proprie.
“Nessuno può
fare nulla per l’Albero Bianco”, disse l’uomo. “La sua magia era
qualcosa di sovrannaturale, che nessuno ha mai saputo spiegare. E allo
stesso modo è scomparsa, improvvisamente”.
Il giovane
aggrottò debolmente le sopracciglia. Esitò un attimo, poi parlò.
“Tu… ”, iniziò.
Fece un’altra pausa, timoroso, poi riprese. “… c’eri quando… Nimloth
perse la sua luce?”.
A quella
domanda le braccia di Aragorn si irrigidirono. Abbandonò le dita di
Legolas, e spostando gli occhi sull’erba serrò la bocca. L’altro notò la
sua reazione, e afferrandogli i polsi si affrettò a scusarsi.
“Perdonami, io…
“. Rimase a guardarlo, in attesa di essere ricambiato, e quando
finalmente l’uomo incrociò nuovamente i suoi occhi con un sorriso
tirato, Legolas allungò a sua volta le labbra.
“Noi… ci
eravamo promessi l’un l’altro di non farci più domande personali, sulle
nostre vite o… sul nostro passato, è vero. Ma quando l’Albero Bianco
cessò di brillare, io non ero ancora nato. Non so… come andarono le
cose. E adesso, per me, scoprire il mistero che lo circonda è la cosa
più importante… ”.
Lasciò Aragorn,
lentamente.
“… è… la mia…
unica ragione di vita, ormai… ”.
Sussurrò quella
frase con un filo di voce, in un modo tale che ad Aragorn vennero i
brividi. Brividi gelidi, e cupi.
Fissò Legolas.
Sapeva di dovergli rispondere in qualche modo, ma inspiegabilmente
nessuna parola fu in grado di uscirgli dalla gola. Rimase a guardarlo in
silenzio, confuso, e Legolas si voltò, spostando le iridi azzurre verso
il castello.
Forse… gliene
avrebbe anche potuto parlare. Sì… avrebbe potuto, in fondo.
E allora
perché… sentiva che non era ancora il momento, nonostante si fidasse
ciecamente di lui?
Perché si
sentiva soffocare, all’idea di svelargli il proprio passato?
L’arrivo delle
Ombre. Quella notte.
I rumori.
Le grida.
E poi… poi le
strade…
Le strade piene
di cadaveri, in quel mattino grigio.
Corpi
straziati… irriconoscibili.
No… no…
Si portò una
mano alla testa, premendo i palmi contro le tempie. Il dolore era
terribile, quando diventava martellante… così terribile…
Spostò le dita
sugli occhi, lucidi, ma immediatamente si impose di ricacciare indietro
ogni ricordo. No, non gli avrebbe rivelato nulla. Amava veder ridere
Legolas. Era ciò che più amava, ormai. Soltanto grazie a lui aveva
ritrovato la speranza, seppur lieve, di poter essere di nuovo felice, un
giorno. Raccontargli ciò che gli era successo non avrebbe fatto altro
che addolorarlo, ed in ogni caso il suo passato non avrebbe potuto
aiutarlo a capire cos’era successo a Nimloth.
Quindi… quindi
non ce n’era motivo…
Aragorn si
passò una mano sulla barba, poi alzò gli occhi al cielo.
E non c’è
motivo… di raccontargli nemmeno ciò che successe poi…
Il senso di
colpa lo trafisse, ritornando a farsi sentire con la stessa crudeltà dei
primi anni. Si morse un labbro con violenza, arrivando vicino a farlo
sanguinare. Ma non provò nulla. Ormai, il dolore fisico non era più
capace di farlo soffrire.
Non… non posso
dirglielo.
Sono vigliacco,
è vero. Ma ho già scontato… abbastanza a lungo la mia colpa…
Non voglio più
continuare ad essere legato passato, in questo purgatorio.
Forse non posso
sperare che rimarrà per sempre qui, ma…
Voglio
crederci, senza guardarmi più indietro.
E senza
lasciargli guardare indietro…
Dischiuse le
labbra.
“Non credo che…
”, si decise quindi a spiegare, ma il ragazzo biondo lo anticipò.
“Lascia stare”.
Legolas scosse
il capo, e si girò d’improvviso.
“Non volevo
metterti in difficoltà. Forse… è meglio se non ne parliamo più, per
adesso”.
Ripuntò gli
occhi su Aragorn, e la tristezza che c’era sul suo volto svanì in pochi
istanti.
“Ti avevo
promesso che ti avrei insegnato qualcosa, e se non ti va di
arrampicarti, passeremo ad altro… ma questa volta non potrai tirarti
indietro, ti avverto!”.
Rise, e al
suono delle limpida voce di Legolas il cuore dell’uomo si rasserenò.
Respirò profondamente l’aria del mattino, poi rispose all’amico con
un’altra risata.
“Uhm,
d’accordo… anche se sono piuttosto preoccupato…”, disse, fissando il
ragazzo con ironica rassegnazione. Lui però scosse la testa.
“Non
preoccuparti. E’ qualcosa di molto più tranquillo di scalare gli
alberi!”, assicurò. “Ho solo bisogno che tu mi restituisca la sacca che
avevo con me quando sono arrivato… ”.
Sorrise.
“Hai mai tirato
con l’arco?”
***
“Per essere
tranquillo è tranquillo, però… ”.
Aragorn fece
una pausa, trattenendo il respiro. Spostò il braccio il più possibile
all’indietro, accostando piano le dita all’orecchio, poi lasciò la
presa.
La freccia
piumata volò con un sibilo nell’aria fresca del piccolo bosco luminoso,
ma malgrado l’impegno l’uomo non centrò il bersaglio destinato, il
tronco di un giovane faggio situato a circa venti metri da lui. Lo mancò
di qualche decina di centimetri, finendo per perdersi, con un suono
sordo, nell’intricata boscaglia sulla riva del lago.
“ … beh… non è
affatto facile… ”, concluse allora, un po’ scoraggiato. Sorrise con un
sospiro, e abbassò l’arco.
“Credo di saper
utilizzare in modo accettabile solo la spada, Legolas… ”, proseguì
avvicinandosi all’amico che, a braccia conserte, l’aveva osservato fino
a quel momento con scrupolosa attenzione, pochi passi lontano. “ … di
sicuro in me non c’è un arciere sopito… ”.
“Oh,
sciocchezze!”. Il ragazzo scosse velocemente il capo, avvicinando le
proprie mani a quelle dell’uomo. Le sollevò, facendo loro impugnare
nuovamente l’arco. “Avanti, rimettiti in posizione… ciò che sbagli è la
postura, e il modo in cui equilibri il peso… ma puoi facilmente
correggerti… ”.
Legolas si
accostò a lui, ma nel momento in cui la stoffa liscia e fresca della sua
tunica sfiorò la schiena del padrone dell’isola, coperta solo da una
camicia leggera, questi sussultò silenziosamente. Sbatté un paio di
volte gli occhi chiari, fingendo di concentrarsi sulla stretta delle
proprie dita che il ragazzo stava sapientemente spostando sul legno
chiaro. Non erano più stati così vicini dal pomeriggio della famosa
caduta di Legolas da quell’albero… quella fortuita caduta, dove i loro
corpi erano entrati, anche se per poco, in contatto…
Il giovane
biondo gli stava tenendo le braccia adesso, guidandolo nei movimenti da
fare e spostandogli il busto con lentezza. Scendeva di continuo sui suoi
fianchi come se fosse la cosa più normale del mondo, e quando Aragorn
percepì il petto di Legolas aderire interamente alla propria schiena,
l’uomo fu percorso da una seconda scarica, questa volta rovente.
“Perfetto… e
adesso incocca la freccia… ”.
Il ragazzo non
si era accorto di nulla. Proseguiva nelle spiegazioni con un sorriso
disteso sulle labbra, facendo attenzione che Aragorn eseguisse ogni cosa
correttamente. Ma l’uomo era tutt’altro che tranquillo, e nel disperato
tentativo di calmare la propria agitazione emise un profondo respiro.
No, decisamente non poteva imparare a tirare con l’arco in quel modo…
“Legolas, io
non credo che sia il… il caso… ”, mormorò quindi con un leggero affanno
nella voce, ascoltando i propri, veloci battiti pulsargli nelle
orecchie. “Non… preoccuparti… posso riprovarci anche senza che tu… ”.
“Shh.
Concentrati”, lo interruppe l’altro con un sussurro, vicinissimo al suo
orecchio. “Punta all’albero, lasciando al di fuori di te ogni
preoccupazione e dubbio… ”.
La seconda
freccia partì. Le braccia di Aragorn, però, attraversate da un
impercettibile tremore, non furono abbastanza salde da mantenere
immobile l’arco che spostandosi, seppur di poco, vanificò anche il
secondo tentativo di fare centro.
Trascorsero
alcuni istanti di silenzio, poi Legolas ridacchiò.
“Uhm… credo
proprio che avessi ragione tu… meglio che continui a dedicarti alla
spada!”.
Il ragazzo si
staccò finalmente dall’uomo che, accaldato, si passò una mano tra i
lunghi capelli castani, tirandoli indietro. Un minuto di più, e non ce
l’avrebbe fatta…
“Ho
l’impressione che questa volta sia finita in acqua”, continuò Legolas
facendo una piccola corsa oltre il faggio, lungo la sponda del lago.
Rimase ad osservare la superficie trasparente, poi si girò verso
l’amico, ancora fermo. Sollevò un braccio, indicando l’acqua.
“Vado a
recuperarla!”, gridò. “Ci metto un attimo!”.
Detto questo,
il giovane biondo portò le dita al colletto della tunica, sbottonandola
rapidamente. Si tuffò senza esitazione, scomparendo per qualche secondo
sotto la superficie baciata dal sole di mezzogiorno. Quando riemerse,
nella mano stringeva la lunga freccia piumata.
Uscì dall’acqua
senza fretta, circondato dal riverbero scintillante alle sue spalle che
danzava, piano, sulle lievi increspature del lago. Raccolse la tunica
abbandonata sull’erba, e tenendola in una mano iniziò ad avanzare verso
Aragorn. L’acqua gli scivolava veloce lungo la pelle lattea e perfetta,
seguendo le curve del suo corpo come le gocce di rugiada fanno con i
petali delicati di un fiore. I pantaloni, invece, ora più scuri perché
bagnati, gli aderivano alle gambe asciutte e toniche come una seconda
pelle, talmente sottili da non lasciare nulla all’immaginazione. Da non
lasciare nulla all’immaginazione di Aragorn che, osservandolo camminare
sotto la volta alberata, di tanto in tanto squarciata dai raggi del
sole, pensò di non aver mai visto nulla di più bello e sensuale nella
sua vita. Deglutì, non riuscendo, però, a staccare gli occhi da Legolas,
che in pochi istanti si fece più vicino.
I capelli
dorati gli si erano incollati al collo e alla schiena, e l’acqua
continuava a scorrergli dalla testa fino al bordo della calzamaglia,
incessantemente.
“L’avevi
conficcata proprio bene… ”, disse allora il ragazzo, chinandosi per
riporre la freccia nella faretra appoggiata contro le radici di un
tronco poco distante, insieme alla sacca che aveva contenuto sia essa
che l’arco. “E poi intorno all’isola il lago scende immediatamente… non
immagini quanto sia ripido, mi sono ritrovato subito… ”.
Si rialzò
allegro, ma la linea allungata che aveva sulla bocca scomparve quando,
girandosi verso Aragorn, incrociò il suo sguardo.
I suoi occhi,
seri.
Puntati su di
lui.
Quegli spicchi
chiari, liberi come il cielo sopra di loro…
Sul suo viso.
Sulle sue labbra.
“… nell’acqua…
alta… ”, mormorò infine Legolas, con un filo di voce.
Aragorn lo vide
stringere improvvisamente una mano a pugno, per poi ridistendere, in
pochi secondi, le lunghe dita bianche. L’uomo rimase a guardargli il
dorso della mano a lungo, fino a che prese a salire con gli occhi lungo
il suo braccio. Lentamente.
L’altro non si
mosse. Tenne lo sguardo sul viso di Aragorn, la bocca appena dischiusa,
ma prima che potesse decidere di fare qualcosa l’uomo fece un passo in
avanti, arrivando con un movimento veloce ma in qualche modo misurato a
pochi centimetri da lui.
Il ragazzo non
riuscì più a fissarlo. Abbassò le ciglia, ritrovandosi così ad osservare
le dune abbronzate dei pettorali dell’uomo, visibili oltre lo scollo
della camicia leggermente sbottonata.
Sentiva le
proprie braccia pesanti, o forse incredibilmente leggere, perdere
gradualmente sensibilità.
Avvertiva
chiaramente il corpo di Aragorn, vicinissimo a sé, senza percepire più
il proprio…
Chiuse per un
attimo gli occhi, cosciente di ciò che stava per avvenire. O che avrebbe
potuto avvenire. Entrambi sapevano di provare per l’altro qualcosa.
L’avevano sempre saputo, fin dal primo giorno in cui si erano visti. Ma
sia Legolas che Aragorn avevano cercato di nasconderlo, di negarlo.
Perché
un’attrazione del genere era totalmente, assolutamente sbagliata.
Nata in modo
sbagliato.
Tra due persone
incontratesi per caso, su una terra proibita.
Due persone che
continuavano a celare all’altra la propria identità, in un tacito patto.
Che futuro
poteva esserci per un relazione del genere?
No, era
qualcosa di assurdo…
Il ragazzo
risollevò le palpebre. Già, era totalmente irragionevole… ma anche
talmente inebriante, nella sua irrazionalità…
Una mano di
Aragorn raggiunse il suo collo, per poi affondargli le dita nei capelli,
all’altezza della nuca. Lo attirò lentamente verso di sé mentre, con
l’altra mano, gli percorreva la schiena. I fianchi, quindi la vita… ed
in un modo esasperatamente lento, prima le cosce, poi i glutei…
A quell’ultimo
tocco, più deciso delle carezze precedenti, Legolas si aggrappò alle
spalle dell’uomo.
Sì… era una
trappola dolce, eccitante…
Alla quale non
poteva fare a meno di arrendersi.
Alla quale… non
voleva sottrarsi….
“A… Aragorn… ”,
gemette allora, con un bisbiglio. L’uomo avvicinò le labbra al suo
collo, appena sotto l’orecchio. Vi posò un lungo bacio, ma quando prese
a scendere verso le clavicole risollevò d’un tratto il capo, con un
sorriso appena accennato. I suoi occhi si fissarono su quelli di
Legolas, distanti una manciata di centimetri, e lui fece un lungo
respiro per riprendere fiato. Quando ricambiò quello sguardo, le iridi
chiare del ragazzo erano velate da un desiderio che, seppur una parte di
sé tentava disperatamente di reprimere, ribolliva nelle sue vene come
lava incandescente…
“… ho… ho
dimenticato di recuperare l’altra freccia… ”, mormorò, cercando invano
di convincere se stesso a staccarsi dal calore dell’uomo. “… forse è… è
meglio se… ”.
“Non permetterò
che tu muova un solo passo”.
Con quella
frase, e senza che Legolas avesse nemmeno il tempo per replicare, l’uomo
catturò con violenza le sue labbra. Premette immediatamente la lingua
contro la sua bocca, non riuscendo ad aspettare ulteriormente, ma
l’altro non fece alcuna resistenza. Il bacio si fece subito profondo, e
Legolas si ritrovò con la testa inclinata leggermente all’indietro,
costretto dalla foga di Aragorn che iniziò a premere sul suo corpo
obbligandolo ad indietreggiare di qualche passo.
Le gambe gli
tremavano, ma in qualche modo riuscì a raggiungere l’ampio tronco di un
albero, contro il quale si abbandonò. Sentiva il profumo dell’amico
entrargli nella testa, e le sue carezze scendergli ancora una volta
sotto la vita, facendolo rabbrividire. Quando poi, finalmente, l’uomo si
staccò da lui, Legolas riaprì gli occhi a fatica. Il basso ventre gli
pulsava, e la pressione del bacino dell’uomo contro il proprio non
poteva più nascondere l’eccitazione che aveva preso possesso anche del
corpo di Aragorn.
“Io… non ce la
facevo più… ”, disse allora quest’ultimo, in un sussurro quasi colpevole
ma rotto continuamente dai sospiri. “E’ stato talmente… maledettamente
difficile continuare a fingere che… che mi fossi indifferente, in queste
settimane, quando in ogni singolo istante… morivo dalla voglia di
toccarti… ”.
Si abbassò per
posargli sul collo una piccola scia con la lingua, ma non diminuì la
stretta su di lui. Legolas spostò il capo con un mugolio, lasciando ad
Aragorn lo spazio per scendere sul petto.
“Lo stesso… lo
stesso vale per me… ”, riuscì solamente a dire, sollevando un braccio
per posare le dita sul capo dell’uomo, illuminato da un raggio di sole.
Si passò la lingua sulle labbra, lasciandole socchiuse. “ … non… ah… non
so quanto avrei resistito… a… ancora… ”.
L’uomo staccò
le labbra da un capezzolo al quale si stava scrupolosamente dedicando, e
risollevandosi per guardarlo sorrise.
“Bella la scusa
del tiro con l’arco… e, direi, molto più efficace dell’arrampicata sugli
alberi… ”.
Legolas spostò
piano gli occhi sull’amico, restituendogli lo stesso sorriso divertito.
“Già… ”,
mormorò, riprendendo fiato. “Anche se l’intenzione di insegnarti a
tirare c’era davvero, te lo assicuro… e senza alcun fine di seduzione…
”.
“Mhh ma io non
sono un buon allievo… ”. Aragorn riprese a baciarlo, prendendo a
mordicchiargli dolcemente il labbro inferiore. “… e preferisco dedicarmi
ad altre attività… come ad esempio all’approfondimento della conoscenza
con l’insegnante… ”.
Legolas rise,
ma quando le mani di Aragorn si abbassarono improvvisamente sulla cinta
dei suoi pantaloni la voce gli si ruppe in gola. Percepì le sue dita
percorrere la cucitura fino a che, giunte alla chiusura, esitarono un
attimo prima di iniziare ad armeggiare con i piccoli bottoni.
Il ragazzo
gettò all’indietro la testa con un brivido, pronto a sentire le mani
dell’uomo su di sé, ma proprio in quel momento una voce familiare
risuonò nella volta verde del bosco. Una volta, poi due.
“Padron
Aragorn! Legolaaas!”.
I due si
staccarono di colpo l’uno dall’altro. Si fissarono per un attimo, senza
sapere esattamente cosa fare, poi Aragorn sospirò. Si passò una mano
sulla fronte sudata, e con una leggera irritazione nella voce alzò gli
occhi verso i rami frondosi.
“E’ Merry…
maledizione… ”.
Legolas fissò
il suo viso, a metà fra il frustrato e l’abbattuto, reprimendo a fatica
la voglia irrefrenabile di ridere. Aragorn se ne accorse, e non poté
fare a meno di rivolgergli un mezzo, dolcissimo sorriso.
“Credo che,
ahimè, il colloquio con l’insegnante per questa volta terminerà qui… ”,
disse ironico, mentre Legolas scoppiava suo malgrado in una piccola
risata. “Forse però… è meglio se non ci facciamo vedere in… questo
stato… ”, proseguì in tono lievemente imbarazzato, girandosi dalla parte
opposta. “Quindi… ecco, è meglio se ti rimetti la tunica, o nemmeno io…
riuscirò a calmarmi… ”.
A quelle parole
il giovane arrossì, improvvisamente pudico, ricordandosi tutto d’un
tratto di indossare solamente l’aderente calzamaglia scura, oltretutto
ancora bagnata. Corse verso la riva del lago a recuperare la parte
superiore del proprio abito, mentre dal fondo del piccolo sentiero
arrivava, correndo a perdifiato, Merry.
“Ahh siete qui…
”, esclamò, fermandosi a pochi passi da Aragorn e chinandosi per
appoggiare stancamente le piccole mani sulle ginocchia. Probabilmente li
aveva cercati per l’intera isola, ma se era scocciato non lo diede a
vedere. “Volevo solo avvertirvi che il pranzo è pronto, e… ”.
Si fermò,
spostando senza capire gli occhi dall’uomo al ragazzo, fermo di spalle
accanto al faggio, qualche metro lontano. Lo vide infilarsi velocemente
la tunica bianca, per poi voltarsi di tre quarti verso di lui. Legolas
lo salutò goffamente.
“Ma… cosa
stavate facendo?”, domandò allora l’hobbit, ingenuamente. Squadrò ancora
i due, ed Aragorn aprì le braccia con un sorriso apparentemente
naturale.
“Ehm… Legolas
mi stava insegnando a tirare con l’arco, ma una freccia è finita in
acqua… e così si è tuffato per recuperarla… tutto qui”. Gettò
un’occhiata al ragazzo, poi si schiarì la voce.
“Noi… iniziamo
ad andare, Legolas”, esclamò. “Tu… cerca l’altra freccia e raggiungici,
d’accordo?”.
Il ragazzo
annuì, tenendo gli occhi bassi.
“Certo”,
rispose, avvicinandosi poi ai cespugli dove si era perso il primo dardo.
“Arrivo tra poco”.
Aragorn rimase
ad osservarlo un istante, poi fece segno a Merry di incamminarsi. Poco
dopo, entrambi sparirono in fondo al sentiero.
Legolas tirò un
sospiro di sollievo. Posò gli occhi sulla superficie del lago che, con
un tenue sciabordio sulla sponda, continuava a mormorare il suo canto
cristallino all’aria del mattino. E così, alla fine era successo…
Nel ripensare
alla mani di Aragorn su di sé, il ragazzo si sentì percorrere nuovamente
da una scarica calda. Desiderò ardentemente potersi fare un altro bagno
per tentare di allontanare l’eccitazione dal proprio corpo, ma non ne
aveva il tempo. Sospirò. Non era stato affatto felice dell’interruzione
di Merry, ma ci sarebbero state altre occasioni. Era certo che ce ne
sarebbero state, adesso…
Allacciò
l’ultimo bottone del colletto con un leggero compiacimento sul volto,
poi si inoltrò nell’intrico di cespugli. Ritrovò la seconda freccia
senza difficoltà, ma dopo aver recuperato anche la faretra, l’arco e la
sacca un pensiero gli attraversò la mente.
Si voltò
nuovamente verso il lago, e il suo sguardo si perse all’orizzonte, verso
i monti lontani.
Dopo un po’
sorrise e, felice, percorse il sentiero che portava al castello in pochi
minuti.
***
“Allora, com’è
andata?”.
A quella
domanda Legolas e Aragorn sollevarono all’unisono la testa, che fin
dall’inizio del pranzo era rimasta chinata sui rispettivi piatti.
L’uomo dai
lunghi capelli scuri fissò Frodo per un istante, ma subito dopo,
bruscamente, posò il cucchiaio che teneva tra le dita sul candido disco
di porcellana. Si portò il tovagliolo color crema agli angoli della
bocca, poi tossì nervosamente.
“Che… che
cosa?”, chiese poi tornando a guardare l’hobbit, seduto poco distante da
lui ad uno dei lati della lunga tavola. Accanto a Frodo c’era Sam,
mentre di fronte a loro Merry e Pipino. Legolas era invece seduto da
solo, alla fine del lucido ripiano di legno scuro, dirimpetto ad
Aragorn.
Da qualche
giorno, infatti, i quattro servitori avevano iniziato ad unirsi ai due
uomini duranti i pasti, nella sala da pranzo principale. Prima
dell’arrivo di Legolas avevano sempre mangiato nelle cucine, limitandosi
a servire le portate al loro padrone che, da solo, le consumava in
silenzio. Quando l’umore di Aragorn era improvvisamente migliorato,
però, quest’ultimo aveva domandato loro se non desiderassero, per caso,
fare compagnia a lui e Legolas nel salone.
“Ma il tiro con
l’arco”, rispose allora il piccolo uomo, con un breve sorriso. “Merry mi
ha detto… che era in corso una lezione, quando è venuto a chiamarvi… ”.
Aragorn
appoggiò nuovamente la posata con un tintinnio metallico, ma dopo aver
gettato un’occhiata indefinita al ragazzo biondo fu lui a continuare.
“Beh, non era
proprio una lezione… ”, disse Legolas. “E comunque… non credo che ad
Aragorn interessi fare altre ore di pratica, non… ”.
“E invece mi
interessa”, lo interruppe l’uomo. Appoggiò un gomito sul tavolo, e
accarezzandosi il mento con le dita rivolse una languida occhiata al
giovane che, incontrando i suoi occhi, percepì un leggero formicolio
corrergli sotto la pelle. “Credo che in ogni disciplina la pratica sia
la parte più interessante… e soprattutto la più utile per arrivare a
dominare ogni aspetto di ciò che si impara… ”.
Le ciglia
dell’uomo si abbassarono di poco, sensualmente, ed il ragazzo serrò
agitato il tovagliolo nella mano, costringendosi a distogliere lo
sguardo da quello di Aragorn. Non era difficile capire ciò a cui l’uomo
si stava realmente riferendo, ma anche se la sua voce bastò per
accentuare il formicolio che continuava ad attraversargli il corpo come
una leggera corrente calda, la situazione in cui si trovavano non era
decisamente adatta ad un dialogo malizioso…
“… anzi, trovo
che sia infinitamente più utile della teoria… ”.
Aragorn
sorrise, ma prima che potesse continuare Legolas riprese la parola.
“Ma… ehm,
purtroppo il posto in cui ci siamo fermati non si è rivelato il più
idoneo per delle esercitazioni… ”. Guardò Frodo. “Abbiam perso entrambe
le frecce sulla riva del lago. Successivamente le ho recuperate, ma la
prossima volta sarà meglio rimanere lontani dall’acqua… ”.
L’hobbit annuì,
senza chiedere nient’altro. L’uomo, invece, tornò a mangiare, senza però
risparmiare di un’ultima, allusiva occhiata Legolas.
“Peccato”,
commentò poi, fermandosi ancora. “Era un… bellissimo posto. E recuperare
le frecce non è stato poi così seccante… con questo caldo, un bagno era
proprio quello che ci voleva… non trovi, Legolas?”.
Questa volta il
ragazzo non poté trattenersi dal sorridere. Fissò l’uomo, e questi gli
ricambiò lo sguardo insieme ad una leggera curva divertita sulle labbra.
“… già”.
L’arciere fece
per imitare Aragorn, ritornando ad affondare il cucchiaio nella zuppa
aromatica preparata dagli hobbit, ma all’ultimo momento esitò. Sorrise
nuovamente.
“A proposito di
bellissimi posti… ”, disse. “Da quello che ho capito… è da molto che non
lasci l’isola… ”.
A quella frase,
pronunciata da Legolas con tono rilassato, Aragorn bloccò la mano a
pochi centimetri dalla bocca. I quattro hobbit, invece, si scambiarono
immediatamente delle occhiate silenziose. Allarmate. Si girarono verso
il loro padrone, tesi.
“ … ed ecco… io
conosco un angolo, non molto lontano da qui… veramente incantevole. Mi
piacerebbe molto che tu… lo vedessi”. Fece una pausa. “Sono certo che ne
saresti entusiasta!”.
Per alcuni
istanti nessuno parlò. Come un telo scuro e soffocante, un velo di
tensione calò improvvisamente nel salone illuminato dalle calde luci del
primo pomeriggio, ma Legolas non se ne accorse.
Aragorn restò
con gli occhi fissi sul proprio piatto, immobile. Trascorse forse un
minuto, poi, lentamente, rialzò le iridi grigioazzurre sul ragazzo.
“Io non lascerò
l’isola”.
La sua voce,
gelida, vibrò monocorde e nitida nell’aria.
“Ma io parlo di
un’uscita di una giornata, solo per… ”, riprese Legolas, senza afferrare
l’intonazione dell’uomo, che non ammetteva discussioni, né il vero senso
delle sue parole.
“Ho detto”,
ripeté però Aragorn, bloccandolo. “Che non ho alcuna intenzione di
andarmene da qui, quindi la questione è chiusa”.
Legolas lo
guardò, confuso dal suo repentino cambio di umore.
“Ma… perché?”.
La domanda del
ragazzo risuonò nell’aria della stanza, e Frodo abbassò gli occhi sul
bordo ormai consunto del tavolo, tristemente. Non poteva sperare che
durasse. Nessuno di loro poteva sperare che sarebbe cambiato davvero
qualcosa… che fosse già cambiato qualcosa. Forse, da un lato, per
Legolas questo era soltanto un bene, ma…
Strinse i
pugni, appoggiati sulle gambe. Sam, accanto a lui, lo guardò con sua
stessa espressione sul viso. Contemporaneamente si udì un suono sordo,
poi il rumore violento delle porcellane che cozzavano tra loro.
Il rotolamento
veloce di un alto calice contenente del vino rosso.
Il suo
infrangersi sul pavimento in pietra, ai piedi del tavolo.
“Quante volte
devo ripeterti… che NON mi piacciono i FICCANASO?!”.
Aragorn si era
sollevato di scatto dalla solida sedia in legno sul quale era stato
seduto fino a quel momento, spingendola indietro e sbattendo con rabbia
i pugni sul ripiano scuro. L’intero tavolo aveva vibrato.
Il ragazzo,
rimasto con lo sguardo sul punto in cui era caduto il bicchiere, non si
mosse. Il petto dell’uomo continuò invece ad alzarsi ed abbassarsi
velocemente per qualche secondo, ma quando i suoi occhi si spostarono,
vacui, sul muro del salone, si scostò con un gesto brusco dalla tavola,
raggiungendo con pochi passi il portone. Lo richiuse violentemente, e a
quel suono i quattro hobbit si strinsero nelle spalle con un sussulto.
Nel momento in
cui il silenzio tornò a regnare della sala anche Legolas si mise in
piedi. Non guardò nessuno dei quattro piccoli amici, ma Pipino tentò
ugualmente di parlargli.
“Legolas… ”,
mormorò, affranto. “E’ solo nervoso. Vedrai che si gli dai tempo… ”.
“Scusatemi”.
Il ragazzo
lasciò cadere il tovagliolo per terra. Attraversò il salone con passo
veloce, per poi uscire lasciando l’anta spalancata.
L’hobbit
sospirò. Guardò Merry, poi gli altri due servitori.
“Questo è
quello che si dice toccare un tasto dolente… ”, disse. “Ha insistito
sull’unica cosa della quale non avrebbe dovuto parlargli… ”.
Tornò alla
zuppa con un altro sospiro, mentre gli altri annuivano sconsolati.
Soltanto Frodo era rimasto con lo sguardo sul portone.
“Speriamo
solo”, concluse Pipino, “che questo non riporti tutto come prima… ”.
***
Legolas si
buttò sul letto, rimanendo a lungo con il viso nascosto fra le coperte.
Quando
finalmente voltò il viso verso la finestra, aperta poco distante,
socchiuse gli occhi blu stringendo le labbra. Un flusso d’aria fresca
gli investì il viso, ed i capelli biondi sparsi sulle lenzuola si
sollevarono, leggeri, sopra la sua schiena.
“Ma cosa gli è
preso?”, sussurrò a se stesso, richiudendo per un attimo gli occhi.
“Quel… cambio improvviso d’umore… ”.
Rimase ad
assaporare l’aria sulla pelle, sentendo nel contempo una fitta leggera
al cuore. Il tono di Aragorn gli aveva fatto male, un dolore che non
avrebbe mai immaginato di poter provare. Dopo quello che avevano
trascorso… quelle due settimane, dove si erano ritrovati improvvisamente
vicini, quasi complici… la sofferenza era, adesso, così lacerante…
L’essere soli,
ancora una volta. Soli con se stessi, senza nessuno accanto in grado di
far dimenticare ferite mai rimarginate…
Da fuori, la
brezza portò nella stanza un intenso profumo di fiori. Forse, gigli…
Inspirando quel
profumo inebriante, il tocco delle dita dell’uomo tornò a farsi sentire
sulla pelle di Legolas. Nella sua testa, come se le carezze di Aragorn
non l’avessero lasciato neppure un istante, dopo l’interruzione di
Merry, quella mattina…
Si portò le
mani agli occhi, coprendoli con i palmi aperti.
Lui… lui
amava Aragorn?
Era… questa la
verità?
Sentì una
lacrima scivolargli lungo la guancia, mentre un nodo gli scendeva nel
collo per stringergli in una morsa la gola. Sì… si era innamorato di
Aragorn, sapendo che non avrebbe dovuto farlo. Ma lo amava,
disperatamente. Lo amava, cosciente del fatto che i sentimenti che
provava non sarebbero più potuti cambiare…
Nonostante il
passato oscuro dell’uomo, che forse non avrebbe mai saputo.
Nonostante i
suoi lati ombrosi, e la perenne malinconia di occhi che vedeva
costantemente, ogni volta che chiudeva i propri…
Abbandonò le
braccia sul copriletto color oltremare e cremisi, mentre un sonno
leggero lo portava nel buio per qualche, fugace ora.
Quando si
risvegliò scoprì di sentirsi sorprendentemente sollevato. Si sedette sul
letto, e alzando lo sguardo verso la finestra rimase ad osservare per un
po’ i riflessi dorati e scarlatti del sole, ormai lontano e basso sulle
colline, sul vetro smerigliato. Il tramonto era molto vicino.
Fece qualche
passo per la stanza, indeciso sul da farsi. Si sentiva ancora intontito
dal sonno, ma non aveva alcuna intenzione di rimanere lì per tutta la
sera.
Voleva andare a
cercarlo. A cercare Aragorn.
Doveva
parlargli, chiarire quello che era accaduto.
E soprattutto,
doveva capire.
“Non ti basterà
avere un pessimo carattere per liberarti di me… ”, pensò improvvisamente
ottimista, con un piccolo sorriso sulle labbra. “… Signore di Ambalmíre…
”.
Uscì sul
corridoio silenziosamente, e richiuse piano la porta. Non c’era nessuno
in giro.
Prese allora a
percorrere il piano del castello, nel tentativo di scoprire dove fosse
finito l’uomo. Controllò stanze e saloni, compresa la camera da letto di
Aragorn, ma alla fine gli risultò evidente che doveva cercare da qualche
altra parte se voleva trovarlo. Che fosse uscito? Forse, a fare un giro
per l’isola…
Scese
pensieroso il maestoso scalone in marmo rosa al termine del lungo
corridoio, ma arrivato alla fine, nel bel mezzo dell’ingresso del piano
terra, si fermò di colpo.
Qualcosa aveva
infatti attirato la sua attenzione. Pochi passi lontano dai due portoni
principali, seminascosto dietro le alte tende di velluto verde scuro che
coprivano la fila di finestre del muro est, un’apertura scavata nella
roccia grezza era appena visibile nella poca luce del tardo pomeriggio.
La porta in legno verniciata di nero, che a Legolas parve realizzata in
modo piuttosto rozzo, era chiusa a metà. Oltre ad essa, un lieve
chiarore spiccava nell’oscurità.
Si avvicinò
lentamente, curioso. Mise la mano sulla superficie lignea, e spinse con
forza per aprire completamente l’anta. Sotto di sé un’altra scalinata,
questa volta in pietra, scendeva ripida nelle profondità di quella che
pareva una grande caverna naturale formatasi nel cuore dell’isola, in
quella roccia che per la maggior parte la costituiva. Ai lati della
discesa una serie di candele, fissate su dei sostegni in ferro,
brillavano nella penombra, illuminando il passaggio per chi lo
percorreva.
Legolas
socchiuse la bocca per la sorpresa, ma senza esitazione attraversò la
soglia della camera sotterranea, posando il piede sul primo gradone.
Qualcosa lo spingeva irrimediabilmente ad inoltrarsi della caverna, e
quando giunse molti piedi più in basso, dopo forse un paio di minuti di
cammino, capì che non avrebbe dovuto pentirsi della decisione.
Alla sua
destra, sul fondo della grotta, l’intera parete brillava sfavillante
alla luce calda delle candele. Si univa a quella, ancora lontana,
proveniente da più in basso, oltre una piccola curva formata dalla
scalinata. A quella altezza, infatti, i gradoni cambiavano bruscamente
direzione, per poi sparire dalla vista dietro ad un massiccio torrione
che si staccava dalla parete opposta, dalla quale nasceva anche la scala
stessa.
I riflessi
argentati della roccia, che moltiplicandosi nello spazio vuoto
accrescevano la luminosità della caverna infinite volte, lasciarono
Legolas senza fiato per qualche secondo. Il ragazzo si chiese stupito
che materiale straordinario potesse mai essere qualcosa capace di
riflettere la luce in modo così intenso e vivo, ma mentre era assorto
nella contemplazione della parete dei rumori lievi, dapprima
indistinti, catturarono la sua attenzione.
Scese
velocemente gli altri gradini, fino ad arrivare dietro la curva in cui
svoltava la scala. Parevano essere suoni causati da dell’acqua.
Sciabordii leggeri, che si scontravano ripetutamente contro una
superficie solida.
Legolas sporse
la testa oltre il muro di pietra, cauto, per cercare di capire da dove
provenissero quei rumori misteriosi, ma nel momento in cui i suoi occhi
si posarono sulla scena apparsa sotto di lui si ritrasse all’istante,
tornando ad osservarla soltanto dopo alcuni secondi con maggior
attenzione.
Aragorn, fermo
al centro di una pozza d’acqua di medie dimensioni, aveva le braccia
alzate al di sopra delle spalle. Gli occhi erano chiusi, la testa
gettata all’indietro e le grandi mani, partendo dalla fronte alta,
tiravano continuamente indietro, sul capo, i lunghi capelli scuri. Erano
bagnati, così come il resto del suo corpo, immerso in un’acqua dalle
tonalità verdiazzurre, limpida e cristallina, fino all’altezza delle
anche. Un corpo abbronzato, sensuale, dai muscoli perfettamente
modellati, non esagerati ma levigati come fossero stati modellati su un
tornio…
Un corpo che,
naturalmente, era nudo.
Completamente
nudo.
Il ragazzo
deglutì, mentre il cuore, nel petto, iniziava a martellargli ad una
discreta velocità. Si aggrappò alla roccia, provando a staccare invano
gli occhi dall’uomo. Tentando di non seguire i suoi gesti e l’acqua che,
continuamente, raccoglieva tra le mani, lasciandosela quindi scorrere
sulla pelle ambrata in piccoli, deliziosi rivoli…
Appoggiò la
fronte alla parete, chiudendo un attimo gli occhi per cercare di
ritrovare un istante di lucidità. Non poteva restare. Restare a
guardare… lì dietro. No, assolutamente no. Doveva andarsene. Avrebbe
aspettato che Aragorn finisse il suo bagno per parlargli, per chiarire
le cose. Forse, se l’avesse scoperto, avrebbe potuto arrabbiarsi
nuovamente con lui. Accusarlo di spiarlo, o di seguirlo. Non era il caso
di peggiorare la situazione, senza contare che sarebbe stato molto
difficile per Legolas cercare di parlare all’uomo rimanendo indifferenti
a ciò che avrebbe scorto dal collo in giù…
Facendo leva su
un’incredibile sforzo di volontà il ragazzo biondo si girò, deciso a
risalire la scalinata. Ma posando il primo piede urtò qualcosa, forse un
sasso. Un piccolo sasso, che però rotolò giù per la discesa provocando
un lieve eco ad ogni gradino incontrato.
Quando alla
fine il frammento di roccia fermò la sua corsa, il silenzio più assoluto
tornò ad avvolgere la caverna. Legolas, con le labbra semichiuse e gli
occhi fissi davanti a sé, sperò ardentemente che Aragorn non si fosse
accorto di nulla, o che perlomeno non si insospettisse.
Ma non fu così.
“C’è
qualcuno?”.
Il ragazzo si
morse un labbro, chiudendo gli occhi.
“Ti prego, no…
”, sussurrò tra i denti, una mano appoggiata sul ginocchio della gamba
piegata. “Non accorgertene… ”.
E’ che… sarebbe
stato imbarazzante, così imbarazzante…
“Legolas”. La
voce dell’uomo si fece più bassa, e calma. “Legolas… sei tu, non è
vero?”.
Questi riaprì
gli occhi. Fece un profondo sospiro, ma capendo di non aver più altra
scelta, si voltò nuovamente. Scese un altro paio di gradini, quindi
sollevò lo sguardo.
“Sì… sono io”.
L’uomo lo
fissò, senza dire nulla per qualche secondo. Poi, mentre un sorriso a
metà strada tra l’affettuoso ed il triste gli si allargava sul volto
stese un braccio verso l’amico, il palmo rivolto all’insù. Quindi
richiuse le dita un paio di volte, dolcemente.
“Vieni qui”.
To Be Continued…
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