.|. A Fior di Labbra .|.

by Marea

"Sai, Vig? Ho fatto un sogno. c’eravamo io e te e … Vuoi che te lo racconti?"

Sentimentale | Slash | Rating R | One Piece

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Il vento gli scompigliava i capelli, sfiorando la fronte serena. Il sole scendeva silenzioso sulla città lontana e dorava di una luce soffusa i lineamenti del suo volto.. Orlando sorrideva al tramonto, immerso nella calma delle ultime ore del giorno. Un bicchiere, posato accanto alle braccia incrociate sulla ringhiera della veranda, attendeva di incontrare le sue labbra.

Si accorse della mia presenza alle sue spalle e si voltò per sorridermi un invito. Un passo soltanto e già l’avevo raggiunto. Accennai a sedermi accanto a lui sul divanetto di vimini, ma Orlando scosse la testa e con una luce dolce nello sguardo mi tese le braccia dicendo: “No, Vig, aspetta. Vieni qui. Voglio stringerti tra le braccia.” Presi le sue mani tra le mie e percorsi con una lieve carezza le sue braccia. Mi chinai a baciarlo a fior di labbra, mentre il vento sussurrava tra le chiome degli alberi il suo frusciante accompagnamento al mio gesto. Lasciai vagare le mie dita per qualche secondo ancora sul suo viso e poi mi accomodai come mi aveva chiesto, tra le sue braccia, con la schiena contro il suo petto.

“Stai comodo?” Mi chiese, mentre si stringeva a me.

“Si, come potrei non esserlo.” Un attimo di silenzio, e poi Orlando sospirò soddisfatto e mi posò il mento su una spalla. Mi voltai per incontrare nuovamente le sue labbra e poi ripresi a dire: “Lo sai che sto sempre bene quando sto con te.” Un altro bacio, stavolta sulla guancia.

“Ti accontenti di poco!”

“Sbagli. Non è poco.”

“Lo so.” Gli tremò la voce. Fu solo un tremito leggero, eppure lo notai. Ancora adesso, pensavo, dopo tutto questo tempo (e sì che mi pare ieri che ci siamo amati per la prima volta!), come dicevo, ancora adesso l’emozione riesce a toccare le sue parole, pensavo e non ne ero affatto stupito.

Poi, tutto ad un tratto, un sorriso sicuro gl’illuminò il viso nell’affermare: “Lo so, mi ami!”

Orlando a quel punto mi afferrò il volto con entrambe le mani e mi assalì con un impeto improvviso, quasi volesse divorarmi la bocca. Passata la sorpresa iniziale, risposi al bacio con lo stesso entusiasmo. Avevo afferrato tra i denti il suo labbro inferiore e intanto sentivo la sua lingua sfiorare un’ultima volta le mie labbra umide per poi farsi strada tra di esse, andando ad esplorare la mia bocca. I miei denti lasciarono andare la loro dolce preda per accogliere la sua lingua nel calore del mio respiro, dove la sua gemella l’attendeva, pronta a cominciare il gioco. Si trovarono, rincorsero, accarezzarono. Orlando si ritrasse e io lo seguii e il gioco proseguì a lungo, fino a che la passione lentamente lasciò il posto a lente carezze e piccoli baci sulle labbra socchiuse.

“Sai, vorrei stare così, stretti l’uno all’altro, senza pensieri e senza fretta per un po’.”

“Possiamo, cucciolo, possiamo.” – non pensate che userò mai questo o altri nomignoli simili in presenza d’altri! No, questi sono solo per noi, per momenti come questo. – “L’importante è che tu non abbia freddo o stia scomodo.”

“Sto bene così. Non fa ancora freddo e vorrei rimanere vicini un altro po’ di tempo.” Ripeté. Non c’era malinconia o tristezza in lui, neanche un velo d’ombra nella sua voce. Voleva solo prolungare un momento di serenità e di quiete. Ed io, cullato dal battito regolare del suo cuore, come avrei potuto rifiutare? E poi, perché mai avrei dovuto negarci un po’ d’amore? Non che non ci sia amore nel lavare i piatti o, che so, rifare il letto… ma questo è diverso. Non si può descrivere o spiegare, solo vivere e ricordare. E così facemmo, finché Orlando non riprese a parlare.

“Sai, Vig? Spesso ci ho pensato, ho pensato a come sarebbe stato se, fra di noi, le cose fossero andate in modo diverso…”

“Diverso… come?”

“Non lo so. Diverso. Non so nemmeno se migliore o peggiore di come stiamo adesso, però… quando mi guardo indietro, vedo così tante strade lasciate vuote. Strade delle quali non riesco a vedere la fine, ma sempre assolate. E rassicuranti…”

“Penso che non sarebbe cambiato nulla – dissi – saremmo stati comunque noi, con i nostri bagagli e le nostre strade da percorrere.”

“Ma, chissà, forse l’avremmo potute percorrere insieme!”

“Eravamo già insieme, anche quando non eravamo ancora una coppia. Perché c’è sempre stato un noi, sin dall’inizio, perché già allora potevamo contare l’uno sull’altro.”

“È vero. Io ti ho voluto bene da subito. Ti ammiravo, certo. Però, lo sai, vero? Non era solo per quel motivo che ti cercavo.”

Alcune persone mi considerano un poeta, ma non trovai replica migliore per rispondere alle sue affermazioni che baciarlo. Le parole non sarebbero mai bastate, sperai, quindi, che un gesto d’amore potesse esprimere ciò che provavo e che già tante volte gli avevo detto. Il mio cuore lo aveva riconosciuto sin dal primo istante, anche se la mente era giunta alla stessa conclusione molto più tardi. Non per paura, solo per inesperienza. Non ho mai avuto paura di amare, né tantomeno ne ebbi mai di amarlo, solo non è facile riconoscere il vero amore, quando credi che la tua anima gemella sia il tuo migliore amico. Nonostante ciò, è sempre stato nel mio cuore. Questo cercai di comunicargli, offrendogli le mie labbra e insieme ad esse tutto me stesso. Il bacio non raggiunse la frenesia esigente del desiderio, perché non doveva coinvolgere i nostri corpi, era uno spazio riservato solo ai nostri cuori. Terminò, poi, così com’era iniziato, con le nostre labbra che ancora si sfioravano appena.

“Come mai oggi hai di questi pensieri?” gli chiesi voltandomi, a scostargli alcuni riccioli dalla fronte.

“Ho fatto un sogno, ieri notte…” nel dire così, Orlando sembrava indeciso, quasi non riuscisse a decidersi se parlarmene o meno.

“Un sogno?”

“Si.” Fu l’unica sua risposta.

“Com’era?” lo incoraggiai.

“Eravamo io e te, sai? In Nuova Zelanda, quando avevamo iniziato a girare solo da pochi mesi e … e ci eravamo innamorati.”

“Davvero?”

“Perché? Lo trovi tanto strano?”

“Strano? No, per niente. Sai bene quanto siamo stati vicini io e te, da subito. Ma come mai hai sognato una cosa del genere?”

“Non lo so. – la sua risposta mi strappò un sorrisetto divertito – Guarda che non lo so davvero!” fu la sua replica indispettita e mi rifilò un bel pizzico nelle costole.

“Ahi! Guarda che così mi fai male!” esclamai ridendo nell’allontanarmi da quelle dita adorabili, ma che in quel momento erano diventate molto pericolose per me!

“Te lo meriti! – esclamò quel matto del mio amore e mi fece una linguaccia, ma non gli diedi il tempo di riprendere fiato che mi voltai e gli stampai un sonoro bacio su quell’adorabile broncio. Non possiamo litigare a lungo noi! Neanche per gioco.

“Allora, cosa succedeva nel sogno? Sentiamo.” Dissi, invitandolo in silenzio a sistemarsi tra le mie braccia e ci ritrovammo distesi come prima, ma dall’altra parte del divanetto, con le gambe semipiegate, intrecciate le une alle altre.

“Avevamo appena finito di girare non so che scena. Inizia così, che all’improvviso mi trovo in uno dei set, in pieno costume e…”

Non potei non interromperlo. “Il mio elfo!” sospirai. Intanto avevo preso ad accarezzargli il viso, gli zigomi, poi giù fino al mento e risalivo la mascella, gli sfioravo un orecchio e poi continuavo il giro. Non pensate che volessi distrarlo, o che non stessi prestando attenzione alle sue parole. No, non era affatto così. Ma il suo volto, le espressioni che si dipingono su di esso e quel modo tutto suo di stringere gli occhi mentre pensa, mi sono sempre incantato a guardarlo. Come potrei non farlo? L’amo.

“Si. Il tuo elfo cercava un certo sudicio umano, - Orli posò una mano sulla mia - perché voleva sapere che cosa pensava dell’ultima scena che avevamo girato. – intrecciò le sue dita con le mie - Volevo sentire la tua opinione su come avevo recitato. – e la portò alle labbra - Speravo, non sai quanto mi battesse il cuore, di ricevere una parola di approvazione. Comunque sarei stato pronto anche ad accettare una critica, purché tu mi parlassi. – la sua mano strinse più forte la mia - Ti interessassi a me. Era questo che volevo, più di tutto. Avere un po’ della tua attenzione.” Mentre i suoi occhi vagavano lontani dai miei.

“Tu l’hai sempre avuta. Questo lo sai, vero?” gli risposi, sollevandogli il mento perché mi guardasse negli occhi. Dopo qualche istante Orli sorrideva di nuovo.

“Si.” Rispose, si sistemò meglio contro il mio petto e strofinò il viso sul mio collo. Ora respirava nel mio calore e, accoccolato contro di me, riprese a raccontare.

“Tu eri a pochi passi da me. Mi davi le spalle. Riponi la spada nel fodero e poi ti volti. Mi vedi, sorridi ed io riesco a stento a trattenermi dal gettarti le braccia al collo. Mi avvicino e cominciamo una delle nostre solite chiacchierate serie, come due bravi attori che riflettono su come sta andando il lavoro. Ma c’è dell’altro. Com’è sempre stato.”

Ha ragione. Come dimenticare il desiderio di passare più tempo possibile insieme, la gioia che mi procurava vederti sorridere e l’impulso che mi spingeva ad aiutarti sui set e ad assecondarti fuori. Anche nelle idee più folli e sconsiderate, nelle quali mi ritrovavo coinvolto mio malgrado, perché non riuscivo a rifiutarti qualcosa come se nulla fosse, ad allontanarti come se non contassi nulla. Do voce ai miei pensieri mormorando “Non è mai stato solo un freddo rapporto professionale per noi, e anche quando eravamo solo colleghi, bhe, eravamo sicuramente anche amici.”

Hai annuito e poi hai continuato a parlare, dicendo “Ma qui non si trattava di semplice amicizia. Ero attratto da te. Non riuscivo a sollevare gli occhi fino ai tuoi, che subito li riabbassavo. Temevo vi leggessi le mie speranze, paure, desideri… soprattutto questi ultimi. Avevo anche paura che ciò che nutrivo per te sarebbe stato troppo evidente se mi fossi permesso di ammirarti troppo palesemente.”

Nel pronunciare queste ultime frasi Orlando aveva progressivamente abbassato il tono della voce, che si spense quasi del tutto sulle ultime parole. Sapevo che ciò che mi stava descrivendo non erano solo le fantasie sconnesse e spesso irreali dei sogni. Già all’inizio della nostra conoscenza mi ero accorto delle sue insicurezze e poi,  tempo dopo, mi aveva confessato lui stesso le ansie che l’assalivano in mia presenza. Il suo atteggiamento spavaldo ed il suo carattere solare non erano riusciti a celarle completamente. D’altronde trascorrevamo insieme gran parte della giornata, erano comprensibili, necessari e forse inevitabili l’affiatamento e lo stretto legame che si erano venuti a creare tra noi e forse lo erano stati anche quei timori, che, però, per fortuna ormai appartenevano al passato.

Sfiorai con la punta delle dita le sue labbra e gli dissi “Se l’avessi fatto, se avessi alzato lo sguardo forse avresti visto la tua stessa espressione rispecchiarsi sul mio viso. – gli avevo passato un braccio intorno alla vita e intanto con l’altra mano continuavo a percorrere sentieri misteriosi sul suo volto - Avresti visto l’emozione nuova che mi stringeva il petto ad ogni tuo sorriso, che mi aveva fatto rimanere di sasso la prima volta che mi hai baciato la guancia e la paura. La paura di trovarmi a dover affrontare certe verità, scomode ancora oggi per questo nostro sciocco mondo di celebrità e dannazione. Ma più di tutto il dolce tormento che mi lacerava il petto. Sperare, amare quel tuo sorriso, vivere per i tuoi occhi luminosi rivolti verso di me e non sapere perché. E poi ancora il timore di vederti voltare la testa e allontanarti senza esitazioni e di ritrovarmi solo, nella confusione di un palco affollato. Vedi? Entrambi abbiamo avuto i nostri fantasmi, spettri nella notte del passato, che alla luce dell’alba si sono rivelati ingannevoli come ombre in uno specchio. Li avevamo creati nella solitudine e li abbiamo visti svanire insieme.”

“Talvolta credo che ‘insieme’ per te sia quasi una parola magica.”

“Lo è!”

“Poeta mago, vuoi sapere dunque come si è conclusa quella nostra conversazione?”

“Dimmi pure, non attendo altro.” , lo incoraggiai, sottolineando con un mezzo sorriso un po’ beffardo la magnanimità della mia generosa concessione. Cercate di capire, dopotutto gli stavo dando il permesso di continuare a tormentarmi con le sue deliziose e interminabili chiacchiere.

Ignorando le mie palesi eppur giocose provocazioni Orlando continuò il suo racconto. “Ho chiamato a raccolta tutto il mio coraggio e con l’aggiunta di una buona dose, non saprei dire se di sangue freddo o di sfacciataggine o piuttosto forse spinto dall’entusiasmo, anzi, ad essere più precisi dall’euforia per il tuo sorriso e per tutte quelle parole incoraggianti che mi avevi rivolto, ti ho invitato a cena da me. Pensa, Vig, ho pure specificato che avrei cucinato io per tutti e due!”

“Davvero?” Non che dubitassi del suo racconto, il mio pensiero andava ad altro, presto saprete a cosa.

“Certo. E immagina, sono riuscito a chiedertelo senza balbettare o fare la solita confusione!” Si vantò.

“Un vero eroe! Ma dimmi, Orli, io cosa ho risposto?”

“Hai accettato senza la minima esitazione. È ovvio, no?”

“Ma allora il vero eroe in tutta questa faccenda sono io! – esclamai. - È proprio vero che l’amore fa compiere follie.” Sentenziai. È così divertente stuzzicarlo, ma solo quel tanto che basta per farlo imbronciare. Devo ammettere che adoro quando finge di offendersi! Ad essere sinceri ciò che adoro in realtà e tutto ciò che devo fare e dire per farmi perdonare. Potreste darmi torto?

Cercando di abbracciarlo ripresi a dire “Dai, scherzavo. Questo lo sai, vero?” ma non ottenni risposta e allora decisi di cambiare tattica. Forse stuzzicandolo ancora un altro po’ avrei ottenuto qualche risultato. Non mi restava che provare e così gli dissi: “Comunque, sai? Penso che in fin dei conti dovrei ritenermi onorato, perché vedo che anche in sogno continui a sforzarti di imparare a cucinare, ma soprattutto che lo fai per me.”

Come volevasi dimostrare, finalmente Orlando rispose, un po’ risentito “Lo sai che lo faccio per te.”

“Ammiro il tuo impegno, è certamente lodevole, - rincarai la dose – purtroppo non si può dire lo stesso dei risultati…” aggiunsi, sperando di non aver esagerato.

Orli a queste ultime parole ribatté indispettito “Guarda che sono stato perfettamente in grado di cucinarlo!”

Non potei trattenermi dal domandare: “Nel sogno?”

“No!” esclamò indignato.

“Non ne dubito, amore. – ammisi, infine, e tentai nuovamente di abbracciarlo, stavolta Orlando mi lasciò fare. Il tempo per i giochi era giunto al termine. Non avevamo bisogno di dirci a parole che quella breve schermagli era stata solo finzione, bastava un sorriso finalmente privo d’ironia e il tono della voce, che perdeva la sua furbesca e, chissà forse anche un po’ irritante, malizia, per caricarsi nuovamente di dolcezza e d’affetto. – Anche perché ultimamente ho notato che i tuoi sforzi stanno dando dei buoni risultati. – aggiunsi - …e stavolta dico sul serio, amore.” Meglio non dare nulla per scontato!

“Lo so. Sto migliorando sempre di più! – Orli proclamò con orgoglio – Vedrai che cosa ti ho preparato per stasera! Sai? L’idea l’ho rubata al sogno.” Mi confidò soddisfatto.

“Sono davvero curioso. Dopotutto non capita tutti i giorni che tu mi esili dalla cucina per quasi due ore per tenermi all’oscuro del menù della cena!”

“Volevo farti una sorpresa… e poi forse devo ammettere di poter essere stato influenzato da quello che nel sogno accadeva durante la serata che passavamo da me.”

“Orli… che cosa succedeva? Che hai combinato?”

“IO? Niente! Per lo meno non fino a che tu non hai cominciato a stuzzicare.”

“Stuzzicare? In che senso?” domandai, incerto tra il mostrarmi perplesso o lasciar trasparire la malizia nella mia voce.

“Vuoi tutti i particolari?” Lo sguardo gli si accese di entusiasmo.

“A questo punto, direi proprio di sì. Sempre che a te vada di raccontarmi quello che è successo. In fin dei conti è solo un sogno. Ma devo ammettere che mi hai incuriosito. Comunque, come ho detto, sta a te decidere che cosa fare.” Sapevo che nel dire così avrei acceso ancor più il suo desiderio di raccontarmi tutto e così fu.

“Se non avessi voluto parlartene non avrei nemmeno iniziato il discorso, non credi? In ogni caso credo proprio che troverai il seguito del sogno davvero molto interessante.”

“Sentiamolo, allora.”

“Prima di cominciare, però, che ne dici di tornare dentro? La cena ormai si sarà raffreddata a puntino e poi qua fuori il vento si è fatto freddo ora che il sole non c’è più.”

“Penso sia una buona idea, anche se non mi dispiaceva stare abbracciati così.” Risposi.

“Perché non mangiamo sul divano, Vig? – Orli propose allegramente - Per quello che ho preparato, ora che ci penso, non è poi così necessario stare seduti a tavola…” aggiunse, ammiccando con malizia e subito dopo si alzò, si voltò e mi tese le mani.

 

***

 

Orli mi affidò piatti e bicchieri, mentre riservò per sé l’onore di mettere in tavola, se così si può chiamare il basso tavolinetto che avevamo spostato davanti al divano, la nostra cena.

“Orli, sei sicuro che non vuoi una mano?” gli chiesi, osservandolo farsi avanti portando l’ennesima pirofila coperta da un tovagliolo bianco.

“No, grazie. Guarda che non funziona! – mi ammonì ridendo – Non sperare di riuscire a sbirciare quello che ti ho preparato. Deve restare una sorpresa fino all’ultimo!” esclamò posando la pirofila. Io scossi la testa ridendo e lo osservai mentre rimirava soddisfatto il suo operato.

“Il vino! Dimentico sempre il vino. Vig, puoi andare a prenderlo tu? Intanto io finisco di preparare qui.”

“Ok. Quale preferisci?”

“Quello rosso, che hai comprato l’altro mese, quello italiano.”

Mi ero appena allontanato che Orli riprese a parlare. “Sai? Anche nel sogno avevo dimenticato il vino. Per fortuna che ci sei tu a rimediare ai miei guai!”

“Perché che cosa ho fatto?”

“Ti sei presentato alla mia porta con una bottiglia di vino.”

“Rosso?”

“Rosso, ovviamente.”

“Non si può fare a meno di una buona bottiglia di vino per scaldare una serata!” sentenziai emergendo dalla cucina esibendo l’oggetto del nostro discorso.

“Non credo che nel sogno sia stato il vino a scaldare l’atmosfera…”

“Me lo auguro. Dopotutto non ne abbiamo mai avuto bisogno, vero?” ammiccai e intanto armeggiavo intorno alla chiusura della bottiglia.

“No. Decisamente, no. Mi bastava vederti camminare per casa , scalzo, spesso senza maglietta per il caldo e con quei vecchi pantaloni che usavi per dipingere, macchiati di vernice e che ti scendevano sui fianchi… mi bastava vederti così che mi veniva naturale provocarti.”

“E io non è che mi sia mai tirato indietro!”

“Mi sono chiesto molte volte come mai, sai, come mai nonostante avessimo passato così tanto tempo a flirtare, ecco, perché non è accaduto niente tra di noi allora.”

“Non saprei. Forse eravamo troppo presi ad essere amici per pensare ad altro.”

“E dire che le occasioni non ci sarebbero mancate!”

Scoppiai a ridere, eppure riuscii a rispondergli. “No, non ci siamo risparmiati. Ti ricordi quando ho passato un’intera serata cercando di convincerti del tuo sex appeal?”

“Come potrei dimenticarlo! Stavo da schifo quella sera.”

“Quella ragazza con cui eri uscito un paio di settimane ti aveva lasciato e tu eri corso da me e non sapevi se essere depresso o furibondo!”

“Non sei quello che cerco… mi aveva detto! Ma come si fa a dire una cosa del genere?”

“Come si fa a rifiutarti? Vorrai dire!” esclamai divertito e gli impedii di replicare baciandolo a sorpresa.

“Quante volte ho dormito da te. - Orli continuò nostalgico, intanto io gli porgevo il bicchiere colmo di vino. – Strano come già dalla prima volta non ho neanche pensato di poter disturbare.”

““Forse perché eri troppo ubriaco per pensare!” dissi e ci sedemmo.

“Non è vero! Cioè, sì, ero troppo ubriaco per tornare a casa da solo, ma ero anche abbastanza lucido da leggere le tue espressioni.”

“Ero preoccupato.”

“Non c’era solo apprensione nei tuoi occhi. Dai! Si vedeva bene che ti faceva piacere.” Orli aggiunse maliziosamente.

“Si. È stato bello fare colazione insieme la mattina dopo.” Ammisi sorridendogli.

“Anche se non sono stato di molta compagnia? Ero stonato per i postumi della sbornia e per il sonno; praticamente dormivo in piedi!” esclamò, posando il vino. Poco dopo anch’io lo imitai, poi alzai il viso verso il suo e, fissandolo negli occhi scuri, ripresi a parlare.

“Non m’importava. Eri lì con me. Sentivo la tua presenza come qualcosa di vitale che riusciva a riempire, a rendere meno inospitale quella casa vuota. Irradiavi gioia di vivere. Forse non in quel momento, in quello stato, intontito com’eri! Ma io la sentivo lo stesso, o forse ero io che reagivo così a te. Sai, Orli? Non credo che fino a quel momento mi fossi reso conto di quanto fosse diventata pesante la solitudine per me.”

“Vig, ora ci sono qua io. – mi accarezzava una guancia, mentre pronunciava quelle parole dolci e rassicuranti - Non saremo mai più soli, me lo ripeti sempre e io so che è vero. Non può che essere così, perché ora che ci siamo finalmente trovati, resteremo insieme per sempre!” le sue labbra trovarono le mie, mentre io mi lasciavo cullare dalle sue parole rassicuranti, che placarono, anzi dissiparono la malinconia evocata da quell’ultimo ricordo.

“Lo so, Orli, amore, lo so.” continuavo a ripetere, mentre depositavo tanti piccoli baci sul suo volto.

“Te lo avevo detto per la prima volta quella sera, quando ancora stavamo girando, ricordi?” Orli mi aveva scostato leggermente da sé per guardarmi negli occhi e aveva racchiuso il mio viso tra le sue mani.

“Come potrei averlo dimenticato? Quasi non riuscivo a trattenere l’emozione. Per tutta la mattina dopo sono andato in giro per la location con un sorriso di felicità stampato sul viso. Mi sentivo così idiota, ma non potevo farci nulla. Mi volevi bene!”

“Ci volevamo bene.” Mi corresse Orlando accompagnando le parole con una carezza sulla guancia.

“Si! E ricordi? Sono riuscito a rimanere serio soltanto finché ho interpretato Aragorn.”

“Finché non hai visto me al Fosso, vorrai dire!” puntualizzò sogghignando. Purtroppo non potei obiettare alcunché, dopotutto aveva ragione.

“Dovevo mostrare la mia felicità di rivederti! Era nel copione!” cercai di ribattere.

“Sei proprio sicuro che ci fosse scritto che Ara dovesse guardare Lego in quel modo?” mi fece notare con un sorriso divertito.

“Sottigliezze!” tagliai corto. Inutile discutere con gli elfi, hanno la deplorevole ed alquanto irritante tendenza ad avere sempre ragione.

Per fortuna pareva che Orli avesse alla fine deciso di lasciar cadere l’argomento. Allungò una mano per riprendere il bicchiere di vino e lo sollevò, rimanendo per alcuni istanti ad osservare quel liquido sanguigno, quindi sorrise in tralice, ne bevve un sorso e disse “Abbiamo parlato anche di questo, sai? Nel sogno, intendo.”

“Di ‘questo’ cosa?”

“Del rapporto tra Ara e Lego.” Rispose senza voltarsi a guardarmi, perché si era chinato verso il tavolinetto e stava sistemando degli strani involtini nei nostri piatti. Sembravano dei pacchetti regalo, chiusi com’erano con quelli che pareva proprio fossero fili d’erba. Orlando voleva che mangiassi quella roba? Mi domandavo dubbioso.

“In che senso ‘del loro rapporto’?” chiesi, per stornare la mia attenzione da una crema dal colore arancione molto sospetto, che Orli stava aggiungendo ai nostri piatti.

“Il discorso era iniziato in maniera abbastanza innocente. Stavamo riflettendo sulle caratteristiche dei personaggi che interpretavamo, sulle relazioni interpersonali con gli altri, quando siamo finiti a parlare del legame che doveva unirli. Io ho detto che nei film, a differenza che nel libro, sembrava che si conoscessero già da prima che si formasse la Compagnia. Niente mi può togliere dalla mente quell’Avo dad Legolas al Consiglio. Non si parla così a qualcuno che non si conosce molto bene, soprattutto non ad un orgoglioso principe elfico, giunto in missione da un regno lontano!”

“Hai ragione. È ovvio che si conoscevano già, - immaginavo di sapere già quale fosse la conclusione a cui era giunto Orli, ma poiché non volevo togliergli il piacere di parlarmene lui stesso, dissi comunque – forse avevano viaggiato insieme.”

“O forse ‘stavano’ insieme!” mi corresse.

“È di questo che abbiamo parlato? Ara e Lego amanti? Non mi sembra un modo molto sottile di sedurre una persona.” Osservai divertito.

“Non direi…” Orli lasciò in sospeso la frase e cominciò a guardarmi ridacchiando.

“E ora perché ridi? Mi stai nascondendo qualcosa?” domandai incuriosito da tanta reticenza.

“Assaggia questo e avrai la risposta.” Fu tutto ciò che ottenni da lui. Orli aveva, infatti, alzato verso le mie labbra uno di quei curiosi involtini e attendeva la mia prossima mossa.

“Mi ricatti?” domandai perplesso. Attesi la risposta con un sorriso d’ironica sfida sulle labbra.

“Si.”

“Sfacciato!” mormorai tra me e me. Orli per fortuna decise di ignorare la mia provocatoria disapprovazione. Preferiva conoscere la mia opinione sul risultato dei suoi esperimenti culinari e perciò rimase in attesa, con quel piccolo oggetto non identificato a pochi centimetri dalla mia bocca e una luce maliziosa negli occhi. Dato che cominciavo ad essere roso dalla curiosità, mi decisi ad assaggiarlo. Non l’avrei mai detto! Era squisito! Stavolta Orli aveva superato se stesso. Quell’insolito fagottino racchiudeva un formaggio che non avevo mai assaggiato. Delicato e cremoso, si scioglieva in bocca, mentre lo speck che aveva usato per avvolgerlo lasciava un sapore forte che si sposava perfettamente con quello piccante, eppure dolce di quella strana salsa arancione. Devo ammettere che l’erba cipollina che aveva usato per fermare il tutto non risultò affatto strana. Non osai mai più criticare le doti di Orlando tra i fornelli.

“Orli, è delizioso!” quasi non avevo finito di parlare che Orlando mi gettò le braccia al collo, travolgendomi di baci e gridando al contempo per l’entusiasmo. Non seppi mai come riuscì a salvare il piatto che teneva in mano, ma non potemmo certo evitare che il resto del cibo finisse ad impiastricciare il divano e, ovviamente, i nostri vestiti.

“Scusa. Scusa, non volevo.” continuava a ripetere Orlando, ritraendosi mortificato.

Come ho già detto non sono mai riuscito ad arrabbiarmi con lui e in fin dei conti tuttora non credo che quella spontanea manifestazione d’entusiasmo potesse costituire motivo di rimprovero, così finii per dirgli: “Non fa niente, Orli. Non ti preoccupare. Manderemo tutto in tintoria e tornerà come nuovo. Ok?” annuì poco convinto, continuando a spostare lo sguardo da me, al divano, ai nostri abiti e alla salsa che gocciolava sul parquet. Non resistetti. Ne raccolsi un po’ col dito e la portai alla bocca, poi feci lo stesso con quella sui suoi pantaloni e gliela porsi incoraggiandolo con un sorriso ad imitarmi.

“Devi ancora dirmi che cosa mi hai fatto mangiare.” Gli ricordai, mentre lui chiudeva le mie dita tra le labbra, rispondendo al mio sguardo con uno ugualmente malizioso. La serata era salva!

“Zucca. Zucca gialla al peperoncino.”

Non potrò mai dimenticare quella scena surreale. Orli leccava lentamente e mordicchiava sensualmente le mie dita e intanto elencava ingredienti e ricette di cucina.

Feci scivolare una carezza bagnata sul suo collo, poi spostai una mano dietro la sua nuca, lo spinsi verso di me e lo baciai. Esplorai le sue labbra, scoprendovi sapori nuovi, dolci e piccanti. Un gemito liquido gli sfuggì nello schiudere le labbra permettendomi l’accesso. Si lasciò assaporare a lungo, mentre rispondeva alle carezze della mia lingua con languidi movimenti che lentamente divennero sempre più esigenti. Ben presto sentii le sue mani afferrare la stoffa della mia camicia e stringerla con forza sulla mia schiena, mentre il bacio cresceva d’intensità. Il suo corpo cominciò a vibrare contro il mio per l’eccitazione che stava prendendo possesso di noi. Mi ero abbandonato completamente alle sensazioni che mi stava donando quel bacio, perdendomi in esso, mentre Orlando mi sfiorava dolcemente l’interno della bocca e giocava con le mie labbra stringendole tra i denti per poi sfiorarle con la lingua là dove aveva lasciato i lievi segni dei suoi piccoli denti. Quando si staccò da me, solo allora mi accorsi che ansimavo e che il cuore aveva accelerato i suoi battiti.

“Forse dovremmo togliere questi abiti, sono diventati tutti appiccicosi…”

Come potevo negarglielo? Non avrebbe avuto comunque alcuna importanza se avessi avuto intenzione di provare a rifiutarmi, perché le sue mani erano già al lavoro e, prima che potessi rispondere, aveva già cominciato a sfilarmi la camicia.

“Penso proprio che tu abbia ragione. – riuscii a replicare – Lascia che ti aiuti.” Dissi, raggiungendo l’orlo della sua maglietta. Massaggiai con i palmi aperti il suo petto ed i fianchi, adoro toccare quella pelle serica che avevo contribuito a scoprire. Era calda ed invitante. Mi chinai a baciarla. Scesi  sulla clavicola e sulle spalle e poi ancora più giù, lambendogli il petto a fior di labbra fino a che giunsi alla cintura dei pantaloni. Sollevai il viso per guardarlo. Aveva gli occhi chiusi e il capo abbandonato all’indietro sul bracciolo del divano. Lo raggiunsi e tornai ad unire le nostre labbra. Orlando alzò una mano per posarla tra i miei capelli, mentre l’altra percorreva errabonda la mia schiena. Mi spostai sul mento e poi lungo la mascella, su fino all’orecchio. Lo presi delicatamente tra le labbra, lasciandolo raggiungere dal mio respiro caldo che gli strappò un flebile gemito.

“Hai detto così anche nel sogno.” mormorò.

“Nel sogno?” chiesi smarrito. Avevo del tutto dimenticato il sogno.

“Faceva caldo, - disse, spingendomi nuovamente a sedere – molto caldo – prese le mie mani tra le sue e le guidò sul suo corpo - ed io mi volevo togliere la camicia. – continuò a dire, intanto eravamo scesi fino alla sua vita, ai suoi jeans – Sai? Eravamo scesi sulla spiaggia dopo cena…

“Mi hai portato sulla spiaggia?”

“Tu – sottolineò – mi hai portato sulla spiaggia. – le sue mani erano tornate su di me e, mentre io cercavo di sbarazzarmi di tutti quegli inutili indumenti, avevano trovato i miei capezzoli – Il  mare, poi, quella sera era così calmo e misterioso nel buio che non ho resistito al desiderio di entrare in quell’acqua resa quasi nera dall’oscurità della notte.” Finalmente ero riuscito a sciogliergli la cinta. Aprii il primo bottone dei jeans e abbassai la zip, ma non del tutto; la lasciai in modo tale che si potesse intravedere solo un triangolo della sua biancheria.

“E poi?” chiesi e posai la mano distesa sul suo inguine, strappandogli un sussulto.

“Ci siamo rincorsi sul bagnasciuga, scherzando e ridendo mentre le onde ci lambivano i piedi. Poi ti ho spinto, facendoti cadere.” il suo respiro si andava facendo affannoso, le parole pronunciate con lentezza e con voce sempre più bassa.

“E poi?” ripetei.

“Abbiamo cominciato a lottare, inzuppandoci e alla fine tu sei riuscito a bloccarmi sotto di te. Vuoi sapere altro?”

Sorrisi e calai su di lui fino a sfiorare con la lingua il suo tatuaggio. Orli s’inarcò verso di me, che colsi l’occasione per afferrarlo per i fianchi e scendere ad addentare la zip. Poi la feci scorrere verso il basso. Contemporaneamente le mie mani si insinuavano sotto la stoffa dei pantaloni di Orli e li facevano scivolare per le sue gambe, accarezzandole per tutta la loro lunghezza.

“C’è dell’altro da sapere?” domandai.

“Oh, si, - ansimò – molto altro.” e si risollevò nuovamente a sedere, cosicché anch’io fui costretto ad imitarlo. Mi posò una mano sul petto e mi spinse indietro, invitandomi a sdraiarmi.

Calando su di me con sguardo ferino, disse “Innanzitutto, cominciamo sbarazzandoci di questi fastidiosi abiti.” e senza attendere oltre mi sbottonò con facilità i pantaloni. Sollevai i fianchi per aiutarlo a sfilarli e lo vidi lasciarli cadere ai piedi del divano. Entrambi, a quanto pareva, avevamo deciso di prolungare quel gioco, procrastinare il più possibile la fine di quell’estenuante attesa. Era per questo, quindi, che ancora indossavo i miei boxer, che diventavano, però, via via più stretti.

“Tu mi tenevi bloccato sulla riva, con l’acqua che, onda dopo onda, mi sfiorava gelida. Stavi seduto sui miei fianchi  - disse, sistemandomisi proprio a cavalcioni – e ci fissavamo in silenzio.” Concluse, incatenandomi con quel suo sguardo intenso per un lungo momento. Poi si abbassò lentamente su di me e appropriandosi della mia bocca, reclamò il mio corpo con le sue carezze. Sentivo le sue mani scivolarmi sui fianchi e risalire l’addome fino a raggiungere il petto per catturare i miei capezzoli, tesi al solo pensiero dell’arrivo delle sue mani. Terminato il bacio spostò le labbra al mio orecchio e sussurrò: “Mi sei rimasto a fissare a lungo, molto a lungo… – e nel pronunciare l’ultima parola si sollevò a sedere portandomi con se. Poi continuò a raccontare – Intanto io avevo cominciato a tremare, un po’ per il freddo, ma soprattutto perché credevo di intuire il significato di quello sguardo e del calore che sentivo nascere in me. I tuoi occhi chiari, resi ancor più luminosi dalla luce pallida della luna, sembrava attendessero un mio cenno perché tu potessi decidere se e come proseguire.” Detto ciò, prese ad accarezzarmi le braccia e poi guidò le mie mani su di sé, fino a posarle sui suoi fianchi ancora coperti dal cotone dei boxer.

“Aiutami.” Fu tutto ciò che disse e non era una supplica.

Sfiorai il bordo elastico, percorrendogli con un tocco leggero il ventre. Lui, intanto, continuava a narrare e accarezzarmi.

“Io esitavo, non riuscivo a trovare le parole adatte ad esprimere ciò che provavo. Tutte quelle intense emozioni che si agitavano in me avevano preso il sopravvento sulla mia mente.”

“E allora cos’hai fatto?” mormorai, insinuando le dita sotto la stoffa.

“L’unica cosa che mi è venuta in mente. Ho smesso di pensare e agito d’impulso. - rispose. Cominciai, quindi, ad abbassargli i boxer, strappandogli un sorriso soddisfatto. Orli proseguì dicendo - Ho teso le braccia verso di te.” mentre io facevo scorrere lentamente le mie mani sul suo corpo caldo, fissandolo negli occhi nocciola, colmi d’aspettativa. Feci in modo che il movimento risultasse come una lenta carezza su di lui, che si inarcava per assecondare i miei gesti. 

“A quel punto ti sei chinato su di me, mi hai sollevato, prendendomi tra le tue braccia e senza una parola hai unito le nostre labbra. In quel primo bacio ho perso me stesso.”

“Perso?” mi fermai un istante a guardarlo perplesso.

“Ho sentito che non avevo più il controllo del mio corpo, era come se aprendoti il mio cuore, permettendoti di conoscere i miei desideri, avessi perso ogni difesa. Non potevo più nascondermi e non volevo fuggire via. Capiscimi. Non è che mi sentissi in trappola, al contrario! Era come se tu mi avessi potuto leggere dentro dal momento che mi ero offerto a te. Ma non avevo paura…” Orlando interruppe la frase ed emise un tremulo sospiro quando fu finalmente libero. Chiuse gli occhi e abbandonò il capo all’indietro. Riaprì gli occhi e riprese a parlare, scandendo le frasi con lievi sospiri e brividi di piacere per le carezze e i baci che depositavo su tutto il suo corpo.

“No, non avevo paura. Non ce n’era motivo, mi fidavo di te. Mi lasciai rialzare in piedi, una volta terminato il bacio, e ricondurre in casa. È buffo, sai? Abbiamo lasciato lì i vestiti.”

“Non sono mai stati molto importanti.” sussurrai.

Orli annuì, sorridendo dolcemente. “No, decisamente no. Se avessimo dovuto far caso solo al nostro aspetto, forse ora non saremmo qui.”

“Avevi un gusto un po’  particolare…” minimizzai.

“Bizzarro, forse è un termine più adatto!” precisò.

Ancora adesso mi chiedo come riusciamo ad interromperci così, con chiacchiere e battute, qualche volta anche un po’ taglienti, senza rovinare l’atmosfera. È come se questi piccoli battibecchi faccciano parte delle schermaglie amorose ed infatti, come una sorta di preliminari alternativi, ci eccitavano ancor più!

Mi piegai, quindi, su di lui per tracciare un umido sentiero di baci dal suo petto fino a raggiungergli l’orecchio. Vi avvicinai le labbra e sussurrai: “Così va bene?”

Orli riaprì gli occhi e posando le amni sui miei fianchi disse: “No. Manca ancora una cosa.”

L’attesa non durò a lungo, pochi secondi più tardi mi ritrovai libero anche dall’ultimo indumento.

“Sai, Vig? Nel sogno quella doveva essere la nostra prima volta, ma è stata molto diversa da quella vera.”

“Diversa?”

“Si.” arrossì.

Mi stesi portandolo con me.

“Ho voluto che fossi tu ad amarmi.” disse con voce appena udibile. I nostri corpi uniti scivolarono uno sull’altro, pareva quasi fossero due metà di un unico essere  che tornavano a combaciare dopo una lunga separazione.

“Avevo deciso di donarmi a te. Pensavo, anzi, no, sentivo che quello era il modo migliore per mostrarti i miei sentimenti. Il cuore mi batteva all’impazzata, non sapevo cosa sarebbe stato di noi.”

“Saremmo stati insieme per sempre , da quel momento in poi!”

“Si! – confermò – Ma era strano. Era come se non sapessi nulla di noi, eppure, però… ecco, non so come spiegarlo. In fondo all’anima sapevo!” concluse stringendosi a me. La mia sete per una simile vicinanza non si potrà mai estinguere per quanto mi disseti di essa. Né la brama che, in quei momenti, scorgo nei suoi occhi incupiti dal piacere cesserà mai di alimentare il mio desiderio di potergli donare quest’estasi condivisa  da due anime che finalmente si ritrovano unite. I nostri corpi bramavano allora, come bramano adesso di unirsi, le nostre mani cercano i nostri più riposti segreti. Li trovano, li penetrano; inizia un rito sacro, di piacere e d’amore ricevuti e donati. Chi accoglie, dona al contempo, non c’è differenza, non c’è mai stata, né mai ci sarà, perché siamo uno. L’estasi ci raggiunge insieme e null’altro conta, perché null’altro esiste per noi.

 

***  

 

Il pendolo dell’orologio scandiva lentamente le ore. La cena era conclusa da tempo. Non ne restavano che pochi piatti e bicchieri stesi ad asciugare nell’oscurità della cucina deserta. L’unica luce ancora accesa nella casa ora silenziosa era quella che filtrava fiocamente dalla porta della nostra camera da letto.

Coperti da un lenzuolo leggero, ci scambiavamo gli ultimi baci, le ultime parole prima di addormentarci.

“Vig, vorrei poter rimanere così per sempre, non dovermi allontanare mai da te.” Orli mormorò stringendosi a me.

“Amore, ricorda questo calore. Ora noi siamo uniti e lo saremo per sempre, perché anche quando i nostri corpi si separano, anche allora i nostri cuori conservano ciò che l’altro gli ha donato. Non importa quali strade abbiamo percorso per giungere qui, l’importante è ciò che vediamo davanti a noi. Il nostro futuro insieme.”

I suoi occhi bagnarono di lacrime di gioia le sue guance. Le asciugai con tanti piccoli baci, sostituendo a quelle fredde tracce salate il tepore delle mie labbra.

“Dimmelo, dimmelo ancora.” sussurrò Orlando, abbracciandomi e nascondendo il volto nell’incavo del mio collo.

“Ti amo.” La semplicità di queste mie parole, pronunciate sfiorando delicatamente le labbra di Orlando, non solo rivaleggiava con le frasi più poetiche che abbia mai detto o sentito, ma ho sempre pensato che le superasse tutte di gran lunga.

Il suo respiro caldo si mescolò con il mio, quando rispose “Anch’io ti amo, Vig. Da sempre, anche da quando ancora non lo sapevo, anche da quando ancora non ti conoscevo.” E me lo rubò con un bacio. S’impossessò delle mie labbra, i suoi denti le sfioravano lievemente, la sua lingua penetrò nel dominio della mia voce, sede dei primi piaceri e lì prese a danzare avvinta alla mia.

“Voglio che tu sappia una cosa.” mormorò Orli, con voce già legata dal sonno.

Levai il viso per poterlo fissare e lui portò una mano a sfiorarmi il volto.

“La prima volta che ci siamo amati, - sussurrò, gli occhi intensi fissi nei miei – quando ti sei dato a me, - un sorriso gl’illuminò dolcemente lo sguardo – e poi anche quando mi hai fatto tuo… sai? – cercò di bloccare uno sbadiglio – Ieri notte ho capito una cosa.”

“Cosa, amore?” lo incoraggiai a continuare, mentre gli accarezzavo lievemente la schiena, i fianchi, le gambe intrecciate alle mie, le braccia e le spalle forti, il collo segnato dai miei baci ed i riccioli scomposti.

“Ho capito che sono tutte la stessa cosa. Quelle esperienze, voglio dire. Perché qualunque cosa accade tra di noi è solo una delle tante espressioni dello stesso amore, di quell’amore che ci ha sorpresi quando meno ce lo aspettavamo con il più grande dei doni.”

“Tu.”

“E tu, amore.” concluse.

“Allora non sei pentito che non ci siamo messi insieme durante le riprese?”

“No, non abbiamo mai fatto nulla di cui pentirci.”

“Neanche di aver perso del tempo, tempo in cui potevamo stare insieme?”

Non so perché riaprii il discorso, forse volevo essere solo sicuro che non avesse rimpianti di alcun genere.

“Lo hai detto tu stesso prima, questa stessa sera. Non abbiamo perso niente, ogni cosa era perfetta come doveva essere, ciò che non è stato rimarrà chiuso in noi, come un dolce sogno, che al risveglio ti fa ancora sorridere.” Rispose e si strinse nuovamente a me. Il sonno ci raggiunse poco dopo, avvolti nel nostro calore.

 

***  

 

Il sole si affacciava già tra le persiane abbassate, quando aprii gli occhi. Accanto a me Orli ancora dormiva. Mi voltai su un fianco per osservarlo. Il suo petto nudo si alzava e abbassava ritmicamente, sollevando appena il lenzuolo, che gli cingeva la vita.

Sotto le palpebre ancora chiuse le pupille si muovevano già, presto si sarebbe svegliato. Sfiorai le sue labbra socchiuse, osservavo quegli ultimi istanti di sonno come se fossero stati qualcosa di raro e prezioso. Aprì gli occhi. I raggi obliqui del sole basso nel cielo velavano di un’ombra tremolante il suo sguardo, attraversando le sue lunghe ciglia sottili.

Ancor prima di salutarmi, Orli bisbigliò, sorridendo assonnato: “Sai, Vig? Ho fatto un sogno. c’eravamo io e te e … Vuoi che te lo racconti?”

 

                                                                           Agosto 2004

                                                                              *Marea*